Con la caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989, e il conseguente crollo dell'Impero
Sovietico si era diffusa, nei primi anni Novanta, la certezza di essere entrati in una nuova fase
della storia contemporanea, con inevitabili stravolgimenti nel sistema delle relazioni
internazionali e degli equilibri transnazionali.
Nel 1989 l'Unione Europea era un miraggio, un progetto discusso e contestato nei salotti
diplomatici del Vecchio Continente, incapace di intervenire per placare il caos che si era venuto a
creare nei paesi dell'Est europeo. Le fortissime divisioni sulla politica estera tra gli stati membri
1
costrinsero le cancellerie europee ad elaborare soluzioniche mirassero prevalentemente
all'integrazione economica e alla libera circolazione interna degli allora 12 paesi membri delle
comunità rinunciando a disciplinare in modo organico e puntuale l'azione europea in politica
estera. Il risultato di questo approccio fu una sostanziale mancanza di una politica estera europea
in tutte le gravi crisi nelle quali i paesi europei si trovarono coinvolti. Le risposte europee agli
avvenimenti geopolitici mondiali furono per tutti gli anni Novanta (e lo sono state anche nel
2
primo decennio del nuovo millennio) contraddittorie e incoerenti; la politica estera dell'Unione
fu lasciata in balia delle soluzioni dei governi degli stati membri, dominati da interessi geo-
3
strategici particolari e nazionali. Le incertezze e la mancanza di coesione negli approcci
internazionali da parte dell'Unione Europea relegarono il Vecchio Continente, inteso come un
unicum politico, ad una posizione defilata nella gestione e nella risoluzione delle grandi crisi che
caratterizzarono i paesi del ex blocco sovietico. L'azione più coraggiosa di Bruxelles nei
confronti dell'area centroasiatica si registrò nel 1993 quando venne lanciato il “Progetto
4
Traceca” che entrò nella sua fase attiva tra il 1994 e il 1995. L'obiettivo di questo programma di
cooperazione economica era quello di tagliare fuori la Russia dalle attività di trasporto, di
costruzione e gestione degli oleodotti ed in generale dagli investimenti dell'Europa in Asia
Centrale. Questo progetto coinvolgeva e soddisfaceva anche le ambizioni della Turchia, alleato
storico degli Stati Uniti e membro della NATO.
1
Soluzioni che vennero istituzionalizzate con la firma nel 1992 da parte dei 12 paesi membri della Comunità
Europea del Trattato di Maastricht conosciuto anche come Trattato sull'Unione Europea.
http://europa.eu/d ocumentation/legislation/index_it.htm
2
Emblematica in tal senso fu la gravissima spaccatura tra i paesi europei nei confronti della Terza Guerra del
Golfo nel 2003: Italia, Gran Bretagna, Spagna, Paesi Bassi e Polonia, infatti, (entrata ufficialmente nell'Unione
Europea il 1° maggio del 2004) appoggiarono l'intervento americano con mezzi e uomini, mentre Germania e
Francia si schierarono apertamente contro l'intervento armato.
3
A. Ferrari, L’Unione Europea e l’Asia Centrale, in “ISPI Policy Brief”, n. 52, maggio 2007, pp. 5-10.
4
TRACECA è un'organizzazione internazionale di cooperazione economica che mirava alla creazione di un
corridoio Caucasico TransEuropeo. http://ec.europa.eu/europeaid/index_en.htm
1
Introduzione
Se nel 1989 l'Europa presentava ancora molta timidezza come grande attore internazionale, la
Cina, senza complessi di inferiorità, si presentava sul palcoscenico internazionale come l'unico
soggetto in grado di colmare il vuoto lasciato dal crollo del regime di Mosca negli equilibri
internazionali. Gli sforzi della dirigenza di Pechino erano orientati ad ottenere il riconoscimento,
ormai acquisito nei fatti, dello status di grande potenza mondiale economica e militare da parte
della comunità internazionale. Al suo interno il Paese era ostaggio di una grave crisi economica e
politica scaturita dai forti squilibri economici e sociali che avevano portato ad un diffuso
malcontento e a forme organizzate di protesta. I dirigenti del PCC reagirono alle sommosse
5
soffocando le opposizioni e reprimendo nel sangue le manifestazioni di dissenso, condotta
questa che andò a scalfire non poco l'immagine che la Cina stava cercando da molto tempo di
tramettere al mondo occidentale.
