15
Capitolo primo
Il profilo storico dal 1967 ad oggi
L’origine del conflitto arabo-israeliano non risale a quella che è
conosciuta come la Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967, ma, ai
fini di questo elaborato, come già accennato nella parte introduttiva,
è importante che la mia attenzione si concentri sugli avvenimenti
successivi a quella guerra, che ha segnato l’inizio dell’occupazione
israeliana della Cisgiordania.
1.1 Il 1967 e le sue conseguenze
Nonostante fra il 1965 ed il 1967 i paesi arabi fossero più
preoccupati del mantenimento della loro stabilità interna, minata da
una situazione politica in continua evoluzione, Israele viveva
momenti di enorme preoccupazione, dovuta alle informazioni che
filtravano dai servizi segreti riguardo al riarmo dei suoi nemici in
vista di una nuova guerra. Siria, Iraq ed Egitto, nonostante fossero
nell’orbita dell’Unione Sovietica, beneficiando pertanto dei suoi
favori, non erano invece pronti per un confronto con le ben
addestrate forze dell’IDF (Israeli Defense Force). Nei primi mesi del
1967 i fugaci scontri armati e diplomatici fra Siria e lo Stato ebraico
avevano però contribuito all’innalzamento della tensione.
Il Presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, volenteroso di
riproporsi come leader della lotta panaraba, corse in aiuto della Siria
e decise di mettere in atto una serie di provocazioni contro Israele.
16
Dapprima fece richiesta presso le Nazioni Unite affinché
prelevassero le proprie truppe presenti nel Sinai, poi, nel maggio
1967, dichiarò un blocco per le navi israeliane nello Stretto di Tiran
1
.
La speranza di Nasser era che Stati Uniti ed Unione Sovietica
intervenissero come già accaduto nel 1956, scongiurando la guerra
con Israele ed accrescendo il suo prestigio internazionale,
soprattutto nel mondo arabo. Questa politica, cosiddetta del “rischio
calcolato”, riscosse successo sia in Giordania che in Iraq, i quali si
affrettarono a firmare un patto di mutua difesa con l’Egitto.
Dal punto di vista di Israele, la mossa del leader egiziano
comportò un assolutamente insostenibile blocco navale del porto di
Eilat, nonché fu una conferma che i paesi arabi erano pronti ad
attaccare, uniti e più che mai decisi a distruggere lo Stato ebraico,
liberando la Palestina. Il Primo Ministro israeliano Levi Eshkol
decise così per un’azione militare, che affidò al nuovo Ministro della
Difesa Moshe Dayan. I piani di guerra erano peraltro pronti in Israele
da parecchio tempo e l’esperta guida di Dayan contribuì alla loro
piena realizzazione. Il 5 giugno 1967, con una mossa a sorpresa,
l’aviazione israeliana colpì le basi dell’aviazione egiziana
distruggendo gli aerei da combattimento ancora fermi a terra. La
stessa tattica fu utilizzata qualche ora più tardi per colpire la Siria e
la Giordania. Con l’aviazione araba fuori gioco, l’esercito israeliano
poté avanzare quasi indisturbato su tutti i fronti, finché l’11 giugno
non fu firmato un armistizio.
Nell’arco di sei giorni Israele aveva sconfitto tre paesi arabi,
distruggendone quasi completamente gli eserciti e le speranze di
1
Lo Stretto di Tiran rappresenta il solo accesso al Golfo di Aqaba, sul quale si affaccia la città di Eilat,
l’unico porto israeliano sul Mar Rosso. Una chiusura dello Stretto da parte di Egitto e Arabia Saudita, i
due paesi che lo controllano, costituisce ovviamente un problema per la sicurezza e l’economia dello
Stato di Israele.
17
diventare i protagonisti della liberazione della Palestina. Le
conseguenze più significative della guerra del 1967 furono tuttavia le
conquiste territoriali israeliane (Fig. 1.1): le Alture del Golan, la
penisola del Sinai, la Striscia di Gaza, Gerusalemme Est e l’intera
Cisgiordania passarono sotto il controllo di Israele, per un aumento
della superficie amministrata da 22.000 Km² a 100.000 Km². Tutti i
territori strappati al nemico arabo vennero sottoposti al regime
militare di occupazione, mentre Gerusalemme Est, come vedremo
meglio in seguito, fu annessa direttamente ad Israele.
