INTRODUZIONE
E' bene sgombrare il campo da un possibile equivoco. Gould non era un musicologo e
ne mai egli ha pensato di esserlo nella sua vita. Era certamente un grande pianista, un
genio per alcuni, che nella sua pur non lunga carriera ci ha lasciato dei documenti sonori
di straordinaria importanza e ricchezza culturale.
Eppure quando era in vita Gould non veniva preso in molta considerazione (anche se
la recente pubblicazione di un epistolario
1
getta una nuova luce al riguardo): alcune sue
stramberie – indossava i guanti in estate e si accompagnava sempre col suo sgabello dalle
gambe tagliate - venivano giudicate atteggiamenti di un pianista in cerca di notorietà.
Inoltre le sue esibizioni pubbliche (fino a quando egli suonò) venivano ricordate più
per i suoi atteggiamenti clowneschi che per la validità o meno delle sue esecuzioni.
Alcune sue incisioni mozartiane e beethoveniane contengono talmente tante deroghe
alla norma esecutiva tradizionale da farle rifiutare alla stragrande maggioranza dei critici
di allora (e in parte anche di oggi).
A Gould, in fondo, stava bene così; non ha mai pensato che le sue incisioni pianistiche
potessero ascriversi alla grande tradizione interpretativa di Mozart o Beethoven, ed era
conscio dell'arbitrarietà di molte sue scelte. Al contrario non sopportava alcun tipo di
critica ai suoi numerosi scritti, sia musicali che extramusicali:
curiosamente, il solo campo in cui non sopporto la critica è quello dei miei scritti.
Niente di ciò che si può dire a proposito delle mie interpretazioni o delle mie composizioni
mi tocca, ma la minima critica ai miei scritti mi fa male.
2
1
si veda G. Gould, Lettere, Milano, Archinto, 1993.
2
si veda G. Gould, No non sono un eccentrIco, a cura di Bruno Monsaingeon, Torino, EDT, 1989.
Non si comprende bene il motivo di tale affermazione, ma è certamente ben lungi da
noi un simile atteggiamento acritico e distaccato. Nel complesso questi scritti conservano
ancora quell'arguzia ed incisività critica che li resero popolari, ma non è possibile oggi
(come allora) far passare sotto silenzio alcune sue discutibili affermazioni, come quando
arriva a distorcere la realtà storica al fine di giustificare certe sue scelte interpretative
arbitrarie (accade ad esempio con Mozart).
In Le affinità barocche (Cap. I) si rende omaggio al grande amore di Gould: la tradizione
contrappuntistica, e in particolare a colui che ne è il massimo emblema, e cioè Bach. Diviso
in quattro paragrafi, questo capitolo inizia trattando della fuga, dove a differenza della
sonata e della sinfonia si realizza "una confusione d'identità tra compositore ed interprete".
In particolare Gould si sofferma sul concetto di 'fuga come forma', ma distinguendola
nettamente dalle forme cicliche in quanto è estranea alla fuga la contrapposizione
maschile-femminile, tonica- dominante tipiche della sonata e della sinfonia.
Gould non ha mancato egli stesso di cimentarsi, come compositore, con tale tecnica
contrappuntistica.
Ecco allora nascere The Idea of North, un documentario radiofonico in cui tre personaggi
dialogano simultaneamente (facendo assomigliare il tutto ad una sonata a tre barocca),
oppure So You Want to Write a Fugue?, una curiosa composizione di Gould per quartetto
d'archi e quattro cantanti che conversano sulle qualità necessarie per poter scrivere una
fuga.
Un problema spinoso che viene affrontato in questo capitolo è quello relativo a quale
strumento si debba usare nelle composizioni tastieristiche di Bach (clavicembalo o
pianoforte?), e di come Gould si pone nei riguardi delle teorie di Erwin Bodky circa la
possibilità di eseguire il Clavicembalo ben temperato con due diversi strumenti a tastiera
(organo più clavicembalo). Concludono il capitolo le minuziose analisi di Gould sulle
Variazioni Goldberg e il Concerto in re minore di Bach e alcune brevi considerazioni di Gould
(che si dimostra diffidente) sul simbolismo numerico presente nel nome J.S. BACH.
