3
Introduzione
zsard apu ci s i , uno dei più noti reporter del Novecento, autore di opere
di storia contemporanea a cavallo tra reportage giornalistico e grande letteratura, nel
volume “Il cinico non è adatto a questo mestiere” spiega che cosa sia il “buon
giornalismo”, intendendo con questo termine il livello più creativo di “un mestiere
che prende tutta la vita, non c’è altro modo per esercitarlo.”
1
Necessari sono lo
studio e il continuo aggiornamento, in quanto il mondo contemporaneo, la cui
indagine è alla base del giornalismo, è “in continuo, profondo, dinamico e
rivoluzionario cambiamento.”
2
All’inizio del secolo scorso l’informazione mirava a ce rcare la verità che
veniva utilizzata o per indirizzare l’opinione pubblica o come strumento di lotta
politica. Tuttavia dopo la fine della Guerra Fredda “l’informazione si è totalmente
separata dalla cultura”
3
e oggi quel che più conta nelle notizie di cronaca è
l’attrazione che queste riescono a suscitare : la maggior parte dei direttori delle grandi
testate giornalistiche appartiene alla categoria dei manager e l’informazione è
diventata un business. Per l’autore però l’unico giornalismo possibile resta quello
“intenzionale”, cioè quello che si pone come obiettivo la produzione di un
cambiamento nella gente e nella società, in cui proprio le persone sono la fonte
principale. apu ci s i è riuscito a mimetizzarsi tra la gente comune utilizzando
qualsiasi mezzo di trasporto fosse a sua disposizione, per immergersi nella vita dei
protagonisti dei suoi articoli. “Non potrà mai fare il corrispondente chi ha paura della
mosca tse-tse, del cobra nero, degli elefanti, dei cannibali, di avvelenarsi con l’acqua
dei fiumi e dei ruscelli, di mangiare un tortino di formiche arrosto, chi trema al solo
pensiero dell’ameba e delle malattie veneree, o all’idea di essere derubato e
picchiato, chi mette da parte i dollari per farsi una casetta in patria, chi non sa
dormire in una capanna africana e chi disprezza la gente di cui scrive.”
4
Se attraverso
un abito o un comportamento trapela un messaggio sbagliato, se emerge un
atteggiamento distaccato e arrogante, il reporter rischia di essere escluso dal contatto
con la gente comune.
1
R. apu ci s i , a cura di M. Nadotti, Il cinico non è adatto a questo mestiere. Conversazioni sul
buon giornalismo, edito da E/O, 2002, pag. 32.
2
Ivi, pag. 33.
3
Ivi, pag. 36.
4
R. apu ci s i , La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, 1990, pagg.
164-165.
4
apu ci s i ha voluto scrivere la storia partendo dall’osservazione dei
personaggi che la animano, sempre attento ai minimi dettagli e alle piccole cose,
perché “è sbagliato scrivere di qualcuno senza averne condiviso almeno un po’ la
vita.”
5
“Non c’è scampo: se si vuole penetrare negli angoli più oscuri, traditori e
intatti di questa terra, bisogna essere pronti a pagarlo con la salute se non con la vita.
Ma così accade per tutte le passioni rischiose… Qualcuno risolve la situazione con
un’esistenza paradossale, vale a dire che appena arrivato in Africa si rintana in un
buon albergo, non esce mai dai quartieri dei bianchi e, anche se da un punto di vista
geografico si trova in Africa, in realtà continua a stare in Europa, in un surrogato
d’Europa a formato ridotto. Si tratta comunque di un espediente indegno di un vero
viaggiatore e impossibile per un corrispondente che deve verificare tutto sulla propria
pelle.”
6
Le “persone cattive non posson o essere dei bravi giornalisti”
7
perché non
capiscono la vita degli altri non volendo condividerne le esperienze. In questo modo
il lavoro giornalistico, l’elaborato finale, non appartiene solamente al singolo autore,
ma alla collettività che gli ha fornito il materiale per scriverlo e a tutti quelli che lo
leggeranno. L’obbligo morale, profondamente sentito da apu ci s i , è quello di
parlare per gli altri, dando voce a chi non può parlare e speranza a quelli che l’hanno
persa.
