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meccanici si dannano con viti e bulloni, i manager speranzosi e
ansiosi, la pit-lane…
Poi ci sono loro, i veri attori protagonisti di questo spettacolo: i
piloti. Giovani. Alcuni giovanissimi. Quasi mi sembra impossibile
che siano proprio loro a salire su quei bolidi per affrontare rettilinei
alla velocità di 400 Km/h!!!
La gara prende il via. Le tribune sono impressionanti, così grandi
e stracolme di spettatori. Il mio cuore sembra voler entrare nella
competizione perché pulsa e corre veloce. Ma so che lui si
emoziona sempre per gli eventi nuovi, particolari e sensazionali.
Così accade anche per questo. Tutto come previsto.
E’ però l’inatteso, l’inaspettato a turbarmi, a sconvolgermi e a
inquietarmi come non mai. Una chiazza di colore blu, che so essere
una macchina, sbatte, si gira e si rigira su se stessa, fino a
spezzettarsi in più tronconi. La rapidità con cui l’incidente avviene
è così elevata da non comprendere la dinamica. E’ Terribile.
Orrendo.
Si viene a sapere che si tratta di Greg Moore. Ha 24 anni.
Subito soccorso, viene portato all’ospedale più vicino. Le sue
condizioni vengono dichiarate molto gravi. Non riesco però a
credere che possa accadere l’irreparabile. Non nella prima “mia”
gara americana! Colta da una improvvisa onnipotenza tipicamente
infantile penso che l’oscurità non possa ora calare: c’è il sole e ci
sono io. Può capitare ad altri e altrove. Non a Greg, del quale avevo
letto e del quale tanto avevo sentito raccontare.
La notte è però scesa, buia e così fredda in mezzo al deserto.
Moore è stato fagocitato dalle tenebre che troppo presto sono
arrivate in quella domenica di fine ottobre.
I colori, la luce, i volti si sono incupiti. Quel luogo non era più
quello, il suo aspetto era talmente mutato che mi è parso di essere
stata trasportata in pochi secondi altrove, lontano…l’aria pesante,
greve e plumbea soffocava il respiro.
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Frastornata, sconcertata, percepivo ogni azione, ogni attività
come particolarmente lenta e i suoni uditi erano indistinti.
Quando i pensieri hanno cominciato a ricomporsi in maniera
leggibile e più organica, ho potuto meglio riflettere riguardo alla
bufera che aveva travolto e sconquassato molti dei presenti. Nel
mio cervello hanno riecheggiato le immagini e i dialoghi del
pomeriggio. “Greg era un impulsivo, troppo spesso viaggiava oltre
il proprio limite!”; “Ha osato troppo. Bisogna avere testa…”.
Discorsi di questo tipo mi hanno colpita.
Personalmente, ritengo che il pilota Greg Moore non fosse poi
tanto differente da tutti gli altri. Appartenevano solo a lui il suo
aspetto, il suo modo di fare, il suo accento di canadese, la sua
simpatia. Caratteristiche di questo tipo insomma, che facevano di
Greg un essere umano speciale e unico. Non credo invece che il suo
modo di pensare da pilota fosse poi tanto diverso da coloro che
hanno intrapreso la medesima carriera.
Moore correva in macchina. Così si sentiva realizzato. Il suo
istinto più profondo e più vero, lo aveva portato in pista.
Gareggiava per amore e dedizione all’esistenza, per la ricerca della
propria felicità. Nessuno lo aveva costretto. Lui aveva scelto fra
decine di alternative possibili. Proveniva da una famiglia
benestante, come la quasi totalità dei piloti, e le strade da poter
intraprendere saranno state le più svariate. Nessuna di queste lo
entusiasmava, però, come quella che ha poi percorso.
Questo giovane aveva scelto la vita. Greg l’aveva abbracciata. Il
dio della Morte avrebbe baciato solo gli stolti. E lui non lo era. Era
consapevole che nelle corse non si scherza e che negli ovali le gare
sono ancora più pericolose per l’assenza di ampie vie di fuga. Ma
lui non scherzava.
Greg, come la maggior parte dei piloti, diceva di conoscere il
proprio limite. Il rischio era sempre in agguato, ma non lo avrebbe
di certo colto alla sprovvista. Se solo avesse pensato e creduto nel
profondo del suo cuore, di poter cessare di respirare contro un muro
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ogni volta che saliva in macchina, avrebbe sicuramente gettato
guanti e casco molto tempo prima. Ad altri poteva succedere di
terminare la corsa prima del previsto, non a lui.
