In copertina:
Abstraktes Bild, olio su tela, 280X280 cm, 2009, (CR 912-1)
GERHARD RICHTER
L’astrazione nella figurazione
Accademia Di Belle Arti Firenze
Corso di Pittura Prof. Uamberto Bisi
Tesi di storia dell’arte:
Relatore Prof. Franca Corradini Candidata: Marika Sartori
Anno Accademico 2010/2011
Gerhard Richter, famoso come pittore figurativo, riflette sul valore delle immagini
all’interno della società contemporanea, utilizza il repertorio visivo del nostro tempo,
come le immagini dei media, ma usa anche fotografie private o motivi di genere, che
diventano materiali di partenza per la sua riflessione sulla pittura. Il suo nuovo modo
di dipingere non è più una pittura soggettiva quale era stata prodotta nell’informale,
ma che trasferisce la realtà dell’immagine fotografica in immagine pittorica come regi-
strazione di una realtà contemporanea oggettiva, superando così il divario tra arte e
vita, tra illusione e realtà. Egli non usa nessuno dei mezzi d’espressione anticonfor-
misti scelti dai suoi contemporanei, ma introduce la provocazione direttamente con
la tecnica più tradizionale di tutte, l’olio su tela. Per questo motivo i quadri di Richter
ingannano il grande pubblico che, ritrovandosi davanti alle sue opere, nota la maniera
tecnicamente perfetta di dipingere ma in realtà non vede altro che un “ready made”
dipinto; realizzato artificialmente con l’ausilio dell’immagine fotografica. Nella no-
stra contemporaneità in cui è possibile esprimere la propria arte attraverso video, in-
stallazioni, Richter sceglie in maniera consapevole e ideologica la pittura.
Nel 1985 scrive: “Come io dipingo, in realtà non si può dipingere, poiché manca la premessa
fondamentale: la certezza di ciò che bisogna dipingere, dunque il tema. Tutti hanno un tema
che seguono, un immagine che hanno sempre cercato di ottenere. Se dipingo un quadro astratto
prima di farlo non so quale debba essere il suo aspetto, e anche mentre dipingo non so dove
voglio arrivare, che cosa ci sarebbe da fare e a quale scopo. Per questo dipingere è quasi uno
sforzo cieco disperato, come quello incomprensibile, come quello di chi possiede un determinato
assortimento di utensili, materiali e capacità e abbia il desiderio impellente di costruire qual-
cosa di sensato, utile che però non può essere né una cosa né una sedia nemmeno una qualsiasi
cosa definibile, che chi ci stà lavorando continui a costruirci sopra, nella vaga speranza che il
Introduzione
1
suo giusto e professionale operare possa da ultimo dare vita a qualcosa di giusto, di sensato”
1
.
Questa frase ci fa capire come Richter lavori sulle immagini riprese dalla realtà e le
rielabori tramite un lavoro di sovrapposizione di diversi strati pittorici che arrivano
a costituire un oggetto che non riproduce il mondo ma si pone come una realtà a sé
stante, sia per quanto riguarda i lavori astratti che per le sue fotopitture. Le sue opere
si possono documentare ricorrendo a tutti i concetti utilizzati per la pittura contempo-
ranea astratta, monocroma, figurativa, oggettuale, espressiva, e romantica
2
. Il modo in
cui Richter si rapporta alle immagini cambia il concetto di figurazione, non c’è più dif-
ferenza tra figurazione e astrazione, soggetto e opera ma è tutto a favore del concetto e
dell’immagine. Dalla fine degli anni Cinquanta molti intellettuali riflettono sul potere
commercialmente votivo delle immagini diffuse dai media
3
. Ma la riflessione che ne
fa Richter è ambiguamente ossessionata dalla sua rielaborazione pittorica
7
. Il lavoro di
Gerhard Richter è raccolto e documentato in Atlas, un archivio di immagini raccolte
come modelli iconografici per la pittura. Ad oggi ha raggiunto il numero di più di
5.000 immagini e oltre ad un archivio di fonti iconografiche, diventa anche un Atlante
che offre un particolare sguardo sul mondo. L’osservatore trova all’interno dell’Atlas
il processo cognitivo di Richter che può essere considerato una mappa completa del-
la sua mente. Il suo atteggiamento neutrale e oggettivo delle fotografie collezionate
ne fanno un riassunto in grado di tramandare la storia collettiva della cultura visiva
dell’epoca. Nei lavori di Gerhard Richter negli anni Sessanta compaiono temi storici
reali e altri dipinti dello stesso periodo ci presentano delle immagini di oggetti (carta
igenica, sedia da cucina) che sono addensati di negazione, riferiti agli atteggiamenti
della collettività. Per questo motivo Gerhard Richter viene considerato uno degli ar-
tisti che attraverso le sue opere ha cercato di smontare l’apparato del silenzio della
Germania del dopoguerra; come Anselm Kiefer, Joseph Beuys e Georg Baselitz.