Figura 1.1: Mutamenti territoriali in seguito alla Guerra dei Sei Giorni, 1967.
Fonte: http://www.shunpiking.com/ol0405/0405-OP-IZ-causesof67war.htm (ultimo accesso 10 gennaio
2010).
18
Un esile tentativo di stabilire una pace definitiva in Medio Oriente
fu compiuto dalle Nazioni Unite, le quali sei mesi dopo la fine della
Guerra dei Sei Giorni adottarono la Risoluzione 242 del novembre
1967
2
. Sulla base ‹‹dell’inammissibilità dell’acquisizione di territori attraverso
la guerra e con lo scopo di stabilire una pace giusta e duratura in Medio
Oriente››, la Risoluzione affermò i due seguenti principi:
1. Ritiro delle forze armate israeliane dai
3
territori occupati nel corso del
recente conflitto
2. Cessazione di ogni situazione di belligeranza e rispetto e riconoscimento
della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di
ogni stato della regione e del loro diritto di vivere in pace all’interno di
confini sicuri e riconosciuti, al riparo da minacce e atti di forza.
La Risoluzione fu accettata da Israele, Giordania ed Egitto, ma
allo stesso tempo rifiutata dalla Siria e dall’Organizzazione per la
Liberazione della Palestina (OLP), che era stata fondata a
Gerusalemme nel 1964.
Come anticipato, la della Guerra dei Sei Giorni evidenziò la
debolezza dei regimi arabi e la loro inadeguatezza nel tentare di
risolvere la questione palestinese. Da questo momento in avanti,
l’OLP diventò il vero protagonista della lotta per la liberazione della
Palestina, sotto la guida prima di Yahia Hammuda
4
e poi di Yassir
Arafat, leader della maggiore organizzazione della resistenza
2
La Risoluzione ONU 242 del 22 novembre 1967 fu adottata dal Consiglio delle Nazioni Unite in presenza
dei rappresentanti dei paesi coinvolti, che furono invitati a prendere parte alle discussioni. Egitto,
Giordania, Siria e Israele parteciparono alle riunioni, ma venne loro precluso il diritto di voto.
http://www.un.org/documents/sc/res/1967/scres67.htm (ultimo accesso 10 settembre 2010).
3
La versione originale in lingua inglese è priva dell’articolo determinativo, mentre in quella francese
l’articolo è presente. Forti contrasti e diverse interpretazioni sono state causate da questa ambiguità.
Mentre alcuni hanno infatti inteso il ritiro israeliano ‹‹da tutti i territori occupati››, per altri il ritiro va
inteso in maniera più generale ‹‹da territori occupati››, il che non implicherebbe tutti. Per una
discussione più approfondita della questione si veda il capitolo quinto.
4
Leader dell’OLP dal dicembre 1967 fino al febbraio 1969, quando Arafat e la sua organizzazione al-
Fatah presero il potere all’interno del OLP .
19
palestinese, al-Fatah
5
. Anche se Arafat fu eletto leader dell’OLP solo
nel febbraio 1969, già nel dicembre 1967 l’organizzazione aveva
cominciato a reclutare ed addestrare uomini, spostando il proprio
centro operativo dalla Cisgiordania alla capitale giordana Amman.
La strada scelta dai palestinesi fu quella della lotta armata,
menzionata esplicitamente nella Carta Costitutiva dell’OLP redatta
nel 1968 e la Giordania divenne il trampolino di lancio per le
operazioni di guerriglia. L’OLP non era un’entità omogenea, ma
un’organizzazione formata da più soggetti, i quali spesso si
trovarono in disaccordo con al-Fatah e condussero operazioni
indipendenti. I due gruppi più attivi erano sicuramente il FPLP ed il
FDPL
6
guidati rispettivamente da George Habash e Nayif
Hawatmeh. Mentre al-Fatah si concentrò sulle attività di guerriglia
lungo il confine giordano, gli altri due movimenti, nonostante non
disdegnassero queste operazioni, si specializzarono nel
dirottamento di aerei.