Col secondo e terzo capitolo entriamo nel pieno del periodo classico, dove vediamo
affermarsi l'uso generalizzato della forma-sonata. In Mozart e il Puritano (Cap. II) Gould
lamenta la sua disaffezione nei riguardi del concerto classico che modellandosi sullo
schema della forma-sonata propone, accanto alla "suddivisione puramente meccanica del
concerto" ( il 'tutti' dell'orchestra da un lato il 'solo' del pianista dall'altro), l'avvicendarsi
del primo e del secondo tema della sonata.
A seguire, alcune riflessioni sulle Sonate mozartiane ree, secondo Gould, di contenere
(tranne le prime sei) caratteristiche decisamente teatrali. Un elemento questo che si oppone
strenuamente alla sua "anima di puritano".
Il capitolo terzo, Beethoven, il professionista dilettante, si apre con un'invettiva di
Gould verso alcuni letterati, studiosi di estetica musicale (come Thomas Mann e Aldous
Huxley), colpevoli secondo il pianista di suddividere la produzione musicale di Beethoven
in periodi ben distinti «<giovanile», «maturo» o «tardo»).
Fa seguito il paragrafo sulle Sonate beethoveniane dove Gould porta tesi a sostegno di
questa o quella sonata e dove alcune nostre considerazioni sulle incisioni beethoveniane di
Gould evidenziano l'originalità (ma anche l'arbitrarietà) della sua lezione interpretativa.
Conclude il capitolo una breve ma dettagliata analisi di Gould del Concerto in si bemolle
maggiore e un fugace accenno alle cadenze che solitamente Gould componeva per i Concerti
beethoveniani.
In Perorazione per Richard Strauss (Cap. IV) Gould ripercorre le tappe principali della
carriera artistica di Strauss, suddividendola in tre periodi.
Di questi l'ultimo periodo è stato quello più aspramente criticato in quanto, secondo
alcuni critici, Strauss si è chiamato fuori dai mutamenti radicali che stavano avvenendo in
seno al linguaggio musicale.
Gould, invece, riabilita con tenacia e passione questo periodo della vita creativa di
Strauss, evidenziando la novità armonica di un'opera come Metamorphosen. Chiude il
capitolo una breve ma dettagliata descrizione del programma radiofonico The Bourgeois
Hero, dedicato da Gould a Strauss e che vede la partecipazione di eminenti personaggi
della scena musicale di quel periodo, come Wolfgang Savallisch e Norman del Mar.
Strutturalmente simile al quarto capitolo, Schönberg est mort (Cap. V) attraversa tutta la
vita creativa di Schönberg: da Verklärte Nacht op. 4 fino alla Fantasia op. 47. Minuziose solo
le analisi di Gould dei Drei Klavierstücke op. II e delle Suite op. 25, come pure la descrizione
del lento ma inesorabile passaggio di Schonberg dal tonalismo al metodo dodecafonico.
Come naturale Gould riserva una parte importante alle opere pianistiche di Schonberg
e al ruolo che il pianoforte va man mano assumendo nella ideazione del nuovo linguaggio
musicale.
Nell'ultimo paragrafo Gould mette in evidenza il nuovo processo compositivo di
Schonberg che fa uso di una serie dodecafonica suddivisa in due esacordi, che invertita e
trasposta ad un determinato intervallo fa coincidere le prime sei note dell'originale con le
ultime sei dell'inversione.
Nell'ultimo capitolo, L'era dell'elettronica, si dà spazio all'attività sperimentale di Gould,
alle interminabili ore condotte negli studi della CBS a provare e riprovare un dato
passaggio musicale. E' il caso, ad esempio, della fuga in la minore dal II libro del
Clavicembalo ben temperato incisa verso la metà degli anni '60 da Gould.
Importanti sono anche gli esperimenti radiofonici e quelli condotti da Gould con la
nascente tecnica quadrifonica ed applicata, con notevoli risultati secondo lui, al disco di
Skrjabin (di cui mostriamo la particolarissima procedura di realizzazione) e a quello di
Sibelius.
A seguire Gould fa il punto sullo stato della musica elettronica in quegli anni
osservando, acutamente, come la cultura elettronica abbia introdotto un nuovo concetto di
"responsabilità", secondo il quale le particolari funzioni di esecutore, compositore ed
ascoltatore si sovrappongono tra di loro. Gould prospetta, in un non lontano futuro, la
possibilità di provvedere personalmente al montaggio di un nastro, in una sorta di
Hausmusik del futuro.
A conclusione del lavoro è stata posta un'Appendice, in cui vengono raccolti i titoli della
stragrande maggioranza degli scritti di Gould editi (anche se molti, soprattutto
extramusicali, restano inediti).