Ripercorrerò il suo percorso della produzione degli Abstrakte Bilder ponendo
2
l’attenzione sul loro svolgimeto e la loro evoluzione formale che si protrae fino a oggi.
Inoltre ricercando delle manifestazioni internazionali quali la Biennale di Venezia
e Documenta di Kassel in cui Richter ha partecipato, si prenderà visione delle sue
opere riconosciute da un grande pubblico.
Questa tesi che si basa sulla conoscenza delle opere di Richter e la provocazione
che lui fa utilizzando la pittura partendo dalla rappresentazione di un immagine
fotografica figurativa al cambiamento che avviene nella produzione della sua opera
arrivando a realizzare opere astratte ma riferite comunque alla realtà, riferite alle im-
magini del mondo. Vuole essere una riflessione sul mio modo di procedere in pittura,
aprendo cosi una riflessione sul concetto di opera d’arte e la relazione della pittura
non come forma fine a se stessa e separata dalla vita, ma aprire un dialogo tra pittura
e mondo quotidiano.
Note
1. Catalogo della mostra, “Gerhard Richter”, c. Pier Luigi Siena, Peter Weiermair e oraganizzatrice
Brighitte Unterhofer, Museion, Bolzano 1996, p. 4.
2. Peter Weiermair, “Il pittore quale sifido”, nel cat. della mostra “Gerhard Richter”, 1996 op. cit. p.1
3. Roland Barthes (Cherbourg, 12 novembre 1915 – Parigi, 26 marzo 1980), critico letterario francese;
nel saggio “Miti d’oggi” analizzava la società di massa degli anni Cinquanta. Sotto la sua lente, gli og-
getti della vita quotidiana e dei media diventavano la chiave di lettura per capire il proprio tempo e la
propria società. Per Barthes, il mito non sta nelle cose in sè, ma nel modo in cui esse vengono comu-
nicate. Il principio della cultura di massa “sta nella capacità di trasformare il culturale in naturale”.
