II
Ci vorrebbe un fine scrittore per descrivere tutte le emozioni che provai in
quei momenti. Gli occhi di quegli uomini – alcuni erano ragazzi come me – mi
guardavano in modo strano, come volessero esprimere dei concetti difficili a dirsi
a voce, in una lingua che non conoscevano. Io facevo fatica a capire tutto.
Appena chiesi di loro, chi fossero e cosa facessero, mi indicarono “il professore”,
l’uomo anziano dai modi gentili. Non ci volle molto a capire che si trattava di un
vero professore, che la vita aveva portato in Italia chissà per quali vie. Mentre
presi a discutere, tutti gli altri fecero capannello intorno a lui, come un aureola di
uomini attorno alla sua nuca. L’uomo mi mostrò i vari documenti che
certificavano le sue qualifiche, ma presto si instaurò tra noi il rapporto che può
esserci tra un giovane ventenne ed un anziano professore. Io evidenziavo un
sincero interesse, ma anche una profonda ignoranza su tutto quello che era stato
il fenomeno coloniale e le sue conseguenze. Non ricordo esattamente cosa pensai
quella sera. Di certo, se quell’uomo, che aveva studiato una vita ora passava le sue
ora notturne in una stanzetta tra birre e sigarette, qualcosa non aveva funzionato.
Avvertivo istintivamente un profondo squilibrio, in una parola: un’ingiustizia.
Qualcosa di più preciso però mi rimase di quella sera. Un bigliettino su cui
“il professore” mi aveva indicato dei testi da consultare. Il primo della lista era:
“Frantz Fanon, I dannati della terra”
Non so dire esattamente quanto quell’avvenimento abbia potuto
condizionare il mio modo di essere. Di certo, i temi della colonizzazione e della
decolonizzazione sono entrati con forza e precisione tra gli argomenti del mio
pensare. Oggi più che mai, mi rendo conto di quanto sia importante avere una
conoscenza più profonda degli ultimi secoli di storia, e di quanto, i maggiori
problemi sorti intorno al vivere civile nelle moderne società “globali”, siano legati
all’ignoranza o alla mancanza di volontà di conoscere realtà, che solo
apparentemente sono lontane da noi “occidentali”.
Il presente studio prende vita proprio dallo sforzo di comprendere un
anello della lunga collana che è stato il momento coloniale, e la fase successiva
determinata dalla voglia di spezzare quella collana ormai fattasi catena.
III
Ho scelto di occuparmi della Libia di Gheddafi perché mi dava la
possibilità di affrontare diversi aspetti intorno all’argomento.
Gheddafi e il mondo arabo, vuol essere infatti, non uno studio monografico
sul leader libico, ma un tentativo di inquadrare il fenomeno della Libia
rivoluzionaria in generale e la politica di Gheddafi in particolare, nel contesto più
ampio della colonizzazione e decolonizzazione dei popoli arabi.
Lo studio si divide in due parti. La prima, “La nascita del movimento
nazionale arabo”, composta di due capitoli, traccia le sue linee generali nel
contesto più ampio della colonizzazione europea del mondo arabo, dal crollo
dell’Impero ottomano alla seconda guerra mondiale, sino alla sfida che Nasser,
nel secondo dopoguerra lancia all’egemonia coloniale nel segno del panarabismo
e dell’anticolonialismo.
La seconda parte, “La sfida libica”, è composta anch’essa di due capitoli.
Nel primo si affrontano i tratti salienti del regime di re Idris, di come si sia giunti
alla Rivoluzione del ’69 e dei valori su cui s’è costruito il nuovo regime. Tra quei
valori, il panarabismo, in qualità di forza antagonista al modello coloniale, ha
assunto nella politica libica un ruolo portante. Il secondo capitolo è quindi
dedicato all’analisi della politica panaraba di Gheddafi, e alla sua vana ricerca di
costruire la grande Nazione Araba nel corso di un ventennio sino al ridefinirsi
degli equilibri internazionali alla fine degli anni ’80.
Lo studio si conclude con l’embargo votato contro la Libia dal Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite il 15 Aprile 1992; evento che, se da un lato ha
decretato il fallimento della sua politica panaraba, dall’altro ha aperto a Gheddafi
nuove prospettive, che lo “inviteranno” di fatto all’attuale scelta panafricana.
Per quanto concerne l’ultimo decennio di attività politica del regime libico,
il suo graduale reinserimento sulla scena internazionale e le importanti evoluzioni
nel contesto africano, è possibile consultare in appendice una dettagliata
cronologia dei maggiori avvenimenti accaduti sino ai giorni d’oggi.