Perché allora la notte è scesa in quella pista californiana per
nascondere e rapire Greg?
Un articolo sulla Gazzetta dello Sport di Pino Allievi può offrire
forse una risposta: “Phil Hill, oggi, è un signore benestante che vive
a Santa Monica, una delle località più belle e in della California. Ad
ogni estate, fa un viaggio di piacere in Europa. Dove assiste, se
capita, a qualche Gran Premio. Quest’anno era a Spa. Ed a Monza.
Hill è una persona gradevole, che parla discretamente l’italiano e
che ha il gusto del racconto di quei tempi eroici e un po’ folli. In cui
poteva capitare che i piloti della Ferrari si sfidassero tra Bologna e
Modena a marcia indietro, al buio, istigati dall’indimenticabile
Cesare Perdisa, animatore di notti esagerate e scherzi senza freni.
Di Wolfgang von Trips, che invece era in testa alla classifica del
mondiale sino alla vigilia della fatale Monza, resta solo il ricordo
degli amici di un tempo, di raffinati cocktail nel giardino del suo
castello e delle buonissime torte di sua madre.
Su ordine di Ferrari, von Trips pochi anni prima non aveva dato
battaglia a Taruffi, agevolando la vittoria della volpe argentata alla
Mille Miglia. L’ultimo tedesco Ferrari prima di Schumacher era
laureato in agronomia e quello sarebbe stato il suo domani. Infatti,
dopo il GP d’Italia [dove perse la vita], Wolfgang si sarebbe dovuto
recare negli USA per un viaggio di studi con un gruppo di agronomi
tedeschi. Il volo partì senza di lui, ma pochi minuti dopo il decollo
l’aereo si schiantò al suolo. Non ci furono superstiti. Il destino di
von Trips era proprio segnato nelle stelle”.
La sorte, il fato decidono e scrivono. E questo in Europa come
negli Stati Uniti d’America.
Dopo l’esperienza forte e drammatica vissuta sul circuito di
Fontana, hanno preso corpo e si sono in me rafforzati interesse e
curiosità verso il mondo dell’automobilismo. Domande e
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interrogativi hanno cominciato a percorrere e insidiare i miei
pensieri. E così il fervido desiderio di comprendere il modo in cui la
passione per vetture e competizioni si insinua e cresce nei giovani
piloti e nei giovani tifosi mi ha condotto ad abbracciare questo
lavoro. Ho tentato allora di vagliare e indagare percezioni ed
emozioni, atteggiamenti e comportamenti di questi ragazzi,
ipotizzando che molti dei loro modi di fare e il loro sentire
appartenessero comunque al più vasto universo giovanile. Ma nello
specifico, quali possono essere le divergenze e le similitudini fra
piloti e tifosi da una parte e la realtà dei ragazzi in generale
dall’altra? E cosa accomuna o divide piloti e tifosi?
Questa tesi si pone come obiettivo anche la risoluzione di questi
quesiti, tenendo comunque presente come Verità assolute e
indiscutibili difficilmente possano essere raggiunte e conseguite.
L’intento metodologico qui portato avanti è piuttosto quello
descritto da Cipolla relativo all’adduzione, “un modo di affrontare
la ricerca empirica che non privilegia né la deduzione … né
l’induzione … Adduzione, allora, è conoscere e possedere qualche
ipotesi teorica, ma non pre-imporla alle cose, chiudendole così in
questa sorta di gabbia delle verità. E’ essere aperti e disponibili alla
scoperta, al debolmente nuovo, all’inatteso, al non previsto o
preventivabile” (Cipolla, 1997: 37).
L’impresa non si preannuncia certo fra le più semplici, ma
impegno, determinazione e perseveranza saranno comunque
costanti in questo tragitto che mi affascina e mi intriga.
La prima parte della tesi, più prettamente teorica, cercherà di
analizzare, anche grazie al fondamentale contributo delle ricerche di
studiosi e sociologi, il mondo giovanile nei suoi poliedrici e
molteplici aspetti, facendo attenzione a tutto ciò che lo circonda e lo
avviluppa.
Volendo poi indagare la passione per l’automobilismo, sarà
necessario valutare comportamenti e atteggiamenti connessi alla
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guida, vagliando così anche le possibili cause degli incidenti
stradali, di costante e triste attualità.
La velocità e i ritmi sostenuti, che forse caratterizzano non solo
autodromi e strade, hanno condotto allo studio del rapporto
personale vissuto con i fattori tempo e rischio.
