4
1. INDAGINE PRELIMINARE SUL VOLGARIZZAMENTO LIVIANO
Quel Livio, che fu sì copioso
(…) nell’aspetto contento
d’avere scritte tante storie vere.
(G. Boccaccio, Amorosa Visione, Canto V)
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso riprese il dibattito sull’attribuzione a
Giovanni Boccaccio del volgarizzamento anonimo della Terza e Quarta Deca di Tito Livio. Ne
furono protagonisti Giuseppe Billanovich e, soprattutto, Maria Teresa Casella, che provò a
chiudere la questione tentando di dimostrare definitivamente l’autenticità dell’attribuzione
boccaccesca
1
. Il dibattito, tuttavia, non si arrestò; proseguì anzi a ritmo serrato, anche in vista di
un’edizione critica che non vide mai la luce, e diversi contributi si alternarono fino alla metà
degli anni Ottanta. Da allora, nonostante i problemi insoluti, nessuno più ha lavorato sulla
questione. Né del volgarizzamento qualcuno sembra intenzionato ad allestire l’edizione critica
2
;
così risulta dal progetto editoriale dell’E.N.A.V.
3
, dove alla voce Tito Livio, Ab urbe condita
(Terza e quarta deca) corrisponde la dicitura Volgarizzata da Anonimo: segno di una disputa
ancora incapace di stabilire con certezza la paternità di uno tra i volgarizzamenti più rilevanti del
Trecento.
Per queste ragioni troviamo necessario riavviare l’indagine sull’attribuzione boccaccesca
del volgarizzamento liviano. Occorre, in primo luogo, ricostruire sistematicamente la storia di
una questione antica. Da Sicco Polenton in poi, l’ipotesi dell’attribuzione del volgarizzamento (e
di quali deche) all’autore del Decameron attraversa il Rinascimento, riprende con vigore nel XIX
e giunge alla metà del XX secolo, fino ai nostri giorni. I problemi ancora irrisolti accrescono
l’alone di mistero che circonda questo testo. Inoltre, giacché una storia della questione attributiva
non è stata mai sistematicamente intrapresa, riteniamo questa fase di lavoro un elemento
essenziale non solo per la ricostruzione critica del testo, ma anche per lo studio della sua storia.
In secondo luogo l’assenza di un’edizione critica ci spinge a una tappa successiva. Spesso
dei volgarizzamenti due-trecenteschi mancano edizioni soddisfacenti o condotte con moderni
1
Cfr. M. T. CASELLA, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Padova, 1982
2
Di ciò sono stato personalmente informato dal prof. Claudio Ciociola, Presidente dell’E.N.A.V. (cfr. n 3).
3
“Edizione Nazionale degli Antichi Volgarizzamenti dei testi latini nei volgari italiani” istituita dal Ministero per i
Beni e le Attività culturali con D.M. del 7 febbraio 2003. Sito web: http://www.ilritornodeiclassici.it/enav/
5
criteri filologici
4
; di solito sono conservate edizioni ottocentesche basate su una tradizione non
attentamente vagliata o sulla vulgata: e questo è il caso del volgarizzamento liviano. Premessa
indispensabile a ogni edizione è il regesto di tutti i testimoni; e nel corso degli anni, in relazione
all’opera presa in esame, gli studiosi hanno segnalato alcuni manoscritti che non sono stati ancora
opportunamente esaminati. Un lavoro del genere, anche in vista di una futura edizione, è
senz'altro necessario.
Non ci interessa esaminare la storia del volgarizzamento della Prima Deca né ricostruire
l’influenza che il testo liviano esercitò sulla cultura umanistico-rinascimentale
5
. Ci
concentreremo sul volgarizzamento della Terza e Quarta Deca e sull’ipotetica parentela che lo
stringe a Boccaccio. Col passare dei secoli il campo d’indagine del problema si è ristretto,
suscitando diversi quesiti: queste deche sono entrambe del Boccaccio? Quali sono le prove a
favore o meno dell’attribuzione di entrambe? Sono necessarie ricerche e ulteriori conferme? E se
sì, come indirizzare queste ipotesi di lavoro? Domande del genere ancora gravitano attorno al
volgarizzamento.
