Introduzione
6
intertemporale in condizioni di incertezza, in cui le decisioni richiedono una
revisione per ogni istante temporale, revisione che viene eseguita
considerando, ovviamente, le nuove informazioni disponibili volta per volta e
il cambiamento delle aspettative dell’investitore.
Nel primo capitolo viene presentata una rassegna storica che parte dalla teoria
innovativa di Markowitz per concludersi con gli odierni metodi di selezione
del portafoglio usati dai gestori.
Ciò di cui si occupa questa tesi è la generazione degli scenari, ovvero quella
determinata struttura che consente di descrivere le possibili realizzazioni in
periodi discreti della variabile aleatori. L’ottimizzazione di questa generazione
viene eseguita tramite l’utilizzo della programmazione stocastica, che
permette di analizzare e risolvere problemi dinamici in condizione di
incertezza.
Nel secondo capitolo vengono date le nozioni base riguardo la
programmazione stocastica utilizzata in questo lavoro dando maggior risalto
all’algoritmo introdotto da Benders e i relativi sviluppi, nonché viene
sufficientemente spiegato il metodo di costruzione e utilizzo di un modello a
scenari.
Il punto forte su cui fa leva un approccio basato sulla generazione di scenari è
quello di scavalcare tutti quei metodi di previsione che si basano sulla stima
puntuale dei valori; inoltre con questo metodo è possibile includere nei
possibili sviluppi del problema i dati cosiddetti “estremi” che, secondo le
statistiche, hanno scarse probabilità di riverificarsi.
Viene qui presentato un metodo di revisione del portafoglio basato sulla
generazione di scenari che utilizza come base la stima delle serie storiche con
il modello GARCH. Questo tipo di modello infatti ha già ricevuto ampi
consensi in passato per la risoluzione di problemi di tipo previsivo e sembra
essere quindi, tra i modelli presenti in statistica, quello che forse si adatta di
più a questo tipo di terreno.
Introduzione
7
Nel terzo capitolo viene riportata un’ampia documentazione riguardo al
modello, evidenziando in particolare le doti del modello GARCH(1,1).
Il modello GARCH viene qui usato per ottenere una stima puntuale che sia
attendibile, a partire da serie storiche note, attorno alla quale costruire l’albero
degli scenari. Gli scenari generati sono stati successivamente sottoposti al
processo di ottimizzazione stocastica tramite il quale si entra in possesso delle
decisioni di investimento nel problema di selezione del portafoglio.
In conclusione vengono riportati alcuni suggerimenti per dei possibili sviluppi
del modello che potrebbero portare ad interessanti sviluppi del modello in
futuro.
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
8
Capitolo 1
Gestione del portafoglio
1.1 Markowitz: precursore di una nuova teoria
La selezione del portafoglio alla Markowitz offre un metodo per effettuare un
investimento nel mercato azionario. Sostanzialmente nel problema una certa
ricchezza iniziale viene investita in alcuni beni, creando il portafoglio, con lo
scopo di avere dopo un determinato periodo di tempo una ricchezza il più
maggiore possibile tenendo conto del rischio.
Il modello, infatti, decide quanto investire della ricchezza in ogni bene con
l’obiettivo di massimizzare il valore atteso del rendimento del portafoglio e
minimizzare il rischio rappresentato dalla varianza (o meglio, dalla deviazione
standard).
A questo punto ci chiediamo fino a che punto tale metodo sia valido, dato che
non mancano le critiche a questo modello di selezione del portafoglio. Fra gli
altri, il modello ha un punto debole rappresentato dalla necessità di utilizzare
dei parametri, che sono il vettore dei rendimenti attesi dei vari titoli e la matrice
varianze-covarianze dei titoli stessi. Le medie e le varianze, che noi dovremmo
utilizzare nel modello, dovrebbero essere quelle ricavate dai dati sui rendimenti
futuri dei titoli; ma poiché non possiamo, ovviamente conoscere i rendimenti
futuri, siamo costretti a stimare i parametri che ci interessano. Uno dei modi
possibili per ottenere delle stime, è quello di utilizzare i dati sui rendimenti
passati; questo metodo risulta efficace se si considerano serie storiche
stazionarie
1
. Sfortunatamente, i rendimenti dei titoli azionari non sono di solito
1
Una serie storica si dice stazionaria se i parametri del processo stocastico che la descrivono non
variano al variare del tempo.
