15 
 
Capitolo primo  
Il profilo storico dal 1967 ad oggi 
 
 
L’origine del conflitto arabo-israeliano non risale a quella che è 
conosciuta come la Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967, ma, ai 
fini di questo elaborato, come già accennato nella parte introduttiva, 
è importante che la mia attenzione si concentri sugli avvenimenti 
successivi a quella guerra, che ha segnato l’inizio dell’occupazione 
israeliana della Cisgiordania. 
 
 
1.1 Il 1967 e le sue conseguenze 
 
Nonostante fra il 1965 ed il 1967 i paesi arabi fossero più 
preoccupati del mantenimento della loro stabilità interna, minata da 
una situazione politica in continua evoluzione, Israele viveva 
momenti di enorme preoccupazione, dovuta alle informazioni che 
filtravano dai servizi segreti riguardo al riarmo dei suoi nemici in 
vista di una nuova guerra. Siria, Iraq ed Egitto, nonostante fossero 
nell’orbita dell’Unione Sovietica, beneficiando pertanto dei suoi 
favori, non erano invece pronti per un confronto con le ben 
addestrate forze dell’IDF (Israeli Defense Force). Nei primi mesi del 
1967 i fugaci scontri armati e diplomatici fra Siria e lo Stato ebraico 
avevano però contribuito all’innalzamento della tensione.  
Il Presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, volenteroso di 
riproporsi come leader della lotta panaraba, corse in aiuto della Siria 
e decise di mettere in atto una serie di provocazioni contro Israele.
16 
 
Dapprima fece richiesta presso le Nazioni Unite affinché 
prelevassero le proprie truppe presenti nel Sinai, poi, nel maggio 
1967, dichiarò un blocco per le navi israeliane nello Stretto di Tiran
1
. 
La speranza di Nasser era che Stati Uniti ed Unione Sovietica 
intervenissero come già accaduto nel 1956, scongiurando la guerra 
con Israele ed accrescendo il suo prestigio internazionale, 
soprattutto nel mondo arabo. Questa politica, cosiddetta del “rischio 
calcolato”, riscosse successo sia in Giordania che in Iraq, i quali si 
affrettarono a firmare un patto di mutua difesa con l’Egitto.  
Dal punto di vista di Israele, la mossa del leader egiziano 
comportò un assolutamente insostenibile blocco navale del porto di 
Eilat, nonché fu una conferma che i paesi arabi erano pronti ad 
attaccare, uniti e più che mai decisi a distruggere lo Stato ebraico, 
liberando la Palestina. Il Primo Ministro israeliano Levi Eshkol 
decise così per un’azione militare, che affidò al nuovo Ministro della 
Difesa Moshe Dayan. I piani di guerra erano peraltro pronti in Israele 
da parecchio tempo e l’esperta guida di Dayan contribuì alla loro 
piena realizzazione. Il 5 giugno 1967, con una mossa a sorpresa, 
l’aviazione israeliana colpì le basi dell’aviazione egiziana 
distruggendo gli aerei da combattimento ancora fermi a terra. La 
stessa tattica fu utilizzata qualche ora più tardi per colpire la Siria e 
la Giordania. Con l’aviazione araba fuori gioco, l’esercito israeliano 
poté avanzare quasi indisturbato su tutti i fronti, finché l’11 giugno 
non fu firmato un armistizio.  
Nell’arco di sei giorni Israele aveva sconfitto tre paesi arabi, 
distruggendone quasi completamente gli eserciti e le speranze di 
                                                