La seconda parte della tesi, più strettamente empirica, raccoglierà
le interviste ai piloti e ai tifosi, ricercando costantemente
connessioni e congruenze con quanto riportato e sostenuto in
precedenza.
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Capitolo Primo
TELESCOPIO PUNTATO SUL MONDO
GIOVANILE
1.1. L’età delle incertezze
Il pianeta giovani attira su di sé l’attenzione e l’interesse del
mondo degli adulti e soprattutto degli studiosi che in esso vedono
sempre qualcosa da osservare e scoprire, da capire e comprendere,
pienamente consapevoli che i giovani, se rappresentano la linfa
vitale del presente, impersonano anche, e a pieno titolo, il futuro in
cui vanno a proiettarsi speranze, attese, aspirazioni.
Definire i confini temporali della giovinezza è oggi cosa sempre
più ardua. Tutte le indagini condotte negli ultimi decenni in Europa
hanno messo in luce un fenomeno ormai inequivocabile: tra la fine
dell’adolescenza e l’ingresso nella vita adulta è emersa e si è
generalizzata una nuova fase del ciclo di vita, variamente
denominata post-adolescenza o gioventù, che tende a estendersi
come durata e a diffondersi presso quote crescenti di popolazione. I
giovani non sono più degli adolescenti, se l’adolescenza finisce con
l’acquisizione della piena capacità sessuale di procreare, ma non
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sono ancora adulti, se la vita matura significa piena assunzione di
responsabilità sociali.
In particolare, sembra notevole il disaccordo sul limite d’età che
dovrebbe immettere nella fase adulta. “L’oscillazione è quanto mai
ampia, ed abbraccia quasi un decennio, dai 20 ai 29 anni, riflettendo
una sostanziale situazione di incertezza sociale […] con un
progressivo spostamento in avanti ed una progressiva dilatazione
dell’area definita come giovinezza ed uno slittamento in avanti di
tutte le età della vita. Ormai la giovinezza può arrivare anche sino ai
trenta anni e non desta maraviglia vedere, nella stampa quotidiana
frasi come «un ragazzo di quaranta anni»” (Cipolla, 1989: 263).
La cultura adulta mostra un atteggiamento ambivalente nei
confronti dei giovani: da un lato celebra la gioventù come una sorta
di età dell’oro, di pienezza di energie e di giuliva irresponsabilità (a
volte cercando persino di imitarne gli stili di vita), dall’altro lato
però ne lamenta l’indolenza e l’immaturità. Tutto ciò non è certo
una novità ed è vero oggi come lo era in passato. Quello che rende
tipica la gioventù moderna rispetto alle società tradizionali è che nel
quotidiano essere giovani significa, per i più, vivere in una
dimensione di incertezza. Le esitazioni, i dubbi e le ansie
riguardano, prima di tutto, il proprio futuro: i giovani si trovano, e
ne sono ben consapevoli, al centro di un percorso, di un cammino,
ma il più delle volte non sanno quale meta dovranno raggiungere.
Questa poca chiarezza nei confronti del proprio punto di attracco e
il disorientamento che ne deriva, generano l’angoscia e
l’inquietudine del vivere giovanile
Oggi le origini sociali di un individuo non sono più il solo fattore
determinante l’avvenire e i giovani, nel loro tragitto, incontrano
spesso bivi, rendendosi conto della necessità di compiere delle
scelte. Emerge così la consapevolezza che il futuro dipende, almeno
in qualche misura, proprio dalle selezioni che si è in grado di
operare. L’attività del prescegliere non è però molto semplice
perché implica l’avere ben chiare le alternative e le opportunità che
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il mondo offre e perché necessita l’analisi delle proprie preferenze.
Come si può ben immaginare, “entrambe le dimensioni, quella
esterna delle opportunità e quella interna delle preferenze, non sono
mai del tutto trasparenti” (Buzzi, Cavalli, de Lillo, 1997: 16).
Il giovane è consapevole del fatto che l’accettare un certo tipo di
opzione significa anche scartarne tantissime altre; emerge pertanto
un presente contingente in cui gli accadimenti che si dispiegano
seguendo un dato percorso potrebbero avanzare anche in altra
maniera: tutto dipende dalla scelta iniziale operata, che appare così
terribilmente e paurosamente “fatale”.
Sembra che oggi ci si trovi di fronte ad una “«dilatazione dei
possibili». In un contesto di forte differenziazione istituzionale, di
marcato pluralismo culturale, di «molteplicità di mondi vitali»,
vengono meno per i soggetti i punti di riferimento unitari, mentre
aumentano le possibilità di scelta, l’eccedenza delle opportunità”
(Garelli, 1984: 26).