Tra il 1989 e il 1990 tutti gli stati dell'Europa orientale compresi nel blocco sovietico
proclamarono la loro indipendenza da Mosca. L'8 dicembre 1991, a Minsk, i Capi di Stato di
Bielorussia, della Federazione Russa e dell'Ucraina siglarono un accordo che proclamò la nascita
della Comunità degli Stati Indipendenti sancendo così la fine dell'Unione Sovietica.
Le repubbliche centroasiatiche si trovarono drammaticamente e improvvisamente indipendenti,
prive di ogni struttura politica e istituzionale che potesse esercitare una effettiva sovranità sul
territorio, presero l'obbligata decisione, dopo un incontro ad Ashkhabad, di entrare a far parte
della neonata comunità di Stati. Il 21 dicembre 1991 venne proclamato solennemente ad Alma
Ata in Kazakistan l'ingresso nella CSI di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e
Uzbekistan.
La ratio dell'accordo era di minimizzare l'impatto traumatico causato dal venir meno dello Stato
sovietico. In epoca sovietica, infatti, le relazioni tra la regione ed il mondo esterno venivano
condotte da Mosca, l'accesso stesso alla regione era fortemente limitato per la quasi totalità dei
cittadini non sovietici. Questi paesi erano totalmente sprovvisti di un apparato diplomatico e non
6
conducevano nel sistema internazionale alcuna politica autonoma; era il Cremlino, infatti, a
garantire l'ordine e la stabilità della regione i cui interessi geo-strategici venivano ricondotti a
quelli dell'intera Unione.
L'implosione dello Stato sovietico catapultò le repubbliche centroasiatiche nel grande gioco
internazionale. La conseguente indipendenza di questi paesi dette loro maggiore attenzione e
rilevanza nei confronti degli attori internazionali, desiderosi sia di aumentare la loro influenza
5
Tristemente noti sono i fatti di Piazza Tiananmen.
6
M. Fumagalli, La dimensione strategica dell'Asia Centrale tra Russia Cina e USA, in “Eurasia Rivista di studi
geopolitici”, n 18. settembre 2007, pp. 15-18.
2
nella regione, sia di controllarne le immense risorse energetiche. Anche dal punto di vista
geografico, l'Asia Centrale costituiva un tassello fondamentale per tutte le potenze coinvolte
7
nello scacchiere asiatico; queste regioni, infatti, rappresentavano una parte significativa
dell'Euroasiatica, che oltre alle cinque repubbliche post-sovietiche (Kazakistan, Kirghizistan,
Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan) comprende anche la Mongolia, lo Xinjiang e
l'Afghanistan.
La questione energetica costituì un'altra importantissima ragione per cui le potenze
internazionali, ed anche le compagnie petrolifere, posero una sempre più crescente attenzione
8
verso la regione.
Negli anni Novanta le relazioni tra Mosca e le repubbliche centroasiatiche furono contraddistinte
da una radicale perdita di influenza da parte russa a livello sia politico che culturale;
l'indebolimento della posizione della Russia era dettato dalle difficoltà incontrate dalla classe
dirigente nell'elaborare una strategia di uscita e di disimpegno da queste regioni e dalla volontà
delle élite locali di allontanarsi dall'ombrello protettore di Mosca che per più di sessanta anni
aveva dominato il teatro centroasiatico.
Il biennio 1999-2001 costituì uno spartiacque fondamentale per il ruolo russo in Asia Centrale,
nel giro di due anni infatti si passò da una situazione di declino inarrestabile ad un recupero
dell'influenza perduta. Un tentativo di mantenere un legame militare tra Mosca e le repubbliche
centroasiatiche era stato tentato già nel 1992 con la firma a Tashkent del “Trattato di Sicurezza
Collettiva” (TSC), tentativo fallito sia per reale mancanza di volontà da parte dei dirigenti delle
ex repubbliche sovietiche di porsi nuovamente sotto l'ombrello militare russo, sia per l'assenza di
capacità da parte russa di tradurre in pratica le dichiarazioni dei trattati. La “riconquista”
dell'influenza perduta iniziò sul finire degli anni Novanta. Il “ritorno russo” fu agevolato da due
fattori: il primo economico, il secondo politico. Per quanto riguarda l'aspetto economico la
Russia stava vivendo in quegli anni una forte crescita favorita dall'aumento dei prezzi delle
materie prime e dalla debolezza del rublo che aveva permesso un più ampio dinamismo sui
mercati internazionali. Per quanto concerne l'aspetto politico, invece, l'ascesa alla Presidenza
della Federazione Russa da parte di Vladimir Putin modificò l'approccio del Cremlino alla
9
politica estera che fino a quel momento era stato incerto e disorganico. Il nuovo presidente
enunciò chiaramente gli obiettivi da seguire nella bozza di Dottrina Militare del 1999, nella quale
vennero ascritte in modo inequivocabile e chiaro le priorità e gli obiettivi strategici del paese. La
