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INTRODUZIONE
Oggetto della presente tesi è stabilire un primo confronto tra il modello psicologico
delineato da Donald Woods Winnicott e il modello filosofico sviluppato da Charles
Sanders Peirce, nell’intento di mostrare come la semiotica e il pragmatismo elaborati
dal filosofo statunitense possano fornire le basi per una rilettura del modello proposto
dal pediatra e psicologo britannico e, al contempo, come la teoria dei fenomeni
transizionali elaborata da quest’ultimo possa fornire una possibile base psicogenetica al
modello filosofico di Peirce.
In quest’ottica si tenterà dunque di dimostrare, nel modo più chiaro e convincente
possibile, come entrambi i modelli tendano a chiarirsi vicendevolmente, ponendosi
correlativamente come la possibile chiave interpretativa l'uno dell’altro, fornendo
strumenti utili alla propria reciproca comprensione. Per questo motivo, la tesi risulterà
sviluppata in due parti.
Nella prima, ripercorrendo le linee di sviluppo della primissima infanzia
tratteggiate da Winnicott, si evidenzierà innanzitutto la relazione di continuità
permessa dall'area di illusione che caratterizza fin da principio la diade madre-
bambino, che si presenta a sua volta come la prima radice dell’esperienza umana. Si
porrà qui l'accento sull’interazione reciproca fra madre e infante o, più in generale, fra
potenziale individuale e ambiente favorente, come condizione per lo sviluppo del
primario senso di essere una identità assoluta, o un oggetto soggettivo, da parte del
bambino. Successivamente si analizzerà la fase di svezzamento come luogo originario
dell'esperienza della frustrazione, esperienza alla base della polarizzazione identitaria
dell’oggetto soggettivo in un me che risponde all'onnipotenza e in un non-me che la
abroga, sopravvivendo all’aggressività e alla pulsione distruttiva infantile. Si vedrà qui
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emergere l'alterità come differenza, come attesa, come esperienza del non. Quindi ci si
concentrerà sulla definizione di possesso come riappropriazione del non-me da parte
del me attraverso l'uso, riappropriazione che determina l'emergere dell'oggetto sullo
sfondo del soggetto e viceversa, nella limitazione dinamica delle rispettive potenze, o
impotenze, attraverso ciò che Winnicott definisce come fenomeni transizionali. Infine
si affronterà la tematica del valore e del significato dell'oggetto, ossia del legame che,
entro uno spazio potenziale, lega il soggetto all'oggetto tramite la continuità-contiguità
sviluppata all’interno della relazione simbolica, che permette di mantenere viva
l'identità primaria individuo-ambiente. Si concluderà quindi riproponendo la tesi
fondamentale di Winnicott circa l’inadeguatezza insita nel tradizionale modello
descrittivo dell’esperienza umana, scissa in una realtà interna e in una realtà esterna,
che deve essere corretta introducendo un’area intermedia identificata come sede
dell’esperienza culturale, mostrando come questa impostazione conduca direttamente a
una visione di stampo pragmatico e semiotico della realtà stessa e a una visione del
gioco come atto eminentemente interpretativo.
Nella seconda parte, ripercorrendo la lista categoriale proposta da Peirce in un suo
celebre e fortunatissimo articolo, si analizzerà innanzitutto il valore sintetico attribuito
dal filosofo alla funzione concettuale, ponendola in relazione alla funzione sintetica
posta alla base dell’Io da Winnicott. Successivamente ci si concentrerà sulla facoltà di
astrazione e sul ruolo attribuito ad essa da Peirce, identificandola come il processo,
interno alla funzione concettuale stessa, deputato allo sviluppo concettuale tramite
l’identificazione della diade soggetto-predicato. Quindi si porrà l’accento sui tre
elementi che l’astrazione, in quanto tale, comporta: in primo luogo, la qualità, ossia il
predicato, inteso come l’elemento astratto dal resto e considerato in sé e per sé nella
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sua Primità, ponendo in relazione questo stesso concetto con quelli espressi da
Winnicott nella descrizione della fase dell’oggetto soggettivo; in secondo luogo, la
relazione, ossia il rinvio che rimanda la qualità stessa, a partire dalla sua particolarità, o
differenza, al proprio altro, ovvero alla sua Secondità rappresentata dal soggetto inteso
quale infinitamente predicabile resto dell’astrazione, ponendo in relazione questo
stesso concetto con quelli espressi da Winnicott nella descrizione della fase dei
fenomeni transizionali; in terzo luogo, la rappresentazione, ossia la considerazione
unitaria degli elementi astratti in relazione fra loro e ai loro resti, rappresentazione che
può darsi solo entro un concetto sintetico che, interpretando queste stesse relazioni, le
rappresenti entro la propria Terzità, ponendo in relazione questo stesso concetto con
quelli espressi da Winnicott tramite la descrizione del suo modello di realtà. Infine si
dimostrerà come l’atto interpretativo, posto alla base della rappresentazione intesa
come luogo di elaborazione e mantenimento della realtà stessa, comportando
intrinsecamente una componente pratica, tenda a convergere con la definizione di gioco
proposta da Winnicott e come il ruolo e la funzione attribuiti da quest’ultimo
all’illusione si presentino ribaditi e confermati in Peirce. Si concluderà quindi
illustrando il concetto di realtà quale esito del processo di semiosi sviluppato da Peirce,
ponendolo in relazione a quello proposto da Winnicott e mostrando l’analogo ruolo
svolto dalla cultura nei rispettivi modelli.
