II
rivendicare un tipo di letteratura maggiormente attenta
alle questioni civili, alla realtà del presente, porterà gli
scrittori italiani a sperimentare nuove soluzioni per la
nostra narrativa, seppur tutte ugualmente «orientate
verso una multiforme e varia nozione di vero»
1
. Questo
rinnovato interesse verso i problemi della società
contemporanea difatti fungerà da stimolo per alcuni
autori, attivi nel ventennio compreso tra il 1840 e il
1860, che, sulla scia del modello manzoniano, daranno
vita ad un tipo di letteratura che pone l’accento sulla
miseria delle campagne, esaltando nel contempo quel
mondo, tanto da farne l’emblema di una realtà ideale.
La letteratura campagnola nasce in Lombardia intorno
alla fine degli anni ‘30 ma conosce sviluppi significativi
soprattutto nell’area veneta: animata da un forte
sentimento risorgimentale, propone il recupero, nel
disegno del progresso nazionale, dei ceti rurali. Il
problema principale è quello di attuare un
rinnovamento politico profondo, che coinvolga anche le
masse contadine, tenendole in posizione rigidamente
subordinata: difatti il destinatario di questo tipo di
narrativa non è il popolo bensì la classe borghese. La
borghesia, infatti, attraverso la linea maestra tracciata
dagli intellettuali, deve prendere coscienza della
funzione storica e politica che è chiamata a svolgere:
essa può aspirare a diventare davvero classe dirigente
soltanto nel caso in cui riesca a farsi potatrice, anche
per le oppresse classi rurali, di un tangibile progresso. Il
dibattito degli intellettuali intorno alla letteratura e alle
sue primarie funzioni favorisce la fioritura di numerosi
saggi in cui si tenta di offrire soluzioni concrete per la
1
G.Tellini, Il romanzo italiano dell’ Ottocento e del Novecento, Milano,
Paravia Bruno Mondadori Editori, 2000, p. 62.
III
risoluzione dei problemi in atto. Un esempio palese ci
viene fornito da Carlo Tenca che, in Delle condizioni
dell’odierna letteratura in Italia (1845), rintraccia le
cause della crisi letteraria nel nostro paese nel divario
non più sostenibile tra scrittori e pubblico e propone un
tipo di letteratura che si ponga come strumento di
integrazione delle plebi nella prospettiva del progresso
borghese e nazionale. Cesare Correnti, in Della
letteratura rusticale (1846), dopo aver rintracciato una
tradizione letteraria in cui iscrivere il nuovo genere,
“legittimandolo”, propone uno studio attento della
realtà delle campagne nel tentativo di sanare la frattura
tra arte e società denunciata da Tenca. Tuttavia gli
scrittori della letteratura rusticale (con la sola eccezione
del Nievo più maturo), come lo stesso Correnti, non
proporranno mai concreti cambiamenti a livello sociale
ed economico, preferendo affidarsi alla solidarietà delle
classi dominanti. I limiti e le antinomie proprie del
genere campagnolo verranno poi segnalate in un
articolo pubblicato nel ‘53 sul “Crepuscolo”, Del
romanzo in Italia, in cui si incoraggia un’arte che possa
configurarsi come mezzo di rinnovamento civile.
2. Il genere rusticale, pur nascendo in Lombardia, troverà
terreno fertile anche e soprattutto nel Veneto dalla fine
degli anni ‘40 sino agli anni ‘60. Nel secondo capitolo
il nostro interesse si concentrerà sull’attività di due
autori che opereranno in questa specifica area
geografica: Caterina Percoto e Ippolito Nievo. La
letteratura campagnola conoscerà in Veneto sviluppi
diversi rispetto a quelli che l’avevano caratterizzata in
Lombardia. Queste differenze sono legate al contesto
socio-culturale in cui si inserisce il genere. Se infatti
IV
nelle province lombarde si assiste ad una vera e propria
rivoluzione agraria, con la trasformazione
dell’economia da agricola ad agricola-industriale, le
campagne venete appaiono, al contrario, come le più
arretrate d’Italia. In una scrittrice come la Percoto, la
conoscenza delle reali condizioni di vita nelle
campagne friulane fu fondamentale per la
rappresentazione dei ceti rurali: le classi contadine
erano sì idealizzate, ma anche colte nelle loro
contraddizioni storicamente determinate. L’autrice
guardava al progresso con spirito ottimistico: esso, a
suo parere, si sarebbe potuto realizzare solo attraverso
la mediazione tra le diverse forze sociali (campagnole e
cittadine). L’intento documentario della Percoto
talvolta la porta a presentare una natura ingenerosa e
povera, che porta malattie e disgrazie ai contadini: è qui
che nasce il realismo della scrittrice, che ha spinto
spesso i critici a paragonarla a Verga e al verismo.