Le cose non sono andate sempre così.
“Negli anni cinquanta, e sin quasi alle soglie de ’68, filo
conduttore della crescita era la prepotente tensione a inserirsi nella
società adulta che offriva modelli di riferimento tradizionali e
condivisi dalla maggior parte della società” o almeno così sembrava
(Bisi, Brunello, 1995: 21). L’educazione ruotava all’insegna della
continuità e l’insistere su valori quali l’onestà e l’integrità,
l’impegno nello studio, la solerzia, l’acquisizione della competenza
professionale, consentiva e ampiamente favoriva l’inserimento nella
società e un sicuro ingresso nei ruoli adulti, sia sociali che
professionali. Nel momento in cui la società risultava relativamente
salda e ferma, le istanze di cambiamento venivano conculcate a
favore della predominante stabilità economica e sociale; anche se
alcune idee moderne circolavano e si innestavano sulla
consuetudine, non si evidenziavano particolari scompensi o
squilibri. Predominava la consapevolezza di potersi collocare al
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posto giusto e le prospettive di vita venivano percepite come
pienamente accettabili (Bisi, Brunello, 1995).
Nel ’68 i giovani si sono resi maggiormente visibili, mostrandosi
in molti modi vivamente coscienti del mutamento in atto e hanno
lottato, con toni e modalità forse talora anche discutibili, contro
tutto ciò che appariva ormai cristallizzato, arretrato, convenzionale
e non più accettabile. Negli anni settanta si diffuse pertanto un
clima di tensione, di contrasto e di conflittualità nei confronti delle
istituzioni che si volevano “a tutti i costi, e nel più breve tempo
possibile, vedere del tutto scardinate insieme con quei principi etici
che pure erano stati delle pietre miliari, dei baluardi a lungo ritenuti
ben saldi e incrollabili” (Bisi, Brunello, 1995: 22). I ragazzi
comunicano un disagio e un disadattamento rispetto alle regole
preparate per loro.
Negli anni ottanta, muta il contesto di riferimento che appare
sicuramente più complicato, frastagliato e confuso rispetto a quello
precedente perché caratterizzato da una forte differenziazione
sociale che si può individuare a vari livelli: a livello organizzativo,
dato che all’interno della società nessun gruppo o istituzione è
capace di svolgere una funzione egemonica o totalizzante; a livello
culturale, per l’estrema varietà di modelli di riferimento, per la
pluralità degli stili di vita e di risposte alle varie problematiche; a
livello sociale, per la molteplicità delle opportunità e delle
condizioni di vita. E’ importante sottolineare come i tratti tipici del
tempo siano il venir meno dell’omogeneità, della compattezza, con
la conseguente perdita di valori unitari; significati e accezioni si
moltiplicano delineando così un pluralismo culturale. Nel momento
in cui vengono meno punti di riferimento unitari e condivisi dai più,
i giovani avvertono il passaggio discontinuo dall’ambito di
socializzazione ristretto - la famiglia - al contesto sociale più
allargato: spesso infatti le concezioni di vita predominanti nel
nucleo familiare di appartenenza sono contrapposte e smentite da
altre impostazioni presenti nel più vasto mondo esterno con cui si
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entra in contatto. I giovani appaiono così orientati a operare delle
scelte di fondo tra le tante proposte in cui si imbattono (Bisi,
Brunello, 1995).
Negli anni novanta, “emergono valori innovativi che convivono
con quelli del passato e che ancora non sono in grado di formare un
assetto coerente e condiviso dalla maggioranza della popolazione”
(Bisi, Brunello, 1995: 23). Ciò che emerge in primo piano è allora il
singolo, l’individuo in una società che si mostra sempre più
eticamente neutra, che “non fa scelte etiche, non le indica, ma dice
a ciascuno: la scelta d’azione è personale, tu devi fare la tua, dato
che non c’è regola sociale comune, e le opzioni non sono più
confrontabili, anzi non fanno più differenza” (Donati, Colozzi,
1997: 25).
