3
INTRODUZIONE
Nel presente lavoro rifletto su un fenomeno sociale la cui fama e
popolarità è cresciuta visibilmente nel nuovo millennio: il progetto europeo
per la mobilità a fini di studio denominato E.R.A.S.M.U.S. (European
Community Action Scheme for the Mobility of University Students).
È un programma comunitario di recente istituzione (1987) che riguarda i
giovani europei, soprattutto universitari, i quali hanno l’opportunità di
vivere e studiare in un altro paese dai 3 ai 12 mesi con un aiuto
economico dell’ Unione Europea.
Cosi detta sembrerebbe una pratica virtuosa eppure non ha ricevuto i
clamori della cronaca se non dopo l’uscita del film “L’auberge espagnole”,
nel 2002, e le critiche per i contenuti del film non furono certo positive. E’
pur vero che essendo un prodotto cinematografico gli autori dovevano
puntare sull’appetibilità e decisero di mettere l’accento sui bagordi notturni
dei giovani universitari e i fugaci rapporti sessuali senza impegno, tratti
comunque caratterizzanti l’esperienza Erasmus. Ma l’Erasmus non è solo
questo.
Non esistono studi sociologici o antropologici sistematicamente
organizzati sull’argomento. L’UE commissiona ricerche e monitoraggi, ma
si tratta più che altro di statistiche e raccolte di dati socio-economici.
Lungi da me l’intenzione di voler fare un simile lavoro cosi impegnativo e
fuori dalla mia portata, ho preferito invece raccontare storie, esperienze,
dubbi, certezze e perplessità, difficoltà e momenti di felicità, insomma tutto
4
ciò che c’è in un Erasmus, inteso come esperienza di vita e come persona
che sta vivendo questa esperienza.
Essendo coinvolti principalmente i giovani studenti universitari ho cercato,
nel primo capitolo, di capire cosa volesse dire essere giovani in Italia nel
2010, analizzando storicamente come si è arrivati all’attuale definizione di
giovane e alla sua rappresentazione sulla scena pubblica. Passando per il
’68, l’anno della contestazione e delle grandi utopie, ma anche dell’Italia di
Gigi Riva e di Canzonissima, per poi approdare all’era dei consumi, del
Grande Fratello e delle nuove forme contrattuali di lavoro (Co.co.co, a
progetto, a chiamata ecc.). In questo lasso di tempo le rappresentazioni
dei giovani etero - attribuite cambiarono visibilmente a seconda della
“voce” (di destra, di sinistra, cattolica ecc).
Per interpretare il mondo giovanile si passò dal paradigma del conflitto
(anni ’60-‘70) a quello del disagio (anni ’80-’90) e pochi furono gli
intellettuali che da buoni antropologi ascoltarono la voce dei giovani,
studiando “etnograficamente” quella che poteva sembrare benissimo una
tribù sconosciuta.
Nel secondo capitolo entro nel merito della mia tesi descrivendo in quale
contesto economico-politico-sociale si inserisce il progetto Erasmus e
quali sono le finalità perseguite dai suoi istitutori. Vedremo cioè se la
pratica dell’Erasmus possa costruire la tanto aspirata identità europea nei
soggetti che ne prendono parte e forgiare un’ elite mobile nel mercato del
lavoro.
5
Per circoscrivere il campo d’indagine mi sono interessato alla sola
Università degli Studi di Perugia, reperendo i dati riguardanti gli studenti
erasmus partiti negli anni accademici 2006-2007, 2007-08 e 2008-09. Per
alcuni di questi studenti ho preparato un questionario, da sottoporre
tramite posta elettronica, che mi potesse dare indizi circa l’esperienza fatta
e che potesse avvalorare alcune mie idee (par. 3.3).
La spinta a scrivere questo lavoro è venuta dal mio vissuto personale,
infatti anch’io ho fatto esperienza del progetto Erasmus (d’ora in poi
semplicemente Erasmus) e come tanti altri sono stato “illuminato” dalle
sensazioni che provoca e dai risvolti psico-antropologici che implica.
