«Giornalismo russo: proibito parlare». Il titolo di questo elaborato
suggerisce in modo esplicito il tema trattato: la mancanza di libertà di
espressione nella Repubblica Federale Russa.
Ancora nel 2010, infatti, in molti Paesi del mondo la stampa viene
sottoposta al controllo dei vertici del potere politico, o di quello economico,
i quali tendono a esercitare nuovi e antichi tipi di censura nei confronti della
pubblica informazione. Infatti, sebbene in un mondo che si nutre di
informazioni telematiche appaia difficile poter fermare la divulgazione delle
notizie tramite la vecchia prassi della censura, essa sembra essersi evoluta
per adattarsi al cambiamento dei tempi.
Un ostacolo ancora difficile da superare per tutti coloro che vogliono
controllare il divulgarsi delle informazioni resta internet, mentre per quanto
riguarda le notizie stampate sui giornali, persiste il rischio che queste
vengano analizzate, selezionate per poi essere valutate idonee o, al
contrario, non idonee prima della stampa.
Per questi motivi risulta essenziale prima di tutto soffermarsi
sull’importanza che assume oggi il giornale, come istituzione locale,
prodotto industriale e campo di forze. La complessità dell’attività
giornalistica risiede nel fatto che essa si trova sempre in costante equilibrio
tra due sfere in contrasto tra loro, quella commerciale e quella sociale. Il
giornale viene oggi definito il «Quarto potere», dopo quello legislativo,
esecutivo e giudiziario e riveste un ruolo molto importante nella società
odierna. Dovrebbe essere la finestra aperta sul mondo per antonomasia, ma
in molti Paesi, come in Russia, questa viene sbarrata.
Dopo una breve presentazione relativa al giornale, il secondo
capitolo tratta l’evoluzione dei sistemi mediali russi, mettendoli anche a
confronto con quelli occidentali. Attraverso la ricostruzione del percorso che
essi hanno seguito in Russia è facile comprendere quanto il passato zarista e
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INTRODUZIONE
socialista abbia influito sul processo di modernizzazione e
democratizzazione dei media russi a partire dagli anni Novanta del ‘900.
Infatti, sebbene la politica della glasnost’ introdotta da Gorbačov si fosse
posta degli obiettivi molto importanti per il raggiungimento di un regime
democratico anche in Russia, in questo grande Paese ci si chiede
quotidianamente dove sia finita la libertà di stampa. Tutto ciò è supportato
dai dati raccolti da Reporters Sans Frontières, che pongono la Russia al 153°
posto (persino dopo la Bielorussia) nella classifica dell’indice sulla libertà di
stampa nel mondo, avendo perso 12 posizioni negli ultimi anni. Inoltre,
secondo il rapporto annuale stilato dalla Freedom House, lo status di questo
Paese nei confronti della libertà di stampa è passato da «parzialmente
libero» a «non libero». Questi sono solo alcuni dei dati che mostrano come
il sistema mediatico russo durante la presidenza Putin sia regredito e che
nella Repubblica Federale Russa sia fallito il consolidamento del nascente
sistema democratico dei media. A questi vanno aggiunte le cifre relative agli
omicidi irrisolti di giornalisti e le numerose nuove leggi introdotte dallo
Stato per controllare la stampa.
Per analizzare i media russi è utile sapere che si possono seguire tre
diverse direttive. Il primo approccio ha come scopo quello di concentrarsi
sugli eventi che hanno interessato la Russia nel periodo storico che precede
la politica della glasnost’, soffermandosi in particolare sulla descrizione e
sulla valutazione dei cambiamenti, e sull’analisi delle loro implicazioni per
lo sviluppo politico e sociale del Paese. Il secondo si propone di comparare
l’esperienza russa a quella degli altri Paesi dell’Europa Occidentale e degli
Stati Uniti d’America, per notare le diversità e il carattere «indigeno,
euroasiatico» di questa grande Nazione. L’ultimo approccio parte
dall’esperienza russa per rivalutare o riformulare argomenti riguardo ai
media nelle democrazie industriali avanzate.
Attraverso questa analisi si giunge alla conclusione che esistono
diversi tipi di sistemi mediali-politici vigenti nei diversi Paesi: si riscontrano
importanti differenze non solo tra sistemi di stampa democratici e non
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democratici, ma all’interno di questi ultimi vanno distinti anche i sistemi
totalitari da quelli autoritari e neo-autoritari. Questa classificazione è
necessaria per poter studiare la transizione dei Paesi dell’ex Unione
Sovietica, la maggior parte dei quali sono tutt’ora considerati «non liberi»
sotto il profilo della libertà di stampa (solo Estonia, Lettonia e Lituania
godono dello status di «liberi»).