Ciò che è stato artificialmente costruito diventa, attraverso la comunicazione di massa, qualcosa che
ci appartiene indissolubilmente. World wide web: www.parodos.it/books/pensiero filosofico/barthes_
miti_doggi.htm. Roland Barthes “Miti d’oggi” ET saggi, 2005 trad. Lidia Lonzi
4. Fabio Pinelli, “Gerhard Richter: un approfondimento pensando alla retrospettiva dell’Albertina di Vienna“,
2 maggio 2009, world wide web: http://www.artapartofculture.net/2009/05/02/gerhard-richter-un-ap-
profondimento-pensando-alla-retrospettiva-dellalbertina-di-vienna-di-fabio-pinelli/
3
1. Gerhard Richter, il cammino che lo porterà
ad incontrare l’astrazione
1. Gerhard Richter, il cammino che lo porterà
ad incontrare l’astrazione
Gerhard Richter è conosciuto e considerato uno degli artisti più influenti del nostro
tempo. Dagli anni Sessanta ha sempre rifiutato di aderire a un preciso movimento o
linguaggio artistico, incentrando la sua ricerca sulla pittura stessa. In riferimento alle
sue “Fotopitture” (foto di famiglia, donne, bambini, scene di vita quotidiana, ritratti e
persone, montagne, paesaggi, nuvole, animali, nature morte ecc...) dove le immagini
appaiono sfocate e imperfette, sottolinea il suo concetto di opera d’arte “non finita”
scrivendo: “non ho un piano da seguire, un sistema o una direzione, non ho programmato
nè stile nè temi”
1
. Nasce a Dresda nel 1932, tra il 1951 e il 1959 frequenta l’Accademia
di Belle arti sotto un influenza del realismo socialista. La sua arte cambia totalmente
e acquisisce una libertà quando nel 1961 si trasferisce a Düsseldorf nella Germania
Ovest, due mesi prima che venisse eretto il muro di Berlino. Già nel 1959 si reca a
Kassel per visitare Documenta 2 dove viene a conoscenza dell’informale americano
degli anni Cinquanta (in particolare della pittura di Pollock), del panorama artistico
italiano rappresentato da Fontana e del Tachisme francese. Tutto ciò contaminerà il
suo futuro. In un primo momento aderisce a questa tendenza e tiene la sua prima
mostra con Mafred Kuttner nella galleria Junge Kunst a Fulda, ma non abbiamo trac-
cia di questi lavori perché l’artista li distrugge dopo aver compreso di essere sulla
strada sbagliata
2
. Nella classe dell’Accademia a Düsseldorf (diretta da Karl Otto Gotz)
Richter incontra i futuri compagni di strada Sigmar Polke
3
, Thomas Bayle
4
, Konrad
Lueg
5
(che diventerà gallerista con il nome di Konrad Fischer). Viene a conoscenza
della Pop Art e ne riconosce una possibilità pittorica radicalmente distinta da ciò che
aveva conosciuto all’Est. I primi Lichtenstein originali presentati nel 1962 ad Amster-
dam da Ileana Sonnabend
6
, sono tali da ammaliarlo per la loro semplificazione.
5
Lo colpiscono il fascino di rottura che l’arte Pop fa scaturire presentando un soggetto
negandolo alla contestualizzazione storica, l’apertura semantica nell’isolarlo e lo svuo-
tamento di questo nella serialità della ripetizione
7
. L’opera di Richter di questo peri-
odo si pone tra la Pop Art e l’opera di Beuys del periodo Fluxus. Nel 1963 organizza
due mostre sotto tali influssi; la prima è ideata e presentata in un locale commerciale
abbandonato di Düsseldorf, insieme ai compagni d’Accademia Sigmar Polke, Kon-
rad Lueg e Manfred Kuttner. La seconda, intitolata “Vita con la Pop: una dimostrazi-
one per il Realismo capitalistico”, vede Richter e Lueg esibire nelle sale del negozio
di mobili Möbelhaus Berges di Düsseldorf le proprie opere e loro stessi, accomodati
sulle poltrone in vendita sistemate su basi da scultura. Come il movimento Fluxus
portava la vita nell’arte, così Richter e Lueg inserivano la quotidianità di un negozio
di mobili in una mostra di arte contemporanea
8
. Nello stesso anno Richter e Lueg si
recano a Parigi per presentare le loro opere ad Ileana Sonnabend ed Iris Clert
9
; i due
artisti si propongono come esponenti tedeschi della Pop Art
10
. Richter, Polke e Lueg
annunciano la nascita del “Realismo capitalista”, che non vuol essere un contromovi-
mento rispetto all’arte del regime comunista, ma una linea di pensiero consapevole
