Introduzione
Con il presente elaborato, si vuole esaminare l’addizione operata
dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2011, sul
corpus dell’art. 630 c.p.p., dichiarativa dell’illegittimità costituzionale
della norma, nella parte in cui non prevede un diverso caso di
revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di
conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai
sensi dell’art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte di
Strasburgo. In particolare, i giudici della Consulta, posti dinnanzi ad
un vulnus costituzionale insanabile con l’ars interpretandi, e oberati
dalla necessità di porvi rimedio, tanto che la lesione promani da ciò
che la norma prescrive, quanto, al contrario, da quello che la
disposizione, o rectius la norma maggiormente pertinente alla
fattispecie in discussione, omette di prevedere, hanno fotografato
nella revisione, <<comportando, quale mezzo straordinario di
impugnazione a carattere generale, la riapertura del processo, che
implica una ripresa delle attività processuali in sede di cognizione,
estesa anche all’assunzione delle prove>> , l’istituto che presenta
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profili di maggiore assonanza con quello la cui introduzione appare
ineluttabile al fine di garantire l’osservanza del parametro invocato.
Orbene, chiarito che l’oggetto principale del presente lavoro è la
sentenza n. 113 del 2011, la trattazione sul rimedio post rem
iudicatam aggiunto dal Giudice delle leggi non potrà che prendere
le mosse dai formanti giuridici che esigono, per una tutela piena ed
efficace dei diritti di ascendenza convenzionale, e dunque, per il
tramite dell’art. 117 Cost., costituzionale, il riesame o la riapertura
del processo. Segnatamente, l’ottemperanza all’obbligazione
Corte costituzionale, 4 aprile 2011, n. 113.
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principale di risultato discendente dall’accertamento, operato dalla
Corte di Strasburgo, di una violazione delle libertà e delle garanzie
consacrate dalla CEDU, e in particolare delle norme sul droit à un
procès équitable, assume quale portato l’imposizione alle autorità
nazionali a predisporre, in via discrezionale nel quomodo ma
vincolante nell’an, misure concrete idonee ad assicurare la
restitutio in integrum. Nondimeno gli Stati, pur rimanendo
tendenzialmente liberi di adottare le misure ritenute più idonee per
adempiere l’obbligo di scopo, possono adeguarsi al decisum
sovranazionale purché tali misure siano compatibili con le
conclusioni contenute nella sentenza della Corte, e sempre sotto la
supervisione del Comitato dei Ministri.
In tale angolo visuale, la forza precettiva delle decisioni della Corte
europea, avvinta all’obbligazione principale di risultato in capo alle
Alte Parti della Convenzione e al contenuto assiologico delle libertà
e dei diritti consacrati nella Carta internazionale, impone una
conformazione pregnante al dictum sovranazionale che non può
coagularsi in una mera riparazione pecuniaria. Pertanto, l’attività
maieutica della giurisprudenza convenzionale sul combinato
disposto degli artt. 1, 41 e 46, CEDU, si è arrestata nell’individuare,
in particolare modo dinnanzi a violazioni convenzionali di tipo
essenzialmente procedurali, quali quelle in materia di fairness, la
riapertura del processo quale misura, in linea di principio, più
idonea a garantire la doverosa restitutio in integrum.
Nondimeno, essendo il ricorso alla Corte EDU subordinato, ai sensi
dell’art. 35 CEDU, al previo esaurimento dei rimedi interni, il giudice
dei diritti conosce di una controversia definita da sentenza passata
in giudicato, che, quindi, nasce, come Atena dalla testa di Zeus, già
armata ed adulta. Ne discende che la vis obligandi e l’effettività
delle pronunce europee entrano indefettibilmente in collisione con
l’irretrattabilità del giudicato penale, e con i valori assiologici a tale
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istituto sottesi, poiché qualsiasi sentenza della Corte di Strasburgo
che accerti una violazione dell’art. 6 CEDU, posta in essere
dall’autorità giudiziaria nazionale, verrà sempre, inevitabilmente,
fisiologicamente, e dunque istituzionalmente a collidere con un
giudicato nazionale.
