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Un altro importante contributo alla disciplina proviene dallo statunitense Karl Raitz
(1995), il quale avanza un tesi suggestiva secondo la quale non sarebbe tanto lo sport,
quanto il paesaggio che ne costituisce “lo sfondo”, a determinare lo spettacolo.
Sulle lezioni dei suddetti geografi e su molti altri contributi, volontari e involontari, si
fonda il seguente studio, il quale si pone l’obiettivo di valutare ed evidenziare, dal
punto di vista geografico, i segni lasciati dal tour mondiale di Formula Uno.
Esso è articolato in tre parti: i rapporti fra sport e geografia, la conseguente lettura
socio-economica del mondiale di Formula Uno e l’analisi di tre casi.
La prima parte si propone di disvelare i punti di convergenza fra geografia e sport:
l’intento è quello di creare le fondamenta per un paradigma interpretativo attraverso
l’analisi delle interazioni fra lo sport e i temi classici della ricerca geografica.
Punto di partenza è la dimensione del fenomeno sportivo: l’uso del termine “glocal” ci
aiuta a delineare le caratteristiche, interagenti fra scala locale e globale.
Dalla diffusione capillare di alcuni impianti all’organizzazione di grandi eventi, quali
le Olimpiadi o i Campionati mondiali, si prendono le mosse per verificare come lo
sport agisce sul territorio, quali segni tangibili lascia e se la sua presenza generi
ripercussioni positive o negative.
Argomento successivo è il ruolo delle telecomunicazioni nell’interpretazione di una
nuova geografia sempre più compressa, laddove le manifestazioni sportive a carattere
internazionale devono la loro risonanza soprattutto all’apporto mediatico.
In seguito si esamina la logica dislocativa degli impianti sportivi , verificando come, a
seconda dello sport in questione, ci si avvicini alla teoria delle località centrali di
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Christaller ( e dunque ad una gerarchizzazione dei luoghi ) o piuttosto all’idea
sistemica.
A conclusione di questa prima parte il tema, oggi dibattutissimo, del rispetto
ambientale: l’intenzione è quella di comprendere se la sensibilità geografica affiancata
a quella architettonico – urbanistica possa aiutare a creare luoghi di fruizione sportiva
in armonia col contesto paesaggistico, storico e culturale in cui sono inseriti.
Nella seconda parte dello studio ci si prefigge di rendere applicativa l’indagine della
geografia sportiva esaminando il caso dell’automobilismo, più precisamente del
campionato mondiale di Formula Uno.
La scelta della Formula Uno è motivata dall’ampio ventaglio di ricerche che questa
disciplina ci offre, sia sotto il profilo sociale che sotto quello economico.
In primis sarà opportuno evidenziare come il circus della Formula uno si dispieghi su
un territorio internazionale e come questa caratteristica non sia il portato di una
tendenza generale alla globalizzazione bensì immanente fin dall’epoca della nascita di
tale sport e dalla sua successiva istituzionalizzazione nel secondo dopoguerra.
Il passo successivo è dedicato ad un tema caro alla geografia umana: il melting pot o
crogiuolo di razze.
Si scopre, infatti, come la richiesta di un know – how tecnico estremamente elevato
abbia contribuito a formare dei microcosmi, le scuderie, ove collaborano a vari livelli i
migliori talenti provenienti da ogni parte del mondo. Senza distinzioni razziali,
trascendendo i nazionalismi.
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Si passa poi a valutare l’impatto economico generato dalle gare, tenendo presente
l’effetto dello spostamento degli addetti e dei tifosi nonché delle vetture e
dell’attrezzatura atta a configurarle a seconda della gara che affronteranno.
A tutto ciò è strettamente collegata la scelta dislocativi dei circuiti: si può parlare di
eurocentrismo nonostante i più influenti sponsor siano statunitensi? Che peso ha l’elite
formata dai costruttori?
Localizzare i circuiti è anche un problema legato alla geografia fisica: il clima , infatti,
è una discriminante essenziale nella formulazione del calendario delle gare e ciò è
testimoniato dagli enormi disguidi verificatisi quando se ne è ignorata l’importanza.
Il capitolo seguente affronta una tematica recente: le facilitazioni apportate dall’uso di
internet nell’organizzazione del lavoro, come sia possibile dispiegare le “maestranze”
in Paesi diversi sfruttando il vantaggio di essere ubiqui grazie anche a mezzi quali la
videoconferenza e la posta elettronica.
In ultima analisi si affronta il tema del viaggio. Per certe caratteristiche potrebbe
ricordare il business travel, lavoro e transitorietà, ma spesso si carica di valenze
psicologiche laddove assume il significato di morire lontano da casa. Un viaggio dove
i nomi dei luoghi diventano nuovi significanti, rappresentazione di nuovi concetti.
La terza parte è dedicata alla presentazione di tre casi di studio.
