7nel contesto culturale e concettuale di quel filone di ricerca organizzativa meno noto, meno
praticato, e dunque meno agevole da comprendere e analizzare.
Fatto ciò, l’impegno si è concentrato su una riflessione e analisi del panorama culturale che si
è prospettato grazie al lavoro precedente, utilizzando le nozioni apprese per operare una
riflessione sul tema specifico, ossia il tema della qualita’ e dell’empowerment nelle imprese.
È chiaro che questo lavoro non rappresenta altro che un tentativo di discernimento del
contesto disciplinare specifico, senza pretesa alcuna di esaustività. La letteratura che abbiamo
analizzato e’ vasta e tocca un numero significativo di temi e di autori. Tuttavia, si tratta di un
dibattito che va ampliandosi e diffondendosi con una certa velocita’, anche se in modo
diverso a seconda dei contesti nazionali, dunque non e’ possibile coprire, nell’ambito di un
singolo lavoro, tutti gli stimoli e i contributi esistenti sul tema.
La struttura della tesi si articola in tre capitoli.
È bene premettere che i primi due capitoli illustrano la tematica sia generale che specifica
secondo la visione organizzativa più diffusa, definita di “mainstream”, mentre il terzo affronta
lo stesso argomento dal punto di vista della concezione di filone “critical”.
Nel primo capitolo viene approcciato il tema del Postfordismo partendo dal generale,
proseguendo poi illustrandone alcune pratiche peculiari, introducendo il tema del Total
Quality Management e della gestione della qualità.
Nel secondo capitolo viene presentato il secondo tema specifico, ossia quello
dell’empowerment del lavoratore, relazionandolo con aspetti propri e complementari.
Il terzo capitolo affronta una panoramica del pensiero “critical”, partendo dal Postfordismo,
per addentrarsi nuovamente nel particolare, prendendo in esame i temi del Total Quality
Management e dell’empowerment.
8Capitolo 1
Postfordismo: introduzione e cenni
Premessa
In premessa vorremmo mettere in evidenza la difficoltà di delineare il concetto di
Postfordismo in un momento come quello attuale in cui forse la transizione tra un modo di
produzione e il successivo, tra un sistema di regolazione e l’altro non può ritenersi compiuta
né totalmente codificata. Ciononostante cercheremo di rintracciare quegli elementi visibili,
che connotano e che differenziano il Postfordismo dal suo paradigma precedente, ovvero il
Fordismo.
Quello che ci preme pertanto di sottolineare è che il Postfordismo non verrà identificato
soltanto per differenza e contrapposizione al Fordismo, come un modello che nasce dalla crisi
del modo di produzione standardizzato e di massa ma, al contrario, come fenomeno con
caratteristiche proprie e distintive, sebbene non sia ancora stato definito in maniera unanime.
Ciò che verrà approfondito nelle sue linee generali e senza pretese di completezza saranno
perciò i vari aspetti del Postfordismo a partire dalle trasformazioni strutturali e organizzative
dell’azienda e le diverse forme di lavoro che nascono e si sviluppano in tale modello di
sviluppo economico.
9Le caratteristiche del Fordismo
Sintetizzando estremamente il concetto sono tre i punti chiave che caratterizzavano il modello
Fordista:
xL’idea dell’illimitatezza del mercato;
xLe economie di scala e la standardizzazione;
xLa “territorializzazione” nella veste dello Stato-nazione.
Tutti e tre questi fattori vengono presi in considerazione perché è su di essi che fa leva il
cambiamento che delinea il passaggio epocale che vede nel Fordismo un punto di partenza, e
nel Toyotismo del management della qualità totale una tappa necessaria ed imprescindibile
della sua stessa evoluzione.
L’illimitatezza del mercato
Risale a Ford l’intuizione di estendere alle masse il mercato dei beni durevoli. Così facendo,
l’economia reale riconfermava con i fatti la legge di Say, secondo cui è la produzione a creare
il mercato, è l’offerta di beni che permette di avere la domanda dello stesso bene. Il
presupposto di tale successo era la disponibilità incondizionata da parte delle masse di
acquistare beni durevoli mai posseduti in precedenza, dando luogo effettivamente ad una
domanda potenziale e sempre latente, in apparenza infinita.