GHEDDAFI E IL MONDO ARABO
PARTE PRIMA
La nascita del movimento nazionale arabo
3
CAPITOLO PRIMO
La rinascita araba
“Tagliate le loro radici culturali, essi brancolano
nelle tenebre, e rimangono nelle menzogne. Si
contentano di una timida vernice di civiltà
occidentale, ed accettano la dominazione
straniera che considerano un fatto compiuto, e
l’opportunità di un destino favorevole.”
Muhammad al-Muwaylihi, La storia di ‘Isa B.
Hisham (1906)
1.1 L’incontro con l’Occidente
Molti problemi del mondo arabo derivano dalla compresenza di diversi e
talvolta conflittuali criteri di identità. L’identità islamica, di tipo religioso, e
l’identità araba, di tipo etnico-culturale, ne rappresentano le due forme identitarie
tradizionali. Solo nel corso del XIX e XX secolo si sono sviluppate accanto a
queste, altre fonti generali di fedeltà politica, quali il patriottismo e il
nazionalismo
1
.
Forme di identità più ristrette, ma importantissime eredità del passato,
sono quelle che definiremo, in mancanza di un termine più adeguato, ‘locali’. In
questo caso il vincolo può essere di natura etnica (una tribù o una comunità
relativamente piccola tenuta insieme dalla discendenza comune dei membri),
religiosa o regionale (associata ad un determinato territorio). Questi legami di
1
Come osserva Bernard Lewis, nel linguaggio comune delle popolazioni medio-orientali, termini
quali ‘nazione’ e ‘paese’, sebbene diffusi, non rappresentavano ancora concetti in grado di determinare
l’identità e la fedeltà politica. Queste erano legate a fonti più antiche e più profonde quali l’Islam e
l’arabismo tradizionale. Cfr. Bernard Lewis, La rinascita islamica, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 101-102;
dello stesso autore, La costruzione del Medio Oriente, Edizioni Laterza, Bari 2003, pp. 93-98; Il linguaggio
politico dell’Islam, Laterza, Bari 1991, pp. 46-49.
4
fiducia primaria sono sempre presenti nel tessuto sociale, pronti a manifestare i
propri effetti qualora si indeboliscano i criteri di identità superiori
2
.
L’arabismo, come sinonimo di nazionalismo arabo, ha avuto modo di
prender forma soprattutto nel passaggio dal XIX al XX secolo in reazione al
panturchismo
3
, stimolato dalla dominazione e dal rapporto con la cultura europea
coloniale, imbevuta di nazionalismo
4
. Bernard Lewis nel sottolineare il carattere
laico del primo nazionalismo arabo ci ricorda che “ fin dall’inizio i cristiani di
lingua araba svolsero un ruolo importante tra i militanti, gli ideologi e i dirigenti
di questo nazionalismo
5
”, essendo questi ovviamente attratti da un’identità
nazionale politica piuttosto che da una religiosa
6
. Solo in un secondo momento il
movimento nazionalista ha assunto un carattere più religioso a discapito degli
arabi non musulmani e del loro ruolo nella società
7
.
2
Cfr.: Khaled Fouad Allam, L’Islam globale, Rizzoli, Milano 2002, p. 143-150
3
“Esattamente come il panslavismo aveva suscitato nell’impero russo una reazione panturca tra i
popoli soggetti parlanti lingue turche, così il panturchismo trapiantato dall’impero russo a quello
ottomano contribuì a far nascere un sentimento nazionale arabo tra quegli ottomani che erano
musulmani, ma non turchi” . Bernard Lewis, La costruzione del Medio Oriente, cit. p.107
4
“ Questo nazionalismo è un’invenzione. Lo Stato-nazione è un’invenzione occidentale, una
fissazione occidentale che ci è stata imposta, che abbiamo ereditato dal colonialismo. Si, certo, c’erano dei
particolarismi anche prima del colonialismo, particolarismi ereditati dalla nostra storia. [...] L’Islam non ha
cercato di distruggere questi legami tribali o familiari, al contrario se n’è servito come di una sovrastruttura
atta a sorreggere una nuova struttura [...] sui particolarismi che si è trovato davanti, il colonialismo ha
sovraimposto Stati-nazione mal delimitati, mal definiti.” Abd as-Salam Yasin (islamista marocchino),
intervistato da F. Burgat nell’ottobre 1987. Fronçois Burgat, Il fondamentalismo islamico, SEI, Torino, 1995,
p.37. Titolo originale dell’opera: L’islamisme au Maghreb, Editions Karthala, 1988.
