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Introduzione
La presente dissertazione vuol essere uno studio, una meditazione sul concetto e
sull‟idea di paesaggio, e un‟applicazione pratica di questo studio, attraverso un
tentativo di analisi, a livello paesaggistico, del racconto La Sirena di Tomasi di
Lampedusa. Un tentativo forse legato ad uno sforzo inutile, quello di scoprire, e far
scoprire, l‟incanto offerto dalla natura e quindi dal paesaggio siciliano. Un paesaggio
che non è solo irredimibile o violento, come spesso si è detto, ma che sa conservare
nascosto il suo più intimo significato: l‟armonia contrapposta, l‟immediata realtà
delle cose, il ritmo delle forme spaziali, l‟equilibrio tra luce e ombra.
La ricerca qui presentata si articola in due parti: la prima tenta di comprendere il
significato e il valore del paesaggio come categoria classificatoria, vale a dire come
concetto che orienta e caratterizza, nel campo della sensibilità umana, molteplici e
complesse riflessioni sul vario e mutevole atteggiarsi della natura che ci circonda, e
sulle sue trasfigurazioni nell‟arte e nella letteratura
1
. A partire dall‟esperienza
sensoriale, il paesaggio si compone in un disegno di conoscenza, apre ad un campo
noetico: la categoria del paesaggio misura infatti dei rapporti che presiedono ai nostri
giudizi nel campo della sensibilità, e nel contempo mira a rivelare la natura stessa
degli oggetti e dei fenomeni, ponendosi tra l‟intenzione e la natura intima del mondo.
Esso esprime allora una reazione sentimentale e allo stesso tempo un‟esigenza di
astrazione, è una disposizione obiettiva, un aspetto interno alle opere creative che
riproducono le forme della bellezza naturale. In ciò il paesaggio si fa strumento della
filosofia, e interagisce, nel suo essere risultato del gusto, con i processi instaurati
dall‟arte: può essere letto, in altre parole, come un ethos affettivo.
Ma procediamo con ordine: che cos‟è il paesaggio? Come sottolinea Bertone
«paesaggio è parola solo moderna, borghese, colta, scaturita come getto di fonte a
lungo compressa nella buie viscere della terra, nel cuore dell‟Europa: olandese
Landskap (fine XV secolo), poi il tedesco Landschaft; inglese landscape, e, in terra
1
Cfr. R. Milani, L’arte del paesaggio, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 7; e, per un discorso più generale sullo stesso tema
E. Turri, Antropologia del paesaggio, Milano, Comunità, 1974
7
neolatina, paysage, paesaje, paesaggio»
2
. Facilmente si concederà al contadino con
in mano l‟aratro, al pescatore che salpa le reti, al pastore che incita e raggruppa col
bastone, un momento fuori dal consueto, in cui, con aspirazione più profonda nei
polmoni, il busto e la testa si ergono, ruotando all‟indietro, e uno sguardo a più largo
raggio preluderà ad un qualche disinteressato pensiero. Di fronte alla libera natura,
all‟immagine dei suoi vari dettagli rappresentati alla nostra mente (l‟albero, il
torrente, il campo di girasoli), quindi di fronte alla sua fisionomia spirituale, siamo
convinti che ci sia qualcosa che supera quel panorama esteso e ricchissimo di
elementi separati. Quel qualcosa che alla nostra mente è la totalità avvolgente e
infiltrante, fluttuazione di emozioni e dati percettivi, irradiazione sentimentale, quel
qualcosa è il paesaggio.
Si parla sempre più frequentemente di arte del paesaggio. Ciò significa che il
paesaggio viene concepito in relazione allo sguardo pittorico, alla veduta, alla
teatralizzazione della natura, alle suggestioni visive delle note di viaggio. Esso viene
colto anche più ampiamente in una serie di aspetti che mettono in luce la figura
dell‟uomo tra natura, storia e mito; capace, quest‟ultimo, di cogliere e trasmettere il
mistero, l‟inesplicabile, l‟invisibile. In questo senso gli oggetti naturali, anche
quando sono svincolati da un‟azione produttiva dell‟uomo, possono appartenere
all‟espressione dell‟arte, sulla base della valorizzazione che l‟uomo stesso assegna
all‟esperienza estetica della natura
3
.
Nell‟incontro tra occhio fisico e immagine mentale, con l‟eventuale adattamento
del paesaggio all‟ideale dell‟arte, scopriamo i piaceri del viandante dotato di gusto
pittoresco, o preso dalla vertigine del sublime
4
. Tra Sette e Ottocento, nei vari scritti
sulla pittura di paesaggio o sulle bellezze naturali, si pone sullo stesso piano
l‟osservatore e l‟artista e si tende a dimostrare che esiste una qualche corrispondenza
tra il carattere del luogo e lo stato contemplativo di chi osserva, il quale, in preda a
vive suggestioni, scrive, annota, schizza. Osservare la natura significa pertanto
renderla per immagini, descriverla in un diario, in una lettera, o anche semplicemente
immaginarla e descriverla, senza averla vista.