La conseguenza più generale di questa dinamica fra economia e società, è stata che la prima,
nell’ambito della fabbrica, determinava la seconda.
Economie di scala
Diretta conseguenza del presupposto dell’infinità dell’assorbimento dei beni prodotti era la
possibilità di vedersi annullare i costi, anche e soprattutto quelli organizzativi. Per una
10
semplice equazione, ad una quantità producibile e vendibile di beni tendente ad infinito, i
costi organizzativi tendono ad annullarsi. La fabbrica Fordista era caratterizzata,
paradossalmente a causa dei dettami efficientisti di Taylor, da uno spreco organizzativo
rilevabile negli spazi giganteschi dei capannoni dove avveniva la produzione e, negli
spostamenti dei semilavorati, nonché dalla qualità finale dei prodotti sottoposta ex-post alla
verifica statistica.
Questo fenomeno si spiega con la presenza delle economie di scala che consentivano di
trascurare gli effetti dei costi proprio perché questi ultimi erano inferiori ai ricavi, e i ricavi
erano assicurati da una buona produttività per la produzione di beni standardizzati, e dalla
sicurezza che la domanda per quei beni tenesse sempre.
È in questa fase della produzione industriale che la classe subalterna cresce in numero,
consapevolezza e forza, di pari passo ed in modo speculare con la crescita del capitalismo
stesso.
Territorializzazione del lavoro e del capitale.
Lo Stato-nazione rappresentava l’istituzione politica predominante, e con questi l’economia
doveva trovare un punto di equilibrio e di mediazione. Infatti lo sviluppo dei consumi non
poteva prescindere dalla dimensione nazionale dell’impresa, ed anche il modello capitalistico
prevedeva industrie, se non direttamente gestite dallo Stato, con una forte connotazione
nazionale in cui, l’impresa è finanziata dallo Stato, è il più possibile integrata verticalmente e
soprattutto, il mercato di riferimento è quello nazionale.
L’arena politica in cui le parti sociali si scontravano e contrattavano era la politica economica:
la dimensione “chiusa” statuale permetteva di sfogare i conflitti in modo tale che le richieste
delle parti potessero effettivamente pesare politicamente, trasformandosi in buona
approssimazione nelle rivendicazioni salariali della classe operaia.
11
Il modello Postfordista
Il modello Postfordista nasce discostandosi dal modo di produzione Fordista quando, secondo
i dettami del modello giapponese, le aziende cominciano a produrre per piccoli lotti di
prodotti differenziati, alla ricerca da un lato della qualità e dall’altro della competitività anche
sul versante dei costi. Dalla mass-production si passa allora alla lean-production ovvero alla
produzione “snella”, dalle economie di scala alle economie di scopo. Le imprese affrontano
un mercato ora mai saturo rispondendo alle richieste di prodotti, sempre più personalizzati e
di qualità. L’azienda diventa agile, leggera, duttile, alla ricerca di flessibilità dal punto di vista
della produzione, della logistica e più in generale dell’organizzazione.
Seguendo i principi del just in time, ovvero della produzione in base alle richieste provenienti
dal mercato, la produzione è “tirata dal basso” anziché dall’alto (ovvero secondo stime
stabilite e programmate a tavolino in base agli ordini dei clienti). Così facendo l'azienda è più
reattiva ed opera apprendendo dall’esterno per rispondere alle sfide dei mercati e alla
concorrenza.
Flessibilità e incertezza diventano le parole chiave della nuova sfida economica. La flessibilità
operativa viene ricercata snellendo gli organici all’interno delle grandi aziende, diminuendo il
capitale fisso e riducendo le dimensioni strutturali. Questo ultimo fenomeno, chiamato
downsizing fa si che la struttura della fabbrica si sfaldi, che venga smantellata la burocrazia
interna e il processo di automazione si potenzi per sostituire manodopera.