5
Bernard Lewis, La rinascita islamica, cit. p. 309
6
“Non sorprende che essi fossero in larga misura arabi cristiani del Libano, che nessuna
solidarietà religiosa legava ai turchi”, Maxime Rodinson, Israele e il rifiuto arabo. Settantacinque anni di storia.
Einaudi, Torino 1969, p.23. Sulla nascita del nazionalismo arabo si veda : Ira M. Lapidus, Storia delle società
islamiche. III, I popoli musulmani, Einaudi, Torino 1995, pp. 97-103.
7
“[Cercar di comprendere l’arabismo senza l’Islam – nota Michelangelo Guidi – è vano, è utopia
o astrazione che può nascere anche nella mente di un arabo d’oggi, sensibile al razionalismo moderno, ma
non trova alcuna eco nella vita]. Ciò è esatto, se si pensa che è stato l’Islam il primo elemento unificatore
degli arabi, e che la religione musulmana è anzitutto la religione degli arabi. Storicamente però è indubbio
che la rinascita dell’arabismo coincise col superamento della pregiudiziale religiosa. Il fattore nazionale
superò la questione religiosa. Una maggiore coscienza religiosa può aver facilitato un più vigoroso
sentimento nazionale, ma sul terreno politico i nazionalisti arabi hanno tenuto a scindere arabismo e islam.
Quel razionalismo, criticato da Guidi, fu la forza dell’arabismo” Francesco Cataluccio, Storia del
nazionalismo arabo, Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano 1939, pp.25-26. Su questo tema si
veda anche: Khalidi Rashid, The Origins of Arab Nationalism, New York, Columbia Univ. Press, 1991
5
Come noto, dopo lo splendore dell’espansione araba, i secoli XV e XVI
videro, parallelamente al prorompere del Rinascimento europeo, il tracollo
dell’Arabismo storico. La conquista ottomana coincise per gli Arabi con il più
sterile e triste periodo della loro storia, il loro vero Medioevo. Indubbiamente la
comunanza di fede tra dominatori e dominati contribuì a rendere a quest’ultimi
più sopportabile il dominio straniero, e prima che avvenisse l’impatto con le idee
politiche provenienti dall’Europa, i sudditi arabi dell’impero ottomano, pur
consapevoli della propria distinta identità linguistica e culturale, non avevano
alcuna concezione di uno Stato arabo distinto, né una concreta volontà di
separarsi dai turchi. Come ci riporta uno dei più insigni arabisti italiani, Francesco
Gabrieli: “Il sentimento nazionale languì in tutto il mondo arabo per quei secoli
di avvilimento, e solo inconsciamente lampeggiò nell’opera di qualcuno fra ribelli
e avventurieri, spinti soprattutto dall’ambizione, da privati rancori, da sete di
potere e di ricchezza”
8
. Come accennato il senso moderno della nazionalità ed i
connessi ideali di libertà e indipendenza saranno appresi da quell’Occidente che
glieli avrebbe “inoculati, anche attraverso un tentativo di egemonia e di
sopraffazione violenta”
9
.
E’ opinione corrente considerare la spedizione napoleonica come il
segnale che ridestò ai piedi delle Piramidi il mondo arabo
10
, immerso fino allora
nel suo sonno medievale ottomano.
11
Era la prima incursione su vasta scala, dai
tempi delle Crociate, di una potenza europea in un paese nel cuore del mondo
musulmano, e il primo incontro dei suoi abitanti con un nuovo genere di potenza
8
Francesco Gabrieli, Il risorgimento arabo, Einaudi , Torino 1958, p.28
9
Ivi, p. 29
10
“Con la spedizione francese si squarciò la cortina di ferro che i Mongoli avevano fatto calare
su di noi, nuove idee si fecero strada e nuovi orizzonti si dischiusero ai nostri sguardi”. Gamal Abdel
Nasser, La filosofia della rivoluzione, p. 38
11
Per un approfondimento del significato della spedizione francese in Egitto si vedano: D.
Vivant-Denon, Abdel Rahman El-Gabarti, Sur l’expédition de Bonaparte en Egypte, Actes Sud, 1998. In
italiano, Bonaparte in Egitto. Due cronache tra illuminismo e islam, Manifestolibri, Roma 2001; Edward W. Said,
Orientalism, Pantheon Books, New York 1978. Trad. it., Orientalismo, Feltrinelli, Milano 2001.
6
militare e con la rivalità tra i grandi stati europei
12
. Tuttavia ancora si era lontani
da quel risveglio arabo che da più parti ci si attendeva e l’Europa si avviava
proprio allora verso l’apice della parabola coloniale: un misto di idealistica
convinzione sulla missione civilizzatrice del bianco, con assai meno idealistici
interessi politico-economici
13
.