Approfittando della benevolenza del giovane Re Husayn, i
combattenti palestinesi si muovevano indisturbati in Giordania, tanto
nei campi profughi quanto per le strade della capitale, facendo
sfoggio delle loro armi. La situazione tuttavia diventò presto
insostenibile. Il sovrano aveva infatti completamente perso il
controllo sui miliziani dell’OLP, che, a causa delle loro azioni in
territorio israeliano, esponevano la Giordania alle continue
rappresaglie dell’IDF, e temeva che la continua erosione del suo
5
Al-Fatah (حتفلا) in arabo significa letteralmente “l’apertura”, ma anche “la conquista”.
6
FPLP e FDLP sono gli acronimi rispettivamente di Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e di
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. Entrambi sono gruppi di impronta comunista che
mantenevano forti contatti con i movimenti popolari di opposizione attivi nei paesi arabi e nel mondo.
20
potere avrebbe presto portato ad un colpo di stato palestinese
7
. La
scintilla che spinse all’azione Re Husayn fu un ennesimo
dirottamento di quattro aerei di linea da parte del FPLP, i quali
vennero fatti atterrare nella zona di Irbid
8
, che il movimento dichiarò
“territorio liberato”. A distanza di pochi giorni dall’episodio, il re
ordinò ai militari di riportare l’ordine nel paese ed il 15 settembre
1970
9
iniziò un combattimento sanguinoso fra l’esercito giordano ed
i miliziani palestinesi. Dopo dieci giorni di scontri armati, in cui
persero la vita dalle tremila alle cinquemila persone, la mediazione
di Nasser fu decisiva per riportare la calma e raggiungere un
accordo per il trasferimento della sede dell’OLP a Beirut, in Libano.
La vita per i palestinesi all’interno dei Territori Occupati non fu
certo migliore dopo la Guerra dei Sei Giorni. 590mila persone in
Cisgiordania e 350mila nella Striscia di Gaza furono costrette a
vivere sotto la brutale occupazione. La prima mossa delle autorità
israeliane fu di varare una politica di espulsioni di massa, tanto da
particolari zone della Cisgiordania quanto da Gerusalemme. La
tanto desiderata capitale dello Stato palestinese fu anche
protagonista del cosiddetto “progetto pilota”, che, avviato nel 1968,
portò alla fondazione dell’insediamento di Har Homa sulle colline
della zona est della città, fino al 1967 sotto il controllo giordano e
abitata quasi unicamente da arabi.
Mentre espulsioni di massa ebbero luogo periodicamente,
7
La popolazione di origine palestinese in Giordania era in quegli anni molto numerosa, addirittura
superiore ai giordani stessi, a causa delle ondate di profughi arrivati nel paese in seguito ai conflitti del
1948 e del 1967.
8
Città situata nel nord della Giordania, a pochi chilometri dal confine con la Siria.
9
Il Settembre del 1970 è noto alla storia araba come “Settembre Nero” (in arabo دوسلأا لوليأ ). Nonostante
dopo i primi dieci giorni fu raggiunto un accordo per il cessate il fuoco, il conflitto durò in realtà fino al
luglio del 1971.
21
quotidianamente cittadini e militanti politici palestinesi subivano
soprusi e maltrattamenti da parte dei militari israeliani, ai quali era
peraltro ordinato di sopprimere qualsiasi forma di resistenza
all’occupazione con estrema decisione, che spesso si traduceva in
aperta violenza. Il culmine dei soprusi nei confronti della
popolazione palestinese assunse la forma della sottrazione di terreni
per la costruzione degli insediamenti ebraici che cominciarono ad
apparire in Cisgiordania verso la fine degli anni Sessanta, subirono
una forte accelerazione con la vittoria del Likud alle elezioni del
1977 e continuano tuttora, nonostante i dibattiti e le critiche. La
politica degli insediamenti fra il 1967 ed il 1977 era indirizzata a
porre in essere una presenza di ebrei in alcune aree strategiche
come la Valle del Giordano, ritenute fondamentali sotto l’aspetto
della sicurezza
10
. Nei primi vent’anni di occupazione la popolazione
dei Territori Occupati non riuscì ad organizzare, e per certi aspetti
non volle, una linea politica autonoma ed indipendente per
contrastare l’occupazione. Influenzati dall’OLP, gli uomini politici
della Cisgiordania si trovarono a vivere in una terra che era contesa
da Israele e Giordania.