Orbene, una volta che sia stato affermato l’impatto che la tutela
effettiva dei diritti umani consacrati dalla CEDU importa con le alte
mura della res iudicata, il presente lavoro volgerà lo sguardo verso
l’altra parte del campo, esponendo l’epidermide, la morfologia e la
latitudine di tali mura, al fine di apprendere se la certezza del diritto
possa cedere il passo alla certezza dei diritti.
In seguito, l’accento dell’elaborato si sposterà sulle soluzioni
adottate dai tre demiurghi della giuridicità, ovvero legislazione,
giurisprudenza e dottrina, al fine di assicurare una pregnante
restitutio in integrum, in quanto l’erezione di istituti processuali, così
come di tutto il diritto d’intorno, consentanei ai precetti
sovranazionali non può che assurgere a condizione di validità ed
efficacia dell’intero sistema convenzionale. Del resto, se non è
revocabile in dubbio che il grado di tutela apprestato dalla CEDU è
direttamente ed intimamente correlato all’effettivo rispetto, da parte
degli Stati membri, dei diritti e delle libertà in essa consacrati,
l’efficace funzionamento del sistema metanazionale dipende dal
modo in cui lo Stato autore dell’acclarata violazione provvede,
nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, a eseguire,
integralmente e tempestivamente, la sentenza di condanna a
proprio carico. Ne discende, dunque, che la vexata quaestio della
conformazione al decisum di Strasburgo costituisce un problema di
strumenti giuridici, che la giurisprudenza di legittimità, nel fragoroso
silenzio serbato dal legislatore, ha cercato di individuare tra le
trame del diritto positivo nell’incidente di esecuzione, ex art. 670
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c.p.p., e nel ricorso straordinario in Cassazione, disciplinato dall’art.
625-bis c.p.p.
Infine, l’attenzione sarà posta verso quella giurisprudenza più
tradizionale che, rifuggendo da forzature ermeneutiche, esito di un
percorso non privo di rischi in cui le ragioni del diritto si piegano alle
esigenze di giustizia sostanziale, e progenitrici di risultati
sistematicamente poco ortodossi, cerca la soluzione in subiecta
materia nella tutela costituzionale. Pertanto, in forza della
sollevazione della questione di legittimità ope iudicis a quo, la Corte
costituzionale entra al centro del dibattito abbattendo la propria
scure sull’art. 630 c.p.p. Segnatamente, relativamente all’intervento
manipolativo de quo, si cercherà di metterne in luce i punti fermi e i
punti a capo, rilevando da un lato la natura eterodossa di sentenza
additiva di principio, e illustrando dall’altro la nuova veste che
l’interprete è chiamato ad indossare in dipendenza del rimedio
aggiunto.
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CAPITOLO PRIMO
Il TRAMONTO DEL SISTEMA PENALE
STATOCENTRICO
SOMMARIO: 1. CONVENZIONE E CORTE EDU: UN PRESIDIO PER I DIRITTI
FONDAMENTALI. -2. LA CONVENZIONE EDU NEL SISTEMA DELLE FONTI:LA
PROSPETTIVA FORMALE-ASTRATTA. -2.1. SULLA DISAPPLICAZIONE DELLA
FONTE INTERNA ANTINOMICA. -3. ALLA RICERCA DEL “SISTEMA DEI
SISTEMI”: LA PROSPETTIVA ASSIOLOGICA-SOSTANZIALE.-4. CENNI SULLA
PROTEIFORMITÀ DEL CONCETTO DI PROCESSO EQUO
1. Convenzione e Corte EDU: un presidio per i diritti
fondamentali
La tutela dei diritti fondamentali, in seno alla compiuta integrazione
tra ordinamento interno e sistema giuridico metanazionale,
costituisce la nuova frontiera del diritto processuale penale. Le
origini di tale tutela multilivello dei diritti sono da cogliersi nel
movimento internazionale per la protezione dei diritti dell’uomo che
affonda le proprie radici nelle ceneri dell’Europa postbellica e che
ha condotto ad un ordinamento giuridico biunivoco ed integrato in
cui gli organi nazionali, comunitari e convenzionali comunicano e
coadiuvano, contribuendo alla salvaguardia e allo sviluppo dei diritti
e delle garanzie. Al fine di descrivere la portata innovativa
del cammino internazionale dei diritti si è osservato come
<< attualmente il circuito giurisdizionale sia divenuto complesso,
affiancandosi al giudice ordinario non soltanto la Corte
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costituzionale ma anche la Corte di Giustizia e la Corte Europea
dei diritti umani, con i condizionamenti che da esse derivano, ma
anche con il valore aggiunto da esse apportato agli atti del giudice
ordinario >> . Al centro di tale percorso - definito dal professor
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Chiavario << la lunga marcia dei diritti dell’uomo nel processo
penale >> - si situa la Convenzione e la Corte EDU,
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rispettivamente trattato internazionale redatto dal Consiglio
d’Europa e organo giurisdizionale internazionale preposto al
controllo sul rispetto e sull’applicazione delle norme convenzionali.
