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Durante questi anni i concerti, le conferenze e i seminari che ho
seguito, mi hanno spinto ad approfondire la tradizione blues il più
possibile, fino ad arrivare a sceglierla come argomento di tesi.
Questa tesi vuole essere un contributo allo studio del blues, un
argomento ancora poco trattato dagli studi italiani. Il lavoro si propone
di illustrare innanzitutto il contesto storico, sociale e culturale in cui è
nato il blues, come si è evoluto fino ad oggi e quali sono i tratti
stilistici e tematici che definiscono questo genere musicale. Lo studio
della cultura blues è stato affrontato riservando una particolare
attenzione all’apporto proveniente dalla tradizione africana, e allo
scambio interculturale fra la società africana e quella afroamericana.
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0. 2. Situazione degli studi
L’origine del blues si situa in un periodo storico relativamente
recente, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Ancora per molto
tempo dopo la sua nascita, come è accaduto per molti aspetti del
folklore, il blues non è stato considerato degno di attenzione da parte
degli accademici.
A partire dagli anni ’40 però, grazie al lavoro sul campo condotto
da etnologi, musicologi e semplici appassionati, gli studi sul blues
hanno acquisito via via una maggiore rilevanza. I blues sono stati
perciò registrati e analizzati; il loro valore storico, sociale e culturale è
stato studiato e portato all’attenzione di un pubblico sempre più vasto.
Fra gli studi più accreditati si ricordano le opere di Harold
Courlander, Alan Lomax, Paul Oliver per l’inquadramento storico e
culturale, mentre per gli aspetti etnomusicologici e per l’influenza
africana sul blues sono di fondamentale importanza le opere di Samuel
Charters, Gerhard Kubik e David Evans.
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Per quanto riguarda invece i testi in lingua italiana, si segnalano
Sulle strade del blues di Fabrizio Venturini per un’approfondita
analisi storica, e Blues on my mind di Luciano Federighi per un esame
sulle tematiche e la poetica del blues.
Per questo lavoro sono stati inoltre di notevole utilità i film della
collana The Blues, prodotti da Martin Scorsese nel 2003 in occasione
del centenario dalla nascita del blues.
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0. 3. Articolazione del lavoro
La tesi è articolata in due parti principali: la presentazione del testo
(prima parte) e il saggio di traduzione (seconda parte). Si è preso
come punto di riferimento il testo Africa and the Blues di Gerhard
Kubik, che approfondisce le influenze africane, per poi allargare il
discorso agli aspetti storici, all’evoluzione e alle caratteristiche
strutturali e musicali del blues.
La prima parte è a sua volta suddivisa in due capitoli principali. Nel
primo (Il blues: caratteri generali) si analizza il blues dal punto di
vista storico e stilistico: l’origine, l’evoluzione e gli aspetti lirico-
musicali e tematici. Nel secondo (L’influsso africano) si considera
invece il rapporto fra blues e Africa: la presenza di tracce della
tradizione africana, l’influenza che il blues americano ha esercitato
sulla musica africana più recente, e l’utilizzo, le origini e la
descrizione degli strumenti musicali più diffusi.
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Nella seconda sezione si è scelto di tradurre una parte del secondo
capitolo dell’opera di Kubik, per gli argomenti di interesse linguistico
ed etnologico trattati.
Infine, ogni termine tecnico musicale inglese utilizzato nel discorso
rimanda al glossario, per una breve spiegazione e per l’origine
etimologica dei termini stessi.
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PARTE I
PRESENTAZIONE DEL
TESTO
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I. IL BLUES: CARATTERI GENERALI
I. 1. Le origini
Il blues è un genere musicale folk nato negli Stati Uniti a cavallo tra
Ottocento e Novecento (EBMN: 891) e ancora oggi diffuso, seguito e
studiato in tutto il mondo. La sua storia, relativamente recente e
ancora non del tutto ben ricostruita, coincide con la storia del popolo
afroamericano: una storia intensa, di sofferenza umana, di schiavitù, di
segregazione ma anche di forza emotiva ed espressiva, di speranza di
libertà e di voglia di affermazione sociale e personale. Per tutti questi
motivi, probabilmente, il blues continua a esercitare il suo fascino su
tutta la musica pop, che fin dai primi anni ’60 ne è stata ampiamente
influenzata (Oliver 2002: 9).