Essi sono reperibili nei due volumi di Ecrits curati da Bruno Monsaingeon e
nell'edizione italiana de L'ala del turbine intelligente. Da notare che accanto al titolo italiano
è quasi sempre disponibile la relativa versione in francese (molti di questi scritti, però,
sono inediti in Italia).
Certamente questa tesi non pretende di essere esaustiva nei riguardi della produzione
critica di Gould e ne tantomeno intende far nascere un culto feticistico nei confronti
dell'interprete (non se ne può più), quanto piuttosto porgere una chiave di lettura della
sua attività multiforme e creativa.
Diverse delle affermazioni contenute in questi scritti vanno prese cum grano salis, altre
appaiono ancora oggi insostenibili mentre altre ancora contengono dei refusi storici.
Al di là di ciò, comunque, tali saggi contengono moltissime verità e sono, a tutt'oggi,
una chiave preziosa per comprendere il controverso e complicato universo della
produzione pianistica del musicista canadese.
PROFILO BIOGRAFICO
Chi era, o meglio chi è stato Glenn Gould? Un personaggio stravagante, un maniaco
perfezionista, un «animale notturno», un asceta dell'era M c Luhan, un critico accorto, uno
stravolgitore di partiture, un grande pianista, un egocentrico, un antiromantico viscerale, e
chissà quant'altro? Probabilmente sì, ma non solo.
Certamente Gould era una persona estremamente sensibile forse anche insicuro (molti
sono gli pseudonimi dietro i quali si celava). Ma era malato di perfezione, di un
perfezionismo che lo costrinse nel 1964 ad abbandonare le scene concertistiche: rifiutava
l'irripetibilità dell'evento musicale come si configurava nella sala da concerto.
Aveva in grande considerazione i nuovi mezzi tecnologici, la televisione ma
soprattutto la possibilità di registrare in sala di incisione, di assemblare, rifinire anche il
più piccolo dei particolari.
Scorrendo rapidamente la biografia di Gould scopriamo che le prime lezioni di
pianoforte le ricevette da sua madre Florence Greig (Edvard Grieg era cugino del bisnonno
di sua madre, la quale conservò la grafia in "ei", mentre il bisnonno di Grieg, tale John
Greig, dopo essersi stabilito a Bergen invertì le vocali per dare al suo cognome un suono
più nordico) e poi continuò successivamente con A. Guerrero al Conservatorio di Toronto
nel periodo tra il 1943-'52.
Intanto il suo nome comincia a circolare negli ambienti musicali e il 14 gennaio 1947 a
soli 17 anni debutta nel Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra di L. van Beethoven con la
Toronto Symphony Orchestra diretta da Sir Bernanrd Heinze.
Dopo svariati recitals e concerti, nel 1955 Gould firma un contratto in esclusiva con la
Columbia Records, incidendo poi l'anno successivo le Variazioni Goldberg di Bach. Fu la
prima incisione bachiana che lo rivelò al mondo come uno degli interpreti più originali del
musicista tedesco.
Il Bach di Gould al pianoforte può sembrare una riproposizione delle incisioni
effettuate in passato dalla Rosalyn Tureck negli anni cinquanta, ma a livello di tocco e di
timbro, se il pianismo di Gould crea una sonorità da Graf 1830 (che è stato il pianoforte
viennese per eccellenza, prediletto anche da Beethoven), la sonorità pianistica della Tureck
ricorda come strumento un ibrido, dice Rattalino, a metà fra il clavicordo e il moderno
Onde Martenot. Certo è indubbio che i due pianisti americani facciano riferimento ad una
comune tradizione interpretativa bachiana: entrambi partivano dal presupposto di
modificarne lo stile, che prima di allora era inserito nel solco della tradizione romantico-
neoclassica propugnato da Edwin Fischer e Walter Gieseking.
In sostanza sia Gould che la Tureck rigettavano il legato introdotto da Czerny a favore
della tecnica dello staccato in tutte le sue varie forme (dal «portato», al «martellato», dallo
«staccatissimo» allo «sciolto») .In una sola parola si manteneva la percepibilità della
polifonia, del discorso spezzato e della differenziazione timbrica.