Vivere in questa società può essere entusiasmante, eccitante e
può anche risultare comodo; si riduce ogni conflitto e si invia un
messaggio alquanto particolare: segui le regole che ti sei dato. Si
esorta ciascuno a seguire la propria regola privata, mentre la società
decide di non decidere, esce da ogni dubbio stabilendo di non avere
norme morali in comune. In questo modo non aiuta certo a prendere
decisioni. Il giovane si trova esposto a molteplici sollecitazioni,
portatrici di valori specularmente contrapposti e orientarsi risulta
difficile. “La società si sfarina. Nessuno l’avverte più come una
realtà «centrata», capace di regalare agli individui regole e mete
vivibili. Tutto il peso si sposta, così, sul soggetto: l’uomo moderno
è solo nella scelta dei fini e delle condotte di vita, perché nessuno è
più in grado di dispensare certezze, se non provvisorie e revocabili”
(Morcellini, 1994: 15).
Vitale è comunque scegliere: pare che i giovani comprendano la
necessità di imboccare una strada, di superare un incrocio per poter
crescere, ma, forse con un senso ancora più acuto e pungente di
quanto non avvenga negli adulti e negli anziani, i giovani sembrano
percepire una pesante coltre di solitudine nel momento in cui
ricoprono il ruolo di attori della scelta. La difficoltà risiede
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probabilmente nella consapevolezza che dalla propria decisione
dipende il proseguimento del cammino personale, mentre il clima
circostante non facilita certo la cernita delle opportunità. Oggi
infatti le occasioni per i giovani non sono solo plurime ma anche
confuse e gli stimoli incerti non contribuiscono di sicuro ad una
chiarificazione. Di fronte a molteplici sollecitazioni, portatrici di
valori in conflitto fra loro, i ragazzi si trovano di fatto indifesi, non
essendo in possesso di strumenti idonei per orientarsi tra modelli
troppo distanti e per collocare in modo giusto le proprie esperienze
(Bisi, Brunello, 1995). In questa situazione occorrerebbe forse
scegliere una condizione provvisoria come definitiva, dando
stabilità al precario. Eppure tutto ciò “presuppone da parte dei
soggetti l’aver maturato una forte identità, una personalità già
formata e matura, il poter far leva su un forte senso di sicurezza…
tutti elementi che appaiono carenti o problematici nella presente
condizione giovanile” (Garelli, 1984: 27).
Per un ragazzo, l’imboccare una strada con convinzione,
sicurezza, con decisione e disinvoltura potrebbe risultare intricato e
difficile già in sé, vista la giovane età e la poca esperienza che ne
consegue. Tutto sembra reso ancora più complicato dal pluralismo
confuso che pare inseguire l’attore sociale nel momento in cui si
appresta a compiere passi importanti. In particolare, Cipolla
definisce così il pluralismo: “Monismo che esce di scena […]
Visione multilaterale e multiforme delle cose […] Trovarsi in una
condizione opposta rispetto a quella solipsistica […] Pluralismo
come perdita di ogni centro sovra-ordinatore […] Pluralismo come
interazione che non comporta sovranità pre-ordinate” (Cipolla,
1997: 2136).
Nella contemporaneità, l’identità dei giovani sembra pertanto
caratterizzarsi per una sorta di indeterminatezza e di
imprevedibilità, quasi di labilità, tipica di soggetti orientati ad una
realizzazione differenziata. Risulta infatti assai arduo fotografare
una volta per tutte l’atteggiamento, gli stili di vita e i modelli di
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comportamento delle giovani generazioni. E questo perché i giovani
appaiono come «pendolari» tra diverse appartenenze e riferimenti
culturali (Garelli, 1984). Di fronte a stimoli multiformi e friabili,
spesso anche contraddittori, è difficile costruire un io coerente,
compatto, lineare e costante. In fondo, non è forse l’ambiente,
complessivamente inteso, a condizionare i nostri pensieri e le nostre
attività?
La categoria interpretativa che più sembra rendere ragione
dell’ambivalenza dei modelli di comportamento dei giovani pare
oggi quella dell’adattamento. “La convivenza con la complessità e
la differenziazione sociale non si limita ovviamente ai soli aspetti
positivi: aumento di riflessività, molteplicità degli ambienti di
riferimento, varietà della biografia, modello di realizzazione
articolato e vario. Perdita di riferimenti unitari, aumento di
incertezza, venir meno dei riferimenti collettivi, non praticabilità di
risposte totalizzanti, aumento dell’irresolutezza, esposizione alla
dissociazione: questi non sono che alcuni degli aspetti problematici
legati al vivere nell’attuale società” (Garelli, 1984: 28). E così, per
esempio, il desiderio di essere i protagonisti della scena o la voglia
di stupire che si rintracciano in molti degli attuali comportamenti
giovanili possono riflettere la mancanza di chiari orientamenti: si è
alla ricerca di qualcosa di indefinito e di indefinibile capace di
colmare in qualche modo il vuoto da cui spesso si è circondati e
avviluppati.
