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Introduzione
Quali concezioni sottendono all’economia che ha avuto corso negli ultimi secoli della
storia umana? Dalle rivoluzioni industriali ai giorni nostri, quali riferimenti hanno
prevalso nel decorso dei processi economici?
Certo non sono domande di poco conto se diamo ragione a quanto Marx1 affermava a
proposito di quella “struttura” - che nel pensiero del filosofo era da intendersi nei
rapporti di produzione e nelle forze produttive - e della capacità che le è propria nel
determinare le forme della “sovrastruttura”. Vale a dire quegli ambiti che non
attengono alla sfera economica quali: le istituzioni giuridiche, la politica, le
rappresentazioni intellettuali, religiose e morali e la coscienza sociale in generale.
Senza spingerci su un terreno che rischia di avere risvolti troppo vasti, una serie di
riscontri esaustivi alle questioni poste emergono dal dibattito che Amartya Sen
affronta in “Etica ed economia”2. Qui il Nobel per l’economia, richiama le origini
profondamente radicate nelle considerazioni etiche della disciplina economica ed il
progressivo allontanamento da questi criteri praticato dall’economia moderna, molto
più propensa a valutazioni di utilità e di pura efficienza economica. Da Adam Smith,
che pure auspicava un “codice di moralità mercantile”, in avanti, l’economia ha fatto a
meno di riflessioni di natura etica ed il progresso economico ha seguito i ritmi definiti
dalla autoregolazione degli attori economici, che ne avrebbero garantito gli equilibri.
Tuttavia, proprio queste precondizioni, hanno reso legittima la ricerca di un interesse
economico immediato. Lo stesso che sembra essere all’origine di uno sviluppo che
non ha trovato vincoli nelle problematiche relative alla sostenibilità ambientale e di un
progresso che spesso è stato conseguito a scapito di devastazioni e stravolgimenti
degli equilibri naturali.
In verità, non è solo l’ambiente a subire le ritorsioni di un'economia priva di solide
basi etiche. La promessa liberista di sviluppo economico infinito e della conseguente
redistribuzione operata spontaneamente dal mercato, si è rivelata nella sua
infondatezza. Lo dimostrano i dati relativi alla distribuzione della ricchezza nel mondo
rivelati da uno studio del 2007, realizzato dal World institute for development
1
Jedlowski P., Il mondo in questione, Introduzione alla storia del pensiero sociologico (1998),
Carocci editore, Roma, pag. 41-45.
2
Amartya Sen, Etica ed economia (2003), Laterza, Bari.
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economics research dell'Università delle Nazioni Unite di Elsinki (Unu-Wider)3, che
sottolineano come solo il 2% della popolazione adulta possiede oltre la metà di tutta la
ricchezza mondiale, mentre circa un quarto della popolazione mondiale vive con meno
di 1 dollaro al giorno.
L’attuale crisi finanziaria, inoltre, ha consentito l’estremizzarsi di situazioni già
conclamate. Quelle di un mercato finanziario globale definitivamente separato
dall’economia concreta che, sottratto a qualsiasi confronto col principio di realtà,
attraverso giochi speculativi, condiziona fortemente le vite di tante famiglie. Quelle di
aziende che, da decenni, pur producendo utili cospicui, praticano facilmente migliaia
di licenziamenti, districandosi in operazioni come: le fusioni tra imprese, le
acquisizioni e le ristrutturazioni, per le quali l’impresa è una voce di portafoglio
borsistico. Le stesse aziende possono, nell’era della globalizzazione, dislocare,
altrettanto facilmente, le loro produzioni in stabilimenti creati ad hoc, dove la
manodopera costa molto meno e non esiste una matura opposizione sindacale. In
condizioni tali, ciò che orienta le scelte è l’interesse per il conseguimento di un
profitto a breve termine, l’opportunismo, non ci sono obiettivi strategici di lungo
respiro.
In un contesto simile, l’economia scarsamente etica finisce per dimenticare l’uomo
stesso. L’uomo in carne e ossa, che deve lavorare per vivere, e nel lavoro trova tutta
una serie di valenze psicologiche, oltre che materiali, legate all’autonomia,
all’indipendenza, alla progettualità, alla produzione d’identità.