Il blues nasce nel Sud degli Stati Uniti, precisamente nella zona del
Delta e viene perciò considerato un genere americano a tutti gli effetti;
ma il popolo che ha dato vita a questa musica ha le sue origini nella
cultura africana, e da queste radici non si può prescindere nel
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momento in cui ci si avvicina allo studio del blues. A questo proposito
Harold Courlander afferma:
This is not to say that United States Negro music is African, but that
many characteristics of African musical styles persist to this day.
Some of those characteristics are melodic or rhythmic concepts. Some
are to be found in the relationships between voices, and between
voices and instruments. Others are in the instruments themselves, and
in the use of those instruments. Still others are found in concepts of
vocal and instrumental sound, in accidental conflicts with traditional
Western scales, in motor actions associated with singing and dancing,
and in attitudes toward music and music making.
(Courlander 1970: 1)
“Questo non è per dire che la musica nera degli Stati Uniti sia
africana, ma che molte caratteristiche degli stili musicali africani
persistono fino ad oggi. Alcune di queste caratteristiche sono concetti
ritmici o melodici. Alcune sono da trovarsi nelle relazioni fra le voci,
e fra le voci e gli strumenti musicali. Altre sono negli strumenti stessi,
e nell’uso di quegli strumenti. Altre ancora si trovano nei concetti di
suono vocale e strumentale, in conflitti accidentali con le tradizionali
scale occidentali, in azioni motorie associate al canto e alla danza, e
nelle attitudini verso la musica e il fare musica.”
Prima ancora di essere un ben delineato genere musicale, il blues è
soprattutto uno stato d’animo, che grazie all’esecuzione musicale
trova la sua via di espressione. Questo concetto è stato così definito, in
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modo molto semplice e chiaro, da uno dei più importanti bluesmen
delle origini, Leadbelly (1888-1949):
When you lie down at night, turning from side to side, and you can’t
be satisfied no way you do, Old Man Blues got you.
(Lomax 1994: prefazione, IX)
“Quando di notte sei coricato a letto, e ti giri e ti rigiri da una parte
all’altra, e non riesci ad essere soddisfatto qualsiasi cosa tu faccia, il
Vecchio Blues ti ha preso.”
Ed è proprio il suo essere principalmente uno stato d’animo e una
condizione emotiva che fa del blues un genere musicale senza confini
geografici e senza barriere sociali o razziali, oggi più ancora che nel
passato (Oliver 2002: 11-12).
La nascita del blues nell’immaginario collettivo americano è in
qualche modo legata ad un nome in particolare, W. C. Handy:
“William Christopher Handy era nato a Florence, in Alabama il 16
novembre 1873. Il padre era pastore e voleva che anche lui lo
diventasse ma W. C. Handy era intenzionato a fare il musicista. Fu il
primo a incidere il blues e anni dopo, quando un produttore lo truffò,
fondò lui stesso una casa discografica.”
(Burnett 2003)
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Tutti gli studi sono concordi nel situare la nascita del blues fra gli
ultimi anni dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, ma è stato
scelto convenzionalmente il 1903 come anno di nascita; in onore del
centenario dalla data di composizione del primo blues di William C.
Handy, il senato degli Stati Uniti ha approvato nel 2002 una
risoluzione che dichiara l’1 febbraio 2003 come l’inizio dell’anno del
blues (http://en.wikipedia.org/wiki/William_Christopher_Handy).
Non si hanno tuttavia vere e proprie attestazioni di blues fino agli
anni ’20, quando talent scouts come Dan Hornsby, R. T. Ashford o H.
C. Speir effettuarono le prime registrazioni fonografiche sul campo,
anticipando persino gli studiosi di folklore (Oliver 2002: 59-60).
Esistono comunque varie testimonianze più o meno affidabili, spesso
molto colorite e a metà fra storia e leggenda popolare, fornite dai
musicisti dell’epoca intervistati dai primi ricercatori, di solito molto
tempo dopo il periodo in questione.