7
J. R. Walsh, China and the new geopolitics of Central Asia, 1993, University of California Press.
8
Il Turkmenistan ed Uzbekistan dispongono di immensi giacimenti di gas naturale mentre le riserve di petrolio del
Kazakistan sono di circa 39 miliardi di barili. http://www.kazakhstan.it/
9
M. Fumagalli, op. cit., in “Eurasia Rivista di studi geopolitici, settembre 2007.
3
”
nuova politica estera si sarebbe basata su un approccio multipolare e orientata al contenimento
dell'influenza straniera nello spazio post-sovietico. Questo approccio implicava chiaramente un
cambio di strategia nel teatro centroasiatico.
10
Fin dal 1949, i rapporti sino-sovietici furono caratterizzati da un'alternanza tra momenti di
1112
e collaborazione a situazioni di vero e proprio scontro politico e militare, fino ad
13
arrivare alla rottura totale negli anni Sessanta. Solamente negli anni Ottanta ci fu un'apparente
convergenza e parallelismo nelle politiche estere di Pechino e Mosca. Questa ritrovata armonia
ebbe però vita breve, infatti, nel 1991 il regime sovietico crollò e con esso tutti gli equilibri e gli
aggiustamenti che tanto faticosamente erano stati raggiunti.
La Cina fu senza dubbio la potenza che manifestò maggiore interesse e attenzione nei confronti
della regione centroasiatica in seguito all'indebolimento della presenza russa nell'area.
L'indebolirsi della presenza di Mosca liberò le neonate repubbliche centroasiatiche dal legame
che per oltre mezzo secolo le aveva vincolate all'economia sovietica.
La costante crescita economica cinese e la continua richiesta di materie prime e prodotti
energetici non facevano altro che aumentare agli occhi di Pechino l'appetibilità delle neonate
repubbliche che ospitavano nel loro sottosuolo importanti giacimenti di gas naturale, petrolio e
minerali.
L'”Antica via della seta” tornò così alla ribalta. La Cina non poteva (e non voleva) esimersi dallo
14
svolgere un ruolo centrale nella spartizione delle quote di influenza in questo nuovo teatro.
Alle rivalità nate tra gli attori in gioco, derivanti principalmente dalla corsa allo sfruttamento
delle immense riserve petrolifere e di gas dell'Asia Centrale, si aggiunsero rapidamente altre
questioni di natura strategica. Una delle prime conseguenze della fine della Guerra Fredda in
Asia Centrale fu infatti l'espansione su larga scala dell'influenza islamica e del fondamentalismo
15
islamico. Molti paesi musulmani, infatti, intervennero in seguito al ritiro russo, con ingenti
16
investimenti, donazioni e contributi religiosi, favorendo e incoraggiando la rinascita islamica.
Nel complesso scacchiere internazionale post-sovietico si andarono ad inserire anche i leader dei
10
Quando il 1° ottobre 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese, l'URSS fu tra i pochi paesi che
riconobbero immediatamente il nuovo regime.
11
Nel febbraio del 1950 fu firmato tra Cina e Mosca un trattato di amicizia e di assistenza reciproca in funzione
anti-americana.
12
Le ambizioni cinesi e le diverse vedute circa la conduzione della politica estera ed interna del blocco comunista
portarono verso la fine degli anni Cinquanta alle prime incomprensioni e controversie.
13
Alle tensioni scaturite dalla competizione per la supremazia nel campo socialista si aggiunsero le dispute
confinarie degli anni Sessanta che portarono ad un vero e proprio scontro militare tra soldati sovietici e militari
della Cina Popolare sulle rive del fiume Ussuri nel 1969.
14
V . Rajan Berry, New Power Politics in Asia, Mumbai, dicembre 2007, pp. 70-96.
15
In particolare Arabia Saudita, Pakistan e Iran.
