unione avvenuta nel 1967, sono conosciuti nel mondo artistico
esclusivamente come Gilbert & George.
Diversi sono, come si vedrà, i punti che accomunano Gilbert &
George alla Body Art, ma non si potrà fare a meno di notare anche alcune
sostanziali differenze tra questi due artisti ed i loro contemporanei.
Anche loro, come gli altri, operano nel tentativo di esprimere un disagio
sociale, senza pertanto arrivare a masochistiche estremizzazioni e ad
aspetti tragici e violenti che al contrario caratterizzano buona parte delle
opere dei loro contemporanei. È un versante meno tragico dell’arte, una
romantica esaltazione dei valori del sentimento.
Nello scegliere di abbandonare i propri cognomi è ravvisabile una
sorta di rinuncia alla propria individualità. I due, infatti, non hanno mai
lavorato separatamente, e non esistono artisticamente se non in quanto
coppia, all’interno della quale può risultare non facile distinguere chi dei
due sia Gilbert e chi George.
La scelta del soggetto artistico doppio ha un ulteriore valore, proprio a
testimoniare un’importante caratteristica della sensibilità contemporanea
circa la percezione del sé. Nella società dei consumi l’individuo
percepisce se stesso come un doppio di corpo ed anima slegati e
conseguentemente riuniti come le tessere di un puzzle. Non è un caso,
quindi, che le opere di Gilbert & George siano costituite proprio da
enormi frammenti fotografici ricomposti. C’è anche un motivo tecnico,
ma questo non fa che riconfermare che è proprio la tecnologia a produrre
l’effetto di sdoppiamento e frammentarietà dell’io.
Il sacrificio del proprio io, inteso come singolarità, a favore di un
riconoscimento della persona soltanto come parte di un insieme, è un
evidente richiamo a quello che rappresenta uno dei capisaldi della Body
Art, cioè la perdita di identità.
Gilbert & George dimostrano consapevolezza riguardo tali
problematiche sull’identità con una grande accettazione della modernità,
ma il loro non è certo adattamento ad essa: è piuttosto fuga, elusione,
favoleggiamento. Gilbert & George fanno di tutto perché non esista
alcuna differenza tra ciò che è la loro vita e l’arte. Marionette satiriche al
confine tra l’umano e il disumano, fingono di ignorare la loro condizione
di superstiti solo per combatterla meglio. È questa sfida perduta in
partenza che dà al loro operare un colore di dramma, nel costruirne la
principale trama. Un materiale che potrebbe essere di cabaret, ossia di
basso rango rispetto all’arte “colta”, si trova sottoposto ad un trattamento
intenzionato secondo una strategia avanguardistica. E la tristezza
clownesca, nella quale confluiscono tratti chapliniani, rispecchia la
precaria ma ostinata condizione di esseri uomini.
Sotto un certo aspetto Gilbert & George sono i frutti di quella
tradizione britannica che, con uno humor sommesso e garbato, raggiunge
una visione ironica tanto più insinuante quanto più la patina esteriore
sembra conformistica. Sempre overdresses, perfettamente messi a punto
nella loro eleganza fintamente casuale, fatta di abiti fin de siècle,
trascorrono la loro giornata umana come se niente fosse.
Disegnano, prendono il tè, mangiano, danzano, amano, scrivono,
intrattengono rapporti con il prossimo, con quell’impassibilità
anglosassone suggellata sui volti, con i movimenti impostati in maniera
tremendamente seria e buffa (proprio come quella cosa che si chiama
rispettabilità), in una perpetua sorveglianza di loro stessi, così come il
temperamento anglosassone impone.
Nei seguenti tre capitoli verrà analizzato in ordine cronologico tutto il
loro percorso artistico, dal momento del loro incontro avvenuto nel 1967
alla St. Martin School of Art di Londra, fino a quelle che sono le più
recenti evoluzioni delle loro opere. Sarà sottolineato il passaggio delle
loro creazioni attraverso diverse fasi, partendo dall’utilizzo esclusivo
della propria persona come opera e mezzo d’arte, passando all’uso di
tecniche a carboncino per la creazione di temi che riproducono la natura
delle metropoli contemporanee, fino ad arrivare all’utilizzo, sempre più
specializzato, della fotografia e del colore.
CAPITOLO I
GLI ANNI ’70
1.1. 1967: L’ANNO DEL SODALIZIO
Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio del decennio successivo prende
forma uno dei più affascinanti fenomeni artistici della
contemporaneità: il connubio estetico di Gilbert & George.