Se la storia dell’attribuzione e il regesto dei codici possono inserirsi a pieno titolo in un
campo di ricerca compilativa, il raffronto linguistico-stilistico invece è tema sempre d'attualità.
Questa dichiarazione trova spiegazione a seguito delle deboli argomentazioni della Casella, e,
tanto più, dopo un saggio di Giuliano Tanturli
6
. Intendiamo quindi costruire le premesse al
raffronto linguistico-stilistico tra testo latino e volgare e lingua del volgarizzatore e di Boccaccio,
col fine di confermare o smentire le ipotesi della studiosa.
È necessaria una precisazione. La Casella (ma, prima di lei, Gian Antonio Arri
7
) tracciò a
grandi linee una storia dell’attribuzione
8
; si tratta di un paio di pagine
9
accompagnate da
indicazioni bibliografiche esaustive, ma non approfondite. Intento dell’autrice è dimostrare con
prove linguistiche l’autenticità dell’attribuzione boccaccesca, e confermare ciò che Billanovich
4
Cfr. R. CRESPO, Volgarizzamenti (voce), DCLI, Torino, 1973, 3 voll. p. 467. Cfr. anche G. FOLENA, Volgarizzare e
tradurre: idea e terminologia della traduzione dal Medio Evo italiano e romanzo all’umanesimo europeo in
AA.VV., La traduzione. Saggi e studi, Trieste 1973 poi in G. FOLENA, Volgarizzare e tradurre, Torino 1991 e
successive edd.
5
Cfr G. BILLANOVICH, La tradizione del testo di Livio e le origini dell'Umanesimo. Volume primo, Tradizione e
fortuna di Livio tra Medioevo e Umanesimo. Volume secondo, Il Livio del Petrarca e del Valla: British Library,
Harleian 2493 riprodotto integralmente, Padova, 1981. Cfr. anche L. SORRENTO, Tito Livio dal Medio Evo al
Rinascimento, M, Brescia, 1943, pp. 376-475 e G. BILLANOVICH, M. FERRARIS, Per la fortuna di Tito Livio nel
Rinascimento italiano, Padova, 1958
6
G. TANTURLI, Volgarizzamento e ricostruzione dell’antico. I casi della terza e quarta deca di Livio e di Valerio
Massimo, la parte del Boccaccio (a proposito di un’attribuzione) SM, Ser. 3, 27, 1986, pp. 811-88 [la parte
riguardante l’attribuzione boccaccesca del volgarizzamento liviano è alle pp. 812-39]
7
G. A. ARRI, Di un volgarizzamento della Quarta Deca di T. Livio giudicato di Giovanni Boccaccio, Torino, 1832
8
M. T. CASELLA, Nuovi appunti attorno al Boccaccio traduttore di Livio, IMU, 4, 1961, pp. 77-129
9
Ibidem, pp. 77-8
6
aveva ipotizzato pochi anni prima
10
. La storia della questione che intendiamo ricostruire muove
proprio dal contributo sommario della Casella: lo sviluppa nei dettagli, lo approfondisce e, per
quanto possibile, lo completa.
È quindi nostra intenzione riavviare la riflessione sul problema che, specialmente dopo gli
articoli apparsi negli anni Sessanta, la monografia della Casella
11
, intesa a chiuderlo e risolverlo,
e le recensioni dubbiose degli anni successivi (oltre a quella di Tanturli, almeno quella di Livio
Petrucci), è rimasto aperto.
10
G. BILLANOVICH, Il Boccaccio, il Petrarca e le più antiche traduzioni in italiano delle decadi di Tito Livio, GSLI
1, 1953, pp. 311-77
11
M. T. CASELLA, Tra Boccaccio e Petrarca cit.
7
2. STORIA DELLA QUESTIONE
2.1. Origini di un’attribuzione
Si cum dist Titus Livius,
Qui bien set le cas raconter
(…)
Et ce dist Titus Livius
Qui bien congnut quex sunt li us
Des fames, et quex les manières.