16
O. Roy: "Sharia e gasdotto, la ricetta dei talebani", in “Le Monde Diplomatique”, novembre 1996.
4
armonia
regimi delle repubbliche, che, dopo sessantanni di giogo sovietico, si rifiutarono di svolgere il
ruolo di semplici pedine negli schemi delle superpotenze, ed ambirono sempre di più ad avere un
17
proprio ruolo e a giocare la propria partita.
La presenza e l'influenza cinese, cresciuta, sin dai primi anni degli anni Novanta, e il reimpegno
russo con la presidenza di Vladimir Putin sono state accompagnate dalla sempre più significativa
presenza militare americana (dettata o giustificata dalla guerra al terrorismo) che è culminata con
l'intervento in Afghanistan nell'ottobre del 2001.
Nel 1996 la Cina si fece promotore di un accordo internazionale con l'obiettivo di mettere ordine
e disciplinare gli approcci delle potenze regionali interessate nel contesto dell'Asia Centrale e di
garantire la stabilità e il controllo delle regioni dei confini dei paesi aderenti. Nacque così a
Shanghai il cosiddetto “Gruppo dei Cinque” o “Gruppo di Shanghai”; i 5 Capi di Stato di
Kazakistan, Cina, Kirghizistan, Tagikistan e Russia firmarono il “Trattato per il rafforzamento
18
dell'appoggio militare nelle regioni di confine”.
Nel 2001, durante il summit annuale del “Gruppo dei cinque”, i rappresentanti degli stati
membri, dopo aver accolto l'adesione dell'Uzbekistan, diedero vita ad una nuova organizzazione,
19
firmando la Dichiarazione dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Un anno dopo,
nel giugno del 2002, si provvide all'istituzionalizzazione dal punto di vista del diritto
internazionale della Cooperazione; a San Pietroburgo, infatti, venne firmato lo Statuto della
SCO, nel quale venivano dichiarati gli obiettivi, le strutture, i principi e gli orientamenti
dell'azione dell'Organizzazione.
Originariamente la SCO nacque come organizzazione antiterroristica, volta a «combattere ogni
20
forma di separatismo e fondamentalismo all'interno dei confini degli stati che la compongono»,
ma c'è chi sostiene che in realtà l'organizzazione si sia trasformata nel tempo in una sorta di
“blocco militare”. A sostegno di questa interpretazione stanno le numerose e importanti
21
esercitazioni militari effettuate nell'ambito della SCO; nell'agosto del 2005, Russia e Cina, in
virtù degli accordi ascrivibili al trattato istitutivo della Cooperazione, hanno condotto vaste ed
imponenti manovre militari nella provincia dello Shandong. L'operazione è stata denominata
17
A. Libman, Rgionalisation and Regionalism in the Post-Soviet Space: Current Status and Implications for
Institutional Development, in “Europe-Asia Studies”, n. 59, 2007. pp. 3-10.
18
Il trattato firmato era il Treaty on Deepening Military Trust in Border Regions.
http://ecetrade.typepad.com/rtas/sco_rtg/
19
J. H. Hessbruegge, The Shanghai Cooperation Organization: A Holy Alliance For Central Asia?, in “The
Fletcher School Online Journal for issues related to Southwest Asia and Islamic Civilization”, n. 2, 2004, pp. 2-3.
20
http://www.sectsco.org/EN/show.asp?id=68
21
Come è stato implicitamente ammesso dal Gegory Logninov, membro permanente della Russia nella Segreteria
della SCO: «Sebbene l'organizzazione non avesse in programma di trasformarsi in un blocco militare, tuttavia il
crescente aumento delle minacce di “terrorismo, separatismo e fondamentalismo ha reso necessario un
coinvolgimento massiccio delle forze armate.
5
e»
“Peace Mission 2005” e ha destato non poche preoccupazioni negli ambienti diplomatici
occidentali.
L'estate del 2006 è stata caratterizzata da nuove esercitazioni, che hanno visto, questa volta, la
partecipazione congiunta di reparti militari cinesi e kazaki. Le operazioni hanno avuto luogo tra
la regione autonoma dello Xinjiang e la regione di Almaty. Nelle operazioni sono stati impiegati
elicotteri armati, veicoli anti-sommossa e forze speciali militari e di polizia. Tutti i paesi aderenti
alla SCO hanno partecipato attivamente al controllo delle operazioni grazie alla presenza di
cento osservatori ufficiali inviati dai rispettivi governi nazionali. Le ultime manovre hanno avuto
luogo nell’agosto del 2007, e hanno coinvolto per la prima volta le forze militari di tutti i paesi
membri.