Nell’ ultima parte del lavoro (par. 3.2), nel tentativo di “oggettivare la mia
soggettività”, tento di fare un’etnografia dei miei cinque mesi passati in
Spagna nell’anno accademico 2008-09, un racconto difficile da tracciare,
vuoi per il tempo trascorso, vuoi perché avvenimenti del genere vissuti in
prima persona hanno tutte le caratteristiche di incomunicabilità verso chi
non li ha vissuti che li fanno assomigliare tanto alla “malattia”. Per questi
motivi mi sono aiutato rileggendo di tanto in tanto il diario di campo in cui,
in quei cinque mesi, un po’ sporadicamente, appuntavo le mie esperienze
e i miei pensieri nella solitudine della mia camera, e riguardando la
moltitudine di foto che documentano feste, cene, viaggi, visi più o meno
conosciuti.
Data l’enorme quantità di materiale audio-visivo che si produce in
Erasmus andrebbe fatto uno studio a parte. Si pensi che nell’era della
globalizzazione quasi tutti i ragazzi posseggono una fotocamera digitale
6
che ti da la possibilità di scattare innumerevoli fotografie, le quali poi
possono essere messe in comune tramite svariati supporti (cd, USB, hard
disk, Msn, Facebook ecc.). Ecco allora che ciascun erasmus torna a casa
con un bagaglio esperienziale comune, impressionato in formato digitale;
scatti fotografici frutto non solo delle proprie esperienze, ma anche delle
esperienze messe “a fuoco” da altri, da punti di vista differenti.
Questo perché nell’ erasmus di sicuro c’è un qualcosa dell’esperienza
turistica con allegate le rispettive contraddizioni. Per questo prima di
descrivere la mia esperienza personale tento di tracciare i rudimenti per
un’antropologia del viaggio (par. 2.4), facendo un parallelo tra l’esperienza
del viaggiatore e quella dello studente erasmus.
Certo, la qualità del viaggio (nonché dell’esperienza) dipende dal tempo
trascorso: discriminante principale che differenzia il turista dallo studente
erasmus. Quest’ultimo, infatti, proprio per la sua lunga permanenza in
un’altra comunità potrebbe essere avvicinato più all’etnografo. Anche lo
studente erasmus infatti si allontana da casa, incontra l’Altro e spesso ne
diventa amico (paragrafo 3.1), riveste il ruolo di straniero ed è chiamato
continuamente a negoziare e giustificare la sua presenza.
Sicuramente cambia l’habitus, il metodo non è sistematico, ma per la sua
partecipazione osservante lo studente erasmus si potrebbe considerare
un cucciolo della specie “etnographus” (una specie preistorica) al quale è
negata la lezione teorica, venendo spedito direttamente sul campo a “farsi
le ossa”, a fare esperienza.
7
CAPITOLO 1
1.1 Giovinezza: una prima definizione
Diversi studi europei sulla condizione giovanile e un vasto insieme di
indicatori empirici corroborano l’ipotesi dell’allungamento della giovinezza,
una tendenza comune, sotto certi aspetti, a tutti i paesi europei, sebbene
assuma forme diverse in ognuno di essi.
La giovinezza è un periodo della vita biologica di ogni essere umano che
può variare di società in società, da una cultura all’altra e anche all’interno
della stessa cultura in periodi storici differenti. Ciò avviene perché è un
concetto culturalmente costruito.
Per la biomedicina è quel periodo della vita che segue l’infanzia ed il suo
inizio è individuato nel momento successivo al primo flusso mestruale, per
le ragazze, e alla prima eiaculazione per i ragazzi. Dato che spesso è
difficile stabilirne il momento esatto ci vengono in aiuto altri cambiamenti
sintomatici quali la crescita di peluria nella zona pubica, il cambio di voce
ecc. Altri cambiamenti, questa volta non fisici ma psicologici, interverranno
durante questo primo periodo della giovinezza noto come pubertà, ma ne
parleremo più avanti.
Già Van Gennep era lungi dal mettere in stretta relazione l’inizio
dell’adolescenza con la pubertà fisica, preferendo porre l’accento più sulla
pubertà di tipo sociale. Presso gli Indiani Thomson le ragazze venivano
spesso fidanzate, ancora bambine, a uomini di vent’anni più vecchi di loro;
ma non erano considerate atte a contrarre matrimonio se non quando
8
avessero compiuto tutte le cerimonie che concernono il raggiungimento
della pubertà, cioè intorno ai diciassette o diciotto anni e talvolta fino ai
ventitre
1
.