Si fa presto ad essere espulsi dal mercato del lavoro, difficilmente si riesce a
reinserirsi, e ancor più difficile risulta entrarvi per la prima volta, specie per i giovani,
anche se istruiti. La laurea non rappresenta un titolo discriminante per l’accesso
all’occupazione, o perlomeno, non nella misura in cui poteva rappresentarlo in
passato. A regnare è, invece, la flessibilità occupazionale e, insieme alla stabilità del
lavoro, sempre più vengono meno le prospettive di carriera all’interno delle aziende, la
fidelizzazione del personale e la cultura dell’appartenenza. Per tutto questo non c’è
spazio quando le aziende agiscono in un clima concorrenziale dove, ad essere
premiata, è la capacità d’adattamento ai bisogni espressi dal mercato, quelli espressi
3
L'Università delle Nazioni Unite è un'università dell'ONU che offre opportunità formative ai
laureati e ai ricercatori (con particolare attenzione per il paesi in via di sviluppo) con borse di
studio e corsi post-laurea. L'obbiettivo finale è di creare una classe dirigente pronta a
sviluppare un dibattito internazionale sui problemi del mondo e fare da "ponte" tra il mondo
accademico e l'ONU.
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dai consumatori stessi, che costituiscono il motore e nel contempo le vittime di questa
economia.
Va da se che non per tutti e non in tutti i contesti tali stravolgimenti, intervenuti sul
mercato del lavoro, assumono uguali significati4. Certo è che questa condizione di
precarietà carica il lavoro di nuovi significati d’incertezza e insicurezza,
probabilmente sconosciuti agli occupati degli anni settanta e ottanta.
Questi stessi significati assumono, poi, una connotazione ancor più preoccupante se vi
aggiungiamo gli effetti della recente crisi economica. Con essa, infatti, a ridursi, in
una sorta di reazioni a catena, non sono solo le cifre dei flussi economici, ma molto
più gravi sono le ripercussioni sulle storie di vita delle persone. Spesso a risentirne
sono direttamente le speranze di rimediare ad una condizione di disoccupazione
intervenuta in età avanzata o, piuttosto, la fiducia che le giovani generazioni nutrono
per il futuro. Secondo le stime presentate recentemente - nel corso del XLV Congresso
Nazionale della Società Italiana di Psichiatria tenutosi a Roma - l'incertezza sul lavoro
e le difficoltà economiche che, tipicamente, nel corso delle crisi vengono a
manifestarsi, porterebbero a un incremento del 30% dei disturbi d'ansia e del 15% dei
casi di depressione. A trasformare in disagio psicologico gli stati di insicurezza,
sfiducia e paura acuiti dalla crisi sarebbero sempre più spesso i giovani, le donne, le
coppie con figli piccoli, ma anche gli over 65.
Ancor più allarmanti sono i dati esposti da uno studio pubblicato sulla rivista medica
inglese “The Lancet”5 che fanno rilevare, grazie ad una attenta analisi dei dati della
disoccupazione compresi tra il 1970 e il 2007 in 26 paesi dell’UE, come per ogni
incremento del 3% della disoccupazione, crescono del 5% i suicidi fra gli adulti con
meno di 65 anni ed aumentano, inoltre, del 30% i decessi correlati all`abuso di alcol.
Tale studio ha stimato, a seguito della crisi, un numero di 3500 morti in eccesso per
abuso d`alcol e di circa 1700 suicidi in più. Emblematici, a tal proposito, sono i
recenti casi di suicidio tra i dipendenti di France Telecom. Gli autori dello studio
hanno anche scoperto che le morti erano state maggiori nei periodi di più alta
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Pensiamo a come negli Stati Uniti cercare o cambiare un lavoro non rappresenti un evento
troppo straordinario, alcune stime evidenziano che, in effetti, un giovane americano con livello
d’istruzione modesto cambia lavoro undici volte nel corso della sua vita lavorativa. Bauman Z.,
La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza (2001), Bologna, il Mulino.
Pag. 34-35.
5
Studio dal titolo “The public health effect of economic crises and alternative responses in
Europe: an empirical analysis”, realizzato dal Centre for crime and justice del Kings College
di Londra e della Wates Foundation dell’Oxford University, coordinato da David Stuckler e
pubblicato sulla rivista “The Lancet” dell’08/07/2009.
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disoccupazione, ma erano state più contenute nei paesi che disponevano di migliori
sistemi di protezione sociale, come Finlandia e della Svezia.
Se guardiamo, poi, alle organizzazioni – originariamente nate per fornire risposte ai
bisogni dell’ambiente in cui sorgono – ci accorgiamo che spesso queste diventano
“nevrotiche”, con sintomi che vanno dallo stress e l’ansietà eccessivi, alla
comunicazione inadeguata, all’elevata conflittualità, al clima organizzativo frustrato,
ecc.
Il lavoro umano, così inteso, si distacca dai suoi significati originari che lo volevano
completamente congiunto ai bisogni e alla natura stessa dell’uomo, per diventare
terreno di scontro fra la dimensione dell’essere uomo, e con ciò portatore di bisogni,
desideri, emozioni, e quella dell’essere parte di un complesso sistema economico e
produttivo, votato sistematicamente a finalità efficientistiche e di profitto. La
spontaneità e la convivialità nel lavoro diventano fattori diseconomici ed improduttivi.