L’occupazione in calo si slega dalla produttività e dai tassi di crescita [“jobless growth”
letteralmente “crescita senza occupazione”] contrariamente a quanto era accaduto fino a quel
momento anzi, la crescita e l’aumento dei profitti, vengono garantiti grazie alla riduzione dei
livelli occupazionali.
Il compimento di tale trasformazione si ha quando l’impresa modifica non soltanto il processo
di lavoro, ma la sua struttura organizzativa interna e le proprie geometrie spazio-temporali.
12
Tale procedura si concretizza tramite l’esternalizzazione di funzioni (outsourcing) unita al
processo di decentramento produttivo e di de-localizzazione. La tendenza è quella di
esternalizzare in favore di aziende collocate alle periferie del mondo, dove i costi e le rigidità
produttive sono più contenute grazie al basso costo del lavoro.
Ciò che, invece, viene mantenuto all'interno dell'azienda, sono le funzioni considerate
strategiche come l’ideazione, la progettazione, il marketing e la gestione finanziaria.
Il fattore che innesca tutto questo processo è senza dubbio la terza rivoluzione tecnologica,
che cambia in maniera radicale il modo di lavorare e di produrre. La telematica, ovvero
l’utilizzo dell’informatica applicata alle telecomunicazioni, sovverte il modo di comunicare
(computer, Internet, comunicazioni satellitari ecc.). A questa grande rivoluzione si unisce il
miglioramento, in termini di aumento della rapidità degli spostamenti e dunque di risparmio
di tempi, dei trasporti. Il salto tecnologico permette così di comunicare, via web e via satellite,
in maniera sicura, veloce e diretta, mentre grazie ai nuovi trasporti risulta più conveniente
produrre anche al di là del territorio nazionale.
In questo scenario l’elemento che muta è, quindi, l’integrazione ovvero il contenimento
all’interno della stessa azienda di tutto il processo produttivo e delle fasi ad esso correlate.
L’integrazione, in passato realizzata dentro l’impresa a livello verticale, si realizza ora
orizzontalmente sul territorio, tra le imprese. Nascono legami sia funzionali che operativi con
imprese esterne: dal modello centralizzato si passa all’impresa a rete, al network, al reticolo
industriale globale. Lo spazio si trasforma e da fisico diventa “virtuale”. Tale processo è detto
di de-verticalizzazione
2
.
In un contesto che è diventato globale, si attua una divisione profonda tra operazioni concrete,
processi produttivi, da un lato e management strategico (delle informazioni, dei capitali, ecc.)
dall’altro. Si assiste quindi a una trasformazione del capitalismo che si potenzia a livello di
2 Romano L., Rullani E., “Il postfordismo: Idee per il capitalismo prossimo venturo”. ETAS Libri, Milano, 1998.
13
potere strategico sul piano globale e si snellisce in termini operativi sul piano locale
(downsizing).
Risulta importante aggiungere che questo processo è favorito dal fatto che una parte di
investimenti da parte delle aziende è di tipo finanziario e non più industriale (strutture,
macchinari, ecc.). A questo proposito si parla, infatti, anche di finanziarizzazione
dell’economia.
Elementi dell’impresa Postfordista
I processi di snellimento e di atomizzazione sul territorio globale vengono attuati dall'impresa
al fine di perseguire una flessibilità maggiore (funzionale, numerica, strutturale, ecc.).
Oltre alla flessibilità un altro elemento determinante è l’incertezza dell’ambiente che, rispetto
al passato, non è legata ad eventi catastrofici o di particolare rilievo, ma è costantemente
presente e condiziona l’azione dei soggetti che nell’ambiente operano: aziende, mercati,
lavoratori ecc.
L’indeterminatezza e la complessità possono essere considerate variabili tipiche di uno
scenario economico che vede da un lato un mercato oramai saturo e dall’altro aziende alla
ricerca di varietà, di qualità, di personalizzazione dei prodotti.