Esperienza visiva e testo letterario sono in questo senso facce di una stessa
medaglia, e per questo la letteratura appare uno dei campi di confronto più stimolanti
2
G. Bertone, Lo sguardo escluso. L’idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Novara, Interlinea edizioni, 1999, p.
12
3
Cfr. R. Milani, L’arte del paesaggio…cit., p. 8
4
Per il concetto di pittoresco e sublime si veda R. Milani, Il pittoresco. L’evoluzione del gusto tra classico e romantico,
Roma - Bari, Laterza, 1997
8
per approfondire un concetto la cui natura non può essere in alcun modo ridotta
esclusivamente all‟uso scientifico, e quindi geografico, che di esso è stato tentato. Se
da una parte infatti non è pensabile una geografia senza paesaggi, parimenti è
indiscutibile che lo spazio letterario assuma i caratteri del paesaggio. Proprio
partendo dall‟ipotesi che il linguaggio letterario e quello geografico esprimono una
valenza metaforica, ci chiederemo (nella seconda parte di questo lavoro) sino a che
punto una sfida sulla natura dei "propri" paesaggi avrebbe condotto i geografi e gli
scrittori a superare i limiti del proprio mestiere, entrando gli uni nel campo degli
altri, alla ricerca di un punto di indifferenza che spieghi la forza creativa e persuasiva
del paesaggio.
Per questo, inclinando probabilmente verso le nostre origini, abbiamo voluto
aggettivare il paesaggio che proponevamo alla riflessione, nel rispetto di quella
soggettività che è parte fondamentale della scrittura letteraria. Abbiamo quindi
riflettuto sul paesaggio siciliano, e non solo, quale si "costituisce" nel racconto
Lighea di Tomasi di Lampedusa, e lo abbiamo fatto per la seguente motivazione:
La sua realtà territoriale appare infatti fortemente caratterizzata da una
dimensione stereotipica che frequentemente si riscontra per ambiti geografici
che la storia passata ma anche eventi recenti hanno posto al centro di una
pluralità di discorsi e rappresentazioni. […] La Sicilia è innegabilmente uno
spazio gravato nell‟immaginario collettivo e nel multiforme mondo della
comunicazione da una marcata identità sia sotto il profilo squisitamente
ambientale che sociale e culturale. Tale condizione sorprende per il livello di
adesione che riscuote proprio da parte dei siciliani. […] penso che oggi sia
assolutamente necessario che ci si confronti con i paesaggi della nostra
"sicilitudine" che tanto pesano sulla nostra vita, per smitizzarli: il che non
significa dimostrarne l‟infondatezza, la non veridicità, ma solamente
riconoscerne l‟origine e la carica sclerotizzante, talvolta annichilente, inibitrice
spesso dell‟azione, ma potenzialmente riorientabile […]
5
.
L‟analisi in ogni caso non sarà "diretta", affrontando in maniera del tutto esclusiva
la trattazione del paesaggio siciliano, ma prenderà in considerazione l‟intero
svolgimento del racconto, soffermandosi pertanto anche sui significati chiaroscurali,
5
G. Cusimano, Luoghi percorsi discorsi, in Id., a cura di, La costruzione del paesaggio siciliano: geografi e scrittori a
confronto, Palemo, Atti del Convegno di S. Maria dello Spasimo, 18/20 marzo 1998, p. 20
9
sui focus descrittivi, sul gioco interno/esterno, e diciamo pure sulle inquadrature
"cinematografiche" che il testo stesso propone sin dal suo primo svolgersi.
Probabilmente tutte attenzioni ad aspetti non paesaggistici, o comunque non relativi
solo al paesaggio siciliano, bensì anche torinese, ma che acquistano significato e
spessore solo in relazione a quella "rivelazione" finale
6
: «[…] mi diceva che anche
queste erano fatue apparenze e che la verità era ben più in fondo, nel cieco muto
palazzo di acque informi, eterne, senza bagliori, senza sussurri»
7
.
6
Lo svolgimento del racconto da un punto di vista paesaggistico, per il quale si parte dalla Sicilia (qui per arrivare a
Torino) per poi ritornarci, mi pare ricalcare quella tendenza all‟ulissismo che è tratto peculiare di molti autori siciliani.
A questo proposito si potrebbe sostenere che: «Per l‟intellettuale siciliano che vive confrontandosi con verità/realtà
imbarazzanti, in una terra piena di "contraddizioni" e di contrasti, dove è difficile scegliere perché ogni scelta è difficile
in una terra difficile, la scelta fra andare e restare (scelte entrambe legittime perchè sintomo di due modi diversi di
amare la Sicilia), si è spesso risolta in una sorta di „viaggio‟, andare via per tornarvi con la memoria, con
l‟idealizzazione, o con una nuova coscienza critica del proprio impegno. […]La Sicilia diviene così luogo reale e
mentale, mito, eden, riscrittura fantastica della geografia tellurica di una terra "impareggiabile" e luogo di
trasfigurazione simbolica del senso della vita, vertigine esistenziale di un viaggio circolare in cui l‟antico vissuto si
ricollega alla contemporaneità[…]».