della portata innovativa della Pop Art e della sua efficacia anche nel contesto socio-
culturale tedesco. In questo clima culturale egli mette a punto la sua prima intuizione
linguistica dei fotodipinti realizzati da modelli fotografici. Spiega l’artista: “un giorno
mi ritrovai tra le mani una foto di Brigitte Bardot e la dipinsi in grigio su uno di questi quadri
... “ dipingere da una fotografia a lui parve la cosa più meravigliosamente stupida che
uno potesse fare
11
. Utilizzando la fotografia come apparato preparatorio ai suoi dipin-
ti, la domanda “cosa dipingere” viene spazzata via perché il soggetto è li pronto già
trovato su un giornale o banalmente colto nel suo scarso significato. Richter si avvale
di un campo di esplorazione enciclopedico, le sue foto, raccolte nell’Atlas, ne sono la
testimonianza. Le immagini che ha raccolto sono provenienti dalla fotografia dilettan-
6
tistica, recuperate da giornali, riviste, cronache o da foto di famiglia. Il loro grado di
definizione materiale le colloca in una fascia di riproduzioni approssimate del reale,
a bassa definizione spesso per usi personali, momenti privati o al contrario aperti alla
cronaca, e alla storia (fig.1). Richter indica le ragioni per cui la scelta del materiale foto-
grafico dovesse rispondere a requisiti di assenza estetica e di banalità : “Si tratta forse
di una scelta negativa in quanto ho cercato di evitare qualunque cosa si avvicinasse a problemi
nati, ai problemi in genere, quali quelli pittorici sociali ed estetici. Ho tentato di trovare solo
temi non attaccabili. Per quello i miei soggetti sono stati per la maggior parte banali. Ma anche
in questi casi mi sono sforzato di evitare che il banale diventasse il mio problema e il mio sogno.
1. Gerhard Richter, “Familie Schmidt”, olio su tela, 125X130 cm, 1964, (CR 40)
7
Sono rimasto sorpreso dalla fotografia che noi tutti utilizziamo quotidianamente in quantità
incredibile. All’improvviso sono riuscito a vederla in un altro modo, ossia come immagine che,
al di fuori di tutti i criteri convenzionali che io prima legavo all’arte, mi forniva una diversa
maniera di vedere. La fotografia non aveva né stile né composizione, né giudizio valutativo, mi
liberava dall’esperienza personale, insomma non aveva niente, era pura immagine. Per questo
volevo recuperarla, rappresentarla, utilizzarla non come mezzo per una nuova pittura, ma
semplicemente volevo usare la pittura come mezzo per realizzare la fotografia”
12
.
Gerhard Richter voleva usare la pittura come mezzo per realizzare la fotografia, una
pittura che ambisse a una riduzione radicale nella proiezione soggettiva, in termini di
psicologia o di giudizio critico, per uno rispecchiamento della realtà il più obbiettivo
possibile. Dopo aver concluso i suoi studi all’Accademia, Richter accetta di lavorare
per due anni con il gallerista Heiner Friedrich di Monaco. Inoltre inizia la catalogazio-
ne delle sue opere, (ne include solo tredici del biennio tra il 1962/63) fino al 1969 con
il nome di “Bilderverzeichnis”. L’opera posta come incipit di questo indice è “Tisch”
13
(1962, fig.2), che assume una posizione di capitale importanza. Il quadro mostra un
tavolo dipinto realisticamente su cui Richter ha sovrapposto larghe pennellate di
colore che dissolvono parzialmente il motivo. L’artista sembra voler dichiarare la sua
centralità sulla dissolvenza delle immagini nel proprio lavoro e il suo rapporto con la
fotografia, la propria idea per cui la rappresentazione come riproduzione e la forma
astrattamente gestuale stanno l’una accanto all’altra con pari dignità e come possi-
bilità di acquisizione della realtà. Cosi dal 1966 in poi, Richter realizza dipinti con
colori di lacca lucente su tela, con risultati che ricordano l’optical art, l’arte cinetica,
l’enviromental art, la raffinatezza cromatica di Josef Albers o gli effetti decorativi di
Victor Vasarely. Opera molto importante è il primo ciclo di “Farbtafeln”
14
nel 1966 che
apre una riflessione sul colore, rispondente a nuovi impieghi nella pittura (fig.3).