Primo fra tutti il Gran Premio di Monza, tappa fondamentale nell’itinerario motoristico
sia per la sua valenza storica, sia per le vicende che hanno portato a modificare più
volte il circuito. Non si può sottacere, infatti, che la posizione dell’autodromo, nel
parco della città, ha creato molte tensioni fra gli organizzatori del Gran Premio e il
movimento ambientalista.
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Secondo caso analizzato è il Gran Premio di Barcellona, onde valutarne l’importanza
in una città che, più di tutte in Europa, deve la propria “rinascita” e trasformazione
proprio ad un evento sportivo: le Olimpiadi.
Ultimo caso è il Gran Premio d’Australia, interessante per la particolare vicenda che lo
caratterizza: per un decennio, infatti, è stato organizzato ad Adelaide su un circuito
cittadino, con ingenti benefici per la realtà urbana e regionale locale, ciononostante la
città ne è stata privata in seguito all’abile strategia politica attuata dallo Stato del
Victoria.
Melbourne, capitale del Victoria, ospita la gara da dieci anni, nonostante le reiterate
proteste del comitato che, come nel caso di Monza, vuole preservare il parco in cui si
svolge il Gran Premio.
L’analisi e l’approfondimento delle suddette tematiche sarà argomento delle pagine
che seguono.
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PARTE PRIMA
SPORT E GEOGRAFIA, UN CONNUBIO RICCO DI SIGNIFICATI
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CAPITOLO PRIMO
"GLOCAL". LO SPORT: DIMENSIONE GLOBALE O LOCALE?
15 settembre 2000, Sydney. Duecento emittenti televisive provenienti da tutto il
mondo trasmettono via satellite la cerimonia d'inaugurazione dei Giochi Olimpici.
Davanti agli schermi sfilano diecimiladuecento atleti di centoventicinque Paesi,
ciascuno per rappresentare la propria nazione in una competizione planetaria.
Lo spettacolo è suggestivo, sulla linea di confine fra una sfilata pacifica e una parata
prima del certamen.
L'emblema della manifestazione è un simbolo a cinque cerchi intersecati,
rappresentazione dell'unione dei cinque continenti.
Muovendo da queste premesse, potrebbe apparire ozioso il quesito riguardante la
globalità del fenomeno sportivo, soprattutto se teniamo conto delle cifre che
dimostrano che le cinque più note aziende mondiali
1
ritengono l'evento sportivo la
miglior vetrina in assoluto per mostrare universalmente il proprio marchio. ( Stato del
Mondo, 1997 )
Il suddetto quesito, in realtà, è tutt'altro che ozioso in quanto, per comprendere la vera
natura spaziale dello sport, si rivela necessario un approccio glocal , vale a dire la
1
IBM, Coca cola, Philips, Nike, Philip Morris
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presa di coscienza della forte commistione fra globale e locale, dell'interdipendenza fra
le due realtà.
Nella definizione di luogo data da Massey esso è costituito dall'incontro nonché dalla
stratificazione di rapporti sociali ( Massey, 1995): è precisamente questo il contesto in
cui nascono e si sviluppano i moderni sport.
Il passaggio da gioco popolare a sport avviene con la codificazione di una serie di
regole e il suo riconoscimento prima a livello locale, quindi nazionale e, in ultimo,
attorno alla fine del diciannovesimo secolo, internazionale.
La nascita di uno sport è strettamente collegata al luogo che la determina, in un
discorso sia di geografia fisica che culturale.
Per ricorrere all'esempio forse più eclatante, è indubbio che uno sport come l'hockey
su ghiaccio non possa essere il portato di una cultura centroafricana: non ci stupirà,
pertanto, constatarne la nascita in Canada, stato confinante a settentrione con il Mar
Glaciale Artico.
Di pari importanza è l'influsso culturale: l'hockey ha regole molto simili a quelle del
calcio, la cui origine è inglese, come anche quella del quaranta per cento della
popolazione canadese.
Pur avendo il luogo caratteristiche uniche e irripetibili ( Jess, 1995 ), ciò che da esso
viene culturalmente prodotto è, dalla società odierna, spesso standardizzato e diffuso
altrove, in luoghi affini o che poco hanno da spartire con quello d'origine.
Secondo John Bale, il più noto studioso di geografia dello sport, i modi di diffusione di
una disciplina sportiva sono da correlare in primo luogo allo sviluppo economico dei
Paesi interessati al fenomeno e in secondo luogo a quello che egli definisce "l'effetto
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vicinato".
Le due regole di Bale, assolutamente valide per quanto riguarda la prima diffusione e
la nascita delle federazioni internazionali, non sono applicabili al successivo
radicamento di uno sport nel territorio, fase in cui entrano in gioco parametri culturali
incontrollabili e passa in secondo piano la geografia del potere economico.
Se, per ipotesi, facessimo riferimento agli squilibri geopolitici o ai dislivelli economici
per spiegare il successo delle molteplici discipline agonistiche, dovremmo chiederci
perché uno sport come il calcio sia diffusissimo nell'America del Sud ( dove prolifera
nei quartieri più poveri) e pressoché dilettantistico nei ricchi e potenti Stati Uniti.