In questo clima caratterizzato dall’assenza di saldi e importanti
punti di riferimento, le ricerche evidenziano la tendenza a
dilazionare la maggior parte delle scelte, a posticipare quel
passaggio che conduce all’ingresso nella vita adulta (Buzzi, Cavalli,
de Lillo, 1997).
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1.2. I giovani-adulti e il loro contesto familiare
E’ vero che nelle società moderne, i confini tra le diverse età del
ciclo di vita appaiono molto più sfumati e aleatori rispetto alle
società tradizionali. Non esistono più dei veri e propri riti di
passaggio capaci di marchiare simbolicamente e a volte
drammaticamente l’ingresso nell’età adulta. Più precisamente,
anche se alcuni di questi riti vivono ancora, come il conferimento di
un diploma o il matrimonio, il loro valore simbolico si è di molto
attenuato.
“In generale, tuttavia, si può dire che un giovane uomo, o una
giovane donna, sono diventati adulti quando hanno varcato una
serie di soglie:
a) hanno concluso la parte più rilevante del loro iter formativo;
b) occupano una posizione relativamente stabile nella divisione
sociale del lavoro;
c) hanno abbandonato la casa dei genitori;
d) si sono sposati;
e) quando, con la paternità e maternità, si assumono delle
responsabilità nei confronti di una generazione successiva”
(Cavalli, de Lillo, 1993: 205).
Oggi emerge così la tendenza a posticipare ognuno di questi
passaggi verso un’età anagrafica sempre più avanzata. Si allunga
poi la distanza temporale tra i momenti in cui vengono varcate la
prima e l’ultima soglia.
La realtà che viene a delinearsi è causata da una serie di fattori
sia strutturali sia culturali. “Tra i primi, il prolungamento abnorme
di certi percorsi di studio (ad esempio, il fenomeno degli studenti
fuori corso nelle università e il conseguimento tardivo del titolo di
studio), il tasso assai elevato di disoccupazione giovanile, la rigidità
del mercato degli alloggi con la conseguente difficoltà per i giovani
e giovani coppie di uscire dalla casa dei genitori e stabilire un
ménage indipendente. Tra i secondi, la scarsa accettazione sociale
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del fenomeno delle convivenze di giovani non sposati e la scarsa
propensione ad avere figli fuori dal matrimonio, fenomeni, come è
noto, assai più diffusi nei Paesi del Nord Europa” (Buzzi, Cavalli,
de Lillo, 1997: 18).
Il fenomeno della famiglia lunga risulta così essere caratteristica
tipica italiana. Non sono infatti pochi neppure i giovani che, pure
avendo terminato gli studi ed essendosi inseriti stabilmente in una
attività lavorativa, continuano a convivere con i genitori. Molti
hanno interpretato questo fenomeno anche come l’effetto di un
persistente familismo, cioè di “un reciproco senso di impegno,
condivisione, cooperazione e intimità considerato costitutivo dei
legami tra i membri della famiglia” (Dizard, Gadlin, 1997: 24),
peculiarità questa di una tradizione culturale di matrice cattolica.
I giovani-adulti, più che emanciparsi dalla famiglia, negoziano
così all’interno di essa consistenti ambiti di libertà. Godono spesso,
all’interno dell’abitazione, di un proprio spazio che gestiscono in
modo autonomo sia per quanto riguarda l’arredamento sia per
quanto concerne le persone che possono, o non possono, accedervi.
La sera escono, come e quando vogliono, senza particolari
restrizioni sull’orario del rientro e non devono dar conto ai genitori
delle persone che frequentano. Inoltre, i giovani che convivono e
lavorano contribuiscono sempre meno coi loro guadagni al bilancio
famigliare. Oltre una certa età, si fa strada un patto di reciproco
rispetto e non interferenza tra genitori e figli e, in questa maniera, si
limitano gli elementi costrittivi all’interno del nucleo famigliare. In
particolare, sembrerebbe delinearsi questa situazione: “i genitori
restringono i confini dei territori di loro competenza, nel senso che i
comportamenti di controllo, di forte direttività, di invadenza da
parte degli adulti non sono più ampi e totalizzanti, ma vengono
delimitati ad alcuni ambiti particolari della vita dei figli. Altri
ambiti vengono definiti da un rapporto che possiamo chiamare di
tipo «negoziale», di contrattazione. Altri ambiti ancora vengono