Si converrà che la pubertà fisica non può essere la causa principale di
cerimonie cosi prolungate. Ancora Van Gennep fa l’esempio di come il
rituale della circoncisione, presso alcune popolazioni del Maghreb,
avvenga ogni due, tre, quattro o cinque anni, cosi che si circoncidono allo
stesso tempo bambini di differente sviluppo fisico e sessuale: cosi, un
medesimo rito denota ora l’entrata nell’infanzia, ora nell’adolescenza, ma
senza aver nulla a che fare con la pubertà fisica
2
.
Nel basso Medioevo il concetto di iuvenes indicava per lo più giovani
cavalieri nobili, considerati già guerrieri completi, a tutti gli effetti,
diversamente dal puer e dall’adolescens. Gli iuvenes ricevevano la
vestizione durante una cerimonia solenne con conseguente consegna
delle armi, questa cerimonia può essere annoverata tra quei “riti di
passaggio” descritti dallo stesso Van Gennep, quei riti pubblici che
segnano il passaggio di un individuo da uno status sociale ad un altro, con
relativa acquisizione di diritti e doveri nuovi. Nel nostro caso per un
ragazzo significava poter prendere le armi e andare in guerra o per una
ragazza occuparsi della casa e poter essere concessa in moglie. Il
passaggio da una classe di età ad un’altra è da sempre caratterizzato da
riti che accompagnano i membri della società in questo cambiamento, ne
veicolano il significato e formulano nuove relazioni sociali, nuovi equilibri di
1
J. Teit, The Thomson Indians of British Columbia, Publications of the Jesup North Pacific
Expedition, vol 1 (New York 1898-1900) p. 321
2
Van Gennep A., 1981, p. 62
9
potere. Come vedremo il passaggio non avviene in maniera brusca, ma
passa attraverso momenti differenti.
Al giorno d’oggi se un giovane vuole essere percepito definitivamente
come appartenente al mondo degli adulti, deve rispondere a determinati
requisiti, nonché attraversare le seguenti tappe:
1. uscita definitiva dal circuito formativo, ovvero deve essere maturo
dal punto di vista intellettivo;
2. entrata in modo continuativo nel mondo del lavoro, deve essere
produttivo per il tessuto sociale;
3. abbandono della famiglia d’origine,
4. formazione di un nuovo nucleo familiare e
5. nascita del primo figlio, ovvero deve anche ri-produrre il tessuto
sociale stesso.
Le prime tre tappe sono percepite come necessarie al passaggio ai ruoli
adulti, mentre le ultime due non sono obbligatorie, ma socialmente
necessarie alla riproduzione fisica e culturale della società stessa.
Arrivati a questo punto possiamo provare a dare una prima definizione di
giovinezza, prendendola a prestito da August Hollingshead:
[…] il periodo della vita di un uomo in cui la società nella quale egli
vive non lo considera più un bambino, senza peraltro riconoscergli
pienamente lo status, i ruoli e le funzioni dell’adulto. Rispetto al
comportamento, la giovinezza è definita attraverso i ruoli che il
giovane deve e può svolgere nella società in base al suo status, quelli
che gli si impone e gli s’impedisce di svolgere. Non è definita da un
particolare momento, ad esempio la pubertà fisica, ma per forma,
10
durata e periodo del ciclo della vita cui occorrono è delimitata in modo
diverso dalle varie culture e società.
3
Per tornare al nostro problema iniziale, l’allungamento del periodo di vita
noto come giovinezza, bisogna porsi delle domande: chi sono i giovani
oggi in Italia? Quali caratteristiche devono avere per essere considerati
tali? Quale fu il loro esordio sulla scena pubblica? Quale la loro storia?
Tenterò di andare con ordine.
1.2 La rappresentazione sociale dei giovani negli anni ‘60
Ambrogio Santambrogio, parafrasando il concetto marxiano di coscienza
di classe, ripercorre la storia
4
di quei giovani che sentono di essere
giovani, che costruiscono la propria immagine dandosi un’ auto-
rappresentazione. Quest’entità sociale non può considerarsi una classe in
quanto i giovani non sono tutti inseriti nel processo produttivo, ovvero non
sono inseriti nella divisione sociale del lavoro, perciò mantengono lo status
sociale dei propri genitori. Allora in che modo i giovani si riconoscono
come facenti parte dello stesso gruppo?
3
In Mitterauer M., I giovani in Europa dal Medioevo a oggi, Laterza, 1991, pp. 26-27
4
Santambrogio A.(a cura di), Giovani e generazioni in Italia - Le rappresentazioni sociali dei
giovani sulla stampa (1960-2002), 2002