gravavano sull’Italia: da una parte, la mancanza di coscienza nazionale, e
dall’altra, l’esistenza di notevoli differenze fra le due parti della penisola che
costituivano una perenne minaccia allo sviluppo unitario della nostra nazione.
I suoi obiettivi principali furono, da un lato, il rinnovamento morale della
popolazione italiana (in primis delle sue classi dirigenti) e, dall’altro, quello di
superare nel nuovo sistema il divario dei punti di partenza delle due Italie e di
affermare un modello di sviluppo coerente all’unità raggiunta
.
Scopo del presente lavoro è di illustrare un aspetto della poliedrica
personalità di Giustino Fortunato che ha destato sempre meno interesse rispetto a
quello del meridionalista. La sua figura è ben conosciuta per la attività di
parlamentare e di scrittore, mentre sono rimaste per lungo tempo nell’ombra le sue
ricerche storico-giuridiche condotte dallo studio di Rionero in Vulture sulle fonti
documentarie della Basilicata relative al medioevo. L’autore invece fin dagli anni
giovanili mostrò spiccata attitudine per la ricerca storica, raccolse ed interpretò
documenti, né trascurò le testimonianze archeologiche ed epigrafiche. È in tali
fonti documentarie che trova puntuale riferimento il contesto delle vicende
economiche e sociali della Basilicata nei secoli dodicesimo-quattordicesimo.
Per quanto concerne la metodologia fortunatiana essa rispecchia i postulati
filosofici e storiografici del positivismo che il nostro accoglie in pieno, risultando,
così, seppur velatamente, su posizioni antitetiche all’idealismo crociano. Il
Fortunato guarda alla storia con l’occhio del politico e vi scorge dunque solo il
reale che si manifesta per lui in termini geografici, etnici ed agronomici; la studia
da positivista, cui non sono estranee influenze deterministe convinto che la storia
dei popoli può conoscersi solo se studiata in rapporto alla terra che essi abitano,
influenzato in questo dall’Herder che attribuisce la disparità e lo sviluppo dei
popoli al clima. Tale giudizio non ha per il nostro un valore apodittico tale da
inibirgli il senso dei poteri che l’uomo ha di modificare le condizioni ambientali e
climatiche dei luoghi per migliorarne le condizioni di abitazione e di produzione.
Dunque non rispecchia pienamente la realtà l’accusa di pessimismo attribuitagli
dal Croce, poiché quello del Fortunato è un pessimismo realistico e non un
quietismo fatalistico, un pessimismo pratico di chi, di fronte alla visione del vero,
si sofferma e si ribella all’idea che il male sia irredimibile.
Lo stesso Fortunato nel rispondere al Croce così si esprime:
Pessimista non è chi sente profondamente il male, ma colui che di fronte ad esso
depone ogni arma.
3
La salvezza è negli stessi meridionali, nel loro spirito di opposizione e di
solidarietà.
La storia è, per lui, vita che va vissuta e sofferta per essere compresa.
Questo senso della storia egli si formò studiando Machiavelli e Guicciardini,
Giannone e Vico, Cuoco e Winspaere. E per questa via giunse a far proprio il
principio del Manzoni secondo il quale una storiografia veramente matura doveva
comprendere in sé il rigore metodologico e documentario del Muratori insieme
con la potenza di sintesi, la vastità e la profondità di interpretazione di Vico. Né va
dimenticato che Giustino Fortunato fu alla scuola di Francesco De Sanctis il quale,
commentando Vico, soleva ricordare ai suoi discepoli che l’importante nel fare
storia è risolvere il problema di trovare le leggi dello spirito della storia che hanno
fondamento nella verità, in modo da dare vita a quella “ storia ideale eterna” che è
applicabile a tutte le storie particolari.