In un primo tempo egli assume i campionari cromatici la loro modalità di esibizione
8
dal colore a campi rettangolari, secondo schemi di gradazione tonale, variandone la
scala e talvolta l’ordine, introducendo un ambiguità nell’accostamento dei colori.
Nel 1971 segue gia le regole cromatiche e una complessità che deriva dal calcolo dei
campi cromatici, della loro forma e della loro misura. In una ripresa ulteriore e defini-
tiva nel 1973 sviluppa completamente l’esperienza introducendo tra i 3 colori primari
prima il grigio e successivamente il verde, quale quarto colore primario. La griglia
delle “Farbtafeln” in quegli anni giunge ad articolazioni di 1024 colori, numero mul-
tiplo del quattro. Oltre questa quantità, “4096 Farbe”, la percezione delle gradazioni
confinanti risulta assai difficile a occhio nudo e Richter interrompe sotto il segno della
celebre affermazione secondo cui la luce avrebbe necessità di più di 400 miliardi di
anni per muoversi dal primo all’ultimo dipinto su tutte le permutazioni possibili di
2. Gerhard Richter, “Tisch”, olio su tela, 90X113 cm, 1962, (CR 1)
9
1024 toni di colore posti uno dopo l’altro (fig.4). Nel testo di presentazione della mo-
stra con Sigmar Polke alla Gallerie “h” di Hannover 1966, tra le righe da lui stesso
concepite si legge: “i quadri devono essere fabbricati secondo una ricetta, la realizzazione
deve compiersi senza partecipazione interiore, proprio come spaccare le pietre o imbrattare una
facciata. Farli non è un atto artistico”
15
. Le campionature di colore sorgono come volontà
di rappresentare tutte le sfumature possibili su un solo quadro a partire dai colori pri-
mari e dal grigio, con l’intenzione di armonizzare le dimensioni del quadro, la misura
dei campi cromatici e il loro numero
16
. I “Farbtafeln” sono contemporanee a “Grau”
17
opere monocromatiche realizzate tra 1973/74. Con alcuni ingrandimenti fotografici di
proprie stesure-prove di colore con il nome di “Ausschnitt“
18
(fig.5-6), inizia il cammino
di Richter verso l’astrazione; la quale conosce una prima morfologia unitaria per tec-
nica e aspetto nella serie dei “Vermalungen”
19
. Agli inizi degli anni Settanta la pittura
di Richter è caratterizzata da pennellate aggrovigliate, derivata da una preparazione
dei fondi con colori a olio che mentre la loro consistenza subisce essicazione, viene
completata successivamente con il gesto. La tecnica proviene a Richter dalla memoria
di giochi d’infanzia esercitati sul grasso residuo dei piatti dopo l’assunzione delle pie-
tanze. Tuttavia, la presenza in questo periodo di opere gia compiute come la serie dei
“Waldstùcke”
20
(1969), di alcuni “Sternbilder”
21
(1969) e di alcuni “Grau”
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(1970, fig.9),
egualmente trattati nelle stesure, e non di meno del grande “Parkstuck”
23
(1971) e degli
“Ohne titel”
24
(1971, fig.12), fa supporre che egli avesse avuto ampia conferma della
resa pittorica della modalità dei “Vermalungen”. Il ciclo dei “Rot Blau Gelb”
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(fig.7-8)
(1972/73) e tutti gli “Abstrackte Bilder”
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(dal 1976 a oggi) condividono un principio di
doppia negazione; il processo pittorico tuttavia trae origine da una metodologia pre-
cisa e da tecniche a Richter familiari e ritrovate in un repertorio di modi da lui studiati
e esercitati con sapienza. Dei “Rot, Blau, Gelb” si hanno due aspetti derivati da texture
diverse: una con larghe pettinature eseguite con pennelli di grandi dimensioni o con le
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