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1. La terra delle montagne e delle lingue
La regione del Caucaso, posta a cavallo tra Asia ed Europa, ha una superficie di 450.000 km
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ca. A
est e a ovest è bagnata rispettivamente dal Mar Caspio e dal Mar Nero mentre a nord e a sud è
attraversata dalle imponenti catene del Grande Caucaso e del Piccolo Caucaso che ne delimitano i
confini con la grande steppa euroasiatica e gli altopiani anatolico e iranico (Fig. 1). Con i suoi 1.200
km ca. di lunghezza lungo la direttrice NO-SE, il Grande Caucaso si estende dalla penisola di
Taman', tra il Mar d'Azov e il Mar Nero, alla penisola di Apšeron, nel Mar Caspio. Collinare alle
due estremità, presenta cime altissime nella parte centrale, dove troneggiano montagne come il
Kazbek (5.047), il Koshtan-Tau (5.151 m), lo Shjara (5.201 m), il Dych-Tau (5.201 m) e l'Elbrus
(5.642) (Fig. 2). Il Grande Caucaso è formato da un complesso sistema di dorsali parallele che
formano vallate situate a grande altitudine; è in queste valli, isolate e inaccessibili per buona parte
dell'anno, che si è sviluppata quella “civiltà dell'aul” che ha tanto caratterizzato la storia di questa
terra. Per chi giunge dalla grande steppa eurasiatica o dal Mar Nero, il Grande Caucaso appare
come un'insormontabile bastione ricoperto di nevi e ghiacciai perenni su cui troneggiano maestose
vette dalle forme piramidali. Molto meno lungo e imponente è invece il Piccolo Caucaso che si
estende per 600 km ca. in direzione NO-SE per poi scivolare verso sud negli altopiani anatolico e
iranico. Il Monte Aragats (4.094 m) e il Grande Ararat (5.137 m) sono le due vette più alte. Tra le
due catene si estende un territorio pianeggiante e collinare solcato da grandi fiumi come il Rioni e il
Kuma. Il Caucaso presenta al suo interno importanti differenze climatiche e paesaggistiche tra il
nord e il sud e tra l'est e l'ovest. La parte settentrionale è più fredda e nevosa di quella meridionale
che invece risente degli influssi climatici del Vicino Oriente mentre la parte occidentale è più umida
e boscosa di quella orientale molto più arida e stepposa. Nonostante una morfologia complessa e
tormentata che ostacola sia i collegamenti interni che esterni alla regione le vicende storiche del
Caucaso sono strettamente connesse a quelle della grande steppa euroasiatica e del Vicino Oriente.
Per chi scende da nord ieri come oggi sono due i punti più favorevoli all'attraversamento del Grande
Caucaso; il primo si trova alla sua estremità orientale nella sottile lingua di terra pianeggiante posta
a ridosso del Caspio. Qui sorge l'antica città di Derbent (dal persiano Darband “Porta Sbarrata”)
sormontata dall'imponente cittadella fortificata di Naryn-Kala costruita nel VI sec. d.C. dai Sasanidi
a difesa delle incursioni delle popolazioni nomadi del nord. L'altro punto di transito è il Passo
Darjal (dal persiano “Porta degli Alani”), posizionato quasi al centro del Grande Caucaso, al
confine tra la Repubblica dell'Ossezia del Nord-Alania e la regione georgiana del Mtskheta-
Mtianeti. Il Passo Darjal può essere considerato il confine naturale tra la parte occidentale e quella
orientale della Ciscaucasia (o Caucaso del Nord); una delle due aree assieme alla Transcaucasia (o
Caucaso del Sud) in cui si è soliti dividere il Caucaso. Pur rappresentando un sistema unitario
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entrambe presentano al loro interno dinamiche culturali e storiche differenti. L'assenza di barriere
fisiche particolarmente ostiche ha facilitato i legami tra la Transcaucasia e le diverse costruzioni
statuali che nel corso dei millenni si sono susseguite nel Vicino Oriente; dall'Impero dei Medi a
quello Ottomano. La complessa orografia del Caucaso ha senza dubbio inciso sulla sua straordinaria
diversità etnico-linguistica resa ancora più sorprendente dalle dimensioni piuttosto contenute della
regione. Fin dall'antichità questa peculiarità attrasse l'interesse dei visitatori stranieri. In epoca
medievale gli arabi la denominarono “la montagna delle lingue” (dall'arabo “Djabal al-alsun”) per
l'incredibile numero di idiomi parlati dalle popolazioni montanare. Alla pluralità di lingue
corrispondeva una varietà di usi e costumi dovuti all'isolamento delle diverse comunità. Nelle alte
vallate del Grande Caucaso le abbondanti nevicate invernali impedendo gli spostamenti per buona
parte dell'anno avevano favorito lo svilupparsi di tradizioni proprie, diverse da quelle delle vallate
vicine. Le formidabili asperità del territorio non hanno tuttavia impedito il susseguirsi di invasioni