7
G. Tomasi di Lampedusa, La Sirena, in Id., I racconti, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 89-90
10
1. Il paesaggio: cultura della società
ed eterotopia della modernità.
Il lavoro geografico, dedito alla costruzione di rappresentazioni di luoghi e/o
regioni, comporta il trattamento di informazioni e dati di natura culturale, ossia la
verifica, il riconoscimento e la rappresentazione di valori attribuiti allo spazio, alla
natura ed ai suoi elementi. E se la cultura, secondo la nota definizione di Tylor, altro
non è che l‟insieme delle attività intellettuali e manuali prodotte dall‟uomo in società,
indipendentemente dal carattere mentale o materiale cui esse appartengono
8
, e
indipendentemente dal fatto di appartenere ad un substrato egemonico o subalterno
9
,
si comprende bene come lo stesso concetto sia, a mio parere, in stretta correlazione
con due elementi: con l‟habitat, o ambiente, inteso come insieme di variabili naturali
in cui l‟uomo trova e produce i mezzi indispensabili per la sua sopravvivenza, umana
e materiale, e con il "modo di vita", inteso come insieme di variabili che si
riferiscono in modo specifico al rapporto homo inter homines nonché alla stessa
interazione uomo-ambiente.
La visione della realtà umana, nella quale la rappresentazione appare come
costruzione simbolica alla quale gli esseri umani assegnano un ordine al loro vissuto,
si estende inoltre alla sfera della territorialità. Il territorio infatti, inteso come «lo
spazio nel quale operiamo, ci identifichiamo, nel quale abbiamo i nostri legami
sociali, i nostri morti, le nostre memorie, punto di partenza della nostra conoscenza
del mondo»
10
, implica un atto fisico, ma si costituisce nel contempo come processo
di mediazione culturale, come meccanismo che genera paesaggi attraverso il filtro
dell‟intenzionalità umana: «Tutto il paesaggio è cultura, indipendentemente dal fatto
8
Cfr. E. B. Tylor, Primitive culture, Cambridge, University Press, 2010 [ed. or. 1871]
9
Per il concetto di cultura egemonica e cultura subalterna vedi A. M. Cirese, Cultura egemonica e cultura subalterna,
Palermo, Palumbo, 1976
10
E. Turri, Il paesaggio come teatro, Venezia, Marsilio, 1998, p. 15
11
che sia stato o sia abitato, è cioè fenomeno di significazione e di comunicazione»
11
.
L‟ambiente, il mondo fisico non rappresentano un quid esterno alla cultura, in quanto
la semiosi li incorpora in quest‟ultima: il paesaggio culturale comprende e non
esclude dunque l‟ambiente naturale. Il problema semmai, come rileva Guarrasi, è un
altro, e riguarda la stessa possibilità e fattibilità che su un ordine costituito se ne
possa costruire uno nuovo. Nello specifico: come è possibile per la città, per la
metropoli generare ordini sempre nuovi sulla base di un ordine che è già segnico,
artificiale?
12
Questa capacità di innovazione territoriale è legata per il Geografo alla
nostra attitudine "metalinguistica", per la quale ci spostiamo dai segni del
linguaggio-oggetto ai segni del metalinguaggio: qualcosa che è già segno diventa
significante di qualcos‟altro. Il paesaggio è probabilmente uno dei tanti atti
metalinguistici, ci consente di reinterpretare il mondo che ci circonda. O è forse un
discorso, una vera e propria retorica? Al di là di ogni specifica ontologia, esso
"avviene", a partire dall‟osservazione attenta e minuziosa che ogni uomo compie
della realtà che lo circonda, poiché come sosteneva Lowenthal «colui che guarda con
attenzione il mondo attorno a sé è in qualche modo un geografo»
13
.
1.1. La nozione di eterotopia.
Il territorio, in quanto complesso di oggetti materiali, configurati secondo precise
coordinate spazio-temporali, è un luogo, un vero e proprio contenitore di eventi,
collocati appunto secondo quelle prospettive di sincronia/diacronia e diatopìa alle
quali si è fatto riferimento. Qui si ripropone il problema già accennato: che cosa è un
atto metalinguistico in termini spaziali? Che cosa vuol dire per uno spazio assumere
un altro spazio come piano del contenuto? Di quali strumenti si dispone per
riconoscere e trattare questo tipo di spazi?
Al nostro caso pare venire in soccorso Michel Foucault, il quale, a proposito dei
luoghi di passaggio, osserva:
11
C. Socco, La polisemia del paesaggio, in P. Castelnovi, a cura di, Il senso del paesaggio, IRES, Torino, 2000, pp.
145-156
12
Cfr. V. Guarrasi, Eterotopia del paesaggio e retorica cartografica, in G. De Spuches, a cura di, Atlante virtuale,
Palermo, Laboratorio geografico, 2002, p. 11
13
D. Lowenthal, Geography, experience and imagination: towards a geographical epistemology, in