Poiché la Convenzione EDU è espressione del Consiglio d’Europa,
la trattazione prenderà le mosse da questo.
Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale fondata
nel 1949 i cui scopi “statutari” sono enucleabili nella tutela dei diritti
dell’uomo e della democrazia parlamentare, nella stipulazione di
accordi tesi all’armonizzazione delle politiche sociali e giuridiche
degli Stati parti così come nello sviluppo di una comune identità
europea . L’attuazione di tali finalità è veicolata da atti di c.d. soft
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law, quali raccomandazioni o pareri, ovvero atti non aventi effetti
vincolanti nei confronti degli Stati parti giacché, diversamente
dall’Unione Europea, l’organizzazione in parola non è titolare di
poteri normativi. L’art.1 lettera b) dello Statuto individua gli organi,
tesi a costituire propulsione e impulso alla realizzazione dei fini
E. Lupo, Relazione sull’amministrazione della giustizia dell’anno 2012, in
2
<<Foro it.>>, V, p.42.
M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo nel processo penale, in
3
R.Kostoris e A.Balsamo(a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale
italiano. Nuovi scenari dopo <<il caso Dorigo>> e gli interventi della Corte
Costituzionale, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2008, p. 11.
M. Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei
4
processi interpretativi, in R.Gambini e M.Salvadori(a cura di) Convenzione
europea sui diritti dell’uomo:processo penale e garanzie, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli, 2009, p.1.
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statutari, nell’Assemblea Consultiva , nel Comitato dei Ministri , nel
5 6
Segretariato generale a c u i s i c u m u l a n o a l t r i o r g a n i n o n
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contemplati dallo statuto, quali la Corte EDU. Segnatamente, in tale
angolo visuale, primo attore è il Comitato dei Ministri in quanto
preposto a perseguire ogni azione utile ad addivenire agli obiettivi
del Consiglio. Tale organo riveste altresì un ruolo preminente nella
tutela dei diritti umani, essendo titolare della funzione di controllo
sull’esecuzione delle decisioni della Corte EDU. Una funzione
che si concretizza in tre distinte fasi, l’una estrinsecata
nell’accertamento dell’effettivo versamento di quanto costituente
“equa soddisfazione”, ovvero il risarcimento del danno e la rifusione
delle spese processuali così come statuito dalla Corte. Una
seconda fase accertativa della predisposizione di misure individuali
consentanee a quanto stabilito in sentenza, volte al duplice fine di
inibire l’eventus damni e restaurare lo status quo ante. Infine il
Comitato opera un controllo sulle misure generali che la Corte di
Strasburgo ha richiesto al fine di impedire e prevenire la
reiterazione di violazioni .
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Il frutto più maturo del Consiglio è costituito dalla Convenzione
Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, aperta alla firma a Roma nel 1950 ed entrata in
vigore dal 1953. La Convenzione, informata e idealmente avvinta
alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata
La composizione dell’Assemblea Consultiva è disciplinata nel capitolo V dello
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Statuto, segnatamente dall’art. 22 all’art. 35. I componenti sono designati dai
parlamenti nazionali tra i propri membri. Costituisce, così, una rappresentanza di
secondo grado.
Il Comitato dei Ministri è contemplato nel capitolo IV dello Statuto, dall’art.13
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all’art. 21.
Il Segretariato Generale trova disciplina del capitolo VI dello Statuto, art.36 e
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art.37. Organo diretto all’assistenza dell’Assemblea Consultiva e del Comitato
dei Ministri
M. Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei
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processi interpretativi, cit., pp. 12-17.
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