da parte popoli giunti da nord e da sud e il conseguente rimescolamento delle sue genti. Le tribù che
vivevano nella pianura a nord del Grande Caucaso cacciate dalle loro terre dai nomadi della steppa
si rifugiarono alle pendici delle montagne dopo aver spinto le popolazioni locali verso le vallate più
alte. Qualcosa di analogo accadde anche nel versante meridionale del Grande Caucaso dove le
popolazioni autoctone furono spinte a risalire le montagne. Questo susseguirsi di arrivi e
rimescolamenti proseguì con la conquista russa del XIX secolo e le deportazioni sovietiche degli
anni Quaranta del secolo scorso. Nella regione oggi si parlano lingue appartenenti alle famiglie
caucasiche, altaiche, indoeuropee e semitiche (Fig. 3). Per altaiche si intendono le lingue turcofone
parlate nel Caucaso dai discendenti dai popoli nomadi dalla steppa. I popoli che parlano le lingue
caucasiche, considerati gli abitanti autoctoni della regione, sono disseminati nei nove soggetti
federali russi della Ciscaucasia e in Georgia. I linguisti dividono le lingue caucasiche in tre gruppi:
nordoccidentali, nordorientali e meridionali. Le lingue indoeuropee sono quelle parlate da armeni,
osseti (o alani) e russi. Vi sono inoltre piccole comunità di lingua semitica rappresentate dagli assiri
e dalle comunità ebraiche di antico e recente insediamento. Altrettanto complesso e variegato è il
panorama religioso dato che nel Caucaso sono professate le tre religioni abramitiche presenti in
questa terra fin dai primissimi secoli della loro storia. Gli “ebrei della Montagna” (detti anche
“juhuro”) sono la più antica comunità ebraica del Caucaso e fanno risalire il loro arrivo a prima
della distruzione del Tempio di Salomone (586 a.C.). Nella regione la presenza del Cristianesimo si
fà risalire all'Età apostolica; furono gli apostoli Bartolomeo e Giuda Taddeo ad annunciare il
Vangelo in Armenia. Il paese fu il primo al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di
stato nel 301 in seguito alla conversione del re Tiridate III (286-324) a opera di San Gregorio
l'Illuminatore. Nella vicina Georgia la tradizione attribuisce all'apostolo Andrea la predicazione del
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Vangelo. Nel 327 il Cristianesimo fu proclamato religione di stato per volere di Mirian III (284-
361) facendo del Regno d'Iberia il secondo paese cristiano al mondo. Mentre la Chiesa armena non
prese parte al Concilio di Calcedonia (451) rifiutandone i canoni, quella georgiana ne accettò le
decisioni. Nel 554 la Chiesa Apostolica Armena si separò definitivamente dal resto dell'ecumene
cattolica con una propria gerarchia indipendente da Costantinopoli e da Roma. La Chiesa georgiana,
raggiunta l'autocefalia dal Patriarcato di Antiochia nel 483, rimase in comunione con le altre Chiese
ortodosse che riconoscono nel Patriarca Ecumenico di Costantinopoli la carica onorifica di “primus
inter pares”. Per entrambi i popoli, soprattutto dopo l'arrivo dell'Islam e il crollo dell'Impero
Romano d'Oriente, il Cristianesimo divenne il fondamento dell'identità nazionale durante i secoli di
dominazione straniera. L'Islam giunse nel Caucaso nel VII secolo, all'epoca del Califfato dei
Rāshidūn,
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iniziando la sua avanzata dalla parte sud-orientale (Albania) della Transcaucasia e
impiegando quasi un millennio per imporsi nella Ciscaucasia e scalzare il Cristianesimo
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e gli
antichissimi culti pagani, questi ultimi senza mai riuscire a sradicarli del tutto. L'Islam caucasico
ancora oggi si caratterizza per un variegato sistema di credenze pagane che pervade il sentimento
religioso popolare e si esprime in atti di devozione per le divinità protettrici del bestiame e dei
raccolti o in pellegrinaggi in luoghi ritenuti in grado di assicurare fertilità, prosperità e salute.
Anche l'Islam caucasico, come quello vicinorientale, è diviso tra sciismo e sunnismo come esito
delle vicende storiche regionali. La “fazione di Ali” è maggioritaria in Azerbaijan mentre “il popolo
della Sunna” è prevalente in Ciscaucasia a riprova di come le due aree appartenessero a poli
culturali e geopolitici diversi; rispettivamente al mondo persiano degli ayatollah e a quello anatolico
e centroasiatico delle confraternite sufi (“tariqa”) come la Kadiriyyah, la Naqshbandiyyah (la più
importante di tutte), la Shaziliyyah e la Yasaviyyah a loro volta divise in diversi rami (“wird”) e i cui
discepoli (“ mu r ī d”) sono guidati da un “murshid” (“maestro”). Queste confraternite nel corso della
loro storia hanno svolto un importante ruolo politico con i “murshid” spesso nella veste di capi
comunità e di mediatori tra potere centrale e popolo.