Le ipotesi che vedono la SCO come un nuovo Patto di Varsavia, con l'obiettivo di limitare e
contrastare l'influenza americana in Asia Centrale, sono oggetto di un acceso dibattito tra gli
esperti di politica internazionale; certo è che nel Summit della SCO tenutosi ad Astana nel 2005
venne chiesto ufficialmente agli Stati Uniti di specificare i tempi del ritiro militare
22
dall'Uzbekistan.
Nel 2006, l'Organizzazione di Shanghai ha conosciuto un ulteriore potenziamento delle sue
prerogative e dei suoi strumenti; durante il Summit annuale dei Capi di Stato dei paesi membri,
infatti, sono state create nuove istituzioni che hanno aumentato e rafforzato l'integrazione
economica e commerciale dell'area centro asiatica. Una risoluzione, infatti, ha dotato
23
l'Organizzazione di un Consiglio economico e di una Società interbancaria. La Cina ha dato un
tangibile sostegno all'integrazione economica, istituendo un Fondo di quasi un miliardo di dollari
24
a supporto della cooperazione economica.
Il summit del 2006 aprì nuove prospettive alla SCO; nel Comunicato finale dell'incontro, infatti,
si affermò la volontà di accrescere il ruolo internazionale dell'organizzazione, facendole
assumere un atteggiamento più incisivo e presente nelle questioni internazionali. Se ai paesi
membri si aggiungono gli stati che hanno fatto richiesta di entrare all'interno della SCO, le
25
ambizioni di questa organizzazione a porsi come principale attore internazionale euroasiatico
22
Il ritiro venne completato nel novembre del 2005. Gli USA abbandonarono la base di Khanabad che era stata
loro concessa dal governo Uzbeko in occasione dell'invasione dell'Afghanistan del 2001. I rapporti tra
Washington e Tashkent si erano irrigiditi in seguito alla denuncia da parte americana del massacro perpetrato
dalla polizia governativa Uzbeka nella città di Andijan contro gli oppositori al regime avvenuto nel maggio dello
stesso anno. http://www.monde-diplomatique.it/index.html
23
http://www.sectsco.org/EN/industrialist.asp
24
Già nel 2003 il Capo di governo cinese Wen Jiabao aveva proposto di creare una zona di libero scambio tra i
paesi membri della SCO. http://www.chinadaily.com.cn/en/doc/2003-09/24/content_266791.htm
25
La popolazione e l'estensione dei territori dei sei paesi aderenti è notevole; occupano, infatti, più di 30 milioni di
chilometri quadrati per una popolazione di un miliardo e mezzo di persone. Se a queste cifre venissero aggiunte
anche quelle dei quattro paesi osservatori, la SCO arriverebbe alla cifra impressionante di tre miliardi di persone
6
26
sono evidenti. Nel 2004, la Mongolia è diventata il primo stato a ricevere lo status di
osservatore nella SCO, status che è stato riconosciuto un anno più tardi anche a Iran, India e
Pakistan.
L'allargamento potenzierebbe in modo sostanziale l'influenza della SCO sullo sviluppo e sulla
commercializzazione delle risorse energetiche dell'Asia Centrale. L'adesione di Teheran è
fortemente auspicata e sostenuta dai dirigenti di Mosca, desiderosi di veder entrare
27
nell'organizzazione un loro potente e strategico alleato commerciale.
e comprenderebbe praticamente tutto il continente asiatico. http://www.sectsco.org/EN/brief.asp
26
La popolazione e l'estensione dei territori dei sei paesi aderenti è notevole; occupano, infatti, più di 30 milioni di
chilometri quadrati per una popolazione di un miliardo e mezzo di persone. Se a queste cifre venissero aggiunte
anche quelle dei quattro paesi osservatori, la SCO arriverebbe alla cifra impressionante di tre miliardi di persone
e comprenderebbe praticamente tutto il continente asiatico. http://www.sectsco.org/EN/brief.asp
27
Le relazioni economiche tra Russia e Iran erano quantificate nel 2008 in quasi quattro miliardi di dollari.