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
9
stazionari, come alcune ricerche empiriche hanno dimostrato
2
; tali ricerche
hanno infatti rigettato molti test di stazionarietà in media ed in varianza, anche
se bisogna puntualizzare che per brevi periodi ci può comunque essere una certa
“stabilità”. La non stazionarietà delle serie storiche dei rendimenti azionari, ai
fini dell’applicazione del modello di Markowitz, crea non pochi problemi;
infatti utilizzare una serie storica non stazionaria significa che le stime dei
parametri (media, varianza e covarianza) possono non essere attendibili e che
tali stime possono cambiare anche di molto in un breve periodo di tempo.
C’è poi un altro problema da affrontare una volta eseguita la selezione: da
questa otteniamo un portafoglio le cui quote possono essere rappresentate con
un vettore X°, in cui sono indicate le percentuali dei singoli titoli da acquistare.
Con il passare del tempo, a causa delle variazioni giornaliere dei prezzi
azionari, varia il valore dei singoli titoli azionari e con essi il valore del
portafoglio; ma poiché le variazioni dei diversi titoli non avvengono in generale
nella stessa percentuale (anzi, probabilmente vi saranno titoli che aumentano di
valore e titoli che diminuiscono il loro valore), il peso dei singoli titoli
all’interno del portafoglio dovrà variare per conseguire gli stessi obiettivi del
portafoglio selezionato originariamente; in pratica, si dovrà cambiare la
composizione del portafoglio iniziale X° a causa della variazione delle quote
percentuali dei singoli titoli all’interno del portafoglio.
Riassumendo, se supponiamo di avere selezionato un portafoglio X
t
, scelto sulla
frontiera efficiente nell’istante di tempo t, ci sono almeno due motivi per cui, in
un istante di tempo successivo, t+1, tale portafoglio può non trovarsi più sulla
frontiera efficiente:
• perché le stime del valore atteso, della varianza e della covarianza anche di
un solo titolo possono essere cambiate;
• perché il movimento dei prezzi dei vari titoli ha cambiato “l’importanza” dei
titoli stessi indicate nel portafoglio X
t
.
2
Vedi le ricerche di Krizanowski sul mercato americano, Kremer, Van der Meulen e Vermeulen sul
mercato olandese e Fanna sul mercato italiano.
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
10
Una soluzione ovvia è quella di cercare in qualche modo di riposizionarci sulla
frontiera efficiente; questa soluzione implica l’aggiornamento delle stime dei
parametri, per poter procedere al calcolo della nuova frontiera efficiente, sulla
quale potremmo spostarci variando opportunamente le quote del vecchio
portafoglio. Tutto questo processo può essere definito come processo di
revisione del portafoglio che però, come vedremo nei prossimi paragrafi,
comporta dei costi non indifferenti
1.2 Vizi del modello marcoviano
A detta di tutti gli studiosi uno dei maggiori difetti del modello di Markowitz è
quello di essere un modello miope. Infatti una selezione del portafoglio alla
Markowitz permette di prendere una decisione valida solo per un periodo
immediatamente successivo.
In molti hanno tentato di perfezionare il modello per renderlo adatto a risolvere
problemi di revisione
3
introducendo nel modello i costi di transazione e i vincoli
di tourn-over, ottenendo dei miglioramenti purtroppo non sufficienti soprattutto
sotto il profilo dei costi.
1.2.1 I costi di aggiornamento dati
Sotto questa denominazione si riconducono i costi che l’investitore deve
sostenere per la raccolta dei dati sui titoli e per l’aggiornamento delle stime dei
parametri, in modo che siano sempre attendibili; in pratica, sono costi necessari
per il reperimento e l’elaborazione dei dati. L’investitore che decida di applicare
un modello di revisione del portafoglio, deve tenere conto di questi costi; spesso
infatti non vengono inseriti nei modelli, dato che sono costi fissi e non
dipendono dalle quote investite; il modello di revisione dovrà dunque garantire
un rendimento, al netto dei costi di aggiornamento dati, almeno pari al
3
Pogue (1970), Smith (1971), Chen, Ten e Ziong (1971), Stone (1973), Schriner (1980), Perold
(1984).
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
11
rendimento che si otterrebbe senza revisionare il portafoglio, altrimenti la sua
applicazione non avrebbe senso.
1.2.2 I costi di transazione
I costi di transazione, che sono relativi al costo della compravendita vera e
propria del titolo azionario, si possono a loro volta suddividere in commissioni
e costi di illiquidità.