1.2 Gli anni Settanta: guerra, pace e resistenza
Gli anni Settanta si aprirono con il tentativo degli Stati Uniti di
diventare mediatori per una pace duratura in Medio Oriente fra i
paesi arabi ed Israele, escludendo ancora una volta i palestinesi.
Pur non mettendo in discussione la fraterna alleanza con lo Stato di
10
Un progetto piuttosto dettagliato ed accuratamente motivato era stato preparato a riguardo dal
Generale Yigal Allon. Per i dettagli del Piano Allon si veda il paragrafo 2.1.
22
Israele, gli Usa cercarono tuttavia di cooptare i paesi arabi,
sottraendoli all’orbita sovietica. L’Egitto del nuovo Presidente Anwar
Sadat accettò la sfida, ma era intenzionato ad avviare i negoziati
con Israele da una posizione di maggiore forza. Fu per questa
ragione che nel 1973, dopo un accordo con la Siria, l’Egitto guidò un
nuovo attacco arabo contro lo Stato ebraico. L’esitazione dei leader
arabi dopo una prima schiacciante vittoria contro le truppe israeliane
e l’aiuto americano evitarono una rovinosa sconfitta per Israele, il
quale percepì la guerra del 1973
11
come un evento traumatico. La
società israeliana, scossa ed impaurita, abbracciò la politica più
aggressiva della destra, voltando le spalle al Partito laburista, che
nel 1977, dopo trent’anni consecutivi di governo, perse le elezioni.
Il conflitto non implicò invece nessun diretto cambiamento a livello
territoriale, ma ebbe comunque importanti riflessi, il più importante
dei quali fu l’accordo di pace fra Israele ed Egitto. I problemi interni e
la possibilità di riavere la Penisola del Sinai spinsero Sadat a
considerare l’opzione della pace immediatamente dopo la fine del
conflitto. Nel novembre del 1977 il Presidente egiziano parlava in
mondovisione di relazioni umane fra i due paesi dopo trent’anni di
guerre
12
ed il 26 marzo 1979 Israele ed Egitto firmarono un definitivo
trattato di pace a Washington, sotto la supervisione americana.
L’accordo prevedeva la restituzione del Sinai da parte di Israele, che
a sua volta ottenne il riconoscimento ufficiale da parte della
controparte egiziana. La situazione della Cisgiordania e della
Striscia di Gaza fu messa in secondo piano ed Israele poté
11
Più conosciuta anche come “Guerra dello Yom Kippur”, perché iniziata nel giorno sacro ebraico. Nel
mondo arabo il conflitto è più semplicemente noto come ”Guerra di Ottobre” (in arabo نيرشت برح).
12
Il discorso del Presidente egiziano Anwar Sadat di fronte alla Knesset, a Gerusalemme, è consultabile
online all’indirizzo http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Peace/sadat_speech.html (ultimo
accesso 16 settembre 2010).
23
continuare l’occupazione con il beneplacito del più importante paese
arabo. Sadat pagò con la propria vita il trattato di pace, il quale
tuttavia rappresentò una svolta fondamentale nei rapporti fra lo
Stato ebraico ed il mondo arabo.
Dopo gli episodi del “Settembre Nero”, l’OLP aveva spostato la
propria sede operativa a Beirut e nel corso degli anni Settanta rivide
i propri obiettivi in una chiave più pragmatica. Nel 1974 Fatah
pubblicò il cosiddetto “Programma delle fasi”, che mirava ad una
liberazione unicamente dei Territori occupati (Cisgiordania e Striscia
di Gaza) piuttosto che ad una riconquista più utopica di tutta la
Palestina. In seguito a questa pubblicazione, nel 1975, le Nazioni
Unite riconobbero l’OLP come “unica e legittima rappresentante del
popolo palestinese”; posizione che sarà adottata anche dalla
Comunità Europea nel 1981, dagli Usa nel 1988 e da Israele nel
1993. Questa nuova fase della leadership dell’OLP, da cui presero in
un certo senso le distanze sia il FDLP che il FPLP, si può
riassumere in un’interessante mescolanza di guerriglia e trattativa.