http://www.atimes.com/atimes/Central_Asia/LA08Ag01.html
7
Capitolo 1
I Leader dell'Organizzazione di Shanghai e le risorse energetiche dell'Asia
1.1 La questione energetica
Per comprendere in modo profondo e completo il nuovo “Grande Gioco” centroasiatico non si
può esulare dall'esaminare il fattore principale intorno al quale ruotano le scelte e le strategie
degli attori coinvolti. I paesi dell'Asia Centrale, oltre ad avere un sottosuolo ricco di giacimenti
di gas naturale e petrolio, occupano una posizione geografica cruciale per i collegamenti degli
oleodotti tra Occidente e Oriente; gli oleodotti, che si estendono per migliaia e migliaia di
chilometri, mettono in comunicazione il mondo occidentale e quello orientale e sono di vitale
importanza sia per le economie che vanno a rifornire sia per le economie dei paesi produttori.
In epoca sovietica il sistema produttivo dei paesi dell'Asia Centrale dipendeva dai sussidi elargiti
dal governo centrale che manteneva i costi delle materie prime molto bassi, favorendo così lo
sviluppo industriale locale. Le risorse energetiche subivano una pianificazione centralizzata
all'interno dell'Unione Sovietica ed erano quindi sottratte al mercato globale.
La dissoluzione dell'URSS ha avuto gravi conseguenze sulla stabilità delle economie dei paesi
1
centro asiatici. Il venir meno delle relazioni commerciali privilegiate tra le repubbliche
2
sovietiche privò le cinque economie centroasiatiche dei loro principali mercati di esportazione e
3
le catapultò nel mercato competitivo mondiale. La recessione fu aggravata anche dal ridursi dei
flussi commerciali verso le regioni centro asiatiche che interrompendo il costante
approvvigionamento di materie prime vitale per le economie di questi paesi. Il tasso di crescita
del PIL conobbe una inversione di tendenza solamente nel 1996, quando per la prima volta dopo
cinque anni tornò ad essere positivo.
Dopo il 1996 la crescita fu praticamente continua, interrotta solamente nel biennio 1997-1998 a
4
causa della crisi finanziaria che investì la Russia e le Tigri Asiatiche.
5
Il Kazakistan fu particolarmente colpito dagli effetti della scomparsa dell'Unione Sovietica;
1
Ad eccezione dell'Uzbekistan le altre repubbliche conobbero una grave recessione.
2
Kazakistan, Kirghizistan Tagikistan Turkmenistan, Uzbekistan.
3
Le economie di queste paesi non erano assolutamente preparate al mercato concorrenziale, abituate ad un regime
di scambi protetti e preferenziali, mostrarono evidenti segni di scarsa competitività.
4
Taiwan, Sud Corea, Singapore, Hong Kong.
5
Nel quinquennio 1990-1995 il PIL del Kazakistan conobbe un decremento del 36%.
8
Centrale
prima dell'indipendenza, infatti, era tra i cinque paesi dell'area centroasiatica quello
economicamente più legato a Mosca, che, grazie alla pianificazione industriale, garantiva ad
Astana un apporto costante e a basso costo di risorse energetiche essenziali per l'economia
kazaka che si fondava principalmente sul settore metallurgico ed estrattivo.
Il legame simbiotico con le altre repubbliche sovietiche interessava anche al settore agricolo; Il
Kazakistan, infatti, produceva grandi quantità di cereali che erano destinate al consumo di tutta
l'Unione Sovietica.
Alla fine degli anni Novanta l'economia kazaka iniziò a crescere in maniera stabile, complice
6
l'aumento del prezzo degli idrocarburi di cui il paese è ricco.
L'entrata del Kazakistan nel mercato mondiale ha accresciuto l'interesse delle grandi compagnie
petrolifere per l'economia kazaka. Le grandi multinazionali si sono avventate su questo
“Eldorado” del greggio che per quasi sessanta anni era stato di esclusivo controllo sovietico. In
7
virtù degli investimenti esteri il settore petrolifero ha conosciuto un vero e proprio boom di
crescita nei primi anni del nuovo millennio.
