Da una protezione rivolta ai fenomeno più facilmente
percepibili all’esterno, quali il maltrattamento e l’incuria, si
passa al riconoscimento di forme più sottili quali la violenza
psichica e l’abuso sessuale. La risposta dell’ordinamento si
trasforma, allora, in un’attività di protezione attuata sotto il
profilo penale: le azioni od omissioni commesse ai danni dei
minori configurano ipotesi di reato. Si afferma, in primo
luogo, il valore del bene fatto oggetto di tutela, individuato
nell’integrità della persona di minore età e nella salvaguardia
delle su potenzialità. In secondo luogo si attua una prima
misura di prevenzione, impedendo indirettamente la
commissione di ulteriori reati attraverso la minaccia della
sanzione penale.
Tuttavia, questi risultati sono storicamente recenti, infatti gli
atti lesivi della libertà sessuale sono stati classificati, fino al
1996, come “delitti contro la morale pubblica ed il buon
costume”. Il Codice Rocco elencava, infatti, i vari “delitti
contro libertà sessuale” al Capo I, Titolo IX, Libro II,
5
regolando le due fattispecie principali, cioè la violenza
carnale e gli atti di libidine violenti. Dopo numerose proposte
legislative che si sono susseguite per circa venti anni il Capo
I, Titolo IX, Libro II, è stato abrogato dalla legge 15 Febbraio
1996, n. 66. Questa importantissima legge ha modificato molti
aspetti del reato di stupro ed in primo luogo la sua
classificazione. Da reato contro la morale pubblica ed il buon
costume si è scelto per una normativa in cui esso viene
classificato come reato contro la persona.
Nel lavoro svolto sono stati colti i punti più rilevanti del
mutamento introdotto dalla nuova legge n. 66/1996.
Successivamente è stata considerata la nuova collocazione
sistematica dei reati in tema di libertà sessuale, mettendo in
risalto il fatto che essi sono stati concepiti come reati contro la
persona e non più come reati contro la morale pubblica ed il
buon costume. In seguito è stato poi definito il concetto di
“abusi sessuali sui minori”, tenendo conto dei contributi
dottrinali e giurisprudenziali.
6
Il secondo punto focale di questo lavoro è stato fissato
nell’analisi delle questioni dell’attività sessuale compiuta con
minorenni. Infatti, dopo aver studiato gli elementi del delitto
di “violenza sessuale”, con le modifiche apportate dalla legge
n. 66 del 1996, analizzando l’art. 609 bis, lo studio è
proseguito analizzando il discorso della tutela particolare,
offerta dal legislatore, ai minorenni; esaminando tutte le
forme di abuso sessuale sui minori, comprese quelle in
ambito familiare.
La parte successiva del presente lavoro, riguarda lo studio
della legge 3 agosto 1998 n. 269, intitolata “Norme contro lo
sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo
sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzioni in
schiavitù”.
Questi anni sono stati caratterizzati da numerose novità,
quali la diffusione a livello di massa degli strumenti
informatici e da un nuovo modo di porsi in relazione, in
7
quanto viviamo in una società che tende alla c.d.
“globalizzazione” ed è in frenetica evoluzione.
La diffusione di massa degli strumenti informatici ha
contribuito all’amplificazione “globale” del problema
pedofilia. In questo contesto si inserisce la legge del 1998, e
poi successivamente la legge n. 38 del 2006, che è andata ad
inasprire ulteriormente le sanzioni di alcune fattispecie della
legge precedente, in modo particolare ha introdotto l’art. 600
quater 1, riguardante la c.d. “pornografia virtuale”, che ha
scatenato non poche polemiche al livello dottrinario.
La legge 269/98, con le modifiche della legge del 2006, è stata
presentata nei suoi aspetti sia generali che particolari: si è
posto l’accento sulle novità più interessanti della stessa, come
le attività di contrasto e l’allargamento delle fattispecie
punibili commesse all’estero, espressione di una tutela che sia
effettivamente “globale”. La trattazione è stata incentrata
sullo studio delle modalità con cui il legislatore intende
reprimere i comportamenti pedofili attuati tramite
8
l’induzione, il favoreggiamento e lo sfruttamento della
prostituzione, nonché tramite il compimento di atti sessuali
con un minore di età compresa fra i quattordici e i sedici
anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica; tramite
lo sfruttamento di un minore al fine di realizzare esibizioni
pornografiche o di produrre materiale pornografico e con la
commercializzazione di questo; tramite la cessione, anche a
titolo gratuito, di materiale pornografico ottenuto mediante
lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto;
tramite la detenzione o la disposizione consapevoli di
materiale pedo – pornografico; tramite l’organizzazione e la
propaganda di iniziative turistiche volte allo sfruttamento
della prostituzione minorile.