Il Libano meridionale, come era stato per la Giordania alla fine
degli anni Sessanta, divenne il trampolino di lancio per operazioni
militari ed incursioni in territorio israeliano. La presenza dell’OLP,
che grazie ad un accordo con il governo libanese aveva assunto il
controllo dei campi profughi palestinesi nel paese, rese la situazione
del Libano altamente instabile, molto più di quanto già non lo fosse.
Le divisioni interne, la presenza dell’OLP e l’intervento di Siria ed
Israele causarono una lunghissima guerra civile in Libano che durò
dal 1975 al 1990. L’OLP, che nei primi anni del conflitto combatté
ferocemente a fianco dei fratelli sunniti del Libano, fu fortemente
indebolita dalla decisione del Primo Ministro israeliano Begin di
24
intraprendere l’operazione Pace in Galilea, nella primavera del
1982. Progettata e guidata dall’allora Ministro della Difesa Ariel
Sharon, l’offensiva aveva come principali obiettivi la distruzione
dell’OLP e la stabilizzazione del contesto politico in Libano sotto un
governo cristiano capeggiato dal leader maronita Bashir Gemayel.
L’assassinio di Gemayel rovinò i piani israeliani, ma solo dopo che
era stato trovato un accordo per l’evacuazione dei guerriglieri
dell’OLP dal Libano.
Con la sconfitta dell’OLP in Libano si aprì una fase di crisi per
l’organizzazione, che fu costretta all’esilio nella lontana Tunisi e vide
emergere gravi divergenze al suo interno. Il cosiddetto “fronte del
rifiuto”, in contrasto con la politica di Arafat orientata a ricercare una
soluzione negoziata della questione palestinese, si stabilì a
Damasco. La difficoltà dell’OLP di formulare una linea politica
comune e la lontananza dai Territori palestinesi resero la sua
posizione molto più debole nei confronti di Israele, al cui interno si
era nel frattempo sviluppato un forte dibattito politico fra i sostenitori
dell’idea di “Grande Israele” e coloro che invece sponsorizzavano la
restituzione dei Territori Occupati in cambio di una pace stabile
13
.
Trascinata e disorientata da tale dibattito, la società israeliana
riversò ondate di voti sui partiti minori, i quali si posizionarono agli
estremi del panorama politico, determinandone una
frammentazione. A causa di questo fenomeno, nelle elezioni del
1984 e del 1988, nessuno dei due partiti maggiori (Labour e Likud)
riuscì ad ottenere la maggioranza assoluta e si ricorse a governi di
13
La polarizzazione della politica israeliana intorno al tema dei Territori Occupati si era manifestata dopo
la guerra del 1967 e si accentuò nel corso degli anni Settanta. Agli estremi dello schieramento politico
aumentarono il loro potere Gush Emunim, sostenitore dell’idea di Grande Israele, e PeaceNow,
favorevole invece all’abbandono della Cisgiordania e di Gaza. Per un approfondimento sulla posizione di
Gush Emunim si veda il paragrafo 2.2.
25
unità nazionale, che di fatto crearono una paralisi politica.
Nonostante questo mutamento della politica israeliana, la
costruzione di insediamenti, cominciata nel 1967, continuò e
l’occupazione divenne sempre più invasiva nelle vite dei palestinesi
della Cisgiordania: confische di terre erano all’ordine del giorno,
come del resto perquisizioni, arresti e detenzioni. I palestinesi
dovevano inoltre pagare tasse speciali, avere sempre con sé i propri
documenti e per qualsiasi attività volessero intraprendere dovevano
richiedere permessi alle autorità israeliane, passando attraverso una
lunga trafila burocratica.
1.3 La Prima Intifada
14
Verso la metà degli anni Ottanta, la situazione interna ai Territori
Occupati era chiaramente diventata insostenibile, ma l’OLP ed i
paesi arabi manifestavano una sostanziale impotenza rispetto alla
questione palestinese. In queste condizioni gli abitanti della
Cisgiordania si resero conto che l’unica strada possibile per
contrastare l’occupazione era la resistenza popolare. L’Intifada fu
proprio il risultato dell’esasperazione delle persone e non fu
inizialmente guidata da nessuna organizzazione, sebbene l’OLP ne
assunse la guida dopo qualche mese.
