II
Florio si definisce «pellegrino d’ amore»
2
ed è accompagnato dalla sua
guida, Ascalion.
Come già citato sopra nelle narrazioni del Boccaccio è spesso presente
la forma di comunicazione epistolare; affinché il protagonista scriva una
lettera è necessario che sia fisicamente separato dall’ amante, che sia
presente l’ «amor de lohn». Gli amanti sono in un certo modo sdoppiati,
ovvero da un lato vivono la loro condizione d’ amanti infelici e dall’ altro
entrano nel ruolo di professionisti che scrivono epistole elaborate ed
eccellenti. I personaggi boccacciani, pur sconvolti dalla malattia d’ amore,
ci stupiscono con la loro autoanalisi e la notevole capacità d’ utilizzare gli
strumenti retorici messi a disposizione dalla cultura medievale.
Un eclatante esempio di lettera contenuta nel libro III è scritta da
Florio nel momento in cui scopre che Fileno nutre un sentimento amoroso
nei riguardi della sua amata Biancifiore. Il giovane, accecato dalla gelosia,
si rifugia in una profonda solitudine ed erompe in molteplici e disperate
maledizioni, le quali contraddistinguono molti personaggi della letteratura
di Boccaccio. Florio divorato dalla disperazione afferma:
Maledetta sia l’ ora ch’ io nacqui e che io prima Biancifiore amai.
3
Successivamente Florio, intenzionato a porre fine alla sua vita, afferra
un pugnale, ma viene salvato da Venere, la quale avendo udito il delirio, lo
fa cadere in un lungo e salutare sonno. Pur essendo in condizioni alterate
Florio riesce a comporre una prosa letteraria densa d’ interrogazioni,
esclamazioni e perifrasi. A questa lettera segue la risposta di Biancifiore,
che, nella solitudine della propria camera, compone un’ epistola ricca di
contenuti retorici, stilistici e culturali. La giovane, angosciata e lacrimosa,
smentisce le parole di Fileno e ribadisce a gran voce l’ unicità del suo
amore per Florio:
2
Filocolo, ed. cit., p. 323.
3
Ivi, p. 217.
III
Niuna ragione farà mai che Biancifiore sia se non di Florio, o Florio se non di Biancifiore.
Biancifiore non fu mai se non tua, e tua sarà sempre. Adoperino i fati secondo che ella
ama, e sanza fallo contento viverai.
4
Le lettere illustrano come i protagonisti del Filocolo, benché sotto
l’ effetto della passione, offrano al lettore un lungo elenco di lamentazioni,
dimostrino di saper analizzare la propria malattia d’ amore grazie alla
penna e all’ arte della retorica e si pongano sia come personaggi narrati sia
come personaggi narranti.
Il Filocolo rappresenta l’ impresa di due giovani amanti che vogliono
con tutte le forze riconquistare la vicinanza spaziale loro tolta.
Boccaccio avverte l’ importanza di uno spazio fisico e conclude
generalmente le sue narrazioni nel momento in cui i protagonisti si
ricongiungono e ufficializzano il proprio amore attraverso il matrimonio.
Tutti i personaggi della narrativa boccacciana vivono la lontananza d’
amore lungo tutto l’ arco di tempo della narrazione; l’ epistola è una sorta
di mezzo che percorre le vie che separano i personaggi ed è un messaggio
tipico dell’ assenza amorosa.
Il Boccaccio autore-amante necessita dell’ amore di lontano per far
maturare l’ esperienza d’ amore e Il Filocolo è motivato dal topos dell’ amor
de lohn, il quale permette che vi siano all’ interno del racconto numerose
situazioni narrative.
4
Ivi, pp. 230-231.
IV
3.5 La melanconia amorosa di Florio
Alcuni dei temi trattati precedentemente riguardo la malattia d’ amore
ritornano utili in questo discorso sul Filocolo. Risulta evidente che il
protagonista dell’ opera vive la sua giovane esperienza amorosa essendo
dominato dalla melanconia amorosa e dal furore eroico. E’ lo stesso Filocolo
che alla morte di Ascalion considera folle la sua esperienza:
E chi fu alla mia lunga follia continua guardia se non tu? E quale più dirittamente si può
dire folle, o fa maggiori follie, che colui che oltre al ragionevole dovere soggiace ad amore
sì come io feci?.
5
Filocolo può ritornare al suo vero nome solo quando termina la sua
lunga follia e si placa il suo eroico furore.
Come sostiene Palmieri
6
il protagonista può essere denominato Filocolo
philocaptus; questo termine significa letteralmente «preso da amore» ed è
molto frequente nel latino medievale e nei trattati medici per indicare il
malato d’ «amor eros» e l’ amante melanconico, caratteristiche che ben si
adattano al Filocolo di Boccaccio.
E’ evidente che Florio soffre di melanconia amorosa e un elenco di
sintomi ci viene fornito da re Felice:
Ma egli ancora da grande amore costretto non mangia né dorme, ma in pianto e in
sospiri consuma la sua vita: per la qual cosa egli è nel viso tornato tale che poco più fu
Erisitone quando in ira venne a Cerere; e non pare Florio, si è impallidito, e non vuole
udire d’ altrui parlare che di Biancifiore, né vuol prendere alcun conforto che porto gli
sia.