Per quanto riguarda i sistemi democratici, essi devono permettere
alla popolazione un libero accesso ai media e un alto grado di pluralismo
delle fonti e delle informazioni. Tuttavia è opportuno sottolineare il fatto che
se un sistema viene considerato democratico, ciò non significa che sia privo
di problemi: oggi infatti il pericolo della censura si nasconde spesso anche
nei sistemi mediatici occidentali, dove il potere politico spesso tende a
divulgare notizie approssimative o a nasconderle. Infatti il primo attore a
limitare la libertà di stampa è da sempre lo Stato. Prendendo in
considerazione tutte le diverse sfumature che si possono quindi verificare
all’interno di un sistema che si autodefinisce «democratico», bisogna
analizzare con attenzione l’intero quadro politico, economico e sociale che
vige all’interno di quel dato Paese, per poter infine valutare se si tratti di uno
Stato democratico oppure no.
Nel caso specifico della Russia, se si analizza la situazione da vicino
si nota che l’autonomia di cui godono i media è debole e fragile, perché non
è né istituzionalizzata, né supportata da una magistratura forte, indipendente
e imparziale. Il sistema mediale sotto Putin può quindi essere meglio
compreso in senso «neoautoritario»: tollera il pluralismo dell’informazione,
ma pone dei limiti, in particolar modo nei confronti di questioni di
particolare importanza per il regime, come la sicurezza nazionale e le
elezioni. Per far tacere le critiche lo Stato non ricorre più alla semplice
censura, ma preferisce la pressione economica, leggi espresse in termini
generali che prevedono sanzioni criminali e civili nei confronti dei
giornalisti in merito a diffamazione, azioni contro gli interessi dello Stato,
pericolo per la sicurezza nazionale e per quella del capo dello Stato. In
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particolare questo tipo di sistema tende a controllare le trasmissioni
televisive, ritenute il più importante mezzo di comunicazione, mentre
continua ad esistere un’intensa attività di stampa relativamente autonoma,
accessibile alla popolazione e altamente critica nei confronti del regime.
Gli aspetti peculiari che differenziano la stampa neoautoritaria
caratteristica dell’era di Putin da quella di un sistema democratico sono: le
aree di autonomia, le protezioni legali, il controllo del contenuto e il
pluralismo.
A conclusione di questo capitolo è parso opportuno mettere a
confronto la stampa neoautoritaria attuale russa con quella post-autoritaria,
per evidenziarne più chiaramente analogie e differenze, soprattutto in
termini di autonomia, controllo del contenuto e pluralismo, le quali
mostrano esplicitamente che è avvenuto un cambiamento all’interno del
sistema mediale russo.
Il terzo capitolo si occupa di mettere a confronto le due generazioni
di giornalisti russi: la vecchia, cresciuta sotto il regime sovietico, e la nuova,
sviluppatasi a partire dagli anni Novanta. Ciò che maggiormente le
differenzia è il modo diverso di porsi nei confronti delle notizie e del loro
lavoro: i giornalisti di vecchio stampo vedono nella loro professione un
importante compito sociale da portare a termine attraverso la naturale
collaborazione con le autorità, mentre quelli di nuova formazione sono
orientati verso il ruolo contemporaneo di intrattenimento, e sono al servizio
della verità. La vecchia scuola del giornalismo sovietico è ormai stata
abolita e, al suo posto, se ne è affermata una nuova. Per questo risulta una
questione molto importante indagare se vi sia stato un totale cambiamento
anche all’interno di quelli che sono i valori e gli standard legati all’attività
giornalistica attraverso un confronto tra le pratiche giornalistiche
contemporanee e quelle passate. Questa comparazione mostra che oggi nella
società russa, sebbene la vecchia generazione di giornalisti sia ancora al
servizio della propaganda politica, il giornalismo sta adottando una nuova
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funzione: intrattiene il suo pubblico, promuovendo beni e servizi all’interno
di un mercato che indirizza l’acquirente dove desidera lui.
Ma proprio il giornalismo di nuova generazione, quello che mira alla
rapida divulgazione delle informazioni, risulta purtroppo essere l’ultima
piaga russa. Infatti, secondo degli studi svolti nel 2007, la Russia occupa il
secondo posto al mondo, dopo l’Iraq, per quantitativo di giornalisti «morti
in circostanze misteriose». Ciò che spinge i giovani giornalisti a cercare la
verità a tutti i costi è anche la consapevolezza di avere a che fare con un
pubblico nuovo rispetto all’età sovietica, un pubblico che vuole essere
informato, che vuole sentirsi cittadino del mondo, oltre al cambiamento di
valori avvenuto con il crollo del comunismo. Nella Russia post-sovietica è
così nato un nuovo metodo di fare giornalismo, a metà strada tra
l’esperienza europea e quella socialista, che ha permesso l’espandersi della
moderna malattia mortale che colpisce un gran numero di reporter: il
giornalismo libero e incondizionato della nuova generazione, che insegna la
denuncia creativa, politica e non standardizzata, la cosiddetta publicistika, e
che osserva le regole del gioco dettate dai proprietari dei media.