Tanto che il lavoro sempre più assume le forme dell’alienazione e spersonalizzazione,
in ambienti spesso altrettanto impoveriti e traumatizzanti sul piano delle relazioni
interpersonali, che finiscono per il rendere disumanizzato il lavoro stesso. Esempi
emblematici di questa indifferenza per gli aspetti umani, sono i casi in cui una
gravidanza può costituire per una donna la fine di un rapporto di lavoro6.
Per la corrente filosofica dell’esistenzialismo, il lavoro è l’essenza fondamentale
dell’uomo, perché attraverso di esso egli crea intenzionalmente il suo mondo. La
maggior parte degli impiegati sembra, però, avere difficoltà a considerare il proprio
lavoro come qualcosa di diverso da un mezzo di sussistenza. Il problema è stato
studiato in Germania dove, secondo un recente sondaggio dell'istituto Gallup, solo un
impiegato su dieci prova un legame verso la propria attività o l'ambiente di lavoro.
L'istituto Gallup, inoltre, stima a circa 250 miliardi di euro le perdite economiche
globali annuali legate a questa mancanza di motivazione.
In realtà, nonostante gli studi, le teorie e le verifiche empiriche sul tema, il mondo
produttivo sembra ancora scarsamente cosciente del fatto che siano proprio le risorse
umane a generare i volumi produttivi delle aziende, attraverso le capacità e le
competenze di cui dispongono e che diversamente possono impiegare. Come la
psicologia del lavoro ha ampiamente dimostrato, le potenzialità da essa espresse sono
investite in una misura proporzionale alla capacità dell’azienda di fornire loro i motivi
6
Percentuale che secondo un’indagine ISTAT del 2002 costituiva il 6% delle donne occupate
in Italia.
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perché ciò avvenga. Per tale ragione, è necessario che l’azienda sappia interloquire
con la complessa sfera dei bisogni, desideri, aspettative, aspirazioni e scopi che
animano i dipendenti. E’, infatti, proprio all’interno delle organizzazioni stesse che si
definiscono il senso, i significati, l’ambiente e la realtà stessa del lavoro, che insieme
possono rappresentare una cornice più o meno stimolante per le persone che in quel
contesto devono operare. Solo curando questi aspetti gli investimenti motivazionali
del personale possono convergere con quelli organizzativi, facendo in modo da
conseguire livelli di efficienza che siano, insieme, delle organizzazioni, del personale
e delle professioni che la compongono. Al contrario, il lavoro, non solo risulta
degradante per le persone, ma anche improduttivo per l’azienda.
Cogliendo lo spunto di Friedman, che s’interrogava sulla questione del “Dove va il
lavoro umano?”7, pare suggestivo domandarsi se oggi esistano le condizioni per
pensare ad un lavoro “a misura d’uomo”, se sia concretamente possibile conseguire
efficienza economica passando per il benessere di chi il lavoro esercita.
L’impostazione tayloristica del lavoro e le conseguenze che, in termini di
disattenzione alla parte non economica della sfera umana, ne sono derivate, sono state
certamente frutto di un retroterra di condizioni storiche che ne hanno consentito
l’ascesa come modello egemone nel sistema produttivo del XX secolo. Allo stesso
modo le circostanze macroeconomiche recenti e le innovazioni intervenute in materia
di lavoro potrebbero presagire delle opportunità di cambiamento in direzione di una
maggiore umanizzazione del lavoro.
I processi di terziarizzazione dell’economia e la conseguente sostituzione nel sistema
produttivo del prodotto come “merce” con quello inteso come “servizio”, sempre più
assumono consistenza e lasciano addirittura prevedere opportunità occupazionali per il
futuro. Con l’affermazione di un’economia produttrice di servizi, acquisisce
particolare rilievo la dimensione relazionale, il rapporto front-office che s’istaura con
gli utenti, perché è proprio nel corso di questa relazione che la soddisfazione o
l’insoddisfazione per la qualità del servizio ottenuto si viene a determinare. Ne
consegue che, per il successo nel conseguimento delle finalità organizzative, risultano
determinanti - in questo ambito produttivo più che in altri - non solo la professionalità
degli operatori, ma anche, più direttamente, dalla percezione di sensatezza e utilità che
essi attribuiscono al servizio svolto. Questi aspetti indubbiamente dovranno essere
7
Friedmann G., Dove va il lavoro umano?, Edizioni di Comunità, Milano, 1955
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curati nelle organizzazioni giacché possono avere riflessi importanti sulla motivazione
e sulla dedizione dei lavoratori, oltreché incontrare le loro esigenze individuali di
identità e di autoaffermazione.
