anche dei lati più controversi che rischiano di incrinare questa linea di
ragionamento un po’ troppo schematica. Come al solito, le prospettive
troppo semplicistiche tendono ad appiattire la realtà ad una sola delle sue
dimensioni, prendendo ad esempio per buona l’equazione che vede la
riscossa delle iniziative editoriali indipendenti come la materializzazione
di un’intelligenza collettiva reticolare e l’inizio del declino della stampa
di massa e commerciale. Certamente, però, un’analoga lettura superficiale
della realtà permetterebbe di giungere anche alle conclusioni
diametralmente opposte. Potremmo sostenere (dati alla mano) che attorno
alla rete si è rinvigorita la tendenza concentrativa nel mercato
dell’informazione, che i piccoli produttori sono tanto numerosi quanto
insignificanti dal punto di vista finanziario e, più che minacciare le
cattedrali dell’informazione sembrano rendere economicamente più solida
la sua posizione.
Se da queste considerazioni emerge con chiarezza come
l’interdipendenza tra le diverse componenti mediali giustifichi
l’importanza dell’ottica economica nel parlare di giornalismo online,
emerge allo stesso tempo l’esigenza di spendere qualche parola in più
sullo spirito col quale si intraprende l’impresa. Se non ci si limita a
considerare gli aspetti economici in sé stessi e si vuole allargare lo
sguardo a conseguenze di più larga portata sulle evoluzioni del prodotto
giornalistico, si deve essere coscienti della natura parziale del lavoro e si
deve considerare l’ottica economica né più e né meno di un punto di vista
che al tempo stesso semplifica e appiattisce la realtà. Sia d’esempio il caso
degli assetti proprietari che caratterizzano la filiera dell’informazione:
sono argomento interessante in sé e interessante in prospettiva, perché si
può intendere tali assetti come determinanti nella riscrittura delle regole
redazionali e dell’organizzazione del lavoro, perché è un aspetto
indispensabile nel guardare il giornalismo come istituzione sociale o,
ancora, perché da quelle parti si trova – secondo alcuni – uno dei confini
che separa una concezione dell’informazione intesa come semplice merce
da vendere dall’informazione intesa come prodotto sui generis. Una volta
che si siano portate queste argomentazioni alle loro estreme conseguenze
però, ci troveremmo, a mio parere, non ad un punto di arrivo bensì ad un
punto di partenza, dal quale iniziare a indagare come le nostre conclusioni
si compongano ad altre forze di egual peso nel disegnare le dinamiche
mediali e tracciare la direzione del cambiamento.
Per usare termini sociologicamente più avvertiti, potrei dire che
leggere le dinamiche del sistema informativo attraverso la dimensione
economica altro non è che cercare un senso nell’accezione che Luhmann
dà al termine, e cioè una forma di definizione e descrizione del reale
avente la funzione di ridurre l’infinita complessità del mondo attraverso
alcuni criteri di riferimento scelti dall’osservatore.
Chiariti scopi e metodi, è ora il caso di andare a vedere più nello
specifico quali sono gli aspetti di maggiore interesse parlando di economia
dei quotidiani online. Il punto di partenza è ovvio: nel Web cambia la
fonte di remunerazione dell’attività editoriale. Cambia completamente nel
confronto con i giornali cartacei, rispetto ai quali vengono meno gli
introiti da vendita, cambia in maniera più sfumata nel confronto con
l’informazione radiotelevisiva: in sostanza possiamo dire di assistere ad
una parziale ibridazione della logica informativa classica (quella dei
Introduzione
giornali) con alcuni aspetti della logica del broadcasting. Il dato di fondo
resterebbe comunque la capacità della rete di attirare investimenti
pubblicitari più mirati, e di avere una corrispondenza estremamente
precisa sui dati di fruizione e l’interesse suscitato da ogni singolo
argomento. Se questi aspetti coprono una buona metà della questione, e me
ne occuperò nel secondo capitolo, a mio parere non servono ad esaurire
l’argomento: analoga importanza rivestono, infatti, almeno altre tre
questioni. La prima riguarda, come ricordavo poc’anzi, la struttura delle
imprese editoriali ed i loro destino all’interno delle dinamiche economiche
legate ad Internet (capitolo 1). La seconda è relativa alle nuove dinamiche
della concorrenza, sia tra le diverse testate presenti in rete, sia tra i diversi
mezzi di comunicazione che ambiscono ad appagare la richiesta
d’informazione della nostra società. Trasversale rispetto a questi aspetti,
ma di eguale importanza, è il ruolo giocato dal pubblico nel suo ruolo di
consumatore d’informazione (capitolo 3).
Capitolo 1
Il sistema Internet e il settore informativo
1.1 Il sistema Internet: analisi della filiera produttiva e
posizionamento dei produttori di contenuto.
L’offerta informativa rappresenta una piccola parte rispetto al più
ampio settore della produzione dei contenuti per il Web; la produzione di
contenuti, a sua volta, costituisce una sotto-porzione dell’economia della
rete, attualmente non preponderante. Nonostante la posizione dei prodotti
informativi appaia piuttosto defilata all’interno della net economy, è molto
diffusa la sensazione che le conseguenze sul prodotto giornalistico non
saranno egualmente di basso profilo. Una ricostruzione dei meccanismi
economici “profondi” di Internet, ha come principale significato quello di
scoprire le direttrici di questo cambiamento. Internet può essere infatti
usato come indicatore per interpretare la crescente complessità del sistema
mediale.