La verità è che la geografia economica è strettamente correlata allo sport, ma
attraverso vie più tortuose, come vedremo più avanti in questo stesso capitolo.
Nell'esaminare le concause che hanno portato all'affermazione di alcuni sport, non si
può non tenere presente il percorso storico delle varie nazioni: occorre chiamare in
causa la colonizzazione britannica per comprendere, ad esempio, perché nel
subcontinente indiano vi siano abili giocatori di cricket.
Ma non sempre la ricettività o permeabilità culturale è così sviluppata: potremmo
chiederci perché, se l'effetto della tanto deprecata globalizzazione è, secondo molti, la
riduzione dell'Europa a feudo ideologico degli USA , lo sport più amato e diffuso negli
Stati Uniti, il baseball, non trovi che sparuti seguaci nel vecchio continente.
Da tutto ciò si deduce come la correlazione fra sport e geografia sia tutt'altro che
banale e governata da regole che sfuggono al determinismo.
Ciò che è certo è che lo sport, sempre più fenomeno globale, nel senso in cui "la
velocità e l'intensità - della sua diffusione - sono drammaticamente aumentate"( Allen,
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Hamnet, 1995, pag. 34 ), continua ad essere un mosaico di realtà locali, che
sostengono fieramente la propria identità.
Ogni volta che si disputano gare sportive gli atleti sono orgogliosi di rappresentare la
propria nazione.
E' palese come, nonostante la diffusione planetaria della disciplina sportiva, permanga
la necessità d'identificazione col luogo d'origine, a volte solo d'elezione.
Il luogo in cui ci si rappresenta, però, ha ben poco di geografico se con geografia
facciamo riferimento ad una scienza e non a una tecnica pittorica che traccia le linee di
un paesaggio stereotipato, un non-luogo, un luogo della mente. Per comprendere
meglio, faremo riferimento a Gilllian Rose, studiosa di geografia culturale, la quale,
discorrendo su luoghi reali e mentali, sottolinea come in Gran Bretagna nel XIX sec.,
per motivare i soldati a combattere, si scelse di infondere in loro un’immagine di patria
idilliaca: in guerra avrebbero difeso i verdi prati d’Inghilterra ( seppur molti di loro
non avessero mai visto altro che fabbriche fumose )( Rose, 1995 ).
Proprio il senso d'identità culturale porta, su un altro versante, a seguire l'evento
sportivo con particolare interesse, con la speranza che la propria nazione (città, paese..)
abbia la meglio sulle altre. Tutto ciò ha favorito lo sviluppo di una rete ipertrofica di
comunicazioni che è continuamente alimentata da un'utenza crescente.
Lo sport, infatti, è fenomeno mondiale anche e soprattutto da quando l'evento-gara si
riproduce contemporaneamente negli schermi dei cinque continenti,
indipendentemente dal luogo fisico in cui realmente ciò avviene.
Non ci meraviglia, allora, constatare che dai duecentomila spettatori delle Olimpiadi
del 1936 si sia passati ai quattro miliardi di Sydney 2000.
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Tuttavia non si vuole con ciò affermare che il luogo di svolgimento della gara non
abbia valore in sè e per sé. Verrebbe automaticamente svuotata di significato la lotta
fra federazioni nazionali (che coinvolge anche le amministrazioni statali, provinciali e
comunali) al fine di proporre la propria candidatura a sede di eventi internazionali
come Olimpiadi, Coppe del Mondo, Campionati delle più disparate discipline.
Come in un dedalo senza uscita ritorniamo al luogo, che cerca visibilità rispetto allo
spazio-mondo: continuo ritorno della parte, inscindibile dal tutto.
Essere sede di una manifestazione sportiva internazionale significa, innanzitutto,
ricevere enormi finanziamenti (pubblici e privati) per costruire impianti e infrastrutture
adeguati: è evidente come sia un'ottima occasione per attuare il restyling di una città o
di una regione, per proporre al mondo una nuova immagine di sé.
Questa nuova consapevolezza si è sviluppata negli ultimi dieci anni, da quando si è
pienamente compresa la forza del messaggio mediatico e la sua capacità di indurre
effetti ad ampio spettro.
Lo sport, infatti, genera turismo e non ci riferiamo soltanto alla massa degli
appassionati che si spostano in occasione dell'evento ma anche, in una prospettiva più
ampia, a coloro che, grazie alla popolarità acquisita dai luoghi, vi si recheranno in
seguito.
Per studiare il fenomeno è nato, in seno alla geografia del turismo, un filone di studi
che si occupa appunto di valutare gli aspetti positivi e negativi dell'incontro fra sport e
turismo, a riprova del fatto che l'argomento, per quanto nuovo, non sia affatto
marginale in geografia.
La competizione per ospitare un evento sportivo internazionale è feroce.