Sebbene vi si possano trovare i prodromi, parlare di un vero e proprio
inizio del nazionalismo arabo in relazione alla riforma di Mohammed ibn ‘Abd al-
Wahhab (1703-1793) nella penisola arabica, o in riferimento al grandioso
tentativo di modernizzazione in Egitto di Muhammad ‘Ali
14
(come in parte faceva
nella sua opera The Arab Awakening
15
il palestinese George Antonius), appare
perlomeno prematuro. Nel mentre la riforma wahhabita
16
fu in realtà un tentativo
12
Cfr. Albert Hourani, Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai nostri giorni. Mondadori, Milano 1998,
p.265
13
Nel 1869, su iniziativa francese verrà aperto il Canale di Suez. Il fatto “accrebbe l’importanza
imperiale dell’Egitto sotto l’aspetto strategico non meno che sotto l’aspetto economico, e l’Inghilterra
divenne l’utente di gran lunga maggiore del canale.” René Albrecht-Carrié, Storia diplomatica d’Europa 1815-
1968, Laterza, 1978, p. 211
14
Questo militare balcanico, di origine macedone, divenuto pascià di Egitto nel 1804, quasi riuscì
nel tentativo di rendere l’Egitto una potenza economica e militare nella prima metà del XIX secolo. Dopo
aver eliminato senza pietà la resistenza mamelucca sopravvissuta alla sconfitta contro Napoleone e dopo
aver respinto un tentativo britannico di prendere il controllo dell’Egitto, si dedicò alla realizzazione del
suo progetto di dominio adottando metodi europei nell’organizzazione dell’esercito, del governo e
dell’economia. Repressa la rivolta saudita-wahhabita nella penisola arabica (1808-14) e l’insurrezione in
Grecia al servizio del sultano, arriverà per mano del figlio Ibrahim ad impossessarsi della Siria (1831-32)
contro l’esercito ottomano stesso. Solo l’intervento delle potenze europee e diversi anni di guerra fecero
cedere ‘Ali, il quale ritirandosi anche dalla Siria otteneva come unica consolazione il titolo di pascià
ereditario d’Egitto (1840-41) sempre sotto l’alta sovranità del Sultano di Costantinopoli.
15
L’autore, che pubblica il testo nel 1938, nel descrivere l’evoluzione del concetto di nazione
araba nell’era moderna vede nell’azione di ‘Ali “the first occasion in modern times on wich the idea of an Arab
empire had presented itself as a problem in world politics, and on that occasion, at any rate, England’s hand was against it”
George Antonius, The Arab Awakening. The story of the Arab National Movement, Hamish Hamilton, London,
1955, p.32. La tesi, esposta nel secondo capitolo intitolato “La falsa partenza” ( A false Start ), sostiene che
se Ibrahim fosse sopravvissuto al padre, e le potenze europee non si fossero alleate contro di lui, un
nuovo impero arabo avrebbe potuto sostituire gli Ottomani nel ruolo di potenza mondiale islamica. Si
veda anche: Mahmoud Hussein, Versante sud della libertà, Manifestolibri, Roma 1994, pp. 29-31. Titolo
originale: Versant Sud de la liberté, La Découverte, Paris 1993.
16
‘Abd al-Wahhab trovò rifugio presso Muhammad ibn Saud, un capo beduino del Najad, la
parte centrale e desertica della penisola arabica. La predicazione di al-Wahhab insieme con le capacità
militari di ibn Saud unificarono le tribù dell’Arabia centrale portando una grande minaccia all’Impero
Ottomano sino ad Aleppo in Siria. La morte di Saud sotto le mura di Ta’if nel 1814 vide capovolgersi la
situazione a favore del governatore dell’Egitto Muhammad ‘Ali che riportò l’ordine nella penisola con
metodi spietati, in nome del governo ottomano.
7
di riportare l’Islam alla purezza delle origini, liberandolo da tutte le pratiche
dubbie come il culto di Maometto o dei santi
17
, Muhammad ‘Ali aveva come
scopo non una vaga rinascita araba
18
, ma una più concreta affermazione dinastica,
priva di alcun paravento ideologico. Sebbene ‘Ali non si considerasse né Egiziano
né Arabo, nella percezione araba e soprattutto egiziana l’azione inglese del 1840
veniva a rappresentare il primo intervento delle potenze imperialistiche europee
al fine di impedire ad un paese arabo di decidere il proprio sviluppo e la propria
storia
19
.