Le commissioni vengono applicate, di norma, proporzionalmente al valore
acquistato o venduto dal broker, o agente di cambio, o dalla banca presso cui si
effettua l’operazione. Il loro ammontare varia da Paese a Paese, ma negli ultimi
anni si è potuto verificare una diminuzione notevole del loro peso, grazie alla
possibilità offerta da Internet di gestire ordini di acquisto o di vendita (è
l’utilizzo della così detta borsa telematica, che sta praticamente facendo sparire
la figura dell’agente di cambio).
Per quanto riguarda i costi di illiquidità, come sappiamo, contrariamente alle
ipotesi sulla perfetta efficienza del mercato, nei mercati reali i prezzi sono
influenzati dai quantitativi trattati; ciò significa che, se cediamo sul mercato una
quantità rilevante di azioni dello stesso titolo, sarà possibile osservare un calo
dei prezzi. Questo calo, anche se lieve, rappresenta un costo, poiché non si è
potuto cedere tutte le azioni al prezzo presente in quel momento sul mercato,
ma una parte sarà stata ceduta ad un prezzo inferiore, incassando una somma
inferiore a quella che ci si aspettava di ottenere. Naturalmente, lo stesso
discorso vale per gli acquisti, solo che in questo caso una “grossa” richiesta di
azioni sul mercato ne farà aumentare il prezzo. Questo tipo di costo può essere
definito costo di illiquidità, e può pesare notevolmente sulla revisione,
soprattutto se l’ammontare di azioni di una stessa società da acquistare o
vendere è rilevante.
Come vedremo nei capitoli seguenti, diversi Autori hanno tentato di definire
un’appropriata funzione dei costi di transazione, cercando di tenere conto di
tutti questi fattori; in genere il risultato è una funzione non lineare che complica
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
12
notevolmente la risoluzione del problema di ottimizzazione soggiacente alla
selezione del portafoglio stesso.
1.2.3 I costi legati alla tassazione del capital gain
Questo tipo di costi potrebbe sembrare non direttamente correlato con la
revisione, dato che prima o poi tali imposte devono venire pagate; ma la
revisione comporta la cessione di azioni e come sappiamo le imposte sul capital
gain vengono riscosse nel momento in cui si realizza il guadagno di capitale
cedendo le azioni; dunque finché noi non cediamo le azioni, non paghiamo le
tasse sui capital gains. Osserviamo attraverso un esempio cosa succede quando
un portafoglio viene revisionato: supponiamo di possedere in portafoglio un
numero A
t
di azioni del titolo A, consideriamo due possibili strategie
d’investimento:
• mantenere anche per il periodo successivo il titolo A;
• revisionare il nostro portafoglio vendendo le azioni del titolo A per
comprare quelle del titolo B.
Nel primo caso, il valore atteso del nostro portafoglio composto dal solo titolo
A, è dato da: A
t
P
At
µ
A
,
dove P
At
è il prezzo di un’azione del titolo A nell’istante t e µ
A
è il rendimento
atteso del titolo A per il periodo successivo;
nel secondo caso il valore atteso (tralasciando per ora i costi di transazione) è
dato da:
[A
t
P
At
-T
c
A
t
(P
At
-P
At-1
)] µ
B
,
dove T
c
è l’aliquota applicata sul capital gain, P
At-1
il prezzo di acquisto del
titolo A e µ
B
il rendimento atteso per il titolo B nel periodo successivo.
Come si può notare, la somma investita nel secondo caso è inferiore a quella
investita nel primo, infatti la quantità T
c
A
t
(P
At
-P
At-1
)>0 se P
A
>P
At-1
, che
rappresenta la tassa sul capital gain pagato in seguito alla cessione del titolo A,
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
13
riduce il capitale a nostra disposizione nel caso si ceda il titolo A procedendo
alla revisione.
In questo senso la tassa sul capital gain è un costo legato alla revisione: perché
revisionando il portafoglio dobbiamo pagarla, e abbiamo dunque a disposizione
una somma inferiore a quella che avremmo avuto senza revisionare il
portafoglio.
1.3 Sviluppi del modello di Markowitz
Nel corso di questi ultimi anni, a partire dal lavoro pionieristico di Markowitz
(1952), ci sono state numerose applicazioni della programmazione
matematica, sia deterministica che stocastica, in ambito finanziario.
Il problema base di molte istituzioni finanziarie, infatti, è quello di gestire in
modo adeguato i rendimenti delle attività presenti in portafoglio e gli impegni
dati dalle passività in modo da riuscire a raggiungere una performance
ottimale rispettando i molti vincoli a cui sono soggette. I maggiori problemi
sono dati dall’incertezza, insita sia nei rendimenti delle attività sia nei flussi di
cassa in uscita e sia in altri parametri, e dal trovare un adeguato criterio per la
misurazione della performance.