2. Il contesto geopolitico
Con il crollo dell'URSS il Caucaso è ritornato a essere uno dei punti più conflittuali e problematici
della geopolitica mondiale. Parte dell'Heartland euroasiatico, il vastissimo territorio che si estende
sino allo Xinjiang Uygur passando per le repubbliche ex-sovietiche dell'Asia Centrale e
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Il Califfato dei Rāshidūn ovvero “Califfato degli Ortodossi”, identifica quella fase della storia sell'Islam durata un
trentennio ca. (632-661) in cui la Umma fu retta dai quattro Califfi successori di Maometto: Abū Bakr (632-634),
Omar(634-644), Othmàn (644-656) e Ali (656-661).
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Qui il Cristianesimo ortodosso si diffuse soprattutto tra i popoli montanari della Circassia per la loro vicinanza
geografica alla Georgia e all'Impero Romano d'Oriente.
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l'Afghanistan, deve la sua rinnovata importanza strategica al fatto di trovarsi all'incrocio tra Asia
Centrale, Bassopiano Sarmatico e Vicino Oriente, regioni ricchissime di petrolio e gas naturale
(GN) e di essere di conseguenza uno snodo imprescindibile per i collegamenti energetici tra Europa
e Asia. La guerra delle pipeline che dai primi anni Novanta ha visto il blocco occidentale composto
da USA, UE e Turchia, contrapporsi alla Federazione Russa, all'Iran e alla Cina per il controllo dei
giacimenti e delle nuove rotte energetiche, ha inciso in maniera preminente sulla sicurezza e la
stabilità della Ciscaucasia e della Transcaucasia le due aree in cui si è soliti dividere il Caucaso a
partire dal tramonto del potere sovietico. La fine dell'URSS ha innescato nella regione dinamiche
geopolitiche che si riflettono nella stessa terminologia geopolitica russa che utilizza per le due parti
espressioni come “estero interno” ed “estero vicino” per sottolineare il loro nuovo status e una
fortissima alterità con il resto della Federazione. Mentre la Ciscaucasia, divisa in nove soggetti
federali,
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è rimasta sotto il controllo di Mosca, la Transcaucasia, costituita dalle tre repubbliche di
Armenia, Azerbaijan e Georgia, è fuoriuscita dalla sua orbita. Il tramonto dell'utopia dell'“uomo
nuovo sovietico” (“novyj sovetskij če l o vek”) ha inoltre riportato alla luce le vecchie identità etniche,
religiose e culturali. Nel Caucaso questi indicatori di appartenenza sono riapparsi più forti che nel
resto dell'ex Unione Sovietica. L'evoluzione politica della regione successiva agli eventi del 1991
va letta nel quadro del confronto-scontro tra Occidente e Federazione Russa, con Washington e
Bruxelles determinate a scalfire il dominio russo nella Ciscaucasia e a inglobare le repubbliche
transcaucasiche nella propria sfera d'influenza e Mosca determinata a riaffermare la propria autorità
in un quadrante strategico per la sicurezza nazionale e a sostenere una crescita economica incentrata
sull'esportazione di idrocarburi e sul controllo della loro rete di trasporto. Il Caucaso è così
diventato uno dei molteplici fronti dove si scontrano gli interessi divergenti delle maggiori potenze
globali. L'altissima conflittualità interna, aggravata da pressioni esterne, ha trasformato il Caucaso
in una'area altamente instabile. Il nuovo ciclo di guerre e instabilità politica esplose tra fine anni
Ottanta e inizio anni Novanta mise fine ai precari equilibri raggiunti in epoca sovietica. I conflitti
combattuti nel ventennio 1988-2009,
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accompagnati da modifiche territoriali e pulizie etniche
hanno avuto la loro causa scatenante nella politica delle nazionalità promossa da Stalin prima in
qualità di Commissario del popolo per le nazionalità e poi di Segretario Generale del PCUS allo
scopo di impedire il ripetersi di quanto era accaduto all'epoca della Rivoluzione d'Ottobre, allorchè i
governatorati caucasici si resero indipendenti dalla Russia dando vita alla Repubblica del Caucaso
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Repubbliche di Adighezia, Cecenia, Cabardino-Balcaria, Daghestan, Inguscezia, Karachay-Circassia e Ossezia del
Nord-Alania. Territori di Stavropol' e di Krasnodar.
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L'arco temporale va dagli scontri di Askeran e dal pogrom di Sumgait del febbraio 1988 alla guerra in Georgia
dell'agosto 2008.