La Prima Intifada scoppiò il 9 dicembre 1987 nel campo profughi
di Jabaliyya, nella Striscia di Gaza, in seguito ad un incidente
stradale scatenato da un veicolo militare israeliano, che portò alla
morte di quattro palestinesi. Migliaia di persone scesero per strada,
manifestando contro l’incidente, e quando l’esercito israeliano aprì il
14
La parola Intifada (in arabo ة ض ا فت ن ا) significa “scossa, sollevazione”.
26
fuoco per disperdere la folla uccidendo alcuni dimostranti, in tutti i
Territori Occupati si scatenò la rivolta. Inizialmente confinata ai
giovani ed agli strati più poveri della popolazione, l’Intifada contagiò
tutti gli strati della società palestinese. Così, mentre i giovani
affrontavano per le strade l’esercito israeliano con fionde e pietre, i
notabili si impegnarono per rendere la rivolta un fardello economico
per Israele, organizzando scioperi, non pagando le tasse e
boicottando i prodotti israeliani. Oltre alla continua creazione di
insediamenti nelle zone della Cisgiordania che lo Stato d’Israele
considerava vitali, l’occupazione aveva infatti grandissimi risvolti dal
punto di vista economico, secondo un rapporto che ha tutte le
caratteristiche per essere definito neocoloniale
15
. Si era creato infatti
un rapporto di dipendenza dell’economia della Cisgiordania da
quella israeliana: dai Territori Occupati arrivavano forza lavoro a
buon mercato e materie prime a prezzi bassi, mentre in direzione
opposta viaggiavano i prodotti finiti, senza che peraltro Israele
investisse in alcun modo nelle aree palestinesi. Gli sforzi per
soffocare la sollevazione costrinsero Israele a rallentare
temporaneamente il processo di colonizzazione dei Territori
Occupati, il quale aveva comportato una loro graduale annessione.
A un anno dallo scoppio della Prima Intifada, il 15 novembre 1988
la dirigenza dell’OLP ne assunse ufficialmente il comando con la
redazione di un documento destinato a rimanere fra i più importanti
dell’organizzazione. Intitolato Dichiarazione d’Indipendenza, questo
fu un tentativo di indirizzare la rivolta verso obiettivi precisi e di
15
Il fenomeno neocoloniale è stato teorizzato per la prima volta dall’ex Presidente indonesiano Sukarno
alla Conferenza di Bandung del 1955. Questo concetto, il quale indica la forma di controllo di un'ex
colonia di un Paese basata sulla dipendenza economica o sull'occupazione militare, fu ripresa da Kwame
Nkrumah, nel testo “Neo-Colonialism, The Last Stage of Imperialism”. Thomas Nelson & Sons, Ltd.,
Londra, 1965.
27
riavvicinarsi agli Stati Uniti, individuati come un possibile mediatore
nella questione israelo-palestinese. I punti più significativi del
documento furono il riconoscimento del diritto di esistere dello Stato
di Israele da parte dell’OLP, la sua rinuncia al terrorismo,
l’accettazione delle Risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite
16
e la
proclamazione di uno stato palestinese indipendente nelle aree della
Cisgiordania e di Gaza.
Israele voleva però negoziare alle proprie condizioni ed il Primo
Ministro Yitzhak Shamir rifiutò ogni cambiamento immediato dello
status quo nei Territori Occupati, facendo pressione sul nuovo
Presidente americano George Bush affinché a sua volta rompesse i
negoziati con Arafat. Nel 1990, a tre anni dallo scoppio dell’Intifada,
le trattative di pace crollarono pertanto sotto il peso
dell’intransigenza israeliana e l’intensità della rivolta si era affievolita
a tal punto che i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza
ripiombarono nella normalità della brutale occupazione.
1.4 Gli anni Novanta: un decennio di speranza
Nonostante gli anni Novanta non iniziarono sotto un buon auspicio
per la dirigenza dell’OLP, la quale decise sciaguratamente di
schierarsi con Saddam Hussayn durante la prima Guerra del Golfo,
fu proprio in questo decennio che le trattative di pace fra palestinesi
ed israeliani arrivarono al loro punto più avanzato. Alcuni fattori
storico-politici resero possibile questo avvicinamento fra le parti:
16
La Risoluzione ONU 338 fu adottata dal Consiglio di Sicurezza il 22 ottobre 1973, appena terminata la
Guerra dello Yom Kippur (1973): prevede un immediato cessate il fuoco e l’avvio di un negoziato in
conformità con i punti della Risoluzione 242 del 1967. Per un approfondimento a riguardo si veda il
capitolo quinto.
28
innanzitutto la fine della Guerra Fredda aveva determinato l’apertura
di un nuovo scenario in Medio Oriente per l’unica superpotenza
rimasta. Per combattere la Guerra del Golfo inoltre, gli Usa avevano
richiesto il supporto politico e logistico dei paesi arabi, i quali, fatta
eccezione per lo Yemen, la Libia ed il Sudan, acconsentirono in
cambio di ingenti somme di denaro e della promessa che a guerra
finita si sarebbe discusso della questione palestinese. L’incontro che
ne scaturì nel dicembre 1991, conosciuto come la Conferenza di
Madrid, portò per la prima volta nella storia rappresentanti
palestinesi, israeliani e dei paesi arabi allo stesso tavolo.
Il terzo fattore fu l’elezione nel 1992 del Primo Ministro laburista
Yitzhak Rabin in Israele, il quale pose fine alla politica di estrema
intransigenza che aveva caratterizzato il governo del suo
predecessore e lavorò per riconquistare l’appoggio degli Stati Uniti.
Questo gelo inaspettato fra i due alleati storici era stato causato dal
nuovo ambizioso programma di insediamenti in Cisgiordania varato
dall’amministrazione Shamir, che spinse il Presidente Bush, nel
febbraio 1992, a sospendere un prestito di dieci miliardi di dollari
che gli Stati Uniti avevano stanziato per Israele. Certamente Rabin
non era una colomba della politica israeliana (aveva infatti ricoperto
l’incarico di Ministro della Difesa negli anni dell’Intifada,
schiacciando senza pietà la rivolta), ma appena fu eletto Primo
Ministro annunciò un parziale congelamento degli insediamenti in
Cisgiordania e si prodigò per ricucire i rapporti con gli Usa.
Nel settembre del 1993 i delegati israeliani e dell’OLP giunsero a
Washington per un’altra tornata di discussioni. Inaspettatamente
Israele e l’OLP annunciarono di aver firmato un accordo storico che
colse di sorpresa il mondo intero ed è conosciuto come
“Dichiarazione dei principi dell’autogoverno palestinese”. I punti più
29
significativi di questo accordo, frutto dei negoziati iniziati a Oslo nel
gennaio dello stesso anno e pertanto soprannominato Oslo I, sono:
il riconoscimento di Israele da parte dell’OLP e la creazione
dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che avrebbe dovuto
amministrare Gaza e la Cisgiordania per cinque anni, ponendo
le basi per un governo definitivo nei territori;
il ritiro dell’esercito israeliano dalle città e dai villaggi della
Cisgiordania e di Gaza per limitarsi al controllo delle frontiere
ed dei confini.
L’Accordo di Oslo I (Fig. 1.2) lasciava però in sospeso i punti più
caldi del processo di pace da discutere nei cinque anni successivi:
la questione di Gerusalemme, il destino dei rifugiati palestinesi ed il
problema degli insediamenti ebraici nei Territori Occupati.
La seconda parte dell’Accordo di Oslo I fu ratificata al Cairo il 4
maggio 1994 e prevedeva la concreta applicazione di alcuni dei
punti del documento precedente, su tutti il completo ritiro israeliano
dalla Striscia di Gaza e dalla città di Gerico, ora sotto
l’amministrazione dell’ANP.
Le circostanze che avevano permesso questo accordo storico
sono da ricercare nel momento particolare che entrambi i
protagonisti stavano vivendo. Terminata la Guerra Fredda e perso il
sostegno dell’Unione Sovietica, l’OLP si trovò ad affrontare ingenti
difficoltà politiche ed economiche. La mancanza di sovvenzioni
impose un giro di vite all’organizzazione, la cui leadership fu peraltro
al centro di numerose critiche, come quelle ricevute in seguito alla
scelta di sostenere l’Iraq durante la Guerra del Golfo, e fu
pubblicamente sfidata dal neonato Movimento di Resistenza