Essendo entrambi gli autori riconosciuti come non sistematici
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, il metodo seguito
nella trattazione sarà quello della citazione diretta dei testi, in funzione delle tematiche
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Come afferma, ad esempio, André Green: «Winnicott was a great thinker – we are all aware of that –
but perhaps he was something of a spontaneous thinker. I mean that thinking for him was deeply bound
up with experience. So, even if his work gives us a lot to think about, he does not provide a true theory
of thinking, such as we find, for instance, in Bion’s work – which, for me, is very close to Winnicott’s»
(Green A., André Green at the Squiggle Foundation, Karnac, London 2000, p. 1). Parimenti, in
riferimento a Peirce, Giovanni Maddalena scrive: «L’interpretazione dell’opera peirciana è stata ed è
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scelte, seguita da un commento volto a istituire e sottolineare i punti di confronto e di
raffronto rinvenibili fra i due modelli, istituendo così progressivamente analogie e
rimandi diretti.
Trattandosi di un primo confronto
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, infine, non sarà possibile rinviare a una
letteratura critica che, fungendo da supporto, possa suffragarlo nello specifico.
soggetta a continue variazioni, che sono legate allo stato di avanzamento della pubblicazione dei
manoscritti. [...] Solo negli anni ’60 compaiono le prime prospettive unitarie di lettura, ma occorre
aspettare la riorganizzazione dei manoscritti per opera di Max Fisch e della sua équipe perché dal caos
delle tematiche affrontate emerga un disegno compiuto [...]» [Peirce C. S., Scritti scelti (a cura di
Giovanni Maddalena), UTET, Torino 2005, p. 10].
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Come ci ricorda Civita, infatti: «[...] Winnicott ha elaborato alcuni concetti e teorie che la comunità
psicoanalitica ha recepito quasi universalmente, al di là delle differenze di orientamento. L’oggetto
transizionale e il falso Sé sono gli esempi principali. Le sue numerose opere disegnano un quadro non
figurativo, un quadro astratto, formato da idee geniali che però è assai difficile ordinare in un sistema
coerente. Forse è questo il motivo per cui, a differenza di Freud, della Klein e di Bion, non esiste, in
psicoanalisi, un orientamento o una scuola che, malgrado la sua grande influenza e il prestigio, abbia
scelto Winnicott come suo padre fondatore. Psicoanalisti e psicoterapeuti dei più diversi indirizzi hanno
liberamente recepito e valorizzato le sue idee rendendole compatibili con i propri modelli» (Civita A.,
Freud e Winnicott, CUEM, Milano 2006, p. 49). Alla luce di questa fondamentale avvertenza, è da
segnalare come André Green faccia esplicito riferimento al pensiero di Peirce in quanto affine alla
propria teoria dei “processi terziari” e come accenni alla possibilità di rileggere i concetti di “spazio
potenziale” e di “sede dell'esperienza culturale” formulati da Winnicott secondo il proprio modello,
fornendo così, indirettamente, una conferma della possibilità di istituire una analogia diretta fra i
pensieri di Peirce e di Winnicott stessi (cfr. Green A., «On Thirdness», in André Green at the Squiggle
Foundation, cit., pp. 39-68). Green, infatti, afferma: «In 1972, I proposed to add to Freud’s description
of primary and secondary processes another type of mental event – which I call the tertiary processes
[...]. The tertiary processes are processes that function as a go-between and link primary and secondary
processes. In analytic work they go back and forth, from fantasy to a set of ideas, or from a rational
association to the remembering of a dream, not to say from a narrative to an inadvertent slip. The silent
work of such processes is what enable the analytic process to progress towards insight. It is also the lack
of such processes, or their impairment, [...] that accounts for the absence of progress of the analysis. A
similar view could also apply to Winnicott’s idea of the inability to play or the lack of a transitional area
in some patients [...]» (Ivi, p. 48). Green sviluppa la propria concezione dei processi terziari a partire da
una critica della concezione diadica del rapporto madre-bambino delineato da Winnicott, introducendo
la figura del padre inteso come “terzo”: «The real problem with the developmental perspective is not the
journey from two to three – from the dyad to the triad – but the transition from the stage of potential
thirdness (when the father is only in the mother’s mind) to effective thirdness when he is perceived as a
distinct object by the child» (Ivi, p. 46). Sulla base di queste osservazioni, Green tenta di sviluppare
ulteriormente la propria concezione in senso teoretico. Egli, infatti, afferma: «My next point is a more
theoretical one. Having considered the triangular relationship – of child, mother, father – the three basic
mechanisms – binding, unbinding, rebinding – and the three categories of primary, secondary, and
tertiary processes, I will now turn to what I consider a main feature of the psychic: its relationship to
language and thought» (Ivi, pp. 48-49). E’ in questo tentativo che egli incontra Peirce: «Peirce’s
semiotic theory is a very complex one, and I do not want to give the impression that I share all of his
ideas, because I am not sure of understanding all of them. One of the most striking findings of Peirce is
his triadic conception of the sign: firstness, secondness, thirdness. Firstness is associated with qualities
of feelings and emotion, secondness with being, and thirdness with generalization such as law, thought
processes, and so on. [...] These ideas, which are expressed for the first time in 1867 and endlessly
enriched up to the end of Peirce’s work, ring a bell to psychoanalyst: firstness is linked with sensation
and affects and secondness with conflict and to some extent with the primary processes; finally,