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Riassunto
Premessa: Il gioco è la dimensione spazio-temporale-oggettuale privilegiata,
all’interno della quale il bambino può esprimere sia la propria dimensione cognitivo-
sociale, che quella emozionale-affettiva (Vecchiato, 2007). Nello stadio del gioco
simbolico il bambino sperimenta e arriva a padroneggiare la manipolazione e la
produzione di immagini mentali (Piaget, 1970) e il piacere della trasformazione e
della finzione prevale sulla necessità di avere oggetti reali o copie del reale
(Ambrosini, Pellegatta, 2012).
Il bambino con deficit visivo riesce ad acquisire forme più complesse di gioco
simbolico solo in età più avanzata rispetto ai coetanei, per la difficoltà ad accedere al
materiale ludico (Brambring, 2004) e mostra difficoltà soprattutto nella sostituzione
combinata di materiali non strutturati (Lewis, Norgate e colleghi; 2000), sviluppando
solo verso la fine dell’età prescolare forme di giochi di ruolo, dove prevale l’aspetto
verbale e si raggiunge la simbolizzazione attraverso similitudini di movimento
invece che con similitudini dell’oggetto stesso (Brambring, 2004).
Obiettivo: Questo progetto di tesi si propone di standardizzare una sequenza ludica
per la descrizione quantitativa e qualitativa delle caratteristiche del gioco simbolico
prodotte dai bambini a sviluppo tipico in età prescolare e di indagare il livello di
gioco prodotto dal bambino con disturbo visivo complesso, attraverso una serie di
facilitatori e di adattamenti della stessa sequenza ludica, che permettono l’accesso al
gioco simbolico con oggetti, anche al bambino disabile.
Materiali e metodi: Il progetto prevede due diversi studi osservazionali descrittivi, il
campione in studio include un gruppo di bambini a sviluppo tipico (300 bambini) e
un gruppo clinico (2 bambini con disturbo visivo complesso), di età compresa tra i 3
e i 6 anni residenti in regione Lombardia.
Viene presentata ai bambini a sviluppo tipico una sequenza ludica con oggetti, che
prevede un momento di osservazione individuale di circa 20 minuti, in cui viene
proposto ai partecipanti un gioco condiviso con piccoli oggetti.
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L’attività di gioco proposta, denominata il Gioco con il mago, è un adattamento del
Test of Pretend Play (ToPP) di Lewis and Bouche (1997) e presenta ai bambini
alcuni oggetti quotidiani, invitandoli a costruire delle proprie cornici creative di
gioco.
Nello studio per l’applicazione del test a soggetti con disturbo visivo complesso ai
bambini disabili viene proposto il Gioco con il mago sia nella sua versione
originale, che attraverso una sequenza facilitata standardizzata.
Le sequenze prodotte dai bambini sono video-registrate in modo da ricostruire a
posteriori e analizzare le caratteristiche procedurali e qualitative proprie del gioco
manifestato.
Risultati: La raccolta di dati su un campione di bambini a sviluppo tipico ha
permesso la standardizzazione della prova del Gioco con il mago , quale strumento
di valutazione delle condotte di gioco simbolico nel bambino in età prescolare,
importante per la pratica clinica del Terapista della neuro e psicomotricità per la
rilevazione di ritardi e/o atipie dei processi di simbolizzazione.
A conferma della letteratura, i bambini con deficit visivo mostrano difficoltà
peculiari di accesso ai materiali ludici e risultano facilitati dall’utilizzo di materiali
multisensoriali adattati, anche se nel campione in studio tali facilitazioni esecutive
del gioco non sembrano sufficienti a permettere ai bambini con disturbo visivo
complesso di raggiungere automaticamente i livelli potenziali attesi per l’età.
Conclusioni: L’intenso lavoro di standardizzazione, prima nei soggetti a sviluppo
tipico e poi nei soggetti con disturbo visivo, ha permesso di tracciare il quadro
evolutivo del gioco simbolico, una “attività magica” e spontanea in cui il bambino
manifesta le sue competenze e il suo essere profondo. La prova realizzata si mostra
come sensibile e valida per cogliere le peculiarità nei diversi momenti evolutivi e per
descrivere eventuali criticità specifiche. Pertanto pensiamo di poter affermare che
siamo riusciti a realizzare una prova funzionale al clinico per l’osservazione del
bambino che gioca e per l’osservazione delle competenze e abilità che il bambino
mette in campo mentre gioca.
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Introduzione
Il gioco dei bambini riesce a colpirci, a volte perché delicato e incantevole, altre
volte violento e chiassoso, spontaneo, ma anche senza senso apparente oppure
disordinatamente percettivo, nel suo imitare azioni ed atteggiamenti degli adulti.