I modelli di gestione delle attività e delle passività possono essere di vario
tipo: statici o dinamici, deterministici o stocastici, basati sul criterio media-
varianza di Markowitz o su altri criteri.
I primi modelli formulati in questo ambito erano basati sulla programmazione
lineare. Un esempio sono i problemi formulati da Chambers e Charnes (1961),
Cohen e Hammer (1967), Beazer (1975), Brodt (1976), Komar (1971), e
Lifson e Blackman (1973). L’obiettivo di questi modelli era quello di
massimizzare il profitto cercando di bilanciare le entrate e le uscite di fondi
per soddisfare i vincoli di bilancio e di liquidità.
Pyle (1971) sviluppò un modello media-varianza statico per la selezione del
livello di attività e passività che un intermediario avrebbe dovuto mantenere
nel corso del periodo. E’ un modello basato sulla teoria della selezione del
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
14
portafoglio di Markowitz, che assume i rendimenti distribuiti normalmente, e
che utilizza delle funzioni di utilità avverse al rischio. Il valore di una attività
non dipende, in questa teoria, solamente dal valore atteso e dalla varianza del
rendimento, ma anche dalla covarianza esistente fra i rendimenti di tutti i
potenziali investimenti. Pyle però nel suo lavoro oltre a non prendere in
considerazione la dinamicità del problema, non considera nemmeno i costi di
transazione. Inoltre considera solo il rischio di portafoglio e non considera
anche altri elementi incerti. Modelli di questo tipo sono però inadeguati per i
problemi di decisione che devono essere dinamici.
Kallberg e Ziemba (1981) sviluppano un problema che deriva dal modello di
Pyle, e cioè un modello dinamico basato sul criterio di Markowitz. Però la
complessità computazionale di questi tipi di modelli rende difficilmente
praticabile lo sviluppo di algoritmi operativi per larghe organizzazioni.
Oltre a modelli basati sul criterio media-varianza, sono stati formulati altri
criteri. L’approccio media-varianza di Markowitz infatti contiene al suo
interno numerose limitazioni, in particolare per la gestione di attività e
passività. Per questo tipo di problemi sono quindi state trovate altre definizioni
di rischio operativo. Una di questi si basa sulla massimizzazione dei flussi
futuri di profitto soggetti a vincoli di diversificazione del portafoglio. Questo
criterio deriva da Myers (1968) che nel suo lavoro cerca di vedere quali siano i
migliori criteri nel problema di gestione delle attività e delle passività.
Basandosi sulla condizione di equilibrio dei titoli presenti sul mercato e sulla
loro indipendenza dal rischio, conclude che il miglior criterio disponibile per
le istituzioni finanziarie è la massimizzazione del valore attuale atteso netto
(ENVP). Modelli basati su questo criterio, come quelli proposti da Cohen e
Hammer (1967) e da Hester e Pierce (1975), sono stati a lungo accettati dalle
istituzioni finanziarie.
Questi modelli non considerano però l’incertezza insita nei problemi
finanziari, o la trattano in modo inadeguato prendendone delle realizzazioni
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
15
deterministiche. Sono però computazionalmente trattabili anche per problemi
di notevoli dimensioni.
I primi autori a riconoscere che i problemi deterministici classici non erano
adatti ad interpretare la realtà furono Dantzig (1955) e Beale (1955) che
proposero come soluzione l’uso di modelli stocastici. In seguito anche autori
come Bradley e Crane (1972), Cohen e Thore (1970), e Eppen e Fama (1968)
criticano queste impostazioni del problema di base, e cioè l’uso di modelli
deterministici, dimostrando come solo i problemi dinamico stocastici possono
rappresentare in modo adeguato la realtà tenendo contemporaneamente
presente sia la dinamicità e sia l’incertezza all’interno del modello. Purtroppo
la presenza nel problema di entrambe le componenti (dinamicità e incertezza)
provoca un notevole aumento della sua dimensione anche solo con
l’inserimento di pochi titoli e pochi periodi, causando quindi notevoli
problemi a livello computazionale pratico.
I modelli stocastici includono l’uso di programmazione con vincoli
probabilistici, o di programmazione dinamica, o teorie di decisioni
sequenziali, o programmazione lineare in condizioni di incertezza. Questi
modelli hanno avuto all’inizio poco successo a causa delle notevoli dimensioni
dei problemi e alle conseguenti difficoltà di calcolo.