7
La situazione di Florio si palesa anche agli occhi dell’ amico duca
Ferramonte:
5
Ivi, p. 592.
6
GIOVANNI PALMIERI, «Filocolo philocaptus»: lo stereotipo della malinconia amorosa nel Boccaccio, in «il
Verri», XLII, 1997, nn. 4-5, p. 116.
7
Ivi, pp. 106-107.
V
rimirandolo nel viso, il vide palido e nell’ aspetto malinconico e pieno di pensieri, e i suoi
occhi, tornati per le lagrime rossi, erano d’ un purpureo colore intorniati: di che egli si
meravigliò molto, e mutata la sua voce in altro suono, così disse: - O Florio, e quale
subita mutazione è questa? Quali pensieri t’ occupano adesso? Quale accidente t’ ha
potuto sì costringere che tu mostri né sembianti malinconia? -. Florio, vergognandosi
bassò il viso e non gli rispose.
8
La malinconia è come attaccata addosso a Florio ed egli
la maggior parte del giorno si giaceva, e stava come coloro i quali, da una lunga infermità
gravati, vanno nuove cose cercando, e niuna ne piace, e s’ egli piace, non ne possono
prendere.
9
I sintomi caratterizzanti la malattia dell’ amor eros mostrati da Florio
sono descritti dai medici appartenenti alla tradizione d’ origine araba, tra
cui ricordiamo i nomi Al-Gazzari, Alì Abbas, Avicenna, i cui trattati
indicano come causa scatenante della malinconia amorosa la corruzione
del giudizio razionale e l’ apatia, nel senso del giacere per molte ore, uno
dei sintomi più significativi.
Le persone accortesi della malattia di Florio tentano in tutti i modi di
trovare una via di guarigione. Una possibile terapia consiste nel fare
conoscere a Florio «carnale diletto» con alcune fanciulle in modo da fargli
dimenticare Biancifiore. L’ incontro avviene in un locus amoenus, un
giardino bellissimo, topos molto gradito al Boccaccio e da lui utilizzato in
diverse opere; Florio gradisce la compagnia delle giovinette e quando è sul
punto di cedere alle loro grazie all’ improvviso una giovane così parla:
Deh! Florio, dimmi, qual è la cagione della tua pallidezza?.
10
8
Ivi, p. 182.
9
Ivi, p. 190.
10
Ivi, p. 196.
VI
Florio appena udita la parola «pallidezza» non può far altro che
ritornare con la mente al proprio amore per un momento quasi
dimenticato, Biancifiore, il cui viso è di norma segnato dal pallore.
Immediatamente la malattia d’ amore si ripresenta, l’ incontro si conclude
con la delusione delle giovinette e il giovane Florio inizia un lungo monologo
in cui esamina il proprio comportamento.
La sopra descritta «trappola» dunque non ha funzionato, sebbene la
frequentazione di un locus amoenus, l’ ascolto di musica, l’ unione carnale
con giovani donne non amate siano parte della terapia della malattia d’
amore proposta dai medici sulla base dei consigli contenuti nei Remedia
amoris di Ovidio.
Nel caso di Florio la terapia non è possibile perché subentra il ricordo
dell’ amata; la malinconia amorosa non curata o curata senza risultati
porta inevitabilmente alla morte, esito di cui è a conoscenza la madre di
Florio, la quale pensa subito al peggio:
E così per la vita di costei perderemo Florio.
11
Che ella infermasse io il desidererei, solo che per amore fosse, pensando che per quella
infermità potrei conoscere me da lei tanto amato, che sì fatto accidente ne le seguisse per
lo non potermi avere.
12
Con le sopra citate parole Florio rende evidente il proprio delirio; egli
infatti desidera che Biancifiore muoia d’ amore perché ciò sarebbe la prova
della vera corrispondenza amorosa. Biancifiore è per Florio non accessibile
salvo che vi sia una totale identificazione.
Il caso clinico del melanconico, secondo Freud, è proprio quello che
mostra esemplarmente «l’ al di là del principio del piacere», ovvero la
pulsione di morte allo stato puro.
13
Palmieri cita Freud, che nel saggio
11
Ivi, p. 107.
12
Ivi, pp. 204-205.
13
GIOVANNI PALMIERI, «Filocolo philocaptus», ed. cit., p. 128.
VII
intitolato Lutto e melanconia (1917) analizza la tematica dell’ amor eros e
con la parola «melanconia» fa riferimento alla perdita d’ un oggetto
d’ amore.
Secondo Freud l’ io della persona malinconica è impoverito, quasi
svuotato poichè il melanconico s’ identifica con l’ oggetto d’ amore perduto
e la perdita dell’ oggetto diventa la perdita dell’ io stesso. Inoltre il
melanconico desidera la propria morte a causa del furore, componente
aggressiva della malattia; ed è l’ atteggiamento tenuto da Florio a far
preoccupare ancora il duca Ferramonte:
E tu, più vinto da ira e malinconia che consigliato dalla ragione, cerchi la morte per
conforto, e sempre in pensieri e in dolore dimori e vai imaginando quelle cose le quali né
vedesti né vedrai già mai, se agl’ iddii piace.
14
Florio guarirà: la ricerca di Biancifiore, l’ ascolto delle questioni
d’ amore e il ricongiungimento con l’ amata riusciranno a sconfiggere la
malattia.
14
Filocolo, ed. cit., pp. 205-206.