Un punto di partenza per inquadrare le dinamiche economiche della rete
è il concetto di prodotto sistemico:
Internet può essere analizzato in quanto prodotto sistemico,
costituito cioè da una serie di componenti che, opportunamente
integrate, permettono il funzionamento del sistema complessivo […]
ciascuna componente può essere considerata, a sua volta, il prodotto
offerto da un diverso soggetto economico all’interno di una filiera
(Perretti, 2001, p. 3)
Così Fabrizio Perretti sintetizza la struttura economica di Internet,
individuando quattro componenti principali coordinate in una filiera
produttiva assolutamente sui generis. Il primo anello di questa singolare
“struttura” produttiva ospita le imprese che producono l’hardware di
consumo e le infrastrutture di supporto alla rete di comunicazione. Da
molti punti vista questo livello rappresenta il lato “hard” della new
economy, quello cioè più legato al tradizionale concetto della creazione
(sarebbe meglio dire interpretazione) di nuove domande di consumo
attraverso lo sviluppo tecnologico. La stessa cosa può essere detta per i
produttori di software, che rappresentano il secondo anello della filiera: le
imprese di questi due settori, congiuntamente, sono state assorbite negli
ultimi vent’anni dall’obiettivo di trasformare una tecnologia nata per le
esigenze della ricerca in un oggetto di consumo semplice e fruibile per
“tutti”, che intercettasse domande insoddisfatte di potenziali utenti o ne
creasse di nuove. Se questi due settori rappresentano un presupposto
logico e garantiscono l’evoluzione tecnologica del sistema, non sembrano
rientrare a pieno titolo in Internet inteso come prodotto percepito da parte
degli utenti. Esattamente allo stesso modo in cui, parlando di attività
radiotelevisiva, ci riferiamo più che altro all’attività delle imprese
Capitolo 1 – Il sistema Internet e il settore informativo
editoriali dell’etere piuttosto che ai produttori di apparecchi elettronici,
pensando ad Internet si ha in mente l’attività di creazione e la possibilità
d’accesso alle pagine Web. Il problema è stato acuito dall’indebita
sovrapposizione operata nelle cronache giornalistiche tra l’economia del
digitale e l’universo delle dotcom internettiane.
Il terzo settore implicato nella filiera di Internet è rappresentato dai
gestori delle reti di accesso (ISP) e di connessione (le imprese di
telecomunicazione – Tlc): si tratta di quelle imprese che forniscono
materialmente la connettività e l’accesso per gli utenti finali di Internet.
Anche le dinamiche di questo settore non sembrerebbero poter influire
sull’attività informativa; in realtà, se guardiamo ai movimenti finanziari
alle spalle dell’attività di produzione di contenuti, ci si rende conto che da
queste parti si consumano battaglie cruciali che riguardano il peso e
l’evoluzione della funzione distributiva nei confronti dell’utenza. Le
grandi imprese di Tlc e i più famosi Provider d’accesso alla Rete sono
infatti entrate stabilmente nel gioco delle fusioni e delle acquisizioni che
caratterizza il comparto mediale, con conseguenze ancora in larga parte da
esplorare. In questo modo, seguendo meccanismi che verranno spiegati nei
prossimi paragrafi, la parte bassa di questa filiera diventa cruciale per i
destini dell’intero comparto informativo.
L’ultimo anello, infine, è costituito dall’insieme dei produttori di
contenuto, cioè da coloro che concepiscono e producono gli oggetti
digitali ospitati dai vari computer connessi alla rete. All’interno di questa
definizione rientrano, in pratica, tutte le pagine Web esistenti, dal sito di
commercio elettronico al grande portale, dalle pagine personali ai più
sofisticati motori di ricerca: è dunque necessario distinguere tra le imprese
dotate di competenza editoriale, che commerciano contenuti nel vero senso
del termine, e le aziende che utilizzano la struttura materiale e le
caratteristiche tecniche della rete per erogare servizi o effettuare vendite a
distanza. Allo stesso modo diventa fondamentale distinguere le pagine
create con competenza e con spirito imprenditoriale dalle migliaia di
pagine personali mantenute senza alcun obiettivo di guadagno e con livelli
qualitativi estremamente disparati.
Quattro generi diversi di prodotti, dunque, eppure l’unica etichetta
terminologica di “New Economy”, tanto vaga quanto altisonante, che tende
a sovrapporre l’intero settore alle sorti dei movimenti finanziari alle
spalle. Un’etichetta al di sotto della quale sarebbe il caso di indagare le
dinamiche dei singoli settori cercando di scoprirne punti di forza e
debolezza. Soprattutto cercando di capire perché Internet, fin ora, ha
significato guadagni per i primi tre gruppi di soggetti economici, mentre la
posizione dei fornitori di contenuto (fig. 1), e dei creatori di prodotti
informativi al loro interno, ha offerto ben poche soddisfazioni in fatto di
ritorno economico e mostra un futuro decisamente incerto.