E’ dunque nel corso del XIX secolo che dall’Europa penetrò
20
nel tessuto
linguistico e culturale del mondo arabo il concetto di Stato nazionale con i suoi
attributi essenziali. Uno Stato, cioè, definito dal territorio, dall’etnia e, come
direbbe Federico Chabod, dalla propria ‘individualità morale e culturale
21
’. Inutile
dire che l’accettazione di questi nuovi concetti e il loro adattamento variò molto
nelle diverse zone del Medio Oriente
22
.
17
Uno degli effetti del contatto con l’Occidente, e con il Cristianesimo che veniva con esso
identificato, fu il bisogno di reinterpretare l’Islam in una forma nuova, purificata e accordata con le
esigenze della vita moderna; in contrasto col giudizio negativo che gli Europei ne davano, come religione
oscurantista e incompatibile col progresso.
18
“ [...] fu piuttosto l’ultimo erede e continuatore di quei Mamelucchi che egli fece con pretto
stile orientale sterminare, anziché il cosciente campione d’un arabo Risorgimento.” Francesco Gabrieli, Il
risorgimento arabo, cit., p.31
19
Alla conferenza di Londra nel luglio 1840 le potenze europee stipularono un accordo sulla
“Pacificazione del Levante”, in base al quale ‘Ali sarebbe stato obbligato a ritirare tutte le truppe dalla Siria
e a restituire la flotta al sultano. Non è difficile capire perché nel mondo arabo l’interveto straniero del
1840 venga spesso accostato a quello di Suez del 1956, e Muhammad ‘Ali all’egiziano Nasser.
20
“Ciò che occorre sottolineare è il fatto che il territorio occupato dalle società più deboli o
sottosviluppate, come quelle orientali, era visto come uno spazio aperto all’interessamento, alla
penetrazione, all’inseminazione, in una parola, alla colonizzazione.” Edward.W.Said, Orientalismo, cit., p.
217-218
21
Federico Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Bari 1998, p.23
22
“A partire dal primo contatto con la modernità, l’insieme dell’edificio statale, i suoi valori, la
sua visione del mondo, il suo senso pratico, le sue forze e le sue strutture si disgregarono e affondarono
come un castello di carte. La religione stessa si trovò attaccata ed emarginata. Così i concetti politici
moderni non incontrarono nei paesi musulmani alcuna resistenza reale, né da parte dei governanti né da
parte dell’opinione pubblica.” Burhan Ghalioun, Islam et politique. La modernité trahie.La Decouverte &
Syros, Paris 1997. Trad. it., Islam e islamismo. La modernità tradita. Editori Riuniti, Roma 1998, p.48-49; Sullo
stesso argomento si veda: Mahmoud Hussein, Versante sud della libertà, cit. pp.46-50
8
Lo storico marocchino ‘Abdallah Laroui propone una periodizzazione in
quattro fasi della storia e del pensiero politico arabi nell’ultimo secolo e mezzo
23
:
1. la Nahda, il Rinascimento arabo (1850-1914), in cui il problema
centrale sta nel determinare le cause della decadenza, e i rimedi a questa;
2. la liberazione nazionale (1914-1948)
3. la fase dei tentativi di unità araba, dominata politicamente da
Nasser e dal partito Ba’th (1948-1967)
4. il periodo seguente al 1967, segnato dalla disfatta contro Israele
nella guerra dei sei giorni e dal crollo delle speranze di unità e di forza del popolo
arabo.
Sebbene sia possibile identificare diverse figure rappresentative di un
recupero e di una rielaborazione dell’identità araba e islamica nei decenni tra il
XIX ed il XX secolo
24
, tuttavia prima della prima guerra mondiale non esisteva
un vero e proprio nazionalismo arabo
25
. Data più precisa è il 1908, anno del
colpo di stato dei Giovani Turchi
26
.
23
Rodolfo Ragionieri, Il Golfo delle guerre, ECP, Firenze 1991, p.30
24
Giamal ad-Din al-Afghani (1839-1897) persiano di origine, è forse il primo pensatore che
propose di tornare alle radici del pensiero musulmano per eliminare le cause della decadenza dei paesi
dell’Islam e della loro subordinazione alle grande potenze europee. E’ al califfato –che spetta al sultano
ottonmano- che si attribuisce il compito di opporsi all’infedele. La corrente di cui è ritenuto fondatore è
detta salafismo (la radice araba slf significa precedere, essere passato), e pone l’Islam come sorgente di
identità e di coesione superiore all’identità nazionale, un Islam nella sua dimensione di civiltà più che di
religione. Secondo Maxime Rodinson al-Afghani apparterrebbe alla schiera dei grandi rivoluzionari
nazionalisti e liberali dell’Ottocento, come loro cospiratore e massone di ispirazione laica, che utilizzò la
religione per trascinare le masse all’assalto contro il dispotismo reazionario, alleato alla dominazione
straniera. Allievi di Afghani saranno Muhammad ‘Abduh (1849-1905), Rashid Ridà (1865-1935)questo
sarà maestro di Hasan al-Banna’, fondatore dei Fratelli Musulmani. Più decisamente spinto verso il
nazionalismo arabo ‘Abd ar-Rahman al-Kawakibi sostiene la superiorità degli arabi sui turchi e che il
califfato dovesse tornare agli arabi. Sulle figure qui nominate si vedano: Giovanni Filoramo (a cura di),
Islam, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 235-252; Bertrand Badie, I due stati, Marietti, Genova 1990; Abdallah
Laroui, Islam et modernitè, La découverte, Paris 1987.