Positivismo e Romanticismo coincidono nella concezione della storia come
la ebbero Manzoni e Fortunato, uniti anche da una visione dolorosa della vita
naturale e storica, che in Manzoni si compose nella fede, mentre in Fortunato si
aggravò sempre più dinnanzi alle sue amare esperienze. Non a caso un filosofo
qual è Giovanni Gentile poté paragonare la storia della Valle di Vitalba alla storia
della Lombardia spagnolesca dei Promessi Sposi.
Non sembrano, dunque, pertinenti alcuni giudizi che distinguono Fortunato
come un conservatore intelligente, ma non illuminato. Sono giudizi che tendono a
presentarci un ritratto non autentico dell’uomo che, anzitutto, denunciò il
3
G. R. Zitarosa, G. F. storico, Cosenza, Pellegrini editore, 1970, p.27.
malcostume e la superficialità con la quale si vuole affrontare il problema
meridionale, come segnatamente hanno dimostrato gli studi di Smith, del
Toynbee, del Vochting che hanno rivendicato al Fortunato il titolo di maggior
interprete del problema meridionale.
Uno dei maggiori meriti del Fortunato, che è storico e politico insieme, è
certamente questo: la questione meridionale non fu per lui soltanto oggetto di
studio, ma anche di sincera passione e di fede sicura. Né si può certamente
accogliere un giudizio come quello di Tommaso Pedio secondo cui il nostro
dopo aver ricercato nelle monografie storiche le origini ed essere riuscito ad
individuare le cause sostanziali dello stato in cui versavano le popolazioni del
Mezzogiorno d’Italia, quando dovrebbe proporre una soluzione che sia conseguenza
logica dei risultati cui è pervenuto egli questa soluzione non propone.
4
L’uomo politico, invece, non va mai disgiunto dallo storico, e l’opera
storica di Fortunato è proprio la premessa per intendere la politica che egli fece e
la questione meridionale iniziata e vista da lui con mente illuminata, cosciente e
disinteressata.
Sull’onda di questi presupposti ci sentiamo di condividere l’affermazione di
Jules Gay, corrispondente ed amico del Fortunato, all’indomani della sua
scomparsa:
Era uno di quegli uomini che per la semplice dirittura morale e per l’unità della
loro vita sono riusciti, senza cercarlo, ad onorare la loro provincia e nel tempo stesso la
loro patria realizzandone presso gli stranieri il prestigio intellettuale e morale. Giustino
Fortunato era un bel carattere ed una bella intelligenza: apparteneva a quella èlite di
uomini colti che, da un capo all’altro dell’Europa e del mondo civile, applicando gli
stessi metodi e con il medesimo scrupolo di verità e giustizia, possono contribuire in
larga misura a preparare un’umanità migliore.
5
4
G. Fortunato, Badie, Feudi e baroni della Valle di Vitalba, a cura di T. Pedio, Manduria, Laicata 1968, p.17.
5
J. Gay, Giustino Fortunato e i suoi amici francesi, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, anno
secondo, fasc. 4, 1932.
Capitolo Primo
La figura di Giustino Fortunato
Il generale fervore culturale del secondo Ottocento
interessò ed indirizzò
molti studiosi italiani verso la storia nazionale e regionale. Scopo precipuo era
quello di promuovere la rinascita delle province attraverso la riscoperta degli
archivi, di documenti che avrebbero contribuito a dare dignità e lustro alle più
remote contrade della penisola. A siffatto lavoro taluni attesero per puro gusto
erudito; altri, invece, nel convincimento che lo studio dei grandi fenomeni storici,
attraverso l’esame dei dati della cronaca locale, avrebbe contribuito a creare le
premesse utili per un’azione di governo riformatrice.
In questo clima si comprende appieno l’intendimento di Giustino Fortunato
di porre nella giusta luce le vicende storico-giuridiche di una provincia
meridionale quale la Basilicata, a torto creduta soltanto terra dei briganti.
6
Con il
Fortunato il Mezzogiorno cessa di “essere una macchina spinta sopra un binario
morto in mezzo al gran movimento di cento locomotive”, il paese del sole e della
melodia, abitato da santi e da demoni.