Gilbert è nato a San Martino sulle Dolomiti nel 1943. George
viene da Devon, Inghilterra del Nord, classe 1942. Nel 1967 si
incontrano alla St. Martin School of Art di Londra, attirati entrambi
dalla notorietà di alcuni dei docenti (Anthony Caro, Philip King,
Tucker). Già dal ’68 realizzano insieme i primi lavori, quasi
casualmente, come avviene per il “saggio” di fine anno accademico
Snow Show.
Nell’intervista di Martin Gayford, Gilbert spiega: “Stendemmo
dell’intonaco sul pavimento per farlo tutto bianco come neve, poi
mettemmo gli oggetti. Alla fine chiudemmo l’ingresso con del
plexiglas, in modo che si potesse guardare soltanto attraverso quello
schermo. E quando si guardava, si vedevano tutti quegli oggetti in un
paesaggio innevato, e tutto quel paesaggio di Londra si poteva vedere
anche dalla finestra di fronte”.
“La finestra dall’altra parte – aggiunge George – lo incorniciava
come un quadro sulla parete. Come i nostri quadri di oggi, in un certo
senso; dato che non ci si poteva spostare molto lontano, era come
un’immagine fissa.”
1
Sempre nel ’68, al Frank’s Sandwich Bar di Londra, realizzano
Three Works/Three Works, altri oggetti scultura, tra i quali un calco
del loro volto appoggiato ai tavolini.
La loro prima mostra in una galleria si chiamava Christmas Slide
Show, e consisteva nella proiezione di quaranta decorazioni natalizie a
forma di slitta, alternate con immagini di auguri per le feste, visibili
soltanto dalla strada durante le vacanze.
La scelta dei luoghi dove esporre e la tipologia dei lavori,
denunciano ben chiaro l’intento di fare una scultura, e di essere
scultori, in modo alquanto differente dai maestri della St. Martin.
Nello stesso periodo tennero una mostra in uno stabilimento dove
si confezionavano carni sulla Bethnal Green Road, per le persone che
ci lavoravano. Tutti i dipendenti ricevettero un invito quando
arrivarono al lavoro alle 7:30, poi i due artisti allestirono una mostra
nella mensa e, alla stazione di Liverpool Street, distribuirono volantini
ai passanti perché andassero a vederla.
Tuttavia, nonostante le apparenze possano indicare il medesimo
interesse che nutre il variegato gruppo Fluxus per il lato occasionale,
quotidiano della vita, per Gilbert & George non si tratta di annullare
1
M. Gayford, “Intervista”, in Gilbert & George, a cura di D. Eccher, ed. Charta, catalogo mostra
Galleria d’Arte Moderna, Bologna 1996, pp. 38, 52.
l’arte nella vita ma, al contrario, di assumere la vita, tutta, alla dignità
dell’arte.
Gilbert: “In Europa c’era un certo movimento Fluxus, che non ci
piaceva perché sembrava che si basasse sulla sporcizia. Era una
porcheria. C’erano happening sperimentali, che erano un po’ più
simili a Fluxus. Ma noi li odiavamo, perché volevamo fare solo
sculture statiche.”
George: “Volevamo essere ordinati, puliti e bravi, non eliminare il
novanta per cento del pubblico. La maggior parte di quelli che
andavano ad una cosa di Fluxus rimaneva offesa e se ne andava.”
2
1.2. LA TRISTEZZA NELLA NOSTRA ARTE
THE SADNESS IN OUR ART
The Ritz we never sigh for, the Carlton they can keep,
There’s the only place we know and that is where we sleep
Underneath the arches we dream our dreams away
Underneath the arches on cobblestones we lay
Every night you’ll find us tired out and worn
Happy when the day-light comes creeping, heralding the down
Sleeping when its raining and sleeping when its fine
We hear train rattling by above
2
Ivi, p. 70
Pavement is our pillow no where we stray
Underneath the arches we dream our dreams away.
Queste sono le parole di Underneath the Arches, di Flanagan e
Allan, un gruppo di music hall inglese. Nella loro prima scultura
vivente, che pochi mesi dopo prenderà lo stesso titolo della canzone,
Gilbert & George cantarono a lungo questa melodia, accompagnati da
un mangianastri. Questo accadeva nel 1969, quando erano ancora
studenti alla St. Martin. Dopo di allora, hanno eseguito questo pezzo
– o meglio, lo hanno vissuto – più di due dozzine di volte, in
Inghilterra, Europa, America e Australia. Di solito appaiono su di una
piattaforma, nei loro vestiti ordinatamente appuntati ed abbottonati, e
con i polsini un po’ più alti. I volti ricoperti sempre da una patina
metallizzata. Uno di loro porta un guanto, l’altro un bastone.