Fra gli studi più rilevanti in materia di storia del blues esistono
infatti discrepanze per quanto riguarda le date e i luoghi precisi in cui i
blues vennero sentiti per la prima volta: il compositore William
Christopher Handy avrebbe ad esempio ascoltato un blues per la prima
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volta a St. Louis nel 1892 secondo Gerhard Kubik (1999: 25), mentre
lo avrebbe fatto a Tutwiler nel 1903 secondo Fabrizio Venturini
(1984: 155).
Tutti sono concordi tuttavia nel presumere che a cavallo tra i due
secoli sia esistita una forma di cosiddetto pre-blues, un genere con
caratteristiche miste e ricco di influenze derivate dai vari stili musicali
diffusi all’epoca, già in qualche modo tendente al blues, ma non
ancora dotato di tutti quegli elementi che ne fanno un genere ben
riconoscibile e determinato (cfr. Federighi 2001: 39-44).
La storia del blues ha inizio con l’arrivo dei prigionieri africani
negli Stati Uniti. Questi schiavi, provenienti da diverse tribù anche
molto lontane fra loro, con tradizioni culturali, lingue ed abitudini
assai varie, si trovarono in una nuova e dura realtà e a contatto con i
bianchi americani, perlopiù di origine inglese, scozzese e irlandese
(ma francese in Louisiana). Dall’interazione fra queste molteplici
tradizioni culturali si svilupparono tutte quelle forme musicali che
rappresentano sostanzialmente i “genitori” del blues: spirituals,
worksongs, hollers, calls, cries, negro folk ballads (Federighi 2001:
39-44).
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Durante la schiavitù, il nero viene impiegato nei lavori di fatica
nelle piantagioni e viene considerato dal padrone (il massa) solo come
forza lavoro e non come essere umano. Lo schiavista ha interesse a
mantenerlo in piena efficienza fisica, in salute e nella condizione
emotiva migliore possibile. Gli schiavi possono cantare durante il
lavoro nei campi (worksongs, hollers e arhoolies), cosa che permette
loro di essere più produttivi scandendo i movimenti a tempo, e che fa
sentire il massa, che ascolta i lavoratori apparentemente “felici” che
cantano, un po’ meno in colpa (Oliver 2002: 16-17).
Per eliminare però ogni desiderio di fuga e di libertà vengono
soppresse le tradizioni africane: i neri possono divertirsi fra loro
durante il tempo libero e nei giorni festivi suonando e danzando la
loro musica (di chiara matrice africana), ma viene loro vietato l’uso
dei tamburi, del corno, delle lingue e dei culti di origine, soprattutto
per evitare che gli schiavi comunichino fra loro anche a distanza e
organizzino eventuali fughe o rivolte (Venturini 1984: 23-24).
Lo schiavo deve essere inoltre educato e tenuto sotto controllo
mediante l’insegnamento dei precetti della religione cristiana. Per
questo motivo il padrone incoraggia la partecipazione a vere e proprie
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funzioni religiose riservate agli schiavi di domenica, nelle quali anche
il predicatore è nero. Nascono così i canti spiritual e le sorrow songs,
rielaborazioni di inni sacri tradizionali, tollerati dai bianchi perché a
tema esclusivamente religioso.
In realtà, i canti e le cerimonie cristiane subiscono ad opera del
popolo afroamericano un’elaborazione sincretica, che dà vita ad una
loro propria religione (la Old Time Religion) ricca sì di elementi
tradizionali, ma che acquistano significati simbolici nuovi
comprensibili dalla comunità nera, e assolutamente mascherati agli
occhi del padrone (Venturini 1984: 26-31). Ad esempio, una
locuzione tipica del linguaggio religioso come going over Jordan,
ovvero “attraversare il Giordano”, significava comunemente “morire”,
ma poteva voler dire “fuga dalle catene” secondo un codice
metaforico che permetteva agli schiavi di comunicare tra loro senza
essere scoperti (Oliver 2002: 15).
In questo periodo diventa fondamentale la figura del predicatore
nero, visto come guida carismatica dotata di poteri soprannaturali dai
fedeli e di un notevole fascino nei confronti del sesso femminile, ma
guardato con timore e sospetto dai padroni (cfr. Lomax 1994: 121-28).