Charnes e Kirby (1965), Charnes e Littlechild (1968), Charnes e Thore (1966),
sviluppano modelli con vincoli probabilistici (detti anche problemi chance-
constrained) per problemi di gestione dei flussi di cassa, esprimendo i depositi
e i pagamenti futuri come variabili casuali distribuite normalmente e
sostituiscono ai vincoli di capitale vincoli probabilistici. Questi modelli
portano ad una possibilità di calcolo per situazioni realistiche [vedi Charnes,
Gallegos e Yao (1982)], ma tuttavia non possono maneggiare con diversi tipi
di vincoli o con differenti violazioni dei vincoli stessi. In più l’estensione dei
modelli al caso multiperiodale porta difficoltà concettuali ancora non risolte
in letteratura. Per questo motivo non sono stati sviluppati modelli finanziari
che seguano questo tipo di formulazione.
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
16
Il secondo approccio che consente di lavorare con i modelli stocastici è la
programmazione dinamica. Alcuni modelli in questo campo sono stati
formulati da Eppen e Fama (1968, 1971) che propongono problemi con due o
tre titoli, e da Daellenbach e Archer (1969) i quali introducono anche una
passività.
Ziemba e Vickson (1975) fanno una rassegna di questi modelli che sono
dinamici e che ammettono l’incertezza nei rendimenti, ma possono lavorare
solo con pochi strumenti finanziari e con pochi periodi e quindi sono di
praticità limitata.
La terza alternativa è l’approccio basato sulle decisioni sequenziali. Un primo
modello che segue questa impostazione è quella di Wolf (1969). Egli applica
l’analisi sequenziale di decisione per trovare una soluzione ottima al problema
attraverso l’uso di enumerazioni implicite. Il modello di Wolf è inadeguato a
rappresentare la realtà in quanto considera solo il rischio di portafoglio e non
altri elementi incerti, inoltre non considera i costi di transizione nè mette
assieme attività e passività. La tecnica usata da Wolf, poi, porta a trovare una
soluzione ottimale esplicita solo per modelli uniperiodali; mentre per modelli
multiperiodali richiede procedure di calcolo che portano a delle
approssimazioni che possono invalidare il risultato dell’ottimizzazione.
Bradley e Crane (1972, 1973, 1976) hanno sviluppato un modello stocastico di
decisione ad albero che possiede molte caratteristiche desiderabili per la
gestione di un portafoglio di un intermediario finanziario. In questo modello
vengono introdotti anche algoritmi di decomposizione del modello generale
per diminuire le difficoltà di calcolo.
Il quarto approccio è la programmazione lineare stocastica con ricorso
semplice (SLPSR), chiamata anche programmazione lineare in condizioni di
incertezza. Questo tipo di tecnica è caratterizzato dall’esplicitazione di ogni
realizzazione delle variabili incerte tramite vincoli. Questo modo di procedere
porta ad un aumento della dimensione del problema con conseguenti difficoltà
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
17
di calcolo. Choen e Thore (1970) e Crane (1971) propongono modelli che
risolvono in modo efficiente problemi con due periodi.
Comunque, con la sola eccezione del modello di Bradley e Crane, nessuno dei
modelli precedentemente analizzati contiene le caratteristiche essenziali per un
adeguato modello di gestione del portafoglio di un’istituzione finanziaria che
sia anche praticamente risolvibile.
Wolf (1969), Bradley e Crane (1972, 1976, 1980) e Lane e Hutchinson (1980)
introducono perciò i modelli stocastici di decisione ad albero, e cioè modelli di
programmazione lineare dinamica per la gestione di portafogli di titoli. Questi
modelli stocastici sono molto utili per problemi di piccola dimensione, ma
diventano poco maneggevoli già con pochi periodi. Entrambi i lavori
risolvono però direttamente il problema deterministico equivalente.
Conseguentemente il modello si restringe all’analisi di alcune variabili incerte
strategiche data la rapida crescita della dimensione del problema con il
numero degli scenari considerati.
Successivamente Kallberg ed altri (1982), Kusy (1978), e Kusy e Ziemba
(1986) sviluppano modelli basati sulla programmazione lineare stocastica con
revisione semplice.