Cantando ed abbozzando una specie di gesti meccanici in aria,
arrivano alla fine della canzone, ed una volta Gilbert e la volta dopo
George, scendono giù dalla piattaforma per mandare indietro la
cassetta, ancora con movimenti rigidamente “statuari”, mentre l’altro
aspetta immobile che Underneath the Arches cominci di nuovo. Fatto
questo, entrambe le living sculptures sono sul tavolo, e si scambiano il
guanto e il bastone, dunque invertendo il ruolo della polarità maschile
e femminile.
Per Gilbert & George fare arte è un dovere. Fare arte è il loro
fardello, portato sulle spalle con piacere, sebbene alcune volte in
maniera estremamente dolorosa. Come loro dicono in A day in the life
of Gilbert & George (1971) : “Essere sculture viventi è il nostro
sangue vitale, il nostro destino, il nostro romanzo, il nostro disastro, la
nostra luce e la nostra vita.” A volte il “patto” è difficile,
specialmente quando richiede di stare in piedi ad aspettare, come fece
George in Posing on Stairs, una living sculpture che presentarono allo
Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1969: mentre George si poggiava
su un corrimano, Gilbert sedeva su uno scalino; ognuno era in
“completo controllo”, per citare la prima legge di The Laws of
Sculptores, che crearono nel 1968, senza muoversi per le intere
cinque ore di lavoro.
“Laws of Sculptores: 1. essere sempre vestiti elegantemente,
amichevolmente rilassati ed in completo controllo; 2. far sì che il
mondo creda in loro e fargli pagare caro questo privilegio; 3. non
alterarsi mai; 4. non abbandonare a lungo il proprio ruolo di
scultore.”
3
Posing on Stairs è un peso, sopportato però solo dagli artisti, in
quanto il pubblico ha il diritto di andare e venire, o di stare a guardare
e, mentre guarda, di spostarsi da un piede all’altro. Con questo
3
Ivi, p.212
Gilbert & George ricordano al pubblico l’ordinaria libertà di
movimento che esso possiede, ispirando forse alcuni spettatori a
giudicare il valore di questo bene. In Posing on Stairs le living
sculptures indossavano completi vecchio stile, sobrie cravatte, camicie
bianche e scarpe lucide. Così erano vestiti anche per la loro prima
apparizione in pubblico, un anno e mezzo prima. Così vestono ora, le
facce rasate ed i capelli accuratamente tagliati. Alcune volte una
polvere luccicante color bronzo occupa le parti esposte della loro
pelle.
Conformemente alla loro prima legge, sono sempre gentili, rilassati
e cortesi, eppure, quando posavano sulle scale di Amsterdam, non
potevano esserlo in alcun modo: l’opera in sé non lo permetteva. La
forma di Posing on Stairs era così rigida che infatti non permetteva
agli artisti di parlare ai visitatori, a differenza delle Singing Sculpture,
Underneath the Arches, che dava loro un break per il caffè.
A dimostrare l’estrema coerenza degli artisti nell’affrontare la loro
performance, abbiamo la testimonianza dello scrittore e cantante jazz
George Melly il quale invano, avvicinatosi in punta di piedi
all’ambiente sopraelevato di una galleria, dove Gilbert & George
facevano all’epoca la Singing Sculptures, cercò di coglierli in un
momento di relax: ma i due artisti erano fermamente determinati a
restare in posa tutto il giorno, per otto ore, e immaginavano
comunque che qualcuno ci avrebbe provato.
Una volta presentarono una “passeggiata pubblica” durante un
concerto pop ad Hyde Park a Londra. Mentre le living sculptures
andavano in giro, la folla mandava loro commenti di ogni tipo, e
chiesero anche consigli per casi estremamente personali. Gilbert &
George non risposero. Non fu cattiva educazione. Fu una necessità
data dalla loro “condizione metallizzata”. Con i visi bronzei e brillanti,
i due artisti non erano certo nella condizione di instaurare discussioni
col pubblico. Dal loro aspetto, manchevole di difetti, non viene fuori
alcuna intimità che possa permetterci di dare un breve sguardo al loro
mondo interiore.
4
1.3. CHE SIGNIFICA LA NOSTRA ARTE
Dall’inizio della loro carriera Gilbert & George rifiutarono di
ritirarsi, alla maniera modernista, in forme e significati specializzati.
Dicono: “Vogliamo rendere [la nostra arte] più disponibile, in modo
che ognuno potrà capire”.
4
C. Ratcliff, Gilbert & George and Modern Life 1968-1980, catalogo mostra Eindhoven 1980,p.7