Dopo l’indipendenza del Ghana nel 1958, il giornalista polacco è andato per
la prima volta in Africa, trovandosi di fronte un continente vasto, dalle infinite
contraddizioni, unito dalla lotta per la libertà contro le potenze coloniali. Egli ha
avuto modo di osservare come le nuove classi dirigenti sorte dai processi di
decolonizzazione non abbiano fatto altro che prendere il posto dei vecchi dominatori
coloniali, con i relativi poteri e intoccabili privilegi, sacrificando le risorse dei
neonati Stati sull’altare degli interessi economici globali. Da quest’emorragia di
ricchezze molti Paesi africani stentano ancora oggi a riprendersi: la lotta era, ed è
rimasta, quella per il potere politico ed economico, in uno scenario di continui colpi
di stato militari, siccità e carestie, che hanno prostrato un intero continente sfinito
dalle guerre civili.
5
R. apu ci s i , Another day of life, originale polacco 1976, traduzione inglese Picador 1987, pag.
66.
6
R. apu ci s i , La prima guerra del football e altre guerre di poveri, op. cit., pag.161.
7
R. apu ci s i , a cura di M. Nadotti, Il cinico non è adatto a questo mestiere. Conversazioni sul
buon giornalismo, op. cit., pag. 38.
5
Tuttavia “il giornalista è sottoposto a molte e diverse pressioni perché scriva
ciò che il suo padrone vuole che egli scriva”,
8
non solo nei Paesi africani dove il
governo esercita un forte controllo sulla stampa, ma in tutti quelli in cui forti interessi
politici determinano se una notizia debba essere divulgata o meno. Spesso le autorità
cercano di controllare i giornalisti stranieri attraverso vari espedienti, facendoli
tenere dalla polizia in stato di fermo, arrestandoli, espellendoli dal Paese in cui si
trovano o rifiutando di concedere loro i visti. Dire la verità comporta spesso
licenziamenti, emarginazione, minacce psicologiche e anche fisiche. La stampa
internazionale risulta così “manipolata”
9
, talvolta attraverso l’omissione di
determinati argomenti. “Si tratta di un’arma fondamentale nella costruzione di
un’opinione pubblica. Se non parliamo di un evento, esso semplicemente non esiste.”
10
Lo scopo delle grandi aziende televisive , a detta di apu ci s i , non è più quello
di far conoscere la verità, attraverso bravi giornalisti che, oltre a dare la descrizione
di un fatto, ne presentino anche tutte le differenti spiegazioni, ma è quello di battere i
concorrenti in una competizione senza esclusione di colpi. Questa lotta ha come
risultato la formazione di un’opinione così distorta da non essere più riconducibile al
mondo circostante, ma ad un mondo artificiale creato ad hoc dai grandi network.
Giornalisti italiani come Luciano Scalettari, Enzo Nucci e Barbara Schiavulli
non hanno mai smesso di raccontare la storia attraverso i suoi protagonisti,
nonostante gli ostacoli e l’opposizione incontrati durante le loro indagini. Per
esempio con i loro articoli hanno contribuito a far luce sui fatti recenti del Sudan, un
Paese che con la sua storia di soprusi, corruzione e guerre civili, può essere
considerato specchio del continente africano. I tre giornalisti hanno parlato di
tematiche importanti, come il problema sanitario, scolastico, i bambini soldato e i
profughi, proprio nel modo in cui apu ci s i auspicava , ovvero attraverso
l’incontro con le persone, con la voce dei poveri e degli emarginati, raccontando
come la pace tardi ancora ad arrivare. “In Africa si fanno nuove guerre per il potere e
per la ricchezza…dopo il crollo del muro di Berlino è come se l’Africa avesse
cessato di esistere…Si tratta di un continente ai margini del pianeta. Negli ultimi
8
Ivi, pag. 58.
9
Ivi, pag. 61.
10
Ivi, pag. 63.