In questo contesto di incertezza l’azienda Postfordista, posizionata nel mercato globale, si
organizza per essere competitiva affrontando la difficoltà di conoscere, di relazionarsi con il
mercato e di avere elementi informativi sufficienti per dare risposte alle richieste provenienti
dall’esterno.
L’ambiente di riferimento è caotico, discontinuo ma ciò non significa che l’impresa lavori in
assenza di organizzazione. Al contrario l’organizzazione imprenditoriale diventa più versatile
ed aperta all’ambiente. L’azienda apprende grazie ai potenti mezzi tecnologici, organizzativi e
14
culturali di cui dispone per rispondere alle esigenze del mercato e quindi per garantire la
propria sopravvivenza.
Nello stesso ambito l’impresa Fordista, con la sua insufficiente disposizione di mezzi adeguati
e un’organizzazione accentrata, rigida, ingessata, non sarebbe stata in grado di essere
competitiva. Per l’azienda di massa, infatti, le risorse di riferimento erano le strutture fisiche
(edifici, spazi, linee di produzione, catena di montaggio ecc.) e una struttura proprietaria
definita, dai confini ben delimitati e noti, mentre ora le risorse del sistema diventano più
volatili, legate alla conoscenza; anche i prodotti si modificano. Il bene prodotto non è
costituito soltanto da servizi, riconosciuti da tempo come parte integrante degli stessi prodotti,
ma un vero e proprio oggetto virtuale: conoscenze, relazioni, comunicazioni,
rappresentazioni. I prodotti perdono peso, si de-materializzano. E se questi sono i beni
sfornati dalla nuova industria non si può più parlare di divisione del lavoro così come Taylor
la intendeva, basata su uno stesso spazio fisico riconosciuto a livello locale o urbano, ma
soltanto di divisione del lavoro cognitivo tra partner aziendali transnazionali che collaborano
tramite potenti reti di comunicazione. Gli stessi investimenti aziendali cambiano modalità.
Non sono più rivolti all’acquisto o all’adeguamento di macchinari, di spazi produttivi, alle
fasi di progettazione e creazione ecc. per la produzione di un prodotto specifico. Tale
soluzione creerebbe, infatti, soltanto ulteriori rigidità rispetto a nuove possibilità di
produzione richieste dal mercato. Semmai l’impiego di capitali si concentra sul
potenziamento della rete dei subfornitori specializzati (tecnologie, software, linguaggi, ecc.).
Le rigidità che una volta ricadevano sull’azienda infatti si spostano ora a livello di rete. Non è
l’impresa a dovere ampliare le sue dimensioni e a specializzarsi su varie linee di prodotti. I
costi vengono abbattuti nel passaggio dall’economia di scala, che mirava ad estendere il
volume della produzione, all’economia di “scopo”. Si cerca di ampliare il numero dei clienti,
di fidelizzarli creando legami di consapevolezza, di identità, di relazione e di comunità.
Attraverso il legame di consapevolezza il cliente ha il primo contatto con l’azienda
15
conoscendo il prodotto o il servizio proposto. Attraverso il legame di identità il cliente
comincia ad identificarsi nel prodotto e a distinguersi dagli altri attraverso il possesso del
bene. Lo scopo è di vendere ad uno stesso cliente numerosi prodotti nel corso della sua
esistenza, di sfruttare le potenzialità delle strategie di marketing e di utilizzare al meglio le
competenze distintive dei partner della rete
3
. In sostanza si iniziano ad utilizzare saperi,
conoscenze, abilità e risorse non più e non soltanto interne all’azienda, ma appartenenti al
network globale e al cliente stesso.
Lo stesso tempo della produzione non è più così rigido, cadenzato, misurato ma diventa un
tempo interattivo, riconfigurabile a seconda del bisogno, non programmato. La vita dei
lavoratori, in passato scandita dall’orario della fabbrica, si rimodella e il consumatore stesso
cambia volto e ruolo.
Se mutano gli elementi del quadro di riferimento sui quali per anni si era basato l’impianto
fordista (organizzazione aziendale, tempi di produzione, prodotti, mercato, relazioni
interaziendali), all’interno dell’azienda Postfordista un altro elemento cambia profondamente:
il lavoro e le condizioni del lavoratore.