In questa ultima parte del presente lavoro, è stato dedicato
un paragrafo alla nuova fattispecie, introdotta dalla legge del
2006, chiamata “pornografia virtuale”, che come ho
accennato precedentemente ha scatenato molte perplessità
nei primi commentatori della novella legislativa, soprattutto
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riguardo il principio di offensività, mancante all’interno della
fattispecie in quanto prende in considerazione materiale
puramente virtuale, quindi non riguardante situazioni
realmente esistenti.
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CAPITOLO PRIMO
EVOLUZIONE NORMATIVA DEL REATO DI VIOLENZA SESSUALE
Sommario: 1. Disciplina originaria del Codice Rocco – 2. Legge del 15 febbraio 1996 – 3.Disciplina
degli atti sessuali con i minorenni e della corruzione di minore – 4. Legge 3 agosto n. 269 del 1998:
aspetti generali – 5. La c.d. “libertà sessuale”.
1. Disciplina originaria del Codice Rocco.
Oggi appare scontata l’idea che i reati di violenza sessuale
non debbano appartenere all’area di tutela della moralità
pubblica, tuttavia il Codice Rocco del 1930 manteneva questa
impostazione.
Nel 1930 si enunciava l’idea di base che gli interessi collegati
alla libertà sessuale fossero interessi funzionali ad un altro
interesse; che non fossero quindi meritevoli di tutela di per
se, in rapporto al valore ed alla dignità del soggetto che ne è
portatore, ma dovessero essere collegati ad un insieme di
valori dai quali essi ricavavano necessariamente consistenza
e validità. Tuttavia il codice Rocco dà, per la prima volta,
11
autonoma rilevanza alla “libertà sessuale”, intitolandole il
capo I del titolo IX del secondo libro. Quindi da questo punto
di vista, esso sembra superare la preesistente tradizione,
introducendo un elemento di novità. Ma l’innovazione è solo
apparente, perché il codice Rocco è pervaso da una specie di
“sublimazione pubblicistica”di tutti gli interessi protetti, nel
senso che la loro tutela è concepita in funzione di un interesse
prevalente riferito allo stato etico, e cioè allo stato espressivo
della titolarità dei valori
3
.
I reati sessuali, nel Codice del 1930, vengono collocati nel
titolo IX del secondo libro dedicato ai “delitti contro la
moralità pubblica e il buon costume”. In quest’epoca viene
sciolta l’accoppiata “buon costume – ordine delle famiglie”,
infatti scompare quest’ultimo elemento che viene sostituito
dalla “moralità pubblica”. Il titolo IX del nuovo Codice, a
seguito di questa differente classificazione, era diviso in soli
3
PADOVANI T. , Commento all’art. 1 della L. n. 66 del 1996, in Commentari delle norme
contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, a cura di CADOPPI, CEDAM
Padova, 2002, p. 7.
12
tre casi e comprendeva un ridotto numero di fattispecie
4
. Nel
primo capo, dedicato ai delitti contro la libertà sessuale,
venivano delineati i reati di violenza carnale e di atti di
libidine violenti. Se si attua un confronto tra il codice
Zanardelli ed il Codice Rocco si può rilevare che, da un lato,
alcune figure di reato hanno avuto diversa sistemazione
rispetto al passato pur rimanendo nell’ambito del medesimo
titolo; dall’altro lato, alcune figure di reato, che erano state
inserite nel Codice del 1889 nello stesso titolo comprendente i
delitti di violenza carnale e di atti di libidine violenti, di
corruzione di minorenni, di ratto, ecc., sono trasferite ora in
un diverso titolo
5
.
Il Codice Rocco del 1930 riproduceva la distinzione tra
“violenza carnale” e “atti di libidine violenti”, in termini
simili a quelli del precedente codice Zanardelli, e le norme
relative a queste fattispecie continuavano a ritenere profilo
essenziale della condotta costitutiva del reato la violenza o la
4
COPPI, I reati sessuali nella legislazione penale italiana, in I reati sessuali, GIAPPICHELLI
EDITORE – Torino, 2000, pp. 10- 11.
5
COPPI, I reati sessuali nella legislazione penale italiana, op. cit., p. 11.
13
minaccia del soggetto agente e non reputarono quindi
sufficiente alla configurazione dell’illecito il solo dissenso
della persona offesa. Secondo l’art. 519 c.p., infatti,
rispondeva di violenza carnale “chiunque, con violenza o
minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale” e,
secondo l’art. 521 c.p., rispondeva di atti di libidine violenti
“chiunque, usando mezzi o valendosi delle condizioni
indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti
di libidine diversi dalla congiunzione carnale” o “costringe o
induce taluno a commettere gli atti di libidine su se stesso,
sulla persona del colpevole o su altri”
6
.
Si può considerare che quando si assumono valori quali “la
moralità pubblica” e il “buon costume”, come beni giuridici
di categoria, diviene conveniente raccogliere in un medesimo
titolo reati eterogenei, e quindi ricomprendere in un unico
contenitore i delitti di violenza carnale, di libidine violenti e i
delitti in materia di prostituzione.
6
COPPI, I reati sessuali nella legislazione penale italiana, op. cit. p. 15.
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