6
dieci anni sono crollati i sostegni intenazionali…L’Africa è stata del tutto
dimenticata.”
11
Tuttavia nuove potenze stanno legando i propri interessi al continente
africano, attraverso forme di dominazione economica: la Cina per esempio ha
cominciato a esportare in Africa prodotti a bassissimo costo, rinforzando
indirettamente anche le relazioni politiche.
I tre giornalisti italiani dimostrano in ogni modo di saper fare del “buon
giornalismo”, una missione che comporta obblighi e profondi sacrifici. “Ogni anno
più di cento giornalisti vengono uccisi e varie centinaia vengono messe in prigione
oppure torturate. In varie parti del mondo si tratta di una professione molto
pericolosa. Chi decide di fare questo lavoro ed è disposto a pagarne il prezzo sulla
propria pelle, con rischio e sofferenza, non può essere cinico.”
12
apu ci s i però
invita a distinguere l’essere cinico dall’essere sc ettico o realista o prudente, che sono
invece qualità necessarie al buon giornalista: a Luciano Scalettari, Enzo Nucci e
Barbara Schiavulli queste doti sicuramente non mancano. Per dirla con le parole del
noto reporter polacco: “Il cinismo è un atteggiamen to inumano, che allontana
automaticamente dal nostro mestiere…Naturalmente qui parliamo solo di grande
giornalismo, che è l’unico di cui valga la pena occuparsi.”
13
11
Ivi, pag. 84.
12
Ivi, pag. 55.
13
Ibidem.
7
1. DUECENTO ANNI DI STORIA ATTRAVERSO
GUERRE CIVILI E INTERESSI DELLE GRANDI
POTENZE
1.1. Dalle occupazioni straniere alla nascita del 54° Stato
africano
Nel 1821 il Sudan fu conquistato dalle truppe di Muhammad ‘Ali, viceré d’Egitto
al servizio dell’impero ottomano.
14
Gli invasori furono subito definiti al-Turks dai
sudanesi e al-Turkiyya il regime a cui il Paese fu sottoposto fino al 1881.
15
Tali
termini successivamente passarono a indicare tutti i membri delle élite militari e di
governo che non avevano origini sudanesi, tra cui gli amministratori britannici.
Probabilmente il principale motivo che spinse gli egiziani alla conquista del Paese
furono gli schiavi necessari nei lavori agricoli e alla formazione di un esercito,
ingenti ricchezze e nuovi sbocchi commerciali.
Quando nel 1838 il viceré d’Egitto giunse in Sudan e verificò che non vi si
trovavano miniere d’oro, l’interesse per le province sudanesi calò drasticamente.
Contemporaneamente dall’Europa arrivarono schiavisti e mercanti che compravano
l’avorio in cambio di perline di vetro colorate, andando a stravolgere lo stile di vita
delle tribù autoctone: scontri armati e razzie di bestiame da parte degli invasori si
fecero sempre più frequenti.
La Chiesa cattolica cominciò a inviare missioni religiose nel Sud del Paese per
evitare che l’Islam, diffuso soprattutto nel Nord, estendesse la propria influenza su lle
tribù meridionali, prevalentemente cristiane. Nel 1846 papa Gregorio XVI creò il
“Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale”, il quale comprendeva anche il Sud
Sudan, affidato poi al parroco veronese Daniele Comboni nel 1871, per
evangelizzare le popolazioni non ancora toccate dall’Islam.
Il governo del chedivé, prima con l’ausilio dell’esploratore britannico Samuel
Baker, poi con quello del generale Charles George Gordon
16
nominato governatore
generale nel 1877, fu esteso alle zone periferiche del Paese. Il Bahr al–Ghazal
divenne provincia dell’Egitto e nel 1874 fu possibile annettere anche il Darfur.
14
I. Panozzo, Il dramma del Sudan specchio dell’Africa, Bologna, EMI, 2000, pag. 221.
15
Ibidem.
16
C. G. Gordon, di religione cristiana, non conosceva l’arabo scritto e neppure la routine
amministrativa.