(Jean de Meung, Roman de la Rose
vv. 6329-30; 17274)
Tito Livio risuscita nell’Umanesimo
12
. Non che prima non fosse letto; è certo che gli
uomini del Medioevo non furono all’oscuro delle Deche liviane
13
. Tuttavia, se non ignote, furono
messe in ombra, e la loro fortuna fu inferiore rispetto alle opere storiche di Sallustio e di
Orosio
14
. Dante, oltre che nella Commedia
15
e nella Monarchia
16
, cita il patavino nel De Vulgari
Eloquentia dove, a proposito della suprema constructio, lo inserisce nella schiera degli “altissimi
prosatori” (qui usi sunt altissimas prosas) insieme con Plinio, Frontino e Paolo Orosio
17
. Ma è
con Petrarca che, sebbene indirettamente, la storia dell’attribuzione boccaccesca del
volgarizzamento liviano prende avvio
18
. Come conferma Billanovich
19
, egli allestì il testo delle
Deche liviane dal quale poi scaturiranno le edizioni umanistiche e lo stesso volgarizzamento della
Terza e Quarta Deca
20
- com’è noto delle Deche liviane furono tramandate la prima, la terza e la
quarta (la seconda rimase perduta). Non c’è più dubbio, quindi, che chiunque abbia redatto
12
Per la tradizione del testo di Livio in epoca umanistica cfr. G. BILLANOVICH, La tradizione del testo cit.
13
Cfr. Volgarizzamenti del Due e Trecento, a cura di C. SEGRE, Torino 1953 in particolare pp. 35-8 e 469-72. Cfr.
anche A. HORTIS, Cenni di Giovanni Boccacci intorno a T. Livio, Trieste 1877, poi in Studj sulle opere latine del
Boccaccio, Trieste 1879
14
Volgarizzamenti cit. p. 469: “Le ragioni vennero indicate di volta in volta nella grande estensione delle Deche, e
nella conseguente difficoltà di possederle e leggerle; nel periodo da esse abbracciato, quello repubblicano, mentre il
Medioevo guardava soprattutto all’età cesarea e imperiale; nello scarso interesse per la forma, onde potevano
risultare preferibili i compendi di Florio, più spicciativi”.
15
DANTE ALIGHIERI, Commedia, con il commento di A. M. CHIAVACCI LEONARDI, Milano, 1999: Inferno XVIII,
12: “come Livio scrive, che non erra”.
16
DANTE ALIGHIERI, Monarchia a cura di P. SHAW, Società Dantesca Italiana, Edizione Nazionale, Firenze, 2009:
II,III, 6: “Titus Livius, gestorum Romanorum scriba egregius”.
17
DANTE ALIGHIERI De Vulgari Eloquentia a cura di P. V. MENGALDO, Milano-Napoli, 1979, II,VI,7: “Et fortassis
utilissimum foret ad illam habituandam regulatos vidisse poetas, Virgilium videlicet, Ovidium Metamorfoseos,
Statium atque Lucanum, nec non alios qui usi sunt altissimas prosas, ut Titum Livium, Plinium, Frontinum,Paulum
Orosium, et multos alios, quos amica sollicitudo nos visitare invitat”.
18
In realtà, come attesta G. BILLANOVICH in La tradizione del testo cit., la fortuna di Livio in epoca umanistica nasce
già con Lovato e Mussato, per poi attraversare Benzo, Riccobaldo, Niccolò Trevet e Paolo da Perugia. Tuttavia, solo
Francesco Petrarca allestirà il testo latino dal quale scaturirà il volgarizzamento liviano poi attribuito a Boccaccio.
19
G. BILLANOVICH, Petrarch and the textual tradition of Livy, JWCI, 14, 1951, pp. 137-208. Cfr. anche IDEM, Il
Boccaccio, il Petrarca e le più antiche traduzioni cit.