25
Anteriormente all prima guerra mondiale sono presenti solo due Stati nell’intera regione del
Medio Oriente: La monarchia Turca e quella Iraniana. Come osserva Bernard Lewis, entrambe non
concepite come stati nazionali nel moderno senso occidentale, ma imperi musulmani universali; in
Turchia fu il panislamismo la prima reazione naturale al pangermanesimo e al panslavismo d’origine
europea, prospettive panturche o panarabe erano di là da venire. L’orientalista americano classifica come
un ‘mezzo’ stato l’Egitto, che benché soggetto a sovranità o dominazione straniera, prima ottomana e poi
9
Con la laicizzazione dello Stato e la progressiva affermazione di una
identità turca di tipo nazionale
27
, il nascente senso di appartenenza nazionale
araba andava a perdere quel ritegno nei confronti del governo di Istanbul, che
aveva sino a quel momento rappresentato la difesa dell’Islam contro l’Occidente.
Rispetto alla dimensione religiosa va comunque detto, come afferma Burhan
Ghalioun che “sotto l’Impero ottomano, in piena decomposizione durante il XIX
secolo, la vita religiosa dei musulmani s’era ridotta alla riproduzione di un sapere
tradizionale limitato a circoli chiusi, lasciando così la maggioranza della società
analfabeta e incolta”
28
.
In breve, al nazionalismo dei giovani Turchi
29
rispose un nazionalismo
arabo
30
. Nel 1905 è pubblicato a Parigi Réveil de la Nation arabe dans l’Asie turque
dell’arabo palestinese Negìb Azuri, che, parlando a nome di una “Ligue de la
patrie arabe”
31
espone il progetto di un grande stato arabo indipendente, dalla
britannica, riuscì a conservare una certa autonomia nei suoi affari interni. Cfr., Bernand Lewis, La rinascita
islamica, cit. p.105
26
Il Comitato d’Unione e Progresso, organo attivo del movimento, “è stato la più grande
organizzazione politica creata dai musulmani nel secolo scorso, e il seppellitore dell’Impero e del sistema
politico ottomano. A quest’ultimo ha definitivamente sostituito uno Stato nazionale turco, avviando la
dinamica del nazionalismo nell’insieme della regione del Medio Oriente musulmano.” B. Ghalioun, op.
cit., p.49
27
Nella nuova costituzione turca del 1° marzo 1921 il termine ‘ottomano’, riferito allo Stato, era
stato sostituito dal termine ‘turco’. Il Governo di Ankara rinunciava così a qualsiasi sovranità culturale e
politica sui territori ‘non turchi’ del vecchio impero. Il cosmopolitismo ottomano veniva così soppiantato
dall’impeto nazionalista. Cfr. Reinhard Schulze, Il mondo islamico nel XX secolo, Feltrinelli, Milano 2004, p.
68. Non si dimentichi tuttavia che la retorica dei kemalisti prima maniera, parlava di musulmani ottomani
piuttosto che di turchi. Solo dopo la fine della guerra e la fondazione della repubblica (ottobre 1923) si
pose definitivamente l’accento su finalità nazionalistiche e secolari. Sull’argomento si veda: Ira M. Lapidus,
op. cit., pp. 49-72
28
Burhan Ghalioun, op. cit., p. 47
29
“V’era piuttosto in essi [Giovani Turchi], sotto la vernice democratica, un intollerante
dogmatismo, assorbito dalla loro educazione occidentaleggiante di tipo illuministico, radico massonico,
che si alleò fin d’allora col nazionalismo turco, e sbocco poi nel kemalismo.” Francesco Gabrieli, Il
risorgimento arab, cit. p. 48
30
Si erano andate formando diversi gruppi ed organizzazioni segrete, spesso sul modello delle
società segrete europee, ma non per tutte era ancora chiara la scelta nazionalista-separatista dall’Impero
Ottomano, che stava timidamente avviando una serie di riforme in senso liberale e decentrativo.