Tuttavia la rappresentazione realistica, a causa del
marcato populismo dell’autrice, non risulta sempre
efficace, indebolita com’è dall’assillo moralistico e
didattico. Il modello letterario a cui la Percoto si ispirò
nella stesura delle sue novelle è costituito dall’ opera di
George Sand. La differenza profonda tra le due scrittrici
sta nel fatto che, mentre la narratrice francese affida la
narrazione ad un personaggio interno al mondo narrato,
la Percoto preferisce attenersi al modello manzoniano
del narratore onnisciente. Difatti per la scrittrice era
impensabile attribuire a dei contadini l’immenso
privilegio della narrazione degli eventi, convinta
sostenitrice del fatto che l’arte non potesse essere
prodotta da chi faceva irrimediabilmente parte
dell’ultimo gradino della scala sociale e che, d’altronde,
V
le masse contadine per sopravvivere necessitavano
dell’aiuto caritatevole dei ceti abbienti. Come la
Percoto, anche Nievo mostrò particolare attenzione alla
difficile realtà delle campagne venete: nell’ideologia
neviana la letteratura viene a configurarsi come il
tramite privilegiato per l’educazione di quelle masse
contadine che una politica ingiusta aveva da sempre
trascurato, oltre che come mezzo di mediazione tra le
varie forze sociali. La sua produzione artistica infatti
mira ad educare non tanto il popolo direttamente,
quanto quella classe borghese a cui lo scrittore
appartiene e che è la necessaria intermediaria della
cultura e della politica verso il popolo. Nievo invita il
suo lettore ad intervenire concretamente offrendo il
proprio aiuto al fine di migliorare le condizioni fisiche e
morali dei contadini, sostenendoli attraverso un
percorso di maturazione che consenta loro di farsi da sé
quel bene che possono (e non facendo affidamento alla
carità umanitaria delle classi più ricche, come si
lasciava intendere nelle opere della Percoto e di
Carcano). Anche la religione viene a svolgere un ruolo
fondamentale nel progetto riformistico che Nievo
vorrebbe attuare: è innanzitutto utile alla società nel suo
complesso, cioè alle classi meno sfortunate, poiché è
nella religione che le classi indigenti trovano un
appiglio tale da far sì che esse non giungano ad atti o
reazioni estreme e disperate. Ma la religione si
configura anche come stimolo al progresso e al
mutamento politico, proprio perché organizzata nelle
strutture della Chiesa. L’estraneità delle masse
contadine rispetto al movimento risorgimentale è
individuabile nello scollamento esistente tra la classe
borghese e le classi contadine, le cui condizioni di vita
VI
erano ad un livello di miseria tale da non permettere in
nessun modo lo sviluppo di una coscienza di sé come
nazione. Per sanare il divario esistente tra borghesia e
popolo (al fine di realizzare un’identità nazionale)
basterebbe, a parer dello scrittore, avvicinarsi alle classi
basse servendosi di figure-intermediare che sappiano
conquistarsene la fiducia: i preti di campagna o più in
generale il basso clero. Il capitolo termina con un
paragrafo dedicato interamente all’ideologia e alla
poetica della principale esponente della letteratura
campagnola in Francia, George Sand, proprio per
l’ascendente che questa scrittrice seppe esercitare sugli
autori dello stesso genere in Italia. L’eccessivo
filantropismo, i puntuali riferimenti folklorici, il ricorso
al mito rousseauiano dell’homme natural, mostrano
come il modello letterario costituito dall’opera della
scrittrice francese sia presente come un’ombra costante
nelle novelle della Percoto. Lo scenario delle veglie
invernali che Percoto e Nievo spesso offrono al lettore è
uno stratagemma particolarmente ricorrente nei
romanzi della Sand. Questo espediente infatti veniva
utilizzato dalla narratrice francese per giustificare la
presenza di un linguaggio ibrido all’interno delle sue
opere, in cui le parole e le strutture dialettali venivano
inglobate sostanzialmente nel francese letterario. Inoltre,
come la Sand, anche gli esponenti del genere
campagnolo in Italia proporranno una forma artistica
tesa ad attenuare i conflitti di classe attraverso una
rappresentazione sentimentale e edulcorata delle classi
subalterne.