Il modello di Kallberg (modello KWZ, 1982) fa vedere come i modelli a due
stadi permettano di migliorare la programmazione finanziaria a breve termine
riuscendo a bilanciare le entrate e le uscite di cassa rispetto a modelli
deterministici che si basano su medie delle variabili casuali. Questo modello fa
vedere poi come inserire i costi di penalità e analizza i loro effetti sulla
soluzione finale del problema.
Il modello di Kusy e Ziemba (modello ALM) è un programma lineare
stocastico multiscenario in ambiente caratterizzato da incertezza per il
problema della gestione di un portafoglio di una banca. In questo modello però
solamente i depositi ed i prelievi vengono considerati parametri incerti, mentre
le altre variabili casuali vengono trattate, tramite l’uso del loro valore atteso,
come variabili deterministiche. Questo modello si pone lo scopo di
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
18
massimizzare il valore netto presente dei profitti della banca. Si ammettano
violazioni dei vincoli introducendo funzioni di penalità nella funzione
obiettivo. Viene quindi usato uno schema di approssimazione che aggrega
tutte le decisioni e le penalità per le violazioni dei vincoli nei periodi futuri
formulando così problemi stocastici a due stadi con ricorso semplice. Poi i
rendimenti delle attività sono sostituiti con i loro valori attesi e solo i flussi di
cassa esterni sono lasciati come variabili stocastiche. Con questo modello, che
è un’applicazione per la Vancouver City Credit Union, si dimostra come la
programmazione stocastica sia superiore all’approccio della programmazione
dinamica sviluppata da Bradley e Crane (1972).
Altri autori come Buhler e Gehring (1978), Cohen e Thore (1970), Crane
(1971) e Booth(1972) formularono problemi di questo tipo. L’uso di questi
modelli è sempre però stato ostacolato dalla presenza di difficoltà
computazionali date dalla dimensione dei problemi. L’avvento di nuovi e
moderni calcolatori ha permesso una notevole riduzione dei tempi di calcolo
(vero ostacolo all’applicazione pratica dei problemi) e questo ha dato nuovo
impulso allo sviluppo di questi modelli.
Dempster e Ireland (1988), Gassman e Ireland (1990), Shapiro (1988), Hiller e
Shapiro (1989), Mulvey e Vladimirou (1989, 1991, 1992), Hiller e Eckstein
(1993), Zenios (1991) hanno recentemente sviluppato modelli stocastici in
ambito finanziario.
In particolare Zenios (1991) e Hiller ed Eckstein (1993) hanno recentemente
proposto problemi stocastici multiperiodali per la selezione di portafogli di
titoli a reddito fisso.
Hiller ed Eckstein hanno costruito un modello statico su un orizzonte
multiperiodale ignorando le possibilità di ribilanciamento del portafoglio nei
periodi futuri. Viene così limitata la dinamicità del sistema.
Mulvey e Vladimirou hanno formulato invece il problema dell’allocazione di
attività finanziarie come un problema stocastico a struttura a rete generalizzata
e ne discutono i risultati empirici.
Capitolo 1: Gestione del portafoglio
19
Zenios ha proposto invece un modello stocastico multiperiodale per la
gestione di un portafoglio di titoli.
Altri modelli ancora sviluppano invece il problema della gestione di attività e
passività come Kusy e Ziemba (1986) e Cariño e Ziemba (1998), Klassen
(1996). Per una rassegna dei moderni modelli ALM si può vedere Ziemba e
Mulvey (1998).
La formulazione di questi modelli ha avuto un notevole sviluppo in questi
ultimi anni grazie soprattutto al miglioramento costante delle performance dei
computer che consentono di trattare problemi di notevoli dimensioni in breve
tempo. Questo è permesso anche dal collegamento di diversi computer fra di
loro in parallelo.
1.4 I metodi più usati dai gestori oggi
1.4.1 Introduzione
E’ noto che negli ultimi anni il numero degli investitori nel mercato mobiliare
è aumentato a dismisura, a discapito di quegli investimenti che invece fino a
pochi anni fa dominavano la scena in Italia, tra i quali su tutti chiaramente
svettano i titoli di stato (Bot, Cct, Btp, ecc…).
Aumentando la domanda e quindi le esigenze e se vogliamo i “gusti”
dell’investitore, gioco forza ha voluto che aumentasse pure la diversificazione
dei metodi di investimento, appunto per venire incontro alla crescente
domanda. Sono nati quindi tutta una serie di stili e metodi di gestione di nuova
generazione che approfittando anche del buon andamento del mercato si sono
espansi a dismisura raccogliendo i consensi sia dei gestori che dei clienti.