Come cambia il lavoro
Incertezza, mobilità, rischio e opportunità sono concetti che possono descrivere la società
odierna caratterizzata da un capitalismo flessibile e da un’“economia della velocità”. Tale
società che, come abbiamo analizzato, vede trasformarsi le strutture produttive per adattarsi
alle necessità del mercato, conosce ovviamente anche sul versante del lavoro cambiamenti
profondi. Quelle che erano un tempo le condizioni di stabilità lavorative (il lavoro in un’unica
azienda pressoché per tutta la vita, la regolazione del rinnovo dei contratti tramite tutela
sindacale, ecc.), nella economia delle reti si trasformano per lasciare posto ad una maggiore
3 Rifkin J.,” L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy”, Mondadori, Milano, 2000.
16
instabilità e precarietà dei lavoratori [Accornero, 2001
4
; Beck, 2000
5
; Sennet, 1999
6
; Chicchi,
2001
7
] e/o, a seconda delle situazioni, a maggiori opportunità di iniziativa e spazi di
autonomia, prima insperati. Questo duplice aspetto è caratteristico, infatti, di quella che, dopo
la fine del “posto fisso”, del lavoro a tempo indeterminato, viene chiamata non più società del
lavoro, ma “società dei lavori
8
”.
Le esigenze di “sburocratizzare” i grandi apparati aziendali, la fine di forme di
assistenzialismo statale e una maggiore dinamicità e flessibilità dell’economia hanno, senza
dubbio, il merito di aver creato da un lato condizioni idonee per affrontare meglio la
competitività da parte delle imprese e dall’altro maggiori opportunità anche per i lavoratori (si
pensi ad esempio all’aumento del lavoro autonomo, della imprenditorialità giovanile e alla
maggiore autonomia nell’ambito del lavoro dipendente). Tali cambiamenti, però, hanno
gettato anche le basi per un aumento della insicurezza, dell’instabilità e del rischio con il
conseguente carico di ansietà e per i lavoratori dipendenti e indipendenti e non solo per coloro
che sul mercato risultano meno preparati e competenti [Beck, 2000
9
; Gallino, 2001
10
].
Se un tempo si studiavano gli effetti del lavoro ripetitivo, monotono e routinario ovvero il
disadattamento, la demotivazione, l’insoddisfazione dei lavoratori, oggi si studiano gli effetti
dell’incertezza, della variabilità, della flessibilità spinta e cioè l’ansia e lo stress [Accornero,
2001
11
].
In tal senso si parla di “società dei lavori” proprio per indicare la de-standardizzazione del
lavoro rispetto all’idea del lavoro tradizionale tipico dell’epoca Fordista (in termini di rapporti
di lavoro, contenuti, orari/tempi, spazi/luoghi, garanzie..)
4 Accornero A., “Dal Fordismo al Post-fordismo: il lavoro e i lavori”, Rassegna sindacale, Ediesse, gennaio-aprile 2001.
5 Beck U., ”La società del rischio. Verso una nuova modernità”, Carocci, Roma 2000.
6 Sennet R., Richard S., ”L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo”, Feltrinelli, Milano, 1999.
7 F.Chicchi, “DeriveSociali: Precarizzazione del lavoro, crisi del legame sociale ed egemonia culturale del rischio”, Franco Angeli, Milano, 2001.
8 Accornero A., “Dal Fordismo al Post-fordismo: il lavoro e i lavori”, Rassegna sindacale, Ediesse, gennaio-aprile 2001.
9 Beck U., ”La società del rischio. Verso una nuova modernità”, Carocci, Roma 2000.
10 Gallino L., “Il costo umano della flessibilità”, Laterza, Roma, 2001.
11 Accornero A., “Dal Fordismo al Post-fordismo: il lavoro e i lavori”, Rassegna sindacale, Ediesse, gennaio-aprile 2001.