3. Il terzo capitolo costituisce il nucleo centrale del lavoro
svolto: in esso vengono analizzate la vita, la poetica,
VII
l’opera principale (Angiola Maria) del maggior
esponente della letteratura campagnola in Italia, Giulio
Carcano (1812-1884). Ida della Torre (1834) è la
prima opera scritta e pubblicata da questo autore: si
tratta di una novella in ottava rima che consentì a
Carcano non solo di accaparrarsi i consensi dei critici
più severi, ma di entrare inoltre in contatto con i più
illustri letterati italiani, aprendogli la strada ad amicizie
che dureranno nel tempo, prima fra tutte quella col
Manzoni. L’amicizia col Manzoni costituisce un dato
non trascurabile nel percorso di maturazione ideologica
compiuto dall’autore. La presenza, a volte ingombrante,
del modello manzoniano si avverte tanto nell’opera
quanto nel pensiero del Carcano: tutta la sua produzione
letteraria sembra infatti risentirne, tanto che il debito
contratto dallo scrittore con l’autore degli Inni Sacri si
configura come una sorta di fardello da cui
difficilmente l’autore riesce a liberarsi, un peso
notevole che porterà la critica a sottovalutare,
considerandola in maniera riduttiva o inadeguata,
l’opera di questo scrittore. L’evidente sentimento
patriottico che emerge dalle tragedie carcaniane
(Spartaco, Valentina Visconti, Ardoino) mostra come
l’autore abbia voluto seguire appieno i dettami teorici
imposti dalla scuola romantica, nella fattispecie
manzoniana: difatti la poesia del Carcano, come quella
del Manzoni, è più soggettiva che oggettiva e risulta
maggiormente idonea alla lettura piuttosto che alla
rappresentazione teatrale. L’impegno teatrale non
costituisce comunque la parte più interessante della
carriera dell’autore, né tanto meno Carcano può essere
definito come un grande tragediografo, benché egli
diede vita a drammi strutturalmente precisi, potendo
VIII
usufruire della profonda conoscenza dell’opera
shakespeariana. D’altronde l’ammirazione che Carcano,
sin da giovane, nutrì per Shakespeare non va
sottovalutata: quell’ammirazione si concretizzò ben
presto in un problematico lavoro di traduzione
dell’intera produzione shakespeariana, a cui lo scrittore
consacrò trent’anni di studio e che lo portò a
conquistarsi il titolo di Vice-Presidente onorario della
Scuola Shakespeariana di Londra. Benché la sua attività
letteraria fosse particolarmente operosa, va ricordato
che Carcano ricoprì importanti cariche anche nella vita
pubblica, oltre che in quella politica (nel ‘48 ad
esempio collaborò con il Governo provvisorio e
partecipò alle Cinque Giornate di Milano). L’Angiola
Maria (1839), il maggior lavoro letterario operato dallo
scrittore in ambito narrativo, (tradotto in inglese,
francese, russo e tedesco) fu uno dei libri più letti
dell’Ottocento: si tratta di un romanzo di vita
contemporanea, in cui l’andamento prosastico viene
talvolta interrotto attraverso l’inserimento di ampi brani
poetici (che il più delle volte servono all’autore per
delineare in maniera più nitida lo stato d’animo dei
personaggi in un preciso momento). L’ importanza del
romanzo nasce dal fatto che esso, per l’autore, costituì
un modello indispensabile nell’elaborazione dei
successivi racconti campagnoli: al centro della vicenda
abbiamo un personaggio femminile appartenente alla
tradizione, una sorta di topos letterario in un certo senso
nobilitato dalla letteratura settecentesca e dal Manzoni:
la fanciulla perseguitata. È lampante la
contrapposizione tra l’ambiente campagnolo e idillico,
dominato da valori positivi, e il mondo cittadino,
considerato luogo di corruzione morale e perdizione.
