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INTRODUZIONE.
IL RISCHIO DI FARE IL GIORNALISTA
«I giornalisti sono esseri immondi, che lavorano di notte per spargere i
loro veleni davanti alle case degli uomini onesti». Con questa efficace
immagine il filosofo Kierkegaard
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, divenuto bersaglio di articoli e
caricature sul giornale umoristico “Corsaren”, descriveva tra i suoi pensieri
del Diario tale professione, attraverso una metafora che ben si presta a
figurare il reato per eccellenza, la diffamazione a mezzo stampa, di quella
che è comunemente considerata una vera e propria casta: i giornalisti.
E la Corte di Cassazione, con sentenza del 26 settembre 2012, deve aver
ritenuto che quanto pittorescamente descritto dal filosofo danese non
fosse poi così scevro dalla realtà: rigettando il ricorso proposto dal
giornalista Dr. Alessandro Sallusti, ha, infatti, confermato la pena nei suoi
confronti alla reclusione di un anno e due mesi, oltre alla multa di 5.000
euro, per i reati di diffamazione a mezzo stampa nonché di omesso
controllo sul contenuto dell’articolo diffamatorio, come disposto nel
precedente grado dalla Corte d’Appello di Milano, la quale, invece, aveva
rideterminato la pena della multa di 5.000 euro irrogata dal Tribunale di
Milano.
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Søren Kierkegaard, filosofo e teologo danese, 1813-1855, è considerato il padre dell’esistenzialismo; il
quotidiano Il Corsaren canzonò più volte il filosofo attraverso maligne caricature, mettendo in dubbio la
sincerità del suo cristianesimo e prendendolo in giro per i suoi difetti fisici e la bruttezza; si narra che la gente
cominciò ad irriderlo per la strada, contribuendo allo sviluppo di temi quali la sofferenza, l’isolamento e
l’incomprensione da parte dei contemporanei, che ricorrono con frequenza nei suoi scritti.
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Il fatto è il seguente: il 18 febbraio 2007 viene pubblicato sul quotidiano
nazionale Libero l’articolo di opinione “Il dramma di una tredicenne. Il
Giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita”, ove si riporta la
tragica vicenda di una tredicenne costretta dai genitori e dal Giudice ad
abortire contro la sua volontà, tanto che la ragazza, rimasta traumatizzata
e scioccata dall’evento, avrebbe avuto una reazione tale, da dover essere
urgentemente ricoverata presso il reparto di neuropsichiatria infantile di
Torino, città del misfatto. “Dreyfus”, tale era lo pseudonimo sotto il quale
il giornalista-scrittore aveva deciso di celare la sua identità al grande
pubblico, manifestava tra le righe dell’articolo un netto e tagliente parere
personale, invocando la pena di morte per tutti coloro i quali avevano
concorso all’aborto coattivo, situazione che veniva violentemente
paragonata ai lager nazisti e ai gulag comunisti, in un generale sentimento
di preservazione e protezione verso la gravidanza, a qualunque età essa
avvenga.
Clamorosamente, la notizia riportata da Libero e prima ancora da altri
quotidiani nazionali si era rivelata un colossale falso, tanto è vero che
l’interruzione della gravidanza, certamente autorizzata dal Giudice, era
stata decisa autonomamente dalla minore, nel rispetto della legge 194/78
sull’aborto minorile
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.
2
Con la legge 194/1978 sono venuti a cadere i reati che il Codice Rocco prevedeva come “Delitti contro
l’integrità e la sanità della stirpe”, agli articoli 545-555; la legge in questione consente alla donna di ricorrere
alla interruzione volontaria di gravidanza, prevedendo una particolare disciplina per le minorenni, richiedendo
l’assenso di chi esercita potestà o tutela sulla ragazza; quando non vi sia tale assenso, spetta al Giudice
Tutelare, entro 5 giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della
relazione del medico di fiducia o di struttura socio-sanitaria, dare autorizzazione alla donna, con atto non
soggetto a reclamo, a decidere l’ interruzione della gravidanza.
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Ebbene, il Giudice, seppur non formalmente nominato, riteneva di poter
essere riconosciuto nell’articolo incriminato, e considerata lesa la sua
reputazione, procedeva con una querela per diffamazione a mezzo
stampa. A finire sotto la spada di Damocle, il direttore de il Giornale
Sallusti, con due imputazioni: articoli 595 c.p. e 13 l. 47/1948, per avere,
in qualità di direttore responsabile di Libero e quindi da intendersi autore
dell’articolo redazionale a firma Dreyfus, pseudonimo non identificabile e,
pertanto, a lui riconducibile; articoli 57, 595 c.p. e 13 l.47/1948, perché
quale direttore responsabile del quotidiano ometteva di esercitare sul
contenuto dell’articolo ivi contenuto il controllo necessario ad impedire che
con esso venisse offesa la reputazione del Magistrato
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.