1
 Lo Stretto di Tiran rappresenta il solo accesso al Golfo di Aqaba, sul quale si affaccia la città di Eilat, 
l’unico porto israeliano sul Mar Rosso. Una chiusura dello Stretto da parte di Egitto e Arabia Saudita, i 
due paesi che lo controllano, costituisce ovviamente un problema per la sicurezza e l’economia dello 
Stato di Israele.
17 
 
diventare i protagonisti della liberazione della Palestina. Le 
conseguenze più significative della guerra del 1967 furono tuttavia le 
conquiste territoriali israeliane (Fig. 1.1): le Alture del Golan, la 
penisola del Sinai, la Striscia di Gaza, Gerusalemme Est e l’intera 
Cisgiordania passarono sotto il controllo di Israele, per un aumento 
della superficie amministrata da 22.000 Km² a 100.000 Km². Tutti i 
territori strappati al nemico arabo vennero sottoposti al regime 
militare di occupazione, mentre Gerusalemme Est, come vedremo 
meglio in seguito, fu annessa direttamente ad Israele. 
 
 
Figura 1.1: Mutamenti territoriali in seguito alla Guerra dei Sei Giorni, 1967.   
Fonte: http://www.shunpiking.com/ol0405/0405-OP-IZ-causesof67war.htm (ultimo accesso 10 gennaio 
2010).
18 
 
Un esile tentativo di stabilire una pace definitiva in Medio Oriente 
fu compiuto dalle Nazioni Unite, le quali sei mesi dopo la fine della 
Guerra dei Sei Giorni adottarono la Risoluzione 242 del novembre 
1967
2
. Sulla base ‹‹dell’inammissibilità dell’acquisizione di territori attraverso 
la guerra e con lo scopo di stabilire una pace giusta e duratura in Medio 
Oriente››, la Risoluzione affermò i due seguenti principi: 
1. Ritiro delle forze armate israeliane dai
3
 territori occupati nel corso del 
recente conflitto 
2. Cessazione di ogni situazione di belligeranza e rispetto e riconoscimento 
della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di 
ogni stato della regione e del loro diritto di vivere in pace all’interno di 
confini sicuri e riconosciuti, al riparo da minacce e atti di forza. 
La Risoluzione fu accettata da Israele, Giordania ed Egitto, ma 
allo stesso tempo rifiutata dalla Siria e dall’Organizzazione per la 
Liberazione della Palestina (OLP), che era stata fondata a 
Gerusalemme nel 1964.  
Come anticipato, la della Guerra dei Sei Giorni evidenziò la 
debolezza dei regimi arabi e la loro inadeguatezza nel tentare di 
risolvere la questione palestinese. Da questo momento in avanti, 
l’OLP diventò il vero protagonista della lotta per la liberazione della 
Palestina, sotto la guida prima di Yahia Hammuda
4
 e poi di Yassir 
Arafat, leader della maggiore organizzazione della resistenza 
                                                
2
 La Risoluzione ONU 242 del 22 novembre 1967 fu adottata dal Consiglio delle Nazioni Unite in presenza 
dei rappresentanti dei paesi coinvolti, che furono invitati a prendere parte alle discussioni. Egitto, 
Giordania, Siria e Israele parteciparono alle riunioni, ma venne loro precluso il diritto di voto. 
http://www.un.org/documents/sc/res/1967/scres67.htm (ultimo accesso 10 settembre 2010). 
 
3
 La versione originale in lingua inglese è priva dell’articolo determinativo, mentre in quella francese 
l’articolo è presente. Forti contrasti e diverse interpretazioni sono state causate da questa ambiguità. 
Mentre alcuni hanno infatti inteso il ritiro israeliano ‹‹da tutti i territori occupati››, per altri il ritiro va 
inteso in maniera più generale ‹‹da territori occupati››, il che non implicherebbe tutti. Per una 
discussione più approfondita della questione si veda il capitolo quinto. 
 