Il quarto capitolo tratta il tema centrale dell’elaborato: la censura in
Russia, eredità del passato zarista della nazione. Uno dei motivi principali
che hanno permesso la reintroduzione di una censura dall’aspetto legale è la
guerra russa al terrorismo. Questo porta con sé molte conseguenza, come il
ritorno della cosiddetta «autocensura»: non solo il lavoro dei giornalisti
viene controllato prima della stampa, ma sono gli stessi reporters che
giungono a domandarsi di cosa sia lecito scrivere.
Benché possa sembrare assurdo, la censura nasce sulla base del
riconoscimento di quello che dovrebbe essere il ruolo dei mass media:
informare e formare la società nel giusto modo. Il problema nasce quando
l’interesse statale non corrisponde a quello pubblico.
Per capire le cause della censura russa il capitolo analizza il
storico del Paese. La caratteristica peculiare che differenzia la
Russia da tutte le altre Nazioni è la radicata tradizione autoritaria, che
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background
permea tutti gli strati della società, la vita quotidiana, gli usi e i costumi. Per
questo la gente preferisce, piuttosto che essere indipendente, poter contare
su un leader forte, in grado di controllare tutto. Un’altra causa della censura
russa è l’immensa vastità del territorio nazionale, sempre sottoposto
all’attacco delle popolazioni limitrofe.
In ogni caso la censura che passò alla storia come la più efficiente e
subdola non fu quella zarista, bensì quella sovietica: il Partito unico
controllava tutte le classi della società, creando così un sistema in grado di
attuare una sorta di totalitarismo attraverso la trasformazione dell’autorità
delle idee nell’autorità del potere. I media dovevano unicamente sostenere il
regime, essere al suo servizio. Persino la letteratura era sottoposta al
controllo del regime: fu introdotto infatti un nuovo genere letterario, il
Realismo Socialista. Venne persino istituito un organo deputato alle scelte
editoriali, il Goskomizdat.
Con la caduta del comunismo la situazione in Russia cambia: le
riforme hanno i loro effetti, ma i media, sebbene apparentemente appaiono
trasformati e integrati all’interno delle nuove imprese private, offrono
ancora molto poco della cronaca innovativa. Il nuovo segretario del Partito
Gorbačov desidera promuovere il culto della verità, inaugurando così la
politica della glasnost’.
Con l’ascesa al potere di El’cin il controllo statale sulla stampa si
rafforza di nuovo attraverso un nuovo decreto sui mass media che pone sotto
la sua diretta supervisione sia la televisione, sia la stampa.
Ma il colpo cruciale all’autonomia e alla libertà di espressione dei
media arriva nel 2000, con l’elezione di Putin al Cremlino. Da quel
momento in poi anche le trasmissioni televisive sono state oggetto di
censura. Inoltre l’attuale censura non opera solo a livello nazionale, ma
anche internazionale: in tutti i modi si cerca di celare ciò che avviene ad
esempio in territorio ceceno.
L’unico canale per la diffusione dell’informazione di massa che
sembra salvarsi dalla censura è internet.
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Dopo aver analizzato il percorso che la censura ha avuto in Russia, il
quinto capitolo tratta un argomento che molto spesso è sconosciuto o poco
noto: le organizzazioni che si occupano della libertà di stampa. Le principali
sono quattro: il Committee to Protect Journalists (CPJ), Reporters sans
Frontières (RSF), l’International Press Institute (IPI) e la Freedom House.
Questo capitolo ha come scopo quello di presentare i tratti distintivi di
queste organizzazioni, in che cosa consiste il loro lavoro, l’importanza che
ricoprono a livello mondiale nel campo del diritto alla libertà di espressione.
Molto interessante è inoltre visionare alcuni dati raccolti nei rapporti annuali
delle diverse organizzazioni, per poter comprendere meglio quanto al giorno
d’oggi sia ancora un problema molto urgente quello legato alla mancanza di
libertà di stampa.
Nel capitolo vengono illustrate anche delle carte geografiche
realizzate dalle diverse organizzazioni che mostrano chiaramente la
situazione della libertà di stampa nei Paesi di tutto il mondo.
L’ultimo capitolo vuole essere un esempio tra i più eclatanti a
sostegno di quanto trattato in tutto l’elaborato. Il caso di Anna Politkovskaja
è uno dei tanti omicidi perpetrati negli ultimi anni in Russia che può
testimoniare e sostenere la triste realtà dei sistemi mediali russi, ancora oggi
colpiti da una violenta censura. Credo che questo esempio sia il modo più
esplicito e diretto per dimostrare quanto un Paese che si dichiara
democratico non lo sia per nulla.