Diversi studiosi dell’inizio del Novecento come Karl Groos, G. Stanley Hall, Herbert
Spencer, Hughlings Jackson hanno preso in considerazione le caratteristiche del
gioco ed hanno proposto una varietà di teorie sullo stesso, giungendo alla nozione di
gioco come attività piacevole, priva di scopi estrinseci, spontanea e volontaria, in cui
è necessario un impegno attivo da parte del giocatore e che ha senz’altro relazioni
sistematiche con tutto ciò che si può definire non-gioco, come la creatività, la
soluzione di problemi, l’apprendimento del linguaggio, l’evoluzione dei ruoli sociali
e parecchi altri fenomeni cognitivi e sociali (Garvey C., 1996).
L’attività ludica sembra da una parte riflettere aspetti caratteristici della cultura che
l’ha generata e, dall’altra, sembra costituire un’occasione per esercitare quei tratti
della vita sociale che il bambino riproduce nel suo gioco, attraverso una sorta di
training di abilità motorie, di competenze professionali o dell’acquisizione e
dell’interiorizzazione di norme e valori sociali (Bondioli A., 1989). Il gioco, proprio
perché attività spontanea e volontaria, si organizza infatti autonomamente, con regole
proprie che si modificano con la crescita del bambino: da una libertà e fantasia
incontrollata egli va verso una forma più regolata, in una funzione simbolica sempre
più vicina e imitativa della realtà (Ambrosini C. & Pellegatta S., 2012).
Per tutti questi motivi l’osservazione delle condotte ludiche dei bambini rappresenta
un analizzatore molto interessante di altri fenomeni strettamente correlati allo
sviluppo infantile (Zaninelli L., 2005).
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Gioco e sviluppo rappresentano due aspetti tra loro strettamente connessi, in quanto
il gioco riflette lo sviluppo psicofisico infantile e, al contempo, contribuisce alla
evoluzione delle diverse competenze del bambino, costituendone un indicatore di
sviluppo (Bondioli D., 1996).
Il gioco è presente infatti, direttamente o indirettamente, in molti strumenti di
osservazione e di valutazione dello sviluppo in ambito clinico ed educativo (Zaninelli
L., 2005), già a partire dalle prime esperienze di valutazione e lo si ritrova per
esempio nelle Scale di Uzgiris e Hunt (Uzgiris e Hunt, 1975) o nelle tavole di
sviluppo di Kuno Beller (Beller, 1995). In tutti questi strumenti le diverse forme di
gioco, che riflettono le nuove abilità acquisite dal bambino, vengono messe in
relazione con il normale sviluppo della crescita, mentre l’assenza di evoluzione del
gioco va a segnalare la possibile esistenza di problemi di sviluppo (Garvey C., 1996).
Sono frequenti in letteratura contributi che analizzano le condotte ludiche di bambini
con disordini del neurosviluppo, in particolare per quanto riguarda i bambini con
Disturbo dello Spettro Autistico che già a due anni mostrano un gioco simbolico
alterato (Jarrold, 2003), con difficoltà soprattutto nell’attribuzione di finte proprietà
agli oggetti e nel giocare in modo simbolico con oggetti immaginari (Libby et all.,
1998).
Nel caso dei bambini con la sindrome di Down, lo sviluppo del gioco invece procede
di pari passo con lo sviluppo linguistico, secondo le normali fasi di evoluzione di un
bambino nella norma, anche se con un ritmo più lento e prolungato per ogni fase
(Beeghly et al., 1990, Cicchetti et al., 1994).
Infine i bambini con deficit visivo mostrano modalità ludiche alterate e ritardi nella
capacità di differenziare le varie modalità ludiche, già in età prescolare (Brambring
M., 2004), impegnandosi in giochi prevalentemente solitari, ripetitivi e poco
differenziati, riferiti al proprio corpo o alla manipolazione indifferenziata di oggetti
(Brambring M., 1994).
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Il gioco, oltre ad essere un indicatore di sviluppo, è, per concludere, anche il fine e il
mezzo privilegiato d’intervento del Terapista della Neuro e Psicomotricità, in quanto
consente di attivare processi di crescita ed evoluzione che sono importantissimi sia
per lo sviluppo del bambino in quanto tale, sia per la relazione che si instaura, si
consolida e si evolve tra il bambino e le persone con le quali gioca (Gargiulo M.L.,
2005). Attraverso un gioco, adeguatamente calibrato e costruito per e con il bambino,
il Terapista riesce a farlo diventare parte attiva del proprio processo di crescita,
promuovendo l’evoluzione di abilità cognitive, manipolative, esplorative,
socioaffettive, linguistiche e relazionali, attraverso esperienze significative vissute in
maniera consapevole (Gargiulo M.L., 2005).
Con questa tesi vogliamo provare a contribuire alla ricerca sul gioco, quale
promotore e indicatore di sviluppo, anche in condizioni di disturbo evolutivo,
attraverso la validazione di uno strumento concreto, utile al Terapista della Neuro e
Psicomotricità, per mappare quantitativamente e qualitativamente, lo sviluppo del
gioco nel bambino in età prescolare, attraverso un’attività ludica, “magica” e
condivisa, propria dell’intervento specifico neuro e psicomotorio.