4
 Leader dell’OLP dal dicembre 1967 fino al febbraio 1969, quando Arafat e la sua organizzazione al-
Fatah presero il potere all’interno del OLP .
19 
 
palestinese, al-Fatah
5
. Anche se Arafat fu eletto leader dell’OLP solo 
nel febbraio 1969, già nel dicembre 1967 l’organizzazione aveva 
cominciato a reclutare ed addestrare uomini, spostando il proprio 
centro operativo dalla Cisgiordania alla capitale giordana Amman. 
La strada scelta dai palestinesi fu quella della lotta armata, 
menzionata esplicitamente nella Carta Costitutiva dell’OLP redatta 
nel 1968 e la Giordania divenne il trampolino di lancio per le 
operazioni di guerriglia. L’OLP non era un’entità omogenea, ma 
un’organizzazione formata da più soggetti, i quali spesso si 
trovarono in disaccordo con al-Fatah e condussero operazioni 
indipendenti. I due gruppi più attivi erano sicuramente il FPLP ed il 
FDPL
6
 guidati rispettivamente da George Habash e Nayif 
Hawatmeh. Mentre al-Fatah si concentrò sulle attività di guerriglia 
lungo il confine giordano, gli altri due movimenti, nonostante non 
disdegnassero queste operazioni, si specializzarono nel 
dirottamento di aerei.  
Approfittando della benevolenza del giovane Re Husayn, i 
combattenti palestinesi si muovevano indisturbati in Giordania, tanto 
nei campi profughi quanto per le strade della capitale, facendo 
sfoggio delle loro armi. La situazione tuttavia diventò presto 
insostenibile. Il sovrano aveva infatti completamente perso il 
controllo sui miliziani dell’OLP, che, a causa delle loro azioni in 
territorio israeliano, esponevano la Giordania alle continue 
rappresaglie dell’IDF, e temeva che la continua erosione del suo 
                                                
5
 Al-Fatah (حتفلا) in arabo significa letteralmente “l’apertura”, ma anche “la conquista”. 
 
6
 FPLP e FDLP sono gli acronimi rispettivamente di Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e di 
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. Entrambi sono gruppi di impronta comunista che 
mantenevano forti contatti con i movimenti popolari di opposizione attivi nei paesi arabi e nel mondo.
20 
 
potere avrebbe presto portato ad un colpo di stato palestinese
7
. La 
scintilla che spinse all’azione Re Husayn fu un ennesimo 
dirottamento di quattro aerei di linea da parte del FPLP, i quali 
vennero fatti atterrare nella zona di Irbid
8
, che il movimento dichiarò 
“territorio liberato”. A distanza di pochi giorni dall’episodio, il re 
ordinò ai militari di riportare l’ordine nel paese ed il 15 settembre 
1970
9
 iniziò un combattimento sanguinoso fra l’esercito giordano ed 
i miliziani palestinesi. Dopo dieci giorni di scontri armati, in cui 
persero la vita dalle tremila alle cinquemila persone, la mediazione 
di Nasser fu decisiva per riportare la calma e raggiungere un 
accordo per il trasferimento della sede dell’OLP a Beirut, in Libano. 
 
La vita per i palestinesi all’interno dei Territori Occupati non fu 
certo migliore dopo la Guerra dei Sei Giorni. 590mila persone in 
Cisgiordania e 350mila nella Striscia di Gaza furono costrette a 
vivere sotto la brutale occupazione. La prima mossa delle autorità 
israeliane fu di varare una politica di espulsioni di massa, tanto da 
particolari zone della Cisgiordania quanto da Gerusalemme. La 
tanto desiderata capitale dello Stato palestinese fu anche 
protagonista del cosiddetto “progetto pilota”, che, avviato nel 1968, 
portò alla fondazione dell’insediamento di Har Homa sulle colline 
della zona est della città, fino al 1967 sotto il controllo giordano e 
abitata quasi unicamente da arabi.  
Mentre espulsioni di massa ebbero luogo periodicamente, 
                                                
7
 La popolazione di origine palestinese in Giordania era in quegli anni molto numerosa, addirittura 
superiore ai giordani stessi, a causa delle ondate di profughi arrivati nel paese in seguito ai conflitti del 
1948 e del 1967. 
 