31
Fondata a Parigi dall’Azuri assieme al francese Eugène Jung, presentava un proclama in cui
era già espresso un deciso concetto unitario. Il 30 maggio del 1916 verrà stampata a Ginevra
dall’Imprimerie Nationale la “Revue du Maghreb. Algérie, Tunisie, Maroc, Tripolitaine. Tribune des
revendications des indigènes”, voce dei primi riformisti maghrebini, i quali partendo dalla denuncia della
10
Mesopotamia al Canale di Suez
32
. Nella visione dell’Azuri, erano affermati e
collegati entrambi i principii dell’indipendenza araba. Era previsto infatti sia un
Sultano arabo alla testa dello Stato (dimensione temporale del potere), sia un
Califfo come guida della comunità islamica (dimensione spirituale)
33
.
Riguardo al complesso rapporto tra movimento nazionale arabo e Islam,
esistono molteplici interpretazioni. Secondo il giudizio di Gabrieli, nel
nazionalismo arabo, definito come un ideologia, non v’è una contrapposizione
precisa all’Islam. Questo verrebbe sentito più come strumento “come cemento e
forza sussidiaria anziché come fu alle origini, quale vincolo primario e stimolo
efficace all’azione”
34
. Anche Biancamaria Scarcia rigetta l’idea di una netta
contrapposizione, sottolineando come vi sarebbe “uno stretto collegamento tra
Islam e sentimento nazionale, tra Islam e nazionalismo inteso come elaborazione
teorica dell’identità che un popolo rivendica per sé, e nello stesso tempo come
movimento politico e ideologico che ha per scopo quello di liberare il paese dallo
straniero
35
”. Da considerare con attenzione, soprattutto per gli sviluppi recenti,
l’opinione dell’islamista marocchino Abd as- Salam Yasin, secondo il quale “ Gli
Arabi erano popolazioni, tribù sparse che si sbranavano a vicenda in guerre,
guerriglie e razzie interminabili, ed è l’Islam che è venuto di colpo a rivelarli [...] al
mondo intero come una ‘nazione’ portatrice di un messaggio eterno. E’ l’Islam
che ha dato valore agli Arabi...e non il contrario”
36
.
politica coloniale di assimilazione giungevano sino a richiedere la formale indipendenza per l’intero
Maghreb. Cfr. Michele Brondino, Il Grande Maghreb: mito e realtà, Franco Angeli, Milano 1988, pp.49-54
32
Cfr. Francesco Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit., p.45-46
33
La carica di Califfo verrà definitivamente soppressa nel marzo 1924 da parte dell’Assemblea
Nazionale turca. Non essendo stata istituita dal profeta Maometto, non costitutiva, secondo il suo
giudizio, elemento fondamentale dell’Islam.
34
Francesco Gabrieli, Maometto, e le grandi conquiste arabe, Newton&Compton, Roma 1996, p. 164
35
Biancamaria Scarcia Amoretti, Il mondo dell’Islam, Editori Riuniti, Roma 1981, p.65
36
Abd as- Salam Yasin (islamista marocchino), intervistato da F. Burgat nell’ottobre 1987 in, Il
fondamentalismo islamico, cit. p. 36. Sul rapporto tra nazionalismo arabo e Islam si veda anche: Ira M.
Lapidus, op. cit., pp.126-129. Problematiche analoghe sono state affrontate anche in Europa, con il
sorgere degli Stati nazionali ed il loro rapporto con la religione cattolica. Riguardo all’esperienza italiana
segnaliamo: Guido Formigoni, L’Italia dei cattolici. Fede e nazione dal Risorgimento alla Repubblica, Il Mulino,
Bologna 1998; Francesco Traniello, Città dell’uomo. Cattolici, partito e Stato nella storia d’Italia, Il Mulino,
Bologna 1990.
11
1.2 Il primo conflitto mondiale e la disgregazione dell’Impero
Ottomano: il movimento nazionale arabo.
In quegli anni, in particolare in Egitto e Siria
37
; venivano fondati i primi
partiti che assumevano la causa araba come valore fondante, ma tutto doveva
prendere una direzione diversa con la prima guerra mondiale
38
: la rivolta araba
contro l’Impero ottomano e l’intervento diretto di Francia e Inghilterra in tutto il
Medio Oriente.
A ben vedere gli avvenimenti del primo conflitto posero le aspirazioni
arabe di fronte ad un bivio determinante per il loro futuro. Da un lato la
solidarietà panislamica, cui tentò di fare appello l’Impero ottomano, dall’altro le
promesse di libertà e indipendenza nazionale sbandierate dall’Intesa. Alla
dichiarazione di guerra seguì infatti da parte del Sultano ottomano la
proclamazione del jihàd, la guerra santa contro gli infedeli (in questo caso gli
Alleati). Benché il Sultano fosse ancora il Califfo dell’Islam, gli Arabi non
accolsero l’invito, denunziando l’autenticità del movimento nazionale arabo
ormai in via di definizione.