Gli anni successivi al '56 vedono Gould impegnato nella registrazione dei Concerti
beethoveniani. I due concerti estremi, il Primo e il Quinto, furono incisi rispettivamente con
Vladimir Golschmann e Leopold Stokowski; tutti gli altri Gould li registrerà con Leonard
Bernstein. Il loro rapporto è stato uno dei più accesi e burrascosi degli anni '60: Bernstein
era ormai un direttore molto affermato, conosciuto dal grande pubblico anche per le sue
trasmissioni televisive. Gould invece era soltanto un pianista molto promettente, con una
spiccata personalità.
Bernstein rimase favorevolmente impressionato dalle precedenti incisioni di Gould,
tanto che lo volle con se per incidere Beethoven.
Il primo incontro tra i due avvenne a New York il 26 gennaio 1957 alla Carnegie Hall
con Gould che eseguiva il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra di Beethoven, e sul
podio lo stesso Bernstein.
Dopo la registrazione del Concerto n. 2 di Beethoven, effettuata tra il 9 e il 10 aprile
1957 fu la volta del Terzo Concerto, quello in do minore. Gould rientrava da Berlino, dove
aveva eseguito lo stesso Concerto sotto la direzione di un giovane direttore, un astro
nascente beethoveniano: Herbert von Karajan.
Con la Columbia Symphony Orchestra Bernstein e Gould incisero il Concerto n. 3 il 4, il
5 e 1'8 maggio del '59, cui seguì poi nel 1961 il Quarto (questa volta con Bernstein alla
guida della New York Philaharmonic).
Il valore artistico di queste incisioni è notevole: ne emerge un Beethoven «nuovo»,
brioso, energico, che fa intravedere un'estrema cura del suono (Gould arrivava ad incidere
una decina di volte lo stesso trillo).
Un problema spinoso, nel corso di queste registrazioni, fu rappresentato dalla scelta
delle cadenze: Bernstein rifiutò energicamente quelle composte dal pianista canadese, per
orientarsi su quelle originali di Beethoven. Solo in occasione del Primo Concerto sotto la
direzione di Golschmann, e del Quinto con Stokowski, Gould utilizzerà le proprie
cadenze.
Ma, malgrado le ottime incisioni dei Concerti beethoveniani, il sodalizio artistico tra
Gould e Bernstein era destinato a concludersi durante un'esecuzione pubblica del Primo
Concerto per pianoforte e orchestra di Brahms.
Fu una rottura spettacolare, con Bernstein che prima di cominciare lo spettacolo si girò
verso il pubblico proclamando il proprio totale dissenso da questa interpretazione. Esiste
un disco, registrato con mezzi di fortuna, a testimonianza di questo storico Concerto.
L'8 aprile del '62 terminò la collaborazione tra i due artisti americani; fu tutto sommato
un sodalizio fecondo, pieno di spunti originalissimi, ma ormai Gould pensava seriamente
di abbandonare le scene concertistiche. Prima di tale svolta clamorosa, Gould ha modo di
pubblicare nel 1963 le sei Partite di Bach, mentre l'anno prima cura per la CBC il suo primo
documentario radiofonico dal titolo Arnold Schonberg: The Man w ho Changed Music.
Il 10 aprile 1964 Gould abbandona le esecuzioni pubbliche: i continui viaggi e gli stress
dei concerti in pubblico lo inducono a rifugiarsi nella sala di registrazione. A ben vedere
però questa sua scelta è perfettamente coerente col personaggio: da anni ormai andava
maturando questa possibilità, da tempo era ormai stanco dell'irripetibilità dell'evento
concertistico, dell'impossibilità di ritoccare i propri errori ("perche un pittore può ritoccare
i propri quadri?", era solito ripetere).
L'esecuzione dal vivo non perdona errori, distrazioni: non c'è alcuna possibilità di
riparare all'errore fatto. Gould scoprì di odiare le tournees, i continui spostamenti,
l'eccessivo clamore, gli aerei. Quando suonava dal vivo si considerava un artista del
varietà il cui compito è quello di sollazzare le platee.
L'avidità curiosa del pubblico era alimentata soprattutto dai comportamenti di Gould:
il fatto di indossare cappotto, sciarpa e guanti anche d'estate, la sua assurda mania di
presentarsi sul palco in compagnia dello sgabello personale (le cui gambe erano state
segate, costringendolo ad assumere una posizione di un bel po' di centimetri inferiore alla
norma), tutto ciò non faceva che accrescere la fame di curiosità del pubblico, sempre alla
ricerca della nota di colore, del pettegolezzo fine a se stesso.