8
 Città situata nel nord della Giordania, a pochi chilometri dal confine con la Siria. 
  
9
 Il Settembre del 1970 è noto alla storia araba come “Settembre Nero” (in arabo دوسلأا لوليأ ). Nonostante 
dopo i primi dieci giorni fu raggiunto un accordo per il cessate il fuoco, il conflitto durò in realtà fino al 
luglio del 1971.
21 
 
quotidianamente cittadini e militanti politici palestinesi subivano 
soprusi e maltrattamenti da parte dei militari israeliani, ai quali era 
peraltro ordinato di sopprimere qualsiasi forma di resistenza 
all’occupazione con estrema decisione, che spesso si traduceva in 
aperta violenza. Il culmine dei soprusi nei confronti della 
popolazione palestinese assunse la forma della sottrazione di terreni 
per la costruzione degli insediamenti ebraici che cominciarono ad 
apparire in Cisgiordania verso la fine degli anni Sessanta, subirono 
una forte accelerazione con la vittoria del Likud alle elezioni del 
1977 e continuano tuttora, nonostante i dibattiti e le critiche. La 
politica degli insediamenti fra il 1967 ed il 1977 era indirizzata a 
porre in essere una presenza di ebrei in alcune aree strategiche 
come la Valle del Giordano, ritenute fondamentali sotto l’aspetto 
della sicurezza
10
. Nei primi vent’anni di occupazione la popolazione 
dei Territori Occupati non riuscì ad organizzare, e per certi aspetti 
non volle, una linea politica autonoma ed indipendente per 
contrastare l’occupazione. Influenzati dall’OLP, gli uomini politici 
della Cisgiordania si trovarono a vivere in una terra che era contesa 
da Israele e Giordania.  
 
 
1.2 Gli anni Settanta: guerra, pace e resistenza 
 
Gli anni Settanta si aprirono con il tentativo degli Stati Uniti di 
diventare mediatori per una pace duratura in Medio Oriente fra i 
paesi arabi ed Israele, escludendo ancora una volta i palestinesi. 
Pur non mettendo in discussione la fraterna alleanza con lo Stato di 
                                                
10
 Un progetto piuttosto dettagliato ed accuratamente motivato era stato preparato a riguardo dal 
Generale Yigal Allon. Per i dettagli del Piano Allon si veda il paragrafo 2.1.
22 
 
Israele, gli Usa cercarono tuttavia di cooptare i paesi arabi, 
sottraendoli all’orbita sovietica. L’Egitto del nuovo Presidente Anwar 
Sadat accettò la sfida, ma era intenzionato ad avviare i negoziati 
con Israele da una posizione di maggiore forza. Fu per questa 
ragione che nel 1973, dopo un accordo con la Siria, l’Egitto guidò un 
nuovo attacco arabo contro lo Stato ebraico. L’esitazione dei leader 
arabi dopo una prima schiacciante vittoria contro le truppe israeliane 
e l’aiuto americano evitarono una rovinosa sconfitta per Israele, il 
quale percepì la guerra del 1973
11
 come un evento traumatico. La 
società israeliana, scossa ed impaurita, abbracciò la politica più 
aggressiva della destra, voltando le spalle al  Partito laburista, che 
nel 1977, dopo trent’anni consecutivi di governo, perse le elezioni.  
Il conflitto non implicò invece nessun diretto cambiamento a livello 
territoriale, ma ebbe comunque importanti riflessi, il più importante 
dei quali fu l’accordo di pace fra Israele ed Egitto. I problemi interni e 
la possibilità di riavere la Penisola del Sinai spinsero Sadat a 
considerare l’opzione della pace immediatamente dopo la fine del 
conflitto. Nel novembre del 1977 il Presidente egiziano parlava in 
mondovisione di relazioni umane fra i due paesi dopo trent’anni di 
guerre
12
 ed il 26 marzo 1979 Israele ed Egitto firmarono un definitivo 
trattato di pace a Washington, sotto la supervisione americana. 
L’accordo prevedeva la restituzione del Sinai da parte di Israele, che 
a sua volta ottenne il riconoscimento ufficiale da parte della 
controparte egiziana. La situazione della Cisgiordania e della 
Striscia di Gaza fu messa in secondo piano ed Israele poté 
                                                