I Giudici della Corte di Cassazione individuano come basi sulle quali
fondare le ragioni della condanna al giornalista la “spiccata capacità a
delinquere” dell’imputato, dimostrata dai precedenti penali, che non
consente l’applicazione di quelle attenuanti che, secondo un complesso
meccanismo giuridico attuato dalle leggi in questione, avrebbe, invece,
lasciato discrezionalità all’organo giudicante nella scelta tra sanzione
detentiva o pecuniaria. Il Giudice di legittimità ritiene, peraltro, che la
gravità del fatto si sia attuata in una illecita strategia di intimidatrice
intolleranza, di discredito sociale, di sanzione morale, diretta contro il
Magistrato, con l’attribuzione a questo di un inesistente ruolo di
protagonista nella procedura dell’aborto e un’immagine di crudele e
disumano giustiziere, meritevole di essere posto nella gogna mediatica
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Cass., 23 ottobre 2012, n. 41249.
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con la qualifica di assassino. La Suprema Corte ritiene, infine, provata la
partecipazione del direttore nella condotta di diffamazione, anche perché il
dolo risulta ulteriormente rafforzato dalla mancata rettifica della notizia
palesemente falsa e diffamatoria, e manca ogni accenno alla volontà di
restituire credito al Magistrato.
Il giornalista intraprende allora una battaglia personale per manifestare il
suo disappunto verso una sentenza che sente iniqua e ingiusta,
contestando fondamentalmente tre punti della sentenza che lo vede
colpevole
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: in primo luogo, il rifiuto di pubblicare la smentita, la quale non
risultava, dagli atti, essere stata richiesta direttamente al quotidiano, ma
piuttosto all’agenzia giornalistica Ansa
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, con la quale Libero non aveva, e
non ha, rapporto diretto; il giornale era venuto a conoscenza della notizia
attraverso la pubblicazione di altre testate, così come della smentita,
quindi se dato di fatto era l’assenza della rettifica, altrettanto lo era la
mancata richiesta del Giudice, perlomeno non in forma diretta a Libero.
Secondo punto che sottolinea Sallusti, la pretesa “campagna di stampa” in
denigrazione dell’operato del Magistrato, che avrebbe pesato sulla gravità
dell’offesa alla sua reputazione, ma tanto l’opinione pubblica quanto il
codice dei giornalisti di certo non definisce “campagna” la pubblicazione di
due articoli, quanti concretamente spesi dal giornale per la vicenda ad
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Ho avuto la possibilità di parlare della discussa sentenza con lo stesso interessato, Dr. Alessandro Sallusti, alla
sede de Il Giornale il 15 novembre 2012, quando la sorte del Direttore era ancora in bilico, tra disegni di legge
in Parlamento e la dichiarata intenzione del giornalista di non voler “cedere” ai meccanismi della Magistratura e
chiedere gli arresti domiciliari.
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L’Agenzia Nazionale Stampa Associata, conosciuta con l’acronimo ANSA, è la principale agenzia di stampa
italiana e la quinta al mondo, fondata a Roma nel 1945; l’ANSA è una cooperativa di 36 soci editori dei
principali quotidiani italiani ed ha lo scopo di raccogliere e trasmettere notizie sui principali avvenimenti italiani
e mondiali. Tra i più famosi soci, il Corriere della Sera, l’Avvenire, Il Resto del Carlino, Il Giornale, La Stampa, Il
Gazzettino, Il Messaggero, La Stampa, Il Sole-24 Ore, L’Unità, il Corriere dello Sport.
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oggetto. Infine, la constatazione della non conoscenza della reale identità
di Dreyfus, cognizione che sarebbe stata facilmente acquisibile in sede di
processo, vista la leggerezza del “gioco” giornalistico per cui era risaputo
che fosse Renato Farina
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a celarsi dietro quello pseudonimo; lacuna
investigativa, che ricade inesorabilmente sul direttore, che deve così
rispondere in qualità di autore dell’articolo. Tra veleni e polemiche, lo
stesso Farina fa appello al pubblico ministero per essere querelato, in
modo da salvare Sallusti dal carcere, arrivando perfino ad auto-
denunciarsi come autore dell’articolo incriminato alla Procura di Milano;
tante parole spese al vento, in quanto l’unico a poter davvero sbloccare la
situazione poteva essere soltanto il Magistrato, a fronte della cui querela
nei confronti del vero “Dreyfus” si sarebbe potuto avviare il processo di
revocazione, visto che la sentenza della Cassazione attribuisce la paternità
dell’articolo al direttore.
Colpevole e “criminale” per la Magistratura, Alessandro Sallusti diventa,
invece, “eroe” da premiare per i colleghi giornalisti, che vedono in lui un
coraggioso foriere del loro diritto di espressione, vittima di una giustizia
“scricchiolante”, alle volte politicamente orientata, ma soprattutto troppo
attenta ai formalismi di una legge vetusta, non curante dell’evoluzione del
sentire sociale, che comincia ad interrogarsi sul reale significato della
parola democrazia nel ventunesimo secolo.
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Renato Farina, politico e scrittore italiano, è stato co-fondatore di Libero insieme a Vittorio Feltri nel 2000; nel
2006 viene sospeso dall’albo dei Giornalisti con l’accusa di aver pubblicato notizie false in cambio di denaro, e
decide di dimettersi egli stesso nel 2007, poco prima della radiazione ufficiale dell’Ordine, contro cui sporge
ricorso. Nel 2011, il provvedimento di radiazione viene annullato, in quanto Farina, al momento della delibera,
si era già dimesso e perciò era già stato cancellato dall’albo; dal 2007, egli ha continuato, tuttavia, a scrivere,
come libero opinionista, per il quotidiano Libero.