7
E’, invece, conosciuto nella sua realtà: una
terra economicamente in crisi, paradossalmente unita a regioni progredite, chiusa
alla penetrazione delle nuove idee, certamente apprezzabile per l’operosità tenace
e i fermenti culturali della sua gente.
Giustino Fortunato nacque il 4 Settembre 1848 da Pasquale e Antonia
Rapolla a Rionero in Vulture. Qui la sua famiglia, originaria di un paese del
salernitano, Giffoni Seicasali, si era stabilita come affittuaria dei pascoli del
principe Doria in Lagopesole. Fra i suoi componenti si segnalarono giuristi,
6
Cfr. lettera del 25 ottobre 1892 a E. Cicciotti, in G. Fortunato, Dissidenza e trasformismo, Bologna, 1892,
p.3.
7
G. Fortunato, La questione meridionale e la riforma tributaria, Rama, 1920, p. 7. Cfr. P. Borraro, Giustino
Fortunato e la Lucania oggi, Potenza, 1969, p. 13-14.
medici, un diplomatico, un vescovo, un ministro del Regno delle Due Sicilie,
quello stesso del quale fu dato al nostro Autore il nome.
Arricchitisi con l’industria del bestiame, i Fortunato svolsero sempre un
ruolo preponderante nella vita pubblica di Rionero, favoriti anche dalla parentela
con le altre famiglie locali più facoltose e grazie al prestigio già acquistato da
Gennaro Fortunato, vescovo di Lavello.
8
Ancora fanciullo, Giustino fu inviato a Napoli nel collegio dei gesuiti, dove
compì i suoi studi sotto la giuda dello zio Gennaro, che gli inculcò l’amore per i
classici latini.
A Rionero il giovane Fortunato, dedito agli studi e alla lettura degli antichi
documenti della Basilicata, assistette alla reazione borbonica dell’aprile del 1861,
della quale i suoi familiari, con altri maggiorenti della regione, furono dichiarati
istigatori e promotori.
Il processo allo zio Gennaro, i soprusi cui tutta la famiglia Fortunato era
sottoposta costrinsero il padre Pasquale a trasferire il suo domicilio a Napoli.
Questi ed altri avvenimenti non lieti incisero profondamente sul carattere
del giovane Giustino.
Ritornato a Napoli col fratello Ernesto, fu affidato agli Scolopi di San Carlo
alle Mortelle. Superati gli esami di licenza liceale, si iscrisse all’Università per
studiarvi Giurisprudenza. Conseguita la laurea, avvertì scarsa inclinazione per
l’avvocatura e decise di intraprendere la carriera amministrativa, ottenendo nel
1871 la nomina di Consigliere di Prefettura a Lecce. Ma dovette ben presto
rifiutarla per assecondare il padre, il quale desiderava che il figlio partecipasse
attivamente alla vita parlamentare.
A Napoli incontrò il Settembrini e il De Sanctis e frequentò gli studi di vari
artisti, quali Morelli, Palizzi, Di Chirico, Amendola e D’Orsi. Si iscrisse al Club
Alpino della città, con il proposito di percorrere a piedi dall’Abruzzo alla Calabria
l’Appennino meridionale.
8
Cfr. K. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, Padova, 1898-1958, voll. 6, p. 256, che cita
come fonte G. Solimene, La Chiesa vescovile di Lavello, Melfi, 1925, opera composta dall’autore grazie alle molte
notizie fornitegli dall’amico senatore Giustino Fortunato.
Acquisì, in tal modo, una sicura padronanza della geografia meridionale, di
cui fornì prova in numerosi scritti apparsi nel Bollettino del Club Alpino.
Dal 1872 al 1876 seguì le lezioni universitarie di Francesco De Sanctis alla
cui scuola conobbe Antonio Calandra e Francesco Torraca. Nel 1878 fu
corrispondente a Napoli della Rassegna Settimanale, fondata da Sidney Sonnino e
Leopoldo Franchetti, il cui scopo era lo studio delle questioni economiche e
sociali, nonché le discussioni sul socialismo e sui doveri della borghesia verso i
contadini e gli operai.