11
 Più conosciuta anche come “Guerra dello Yom Kippur”, perché iniziata nel giorno sacro ebraico. Nel 
mondo arabo il conflitto è più semplicemente noto come ”Guerra di Ottobre” (in arabo نيرشت برح). 
 
12
  Il discorso del Presidente egiziano Anwar Sadat di fronte alla Knesset, a Gerusalemme, è consultabile 
online all’indirizzo http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Peace/sadat_speech.html (ultimo 
accesso 16 settembre 2010).
23 
 
continuare l’occupazione con il beneplacito del più importante paese 
arabo. Sadat pagò con la propria vita il trattato di pace, il quale 
tuttavia rappresentò una svolta fondamentale nei rapporti fra lo 
Stato ebraico ed il mondo arabo.  
 
Dopo gli episodi del “Settembre Nero”, l’OLP aveva spostato la 
propria sede operativa a Beirut e nel corso degli anni Settanta rivide 
i propri obiettivi in una chiave più pragmatica. Nel 1974 Fatah 
pubblicò il cosiddetto “Programma delle fasi”, che mirava ad una 
liberazione unicamente dei Territori occupati (Cisgiordania e Striscia 
di Gaza) piuttosto che ad una riconquista più utopica di tutta la 
Palestina. In seguito a questa pubblicazione, nel 1975,  le Nazioni 
Unite riconobbero l’OLP come “unica e legittima rappresentante del 
popolo palestinese”; posizione che sarà adottata anche dalla 
Comunità Europea nel 1981, dagli Usa nel 1988 e da Israele nel 
1993. Questa nuova fase della leadership dell’OLP, da cui presero in 
un certo senso le distanze sia il FDLP che il FPLP, si può 
riassumere in un’interessante mescolanza di guerriglia e trattativa.  
Il Libano meridionale, come era stato per la Giordania alla fine 
degli anni Sessanta, divenne il trampolino di lancio per operazioni 
militari ed incursioni in territorio israeliano. La presenza dell’OLP, 
che grazie ad un accordo con il governo libanese aveva assunto il 
controllo dei campi profughi palestinesi nel paese, rese la situazione 
del Libano altamente instabile, molto più di quanto già non lo fosse. 
Le divisioni interne, la presenza dell’OLP e l’intervento di Siria ed 
Israele causarono una lunghissima guerra civile in Libano che durò 
dal 1975 al 1990. L’OLP, che nei primi anni del conflitto combatté 
ferocemente a fianco dei fratelli sunniti del Libano, fu fortemente 
indebolita dalla decisione del Primo Ministro israeliano Begin di
24 
 