Dopo una breve biografia relativa alla vita della famosa giornalista
russa assassinata nel 2006, il capitolo intende analizzare la scrittura di Anna,
il suo modus operandi, unica causa della sua morte. Leggendo i suoi
numerosi articoli si percepisce infatti quanto fosse importante per lei
occuparsi della pura e semplice realtà dei fatti, scrivere di ciò che vedeva.
L’unico problema era il luogo dove si trovò a svolgere la sua attività
giornalistica: la Russia. La sua prosa è semplice, schietta, molto pungente.
Non bisogna però dimenticarsi che Anna è solo una delle numerose
vittime della censura russa. I dati mostrano che dal 1992 al 2007 sono 218 in
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tutto i giornalisti russi morti in circostanze non ancora chiarite. Per questo
motivo nel capitolo vengono citati anche altri casi noti in Russia, come
quello di Anastasija Baburova, giovane collaboratrice della Novaja Gazeta.
La maggior parte di questi omicidi sono tutt’oggi rimasti senza un
colpevole, irrisolti.
A conclusione del capitolo vi è un paragrafo interamente dedicato
alla voce italiana di Anna Politkovskaja: Claudia Zonghetti. Grazie alle sue
traduzioni l’Italia ha potuto conoscere gli articoli della famosa giornalista
russa e le verità nascoste in merito alla guerra cecena.
Alla base di questo paragrafo vi è l’incontro che la traduttrice ha
avuto con gli alunni dell’Università Statale di Milano presso la sede di Sesto
San Giovanni. Claudia Zonghetti ritrova nella lingua di Anna l’asprezza e la
spigolosità dei temi trattati. E, sebbene l’oggettività fosse la massima
aspirazione della giornalista, non si può non ammettere che il suo stile
trasmetta una forte partecipazione emotiva.
Riepilogando il contenuto di tutti e sei i capitoli si può facilmente
comprendere quanto sia ancora attuale il problema della libertà di stampa
nel mondo. L’urgenza di trattare questo argomento risiede anche nel fatto
che oggi molti Paesi, pur dichiarandosi democratici, come appunto la
Russia, non lo siano fino in fondo. In un mondo che vuole essere
globalizzato non si può bloccare la divulgazione delle notizie, non si può
bendare la bocca alla verità. Risulta necessario far luce in tutte le società,
perché la censura si nasconde ovunque vi sia un Governo troppo inserito nei
meccanismi non solo politici ma anche economici. Le libertà fondamentali
devono essere garantite a tutti gli esseri umani. Non è ammissibile che dei
giornalisti perdano la vita in circostanze misteriose solo perché decisi a
scrivere la verità e non a celarla. E non è nemmeno accettabile che questi
delitti rimangano impuniti.
Le fonti utilizzate sono state nella maggior parte articoli tratti
dall’«European Journal of Communication» e siti internet italiani o inglesi
dedicati alla libertà di stampa. Non mancano articoli tratti dai siti di
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importanti testate giornalistiche italiane, quali «il Corriere della sera»,
«Repubblica», «Internazionale», «il Manifesto». Per quanto riguarda le fonti
russe, è stato difficile trovare degli articoli che parlassero apertamente del
problema russo legato alla libertà di stampa, e questo mette nuovamente in
rilievo la forza non solo della censura ma anche dell’autocensura all’interno
del popolo russo. Sono pochi infatti i siti russi che trattano di questa piaga
che ancora oggi affligge la nazione. Nella maggior parte dei casi si trovano
fonti russe che trattano la censura nella storia passata della Russia, durante
lo zarismo e l’Unione Sovietica, come se non fosse ancora un problema
attuale. Più facile invece è trovare fonti europee o americane che trattano
questo argomento, ma che comunque hanno insito il punto di vista
occidentale e che non sono a diretto contatto con la realtà russa. Ad esempio
è stata molto utile la consultazione dei siti dell’organizzazione Anna Viva e
di freemedia. In ogni caso le fonti che maggiormente tengono fede alla
realtà, essendo supportate anche da dati statistici, sono quelle relative ai siti
delle organizzazioni per la difesa della libertà di stampa, accessibili a
chiunque tramite il web. Per la stesura dell’ultimo capitolo sono stati
utilizzati anche i libri di Anna Politkovskaja, attraverso i quali si è potuto
forse meglio comprendere la cruda realtà che interessa la Russia degli ultimi
anni, e il motivo per cui lo Stato russo voglia a tutti i costi controllare la
diffusione delle notizie all’interno del suo territorio.
Proprio per questa scarsità di informazioni che ci pervengono
direttamente dalla Russia ritengo che sia importante approfondire il
problema della libertà di stampa non solo in questo Paese, ma in tutto il
mondo, soprattutto in quelle Nazioni che si dichiarano democratiche ma che
nascondono tratti autoritari.
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