I cambiamenti qui prospettati potrebbero, inoltre, rappresentare un’opportunità per
riportare in prima linea l’obiettivo vero e concreto del lavoro, quello di fornire servizi
di qualità, utili a risolvere problemi.
In tal senso, il potenziale motivazionale espresso dal settore non-profit, la cui missione
è più facilmente percepita in termini concreti e credibili, può avere da offrire una
fondamentale lezione per le aziende che, concentrate unicamente sull’obiettivo di
produrre ricchezza, perdono di vista la tensione originaria verso gli obiettivi per cui
sono nate e non valorizzano, nello stesso tempo, il personale di cui dispongono.
Nel primo capitolo entrerò nel merito della motivazione. Tenterò, prima, di collocarla
nell’ampio quadro delle variabili organizzative, poi, di presentare la complessità di
questo concetto. Partendo da una sua prima definizione, conosceremo le diverse
rappresentazioni che la psicologia generale ha proposto dei processi motivazionali,
arrivando, successivamente, a delineare l’approccio bisogni-motivi-valori e le teorie
elaborate a riguardo, proprie della psicologia del lavoro. Queste ultime, insieme alle
leggi motivazionali ed alla distinzione fra motivazione intrinseca ed estrinseca,
costituiranno un utile supporto alla stesura oltre che alla lettura dei successivi capitoli.
Nel secondo capitolo prenderò in considerazione il “mondo” del non-profit e
focalizzerò la mia attenzione alle cooperative sociali, quale tipologia organizzativa che
- nel panorama del terzo settore - si distingue per livelli di professionalizzazione e
specializzazione raggiunti.
Le imprese sociali, nel divenire protagoniste sempre più indispensabili degli scenari di
welfare recenti, contemporaneamente, sembrano esporsi, più di altri enti dello stesso
settore, a problematiche organizzative e di gestione del personale, peraltro diverse da
quelle esistenti, sia nelle organizzazioni for-profit, sia in quelle pubbliche. Dopo un
breve accenno agli sviluppi storici del non-profit, esporrò i caratteri distintivi della
formula cooperativa e, sulla base dei dati ISTAT, illustrerò le dimensioni che il
fenomeno assume in Italia, nel Mezzogiorno e nella provincia di Cosenza. Mi
soffermerò, poi, sui limiti e sulle potenzialità della cooperazione sociale meridionale.
Alla fine del capitolo spiegherò, inoltre, come la gestione del personale assuma, nelle
cooperative sociali, alcuni caratteri peculiari, in special modo in relazione agli aspetti
motivazionali.
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Nel terzo capitolo esaminerò il tema della qualità del lavoro. Adottando il punto di
vista dei lavoratori, proverò a chiarire alcuni degli elementi costitutivi di questa
categoria concettuale - ormai da tempo oggetto di discussione da parte degli studiosi
delle organizzazioni - all’interno delle cooperative sociali. In tali contesti, infatti,
garantito un livello di salario minimo di sicurezza, sembrano essere soprattutto i fattori
i meta-economici ad influenzare la Job Satisfaction dei lavoratori e le motivazioni che
essi investono nella loro attività.
Questi fattori incentivanti al lavoro – che traggono origine nei significati che il lavoro
sociale in sé acquisisce per gli operatori e in alcune caratteristiche positive in merito al
funzionamento interno all’organizzazione - hanno, talvolta, forma intrinseca (è il caso
delle relazioni positive, la partecipazione interna, l’autorealizzazione personale ecc.)
altre volte - seppure in misura più limitata - assumono forma estrinseca (funzione
motivante dell’aspettativa di riconoscimento).
Le suddette dinamiche motivazionali, tuttavia, subiscono nel tempo delle alterazioni e,
pertanto, richiedono alle imprese non-profit alcuni adattamenti nella gestione delle
risorse umane.
Il quarto capitolo costituirà la parte sperimentale di questo lavoro di tesi. Esso avrà
come obiettivo quello di esaminare il profilo motivazionale che caratterizza gli
operatori di alcune cooperative sociali aderenti al consorzio CS Meridia di Cosenza.
Ciò al fine di comprendere quali tipologie di incentivi risultino più efficaci
nell’indurre questi lavoratori a dare il meglio di sé.
Dopo aver ricomposto la multidimensionalità delle gratificazioni che concorrono a
definire quella che chiameremo la “spirale virtuosa” per la motivazione dei lavoratori
delle cooperative sociali, proverò a dimostrare come, più o meno consapevolmente,
questi enti non-profit realizzino la gestione delle risorse umane che meglio aderisce
alle esigenze dei lavoratori e meglio consente l’impiego delle loro potenzialità.
Chiariti gli aspetti che attengono: alla metodologia, alla composizione del campione
ed allo strumento utilizzato per l’indagine; saranno riportati i risultati ottenuti.