intraprendere l’operazione Pace in Galilea, nella primavera del 
1982. Progettata e guidata dall’allora Ministro della Difesa Ariel 
Sharon, l’offensiva aveva come principali obiettivi la distruzione 
dell’OLP e la stabilizzazione del contesto politico in Libano sotto un 
governo cristiano capeggiato dal leader maronita Bashir Gemayel. 
L’assassinio di Gemayel rovinò i piani israeliani, ma solo dopo che 
era stato trovato un accordo per l’evacuazione dei guerriglieri 
dell’OLP dal Libano. 
Con la sconfitta dell’OLP in Libano si aprì una fase di crisi per 
l’organizzazione, che fu costretta all’esilio nella lontana Tunisi e vide 
emergere gravi divergenze al suo interno. Il cosiddetto “fronte del 
rifiuto”, in contrasto con la politica di Arafat orientata a ricercare una 
soluzione negoziata della questione palestinese, si stabilì a 
Damasco. La difficoltà dell’OLP di formulare una linea politica 
comune e la lontananza dai Territori palestinesi resero la sua 
posizione molto più debole nei confronti di Israele, al cui interno si 
era nel frattempo sviluppato un forte dibattito politico fra i sostenitori 
dell’idea di “Grande Israele” e coloro che invece sponsorizzavano la 
restituzione dei Territori Occupati in cambio di una pace stabile
13
. 
Trascinata e disorientata da tale dibattito, la società israeliana 
riversò ondate di voti sui partiti minori, i quali si posizionarono agli 
estremi del panorama politico, determinandone una 
frammentazione. A causa di questo fenomeno, nelle elezioni del 
1984 e del 1988, nessuno dei due partiti maggiori (Labour e Likud) 
riuscì ad ottenere la maggioranza assoluta e si ricorse a governi di 
                                                
13
 La polarizzazione della politica israeliana intorno al tema dei Territori Occupati si era manifestata dopo 
la guerra del 1967 e si accentuò nel corso degli anni Settanta. Agli estremi dello schieramento politico 
aumentarono il loro potere Gush Emunim, sostenitore dell’idea di Grande Israele, e PeaceNow, 
favorevole invece all’abbandono della Cisgiordania e di Gaza. Per un approfondimento sulla posizione di 
Gush Emunim si veda il paragrafo 2.2.
25 
 
unità nazionale, che di fatto crearono una paralisi politica. 
Nonostante questo mutamento della politica israeliana, la 
costruzione di insediamenti, cominciata nel 1967, continuò e 
l’occupazione divenne sempre più invasiva nelle vite dei palestinesi 
della Cisgiordania: confische di terre erano all’ordine del giorno, 
come del resto perquisizioni, arresti e detenzioni. I palestinesi 
dovevano inoltre pagare tasse speciali, avere sempre con sé i propri 
documenti e per qualsiasi attività volessero intraprendere dovevano 
richiedere permessi alle autorità israeliane, passando attraverso una 
lunga trafila burocratica.  
 
 
1.3 La Prima Intifada
14
 
 
Verso la metà degli anni Ottanta, la situazione interna ai Territori 
Occupati era chiaramente diventata insostenibile, ma l’OLP ed i 
paesi arabi manifestavano una sostanziale impotenza rispetto alla 
questione palestinese. In queste condizioni gli abitanti della 
Cisgiordania si resero conto che l’unica strada possibile per 
contrastare l’occupazione era la resistenza popolare. L’Intifada fu 
proprio il risultato dell’esasperazione delle persone e non fu 
inizialmente guidata da nessuna organizzazione, sebbene l’OLP ne 
assunse la guida dopo qualche mese.  
La Prima Intifada scoppiò il 9 dicembre 1987 nel campo profughi 
di Jabaliyya, nella Striscia di Gaza, in seguito ad un incidente 
stradale scatenato da un veicolo militare israeliano, che portò alla 
morte di quattro palestinesi. Migliaia di persone scesero per strada, 
manifestando contro l’incidente, e quando l’esercito israeliano aprì il 
                                                