IX
Benché il contesto sociale che lo scrittore mette in
scena con l’Angiola Maria gli consenta una denuncia
delle disumane condizioni di vita delle classi subalterne
(nella fattispecie di quelle contadine), Carcano
preferisce fornire al lettore l’utopica immagine di un
popolo naturale, morale, integro e bello, emblema di
un’irreale comunità felice. Le analitiche descrizioni dei
luoghi e della vita dei ceti bassi non sono finalizzate a
mostrare lo sfruttamento di una classe su un’altra, né,
tanto meno, risultano efficaci sul piano della denuncia.
Povertà, bellezza, ingenuità sono le tre caratteristiche
che contraddistinguono la figura di Angiola, insieme
alla sua fede (qualità presenti in tutti i personaggi
femminili elaborati dallo scrittore). L’ingenuità è una
conseguenza diretta della miseria, oltre che
dell’estraneità della protagonista rispetto alla
corruzione del mondo borghese. Nelle novelle di
Percoto e Nievo di alcuni anni più tardi la miseria
diviene uno dei nodi centrali nelle storie dei contadini e
«la causa diretta della loro corruzione o delle loro
contraddizioni, mentre l’ingenuità resterà come
caratteristica naturale. Ma in Carcano il fenomeno non
è storicizzato e tutto si risolve nell’idillio»
2
. Per «il
personaggio della giovane innocente, perseguitata dalla
sventura e destinata a morte precoce», Carcano trasse
ispirazione dall’Adelchi, «ma gli archetipi sono la
Clarissa di Richardson e Julie di Rousseau: precorritrici
di una schiera di eroine romantiche, involontariamente
2
F. Manai, Capuana e la letteratura campagnola, Pisa, Tipografia Editrice
Pisana, 1997, p. 20.
X
caricaturali, o sublimi»
3
. L’attività letteraria dello
scrittore si colloca tra la decadenza della narrativa
storica e lo sviluppo della corrente realista francese. Da
un lato abbiamo l’esempio fornito dal Manzoni e,
dunque, il primato della morale cattolica, la funzione
educativa dell’arte e la scelta degli umili come
protagonisti delle vicende narrate; dall’altro, invece,
troviamo Honoré de Balzac, Victor Hugo, Stendhal,
George Sand e Eugène Sue, che si concentrano su
un’analisi realistica della società contemporanea.
Carcano nell’ Angiola Maria arriva ad elaborare una
sintesi tra i due modelli. In particolare si ispira e
riprende il modello manzoniano, attualizzandone la
prospettiva storica e scegliendo dunque di narrare fatti
contemporanei. L’autore sembra aver assimilato
appieno la lezione fornita dal Manzoni e pone gli umili
al centro della narrazione, analizzando attraverso di loro
anche la situazione socio-economica dell’Italia
dell’epoca. L’operazione iniziata con l’Angiola Maria
continua negli anni successivi, ma Carcano decide di
abbandonare la forma lunga del romanzo per adottare
quella breve (e più consona alla materia narrata) della
novella. Essa infatti, per la sua brevità, si rivela
funzionale alle esigenze pedagogiche e morali, oltre che
agli interessi sociali dell’autore, in quanto permette
un’indagine concisa del mondo contadino. Inoltre
l’utilizzo di un genere nobilitato da una lunga e illustre
tradizione gli consente di non tradire l’ideale di serietà
dell’arte e di procurarsi allo stesso tempo il consenso
del pubblico colto. Il tipo di letteratura cui auspica
3
A. Di Benedetto, La narrativa campagnola e Ippolito Nievo, Letteratura
italiana, a c. di C. Muscetta, voI. VIII, t. I, Roma-Bari, Laterza, 1975, p.