Nei primi anni Novanta le compagnie statunitensi hanno effettuato ingentissimi investimenti nel
8
settore degli idrocarburi, ma proprio il forte sfruttamento delle risorse kazake da parte di
multinazionali estere ha portato ad un ripensamento da parte del governo della legislazione in
merito ai contratti di esplorazione e sfruttamento. Nel 2004, infatti, è stata varata una legge che
prevede che in ogni contratto di concessione sia riservata una quota pari al 50% per la compagnia
petrolifera statale Kazmunaigaz; il motivo della norma è quella di mantenere il controllo delle
risorse energetiche e di evitare di perdere settori vitali, come quello degli idrocarburi, a
vantaggio dei paesi esteri. Nonostante questa parziale “nazionalizzazione”, la produzione
petrolifera kazaka è aumentata vertiginosamente negli ultimi anni, facendo registrare un
9
incremento vicino al 4%. Il legame con la ex madrepatria russa rimane comunque molto forte. Il
mercato russo rappresenta, infatti, il terzo partner commerciale di Astana.
Il settore degli idrocarburi è particolarmente sviluppato ed importante anche in Turkmenistan.
Dopo l'indipendenza il venir meno dei sussidi e finanziamenti, che venivano generosamente
elargiti da Mosca, ha portato ad un progressivo e inarrestabile processo di deterioramento delle
infrastrutture di trasporto con conseguenti sprechi ed inefficienze che hanno ridotto il potenziale
http://www.ice.it/paesi/pdf/kazakhstan.pdf
6
Nel 2006 il Kazakistan possedeva riserve di petrolio vicine ai 40 miliardi di barili, corrispondenti al 3,3% delle
riserve mondiali.
7
Circa l'80% del petrolio kazako è prodotto da compagnie petrolifere estere. Gli investimenti diretti esteri in
questo paese rappresentano il 10% di tutti gli IDE diretti ai paesi dell'ex Unione Sovietica.
8
Chevron Texaco su tutti.
9
www.bp.com
9
energetico del paese. Il Turkmenistan ha mantenuto pressoché intatto il modello sovietico di
10
pianificazione economica.
Il Turkmenistan è l'unico paese della CSI che non ha stretto una collaborazione con il Fondo
Monetario Internazionale; i vari governi che si sono succeduti alla guida del paese hanno sempre
11
cercato di limitare l'ingresso dei privati e delle multinazionali nell'economia petrolchimica e
hanno mantenuto un forte controllo sui prezzi (tutte politiche figlie della decennale esperienza
Sovietica).
Nonostante le carenze ed i ritardi il reparto energetico è rimasto, (anche dopo il 1991), il settore
12
strategico del paese, verso il quale il governo ha dirottato ed investito molte risorse. Così come
il Kazakistan, anche il Turkmenistan ha mantenuto un forte legame con l'ex madrepatria dal
punto di vista commerciale. Ashgabat e Mosca hanno firmato infatti nel 2006 un accordo
commerciale che aumentava il prezzo del gas turkmeno esportato in Russia e impegnava
quest'ultima ad aumentare il livello delle importazioni di idrocarburi turkmeni.
Gli investitori internazionali hanno mostrato poca attenzione nei confronti del Turkmenistan, sia
per l'atteggiamento poco favorevole della classe politica turkmena nei confronti degli investitori
esteri, sia per le gravi carenze strutturali del sistema di trasporto di gas naturale. I gasdotti,
infatti, sono obsoleti ed insicuri e non permettono un'esportazione continuativa su larga scala.
L'Uzbekistan, oltre ad avere una buona dotazione di gas naturale, è il sesto paese al mondo
1314
produttore di oro. Proprio la consistente dotazione di riserve aurifere ha permesso
all'Uzbekistan di contenere gli effetti recessivi causati dalla fine dei rapporti commerciali con le
repubbliche sovietiche.
Per tutti gli anni Novanta, il governo di Tashkent ha investito molto nel settore degli idrocarburi
nel tentativo di raggiungere l'autosufficienza energetica.
10
L'85% della produzione di gas naturale è garantita dalla compagnia di stato Turkmenneftegaz.
11
Il numero delle privatizzazioni, in seguito all'indipendenza, è state molto contenuto; nel 2005 la voce privata
contribuiva al PIL solamente per il 25%.
12
L'Eiu ( Economist Intelligence Unit) ha stimato che nel 2005 le esportazioni di idrocarburi rappresentassero
circa il 90% del mercato estero turkmeno. http://www.eiu.com
13
Le riserve aurifere dell'Uzbekistan sono stimate in 2.100 tonnellate. http://www.research.gold.org/
14
L'alto prezzo mondiale dell'oro ha permesso di mantenere un saldo positivo nella bilancia commerciale uzbeka.
10