14
 La parola Intifada (in arabo ة ض ا فت ن ا) significa “scossa, sollevazione”.
26 
 
fuoco per disperdere la folla uccidendo alcuni dimostranti, in tutti i 
Territori Occupati si scatenò la rivolta. Inizialmente confinata ai 
giovani ed agli strati più poveri della popolazione, l’Intifada contagiò 
tutti gli strati della società palestinese. Così, mentre i giovani 
affrontavano per le strade l’esercito israeliano con fionde e pietre, i 
notabili si impegnarono per rendere la rivolta un fardello economico 
per Israele, organizzando scioperi, non pagando le tasse e 
boicottando i prodotti israeliani. Oltre alla continua creazione di 
insediamenti nelle zone della Cisgiordania che lo Stato d’Israele 
considerava vitali, l’occupazione aveva infatti grandissimi risvolti dal 
punto di vista economico, secondo un rapporto che ha tutte le 
caratteristiche per essere definito neocoloniale
15
. Si era creato infatti 
un rapporto di dipendenza dell’economia della Cisgiordania da 
quella israeliana: dai Territori Occupati arrivavano forza lavoro a 
buon mercato e materie prime a prezzi bassi, mentre in direzione 
opposta viaggiavano i prodotti finiti, senza che peraltro Israele 
investisse in alcun modo nelle aree palestinesi. Gli sforzi per 
soffocare la sollevazione costrinsero Israele a rallentare 
temporaneamente il processo di colonizzazione dei Territori 
Occupati, il quale aveva comportato una loro graduale annessione. 
 
A un anno dallo scoppio della Prima Intifada, il 15 novembre 1988 
la dirigenza dell’OLP ne assunse ufficialmente il comando con la 
redazione di un documento destinato a rimanere fra i più importanti 
dell’organizzazione. Intitolato Dichiarazione d’Indipendenza, questo 
fu un tentativo di indirizzare la rivolta verso obiettivi precisi e di 
                                                
15
  Il fenomeno neocoloniale è stato teorizzato per la prima volta dall’ex Presidente indonesiano Sukarno 
alla Conferenza di Bandung del 1955. Questo concetto, il quale indica la forma di controllo di un'ex 
colonia di un Paese basata sulla dipendenza economica o sull'occupazione militare, fu ripresa da Kwame 
Nkrumah, nel testo “Neo-Colonialism, The Last Stage of Imperialism”. Thomas Nelson & Sons, Ltd., 
Londra, 1965.
27 
 
riavvicinarsi agli Stati Uniti, individuati come un possibile mediatore 
nella questione israelo-palestinese. I punti più significativi del 
documento furono il riconoscimento del diritto di esistere dello Stato 
di Israele da parte dell’OLP, la sua rinuncia al terrorismo, 
l’accettazione delle Risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite
16
 e la 
proclamazione di uno stato palestinese indipendente nelle aree della 
Cisgiordania e di Gaza.  
Israele voleva però negoziare alle proprie condizioni ed il Primo 
Ministro Yitzhak Shamir rifiutò ogni cambiamento immediato dello 
status quo nei Territori Occupati, facendo pressione sul nuovo 
Presidente americano George Bush affinché a sua volta rompesse i 
negoziati con Arafat. Nel 1990, a tre anni dallo scoppio dell’Intifada, 
le trattative di pace crollarono pertanto sotto il peso 
dell’intransigenza israeliana e l’intensità della rivolta si era affievolita 
a tal punto che i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza 
ripiombarono nella normalità della brutale occupazione. 
 
 
1.4 Gli anni Novanta: un decennio di speranza 
 
Nonostante gli anni Novanta non iniziarono sotto un buon auspicio 
per la dirigenza dell’OLP, la quale decise sciaguratamente di 
schierarsi con Saddam Hussayn durante la prima Guerra del Golfo, 
fu proprio in questo decennio che le trattative di pace fra palestinesi 
ed israeliani arrivarono al loro punto più avanzato. Alcuni fattori 
storico-politici resero possibile questo avvicinamento fra le parti: 
                                                