La rivolta araba seguiva ai contatti tra l’emissario del Foreign Office al
Cairo, Mac Mahon, e Hussein dell’Higiaz
39
, sceriffo della Mecca
40
, cui era stata
garantita la formazione di un grande regno arabo nella penisola, in Siria e
37
Le condizioni difficilissime in cui si svolse l’opera dei patrioti siriani non permisero il sorgere di
nessuna grande formazione politica. In Egitto, in una situazione molto più favorevole si vide una discreta
e non clandestina attività politica, nonchè l’emergere di alcune figure rappresentative del risorgimento
arabo. Cfr. Paolo Minganti, I movimenti politici arabi, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1971, pp.9-24. Per
quanto riguarda la formazione dei partiti nazionali nei paesi colonizzati si veda Mahmoud Hussein,
Versante sud della libertà, cit., pp. 41-46
38
“L’Arabismo conobbe insieme, agli inizi del nostro secolo, i primi sintomi di un politico
risveglio e il perfezionamento della sua soggezione a popoli e stati stranieri. La grande guerra venne ad
esasperare questa contraddizione” Francesco Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit. p.56
39
Per quanto riguarda gli accordi detti “Hussein-MacMahon” si veda: George Antonius, op.cit.,
pp. 413-427; Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Laterza, Bari 1994, pp. 77-78;
Francesco Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit., p.63
40
“Di famiglia meccana risalente al Profeta stesso, donde il titolo di sceriffo e l’epiteto di hashimita,
cioè della stirpe di Hashim cui apparteneva Maometto.” Francesco Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit., p.59
12
Mesopotamia
41
. Il nazionalismo arabo usciva allo scoperto. Nell’impossibilità di
ottenere il riconoscimento della loro autonomia in seno all’Impero Ottomano, gli
Arabi si erano decisi a spezzare definitivamente ogni vincolo ed a proclamare la
loro volontà di indipendenza. Non erano evidentemente a conoscenza degli
accordi segreti Sykes-Picot del maggio 1916, che non tenendo in alcuna
considerazione le legittime aspirazioni delle popolazioni locali, prevedevano una
spartizione anglo-francese della cosiddetta “mezzaluna fertile”, l’intera area che
va dal Mediterraneo orientale alla Mesopotamia
42
.
Dopo due anni di continui attacchi alle truppe ottomane schierate al
fianco degli imperi centrali, nell’ottobre del 1918 gli inglesi e gli arabi hascemiti di
Faysal – figlio di Hussein consigliato da T.E. Lawrence - entrarono a Damasco.
Faysal mostrò d’avere un’idea ben chiara del nazionalismo arabo, come fattore di
unione che andava oltre l’identità religiosa. Disse :
Siamo arabi prima di essere musulmani, e Maometto è un
arabo prima di essere un profeta. Tra noi non c’è una maggioranza
né una minoranza, niente che ci divida.
43
Era questo dunque il germe di un nazionalismo arabo secolare. Tuttavia
nell’arco di un anno Faysal venne espulso dalla Siria
44
, e anche se in seguito,
cercando di riparare al torto fatto i britannici lo insediarono in Iraq, le
popolazioni arabe di cui parlava furono divise da nuove frontiere nazionali, ad
41
Sebbene Husayn si fosse dichiarato re degli arabi nell’ottobre del 1916, il suo panarabismo “era
improvvisato e rudimentale e derivava largamente da ambizioni personali e dinastiche.” Peter Mansfield,
Storia del MedioOriente, SEI, Torino 1993, p. 248. Fallirà il suo tentativo di assurgere all’alta dignità di
Califfo, nonostante il riconoscimento che otterrà dai musulmani di Palestina e Siria.
42
In dettaglio si consulti A. Giannini, Documenti per la storia della pace orientale, Roma, 1933; Jean-
Baptiste Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, LED, Milano 1998, p.49; Francesco Gabrieli, Il
risorgimento arabo, cit., pp. 64-65
43
Rodolfo Ragionieri, op. cit, p. 39
44
Dopo le decisioni prese a San Remo ad aprile, il 14 Luglio 1920 il generale Gouraud, alto
commissario francese a Beirut, indirizzò un ultimatum a Faysal, il quale aveva cercato di rafforzare il suo
potere in Siria. In breve le truppe francesi marciarono su Damasco, l’occuparono e ne cacciarono re
Faysal.