20
Cfr. Volgarizzamenti cit. pp. 469-70
8
questo volgarizzamento ebbe tra le mani il testo latino predisposto da Petrarca, ponendolo a base
della propria traduzione. Boccaccio avrebbe redatto il volgarizzamento della Quarta Deca non
oltre il 1346
21
- nonostante ci sembri arduo ipotizzare le datazioni di una paternità non ancora
dimostrata - a questa data corrisponde la morte di Ostagio da Polenta, signore di Ravenna. Questi
è il dedicatario di un Proemio presente solo nella Quarta Deca e a cui il volgarizzatore si rivolge
con reverenza e gratitudine. Solo dopo la prima metà del Trecento, le Deche iniziarono a
circolare in forma anonima.
Sebbene si sviluppi in maniera continuata soltanto dal 1832 con il contributo di Arri
22
, la
questione dell’attribuzione a Boccaccio del volgarizzamento liviano (e, soprattutto, di quali
deche) ha origini lontane.
La prima opinione espressa al proposito - erroneamente, a nostro avviso, la Casella e
Tanturli la definiscono “testimonianza”
23
- appartiene alla generazione successiva al Certaldese, e
ha come protagonista l’umanista Sicco Polenton
24
. Questi, nei suoi Scriptorum illustrium latinae
linguae libri XVIII
25
terminati presumibilmente nel 1436, dichiara che l’autore in questione:
Scripsit […] de montibus, de silvis, de fontibus , de lacubus, de fluminibus , de paludibus, de maribus famosis libros
septem […] Sermone autem patrio atque suavi complurima volumina edidit fabulis pulcherrimis, ac multis plena,
[…] Decades preterea tres T. Livii patrium in sermonem vertit
26
.
Boccaccio, secondo Polenton, avrebbe tradotto le tre deche conosciute dello storico latino.
Tuttavia, come spiega Arri (e la sua opinione fu poi accettata), Sicco non avrebbe potuto
possedere gli strumenti adatti a una dimostrazione corretta e filologicamente precisa
27
. Isolando il
21
Cfr. G. BILLANOVICH, Il Boccaccio, il Petrarca e le più antiche traduzioni cit. e M. T. CASELLA, Nuovi appunti
attorno al Boccaccio cit.
22
G. A. ARRI, Di un volgarizzamento della Quarta Deca cit.
23
M. T. CASELLA, Nuovi appunti attorno al Boccaccio cit. p. 78 e G. TANTURLI, Volgarizzamento e ricostruzione
dell’antico cit. p. 833
24
Nonostante la rilevanza del giudizio di Polenton, è da ricordare anche quello di Matteo Palmieri, sebbene “assai
limitativo” (E. Lippi), nelle pagine iniziali del suo Vita civile (1431-38). Cfr. M. PALMIERI, Vita civile, ed. critica a c.
di G. Belloni, Firenze, Sansoni, 1982, p. 5. Cfr. anche E. LIPPI, Recensione a M.T. CASELLA, Tra Boccaccio e
Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Padova, Antenore, 1982, SB, 14, 1983-1984, pp.
357-372, 366 (n).
25
SICCO POLENTON, Scriptorum illustrium latinae linguae libri XVIII ed. B. L. Ullmann, Roma, 1928. Cfr. anche A.
F. MASSERA, Le più antiche biografie del Boccaccio, ZfRF, 2, 1903, pp. 298-338, P. VITI, Per la storia della fortuna
del Boccaccio nel Quattrocento: Sicco Polenton, EL, I, 1976, 1, pp. 86-96
26
Ibidem I. c. lib. VIII, fol. 99 r.
27
Scrive Gian Antonio Arri in Di un volgarizzamento cit. p. 11: “Là, dove egli (Polenton) parla del Boccaccio
essendo tutto certo quanto ne scrisse; questa sola non sarà cosa onninamente falsa, che il Boccaccio abbia tradotto in
lingua volgare Decades tres di T. Livio. Quivi non è certamente il luogo dove io debba ingegnarmi di spiegare col
massimo rigore coteste parole, e provare che il Boccaccio abbia volgarizzate tutte le Deche di Livio. Io mi avviso
soltanto di trar partito da questa autorità, quanto ora me ne possa tornare, senza gettarmi in tale travaglio. Voglio dire
che Siccone, uomo qual era, di somma accuratezza per tali cose, poté essere certo che il Boccaccio avesse