16
 La Risoluzione ONU 338 fu adottata dal Consiglio di Sicurezza il 22 ottobre 1973, appena terminata la 
Guerra dello Yom Kippur (1973): prevede un immediato cessate il fuoco e l’avvio di un negoziato in 
conformità con i punti della Risoluzione 242 del 1967. Per un approfondimento a riguardo si veda il 
capitolo quinto.
28 
 
innanzitutto la fine della Guerra Fredda aveva determinato l’apertura 
di un nuovo scenario in Medio Oriente per l’unica superpotenza 
rimasta. Per combattere la Guerra del Golfo inoltre, gli Usa avevano 
richiesto il supporto politico e logistico dei paesi arabi, i quali, fatta 
eccezione per lo Yemen, la Libia ed il Sudan, acconsentirono in 
cambio di ingenti somme di denaro e della promessa che a guerra 
finita si sarebbe discusso della questione palestinese. L’incontro che 
ne scaturì nel dicembre 1991, conosciuto come la Conferenza di 
Madrid, portò per la prima volta nella storia rappresentanti 
palestinesi, israeliani e dei paesi arabi allo stesso tavolo.  
Il terzo fattore fu l’elezione nel 1992 del Primo Ministro laburista 
Yitzhak Rabin in Israele, il quale pose fine alla politica di estrema 
intransigenza che aveva caratterizzato il governo del suo 
predecessore e lavorò per riconquistare l’appoggio degli Stati Uniti. 
Questo gelo inaspettato fra i due alleati storici era stato causato dal 
nuovo ambizioso programma di insediamenti in Cisgiordania varato 
dall’amministrazione Shamir, che spinse il Presidente Bush, nel 
febbraio 1992, a sospendere un prestito di dieci miliardi di dollari 
che gli Stati Uniti avevano stanziato per Israele. Certamente Rabin 
non era una colomba della politica israeliana (aveva infatti ricoperto 
l’incarico di Ministro della Difesa negli anni dell’Intifada, 
schiacciando senza pietà la rivolta), ma appena fu eletto Primo 
Ministro annunciò un parziale congelamento degli insediamenti in 
Cisgiordania e si prodigò per ricucire i rapporti con gli Usa.  
Nel settembre del 1993 i delegati israeliani e dell’OLP giunsero a 
Washington per un’altra tornata di discussioni. Inaspettatamente 
Israele e l’OLP annunciarono di aver firmato un accordo storico che 
colse di sorpresa il mondo intero ed è conosciuto come 
“Dichiarazione dei principi dell’autogoverno palestinese”. I punti più
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significativi di questo accordo, frutto dei negoziati iniziati a Oslo nel 
gennaio dello stesso anno e pertanto soprannominato Oslo I, sono:  
 il riconoscimento di Israele da parte dell’OLP e la creazione 
dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che avrebbe dovuto 
amministrare Gaza e la Cisgiordania per cinque anni, ponendo 
le basi per un governo definitivo nei territori;  
 il ritiro dell’esercito israeliano dalle città e dai villaggi della 
Cisgiordania e di Gaza per limitarsi al controllo delle frontiere 
ed dei confini.  
L’Accordo di Oslo I (Fig. 1.2) lasciava però in sospeso i punti più 
caldi del processo di pace da discutere nei cinque anni successivi: 
la questione di Gerusalemme, il destino dei rifugiati palestinesi ed il 
problema degli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. 
La seconda parte dell’Accordo di Oslo I fu ratificata al Cairo il 4 
maggio 1994 e prevedeva la concreta applicazione di alcuni dei 
punti del documento precedente, su tutti il completo ritiro israeliano 
dalla Striscia di Gaza e dalla città di Gerico, ora sotto 
l’amministrazione dell’ANP. 
 
Le circostanze che avevano permesso questo accordo storico 
sono da ricercare nel momento particolare che entrambi i 
protagonisti stavano vivendo. Terminata la Guerra Fredda e perso il 
sostegno dell’Unione Sovietica, l’OLP si trovò ad affrontare ingenti 
difficoltà politiche ed economiche. La mancanza di sovvenzioni 
impose un giro di vite all’organizzazione, la cui leadership fu peraltro 
al centro di numerose critiche, come quelle ricevute in seguito alla 
scelta di sostenere l’Iraq durante la Guerra del Golfo, e fu 
pubblicamente sfidata dal neonato Movimento di Resistenza