17
Accanto a quello che in passato era considerato l’unico rapporto di lavoro stabile (il lavoro
dipendente a tempo pieno) nascono, o vengono utilizzati in maniera molto più ampia rispetto
al passato, contratti flessibili come: le prestazioni occasionali, le collaborazioni coordinate e
continuative, il lavoro interinale, i contratti weekend, l’associazione in partecipazione, il job-
sharing, ecc. Tutte queste condizioni vengono definite comunemente: “lavoro atipico”, inteso
come tutto quello che non può essere catalogato come tipico e cioè tutto ciò che si allontana
dal lavoro dipendente, a tempo pieno e indeterminato.
Il rapporto classico tra l’azienda e il lavoratore e tra il lavoratore e i colleghi, fatto anche di
senso di appartenenza, di lealtà e fiducia si trasforma. La mancanza, inoltre, di continuità
lavorativa ha conseguenze negative in termini di carriera, di garanzie pensionistiche ecc., sul
lavoratore interinale che alterna periodi di lavoro a periodi di non lavoro. E dunque l’utilizzo
di queste modalità contrattuali, se per alcuni può essere considerata come una forma di
debolezza sociale e di precarietà, per altri è sicuramente un segno distintivo della loro forza
nel mercato del lavoro, delle loro competenze e della loro spendibilità (si pensi ad esempio ai
lavoratori dipendenti con doppi lavori, ai lavoratori ad elevate competenze, ecc.).
Il lavoro, come abbiamo detto, cambia, però, anche in termini di contenuti e modalità. Il
contenuto del lavoro tende a diventare immateriale. Il lavoro manuale e non solo quello, si
trasforma sempre più in un lavoro di relazione, di comunicazione, che richiede un alto livello
di capacità linguistiche e di disponibilità. Accanto alla mera esecuzione si unisce, dunque, la
capacità di astrazione, di risoluzione dei problemi e di raggiungimento degli obiettivi legata
all’aumento dell’autonomia.
Ai lavoratori si chiedono maggiori sforzi: flessibilità, prontezza, versatilità. Aumenta anche la
soddisfazione da parte del lavoratore, una volta costretto a svolgere soltanto compiti routinari,
senza interagire minimamente con l’organizzazione del lavoro, gestita interamente dalla
gerarchia interna. Questo ampliamento di responsabilità può incidere, però, pesantemente
sulla vita lavorativa quando non accompagnato da un analogo contributo da parte
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dell’organizzazione (scarsità di personale, tempi stringenti, insufficienti indicazioni per la
risoluzione dei problemi ecc.).
Il lavoratore si ritrova, allora, a dover controllare un ampio spettro di processo produttivo, a
individuare problemi, rintracciare soluzioni. Se l’aumento di autonomia sul versante del
lavoro dipendente, viene utilizzato come misura di flessibilità funzionale da parte delle
aziende (come risposta cioè alle esigenze del mercato e alle inefficienze organizzative
interne), non vi è, però, in cambio nessuna garanzia rispetto a quelle sicurezze che facevano
parte del patrimonio di certezze del lavoratore di un tempo (posto fisso, linearità della
carriera, ecc..), né si incontrano facilmente forme di partecipazione reale e di cogestione
(azionariato, stock options ecc.)
12
.
Il concetto di libertà si traduce allora in un’autonomia apparente, perché legata soltanto ai
modi di elaborazione e produzione, alle semplici attività lavorative, più che a una
condivisione delle decisioni e delle strategie aziendali in sede di programmazione. Il controllo
che nel Fordismo veniva applicato anche all’esecuzione di piccole mansioni e che quindi era
totalizzante e alienante, oggi si fa più sottile, invisibile, insinuante, finalizzato al risultato
finale, al raggiungimento degli obiettivi
13
. Ecco, allora, emergere i due aspetti del problema:
libertà, autonomia e responsabilità da un lato e vincoli, controllo, obblighi da rispettare
dall’altro.
12 Accornero A., “Dal Fordismo al Post-fordismo: il lavoro e i lavori”, Rassegna sindacale, Ediesse, gennaio-aprile 2001.
13 Sennet R., Richard S., ”L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo”, Feltrinelli, Milano, 1999.