Già prima, il Fortunato, aveva mostrato viva inclinazione per il giornalismo,
collaborando con Michele Torraca, Raffaele De Cesare, Federico Verdinois e
Pasquale Turiello a La Patria e L’unione Nazionale.
A 32 anni nel 1880 Giustino Fortunato presenta la sua candidatura al
Parlamento per il collegio di Melfi, assumendo un impegno ben preciso: aborrire
le clientele e favorire la ricostruzione civile dell’Italia.
9
Eletto deputato, pronunciò numerosi discorsi. Si ricordano, in ordine di
tempo, quelli sui Monti Frumentari, sulla questione demaniale, sullo scrutinio di
lista. Seguirono interventi sul gioco del lotto, sulla carriera amministrativa, sul
terremoto di Casamicciola, sulle condizioni degli Archivi di Stato, sulla malaria,
sul riordinamento delle Preture e sugli Istituti di emissione.
Per la sua Rionero e per il suo collegio, si fece promotore della costruzione
delle ferrovie ofantine, per Melfi sollecitò l’apertura di un Istituto Tecnico.
Rifiutati i vari ministeri offertigli dal Coppino e dal Genala, fondò la
Società per gli studi della malaria, di cui divenne presidente. Lasciato
volontariamente il collegio di Melfi nel Febbraio del 1909, fu nominato nel
successivo 4 aprile senatore del Regno, ma la sua salute non gli consentì di essere
assiduo alle sedute parlamentari. Il 21 Maggio 1915, da convinto interventista, fu
9
“Uso a dare il mio tempo agli studi, non iscritto né alla Destra né alla Sinistra, alieno del tutto e deciso a
rimanere tale da ogni bizza di clientela, io sento in buona fede di non avere altro desiderio se non quello di cooperare
alla ricostruzione civile della Patria, adoperando la vita al servizio di questa nostra Italia” (cit. di F. Torraca, Giustino
Fortunato, in P. Borraro, La questione meridionale da G. Fortunato ad oggi, Galatina, 1977, p. 208.
tra quelli che votarono a favore dell’entrata in guerra dell’Italia, e questo, due anni
più tardi a Rionero gli provocò il ferimento da parte di un bracciante.
In tutti questi anni, allo studio dei problemi economici e sociali affianca le
ricerche storiche, pubblicando fra l’altro: Della Valle di Vitalba nei secoli
dodicesimo e tredicesimo, Santa Maria di Vitalba, Santa Maria di Perno, Rionero
Medioevale, Il Castello di Lagopesole, La Badia di Monticchio, Avigliano nei
secoli dodicesimo e tredicesimo, Riccardo da Venosa e il suo tempo, ed altri scritti
ristampati in raccolte come Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, Scritti vari, Pagine
e Ricordi parlamentari, Le strade ferrate dell’Ofanto.
Una grave malattia agli occhi lo costrinse a rinunciare alla pubblicazione di
tutti i lavori di maggior mole che aveva ideato. Promosse gli studi del Bertaux
sulla Basilicata, la traduzione delle opere del Gay, la pubblicazione di lavori
storici sulla sua Regione. Fondò due asili infantili, uno a Lavello con l’aiuto
dell’amico G. Solimene ed uno a Rionero. Il 6 dicembre 1921 perdeva il fratello
Ernesto che gli era stato sempre al fianco, valido conforto e sostegno, e più tardi
anche il nipote Alberto Viggiani, cui nel 1924 aveva dedicato il suo Rileggendo
Orazio. Nel 1931 pubblicò gli Appunti di Storia Napoletana dell’Ottocento. Morì
l’anno dopo il 27 Luglio 1932.
Dopo cinquant’anni, dal Comune di Rionero gli fu fatto erigere un
monumento, la cui epigrafe fu dettata da Pietro Borraro.
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10
“ Giustino Fortunato elevò la politica alla vetta ideale creando le premesse per la rinascita del Mezzogiorno”.