112.
XI
Carcano non vuole limitarsi alla sola banale esaltazione
della vita semplice e onesta, ma vuole essere, attraverso
la denuncia dei problemi sociali che la narrativa ha lo
scopo di “riprodurre”, mezzo di rinnovamento civile:
propositi che di certo non sono attuati nelle sue opere. Il
terzo capitolo si conclude con un confronto tra
l’Angiola Maria e I promessi sposi. Già ad una prima e
superficiale lettura appare sin da subito evidente il
debito contratto dallo scrittore con l’autore de I
promessi sposi: l’influenza del modello manzoniano si
avverte infatti a livello stilistico, linguistico e tematico.
Per quel che concerne i personaggi si può notare come
effettivamente nell’opera carcaniana vengano riprese e
riadattate alcune figure che il Manzoni aveva ideato per
il suo romanzo. Così, ad esempio, il personaggio di
Angiola è costruito a regola d’arte sul modello della
Lucia de I promessi sposi; Arnoldo ricorda per molti
aspetti il personaggio di don Rodrigo (qui Carcano,
come del resto lo stesso Manzoni, si riallaccia alla
figura del Don Giovanni: per questo nel lavoro svolto si
propone un confronto tra i tre personaggi), o, per altri,
quello dell’Innominato; ritorna a trionfare, anche sulla
scena del romanzo carcaniano, l’immagine di fra
Cristoforo, questa volta nelle vesti di don Carlo, così
come don Gioachino rievoca il don Abbondio del testo
manzoniano. Tuttavia Carcano de I promessi sposi non
si limita a riprodurre solamente i personaggi. I luoghi
dell’azione (Milano e il territorio intorno al lago di
Como) sono infatti gli stessi che il Manzoni aveva
proposto nel suo romanzo. A togliere ogni dubbio sul
fatto che il Carcano per la stesura dell’Angiola Maria si
sia ispirato al testo manzoniano vi è un altro indizio:
sparsi nell’opera vi sono alcuni passi che ricordano
XII
palesemente quelli già presenti ne I promessi sposi
(Carcano ci presenta, ad esempio, un capitolo intitolato
Addio al lago che sembrerebbe richiamare il celebre
passo manzoniano dell’ “Addio ai monti” ).
Stilisticamente parlando vi è poi l’attitudine in entrambi
gli autori a fornire analitiche descrizioni degli ambienti
in cui si inserisce la vicenda. Un discorso non diverso
potrebbe essere fatto a livello linguistico: molti dei
dialettalismi presenti nell’Angiola Maria sono
autorizzati dalla ventisettana, così come la lingua
utilizzata dal Carcano non si discosta, in linea di
massima, da quella proposta dal Manzoni nell’edizione
del 1827 de I promessi sposi. L’unica reale differenza
tra i due romanzi si è rintracciata a livello strutturale: da
un lato abbiamo il testo carcaniano che benché preciso
appare strutturalmente complesso, dall’altro il romanzo
manzoniano che presenta al contrario una struttura
semplice ed elementare. D’altra parte potremmo
asserire con una certa sicurezza che, benchè I promessi
sposi si siano rivelati indispensabili per la costruzione
dell’Angiola Maria, il romanzo carcaniano conserva
tuttavia una sua importanza: si tratta infatti di uno dei
primi tentativi da parte della nostra letteratura di
restituire ai lettori un romanzo di vita contemporanea,
che ponesse al centro della narrazione i problemi sociali
che una parte non piccola della popolazione italiana
ogni giorno era costretta ad affrontare. In questo
contesto non vogliamo certo proporre una strenua
difesa dell’opera carcaniana: l’influenza che il
Manzoni esercitò su quest’autore costituisce un dato di
fatto che, per altro, non si è mancato di analizzare. Va
tuttavia ricordato che, quando Carcano mise mano
all’Angiola Maria, come scrittore era ancora alle prime