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del Nord e alle tre repubbliche di Armenia, Azerbaijan e Georgia.
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Di origine georgiana e come tale
conoscitore della complessità di quella terra, Stalin tracciò i confini in modo del tutto arbitrario con
l'intento di impedire l'omogeneità etnica e creare le premesse per potenziali conflitti che avrebbero
richiesto l'intervento risolutivo di Mosca. Come risultato di questa politica del “dìvide et ìmpera” la
Repubblica Socialista Sovietica Azera ottenne il Nagorno Karabakh/Artsakh e il Naxçıvan, due
territori abitati da grandi comunità armene che chiedevano l'annessione alla Repubblica Socialista
Sovietica Armena. All'interno della Repubblica Socialista Sovietica Georgiana furono create le
repubbliche autonome di Abkhazia e Agiaria e la Regione Autonoma Ossezia del Sud, dando in tal
modo rappresentatività a etnie storicamente alleate della Russia al fine di indebolire le spinte
secessioniste georgiane. Tale politica ebbe come corollario la deportazione tra il 1943-1945 di interi
popoli caucasici in Asia Centrale
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e Siberia con l'accusa di aver collaborato con l'invasore nazista.
La loro colpa agli occhi di Stalin era di essere mussulmani e turcofoni e come tali potenziali alleati
di una Turchia che andava posizionandosi su posizioni filoccidentali. La deportazione interessò
principalmente i piccoli popoli della Ciscaucasia come i caraciai, i ceceni, i balcari e gli ingusci
mentre tra le popolazioni transcaucasiche patirono l'esilio le minoranze dei curdi e dei turchi
Meskheti. Le repubbliche e le regioni autonome abitate da queste etnie furono soppresse e i loro
territori divisi o assegnati alle repubbliche confinanti in modo da cancellarne le traccia. Nel 1956, in
occasione del XX Congresso del PCUS
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il Primo Segretario del Comitato Centrale del PCUS,
Nikita Chruščëv riabilitò le popolazioni deportate autorizzandole a ritornare nelle loro terre. Alcuni,
come gli Ingusci del distretto (rajon) di Prigorodnyj
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(Fig. 4), trovarono le loro case e i loro campi
occupati dai coloni russi e dagli osseti risparmiati dalle deportazioni, altri come i ceceni delle aree
meridionali non poterono ristabilirsi nei loro villaggi (aul) di montagna dove risultava più
difficoltoso il controllo del potere sovietico. Nel 1957 furono ricostituite la Repubblica Socialista
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Nel 1922 Armenia, Azerbaijan e Georgia furono riunite nella Repubblica Federale Socialista Sovietica della
Transcaucasia (RFSST). Nello stesso anno la RFSST entrò nel patto costitutivo dell'URSS assieme alla Repubblica
Socialista Sovietica Bielorussa, alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina e alla Repubblica Socialista Federativa
Sovietica Russa. Nel 1936 fu sciolta per volere di Stalin.
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La destinazione principale furono le Repubbliche Socialiste Sovietiche di Kazakistan e Uzbekistan.
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Svoltosi tra il 14 febbraio e 26 febbraio del 1956 è passato alla storia per l'intervento del Primo Segretario del
Comitato Centrale del PCUS Nikita Chruščëv che nella notte tra il 24 e il 25 febbraio davanti ai delegati al Congresso,
con l'esclusione dei rappresentanti dei partiti stranieri, lesse una lunga relazione passata alla storia come il Rapporto
Segreto in cui venivano denunciati i crimini dello stalinismo. Il documento si basava sui dati raccolti dalla Commissione
Pospelov che tra il 1953 al 1955 indagò sui crimini commessi durante i trent'anni del regime di Stalin.
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In seguito alla deportazione degli ingusci (23 febbraio - 9 marzo 1944) nella parte orientale del distretto di Prigorodnyj
si stabilirono Osseti in gran parte provenienti dall'Ossezia del Sud all'epoca situata nella Repubblica Socialista Sovietica
Georgiana. Il distretto fu assegnato dalle autorità alla confinante Repubblica Socialista Sovietica Autonoma dell'Ossezia
del Nord. Al termine della deportazione (1956) gli ingusci che riuscirono a farvi ritorno trovarono le loro proprietà
occupate dagli osseti, indisposti a lasciare case e terreni. Il distretto rimase alla Repubblica Socialista Sovietica
Autonoma dell'Ossezia del Nord anche dopo la ricostituzione della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno-
Inguscia (1957). La difficile convivenza tra le due comunità, tenuta sotto controllo dalle autorità sovietiche, degenerò in
un breve e sanguinoso conflitto tra il 30 ottobre il 5 novembre 1992 che causò circa seicento vittime e la fuga di diverse
decine di migliaia di persone dalle proprie abitazioni (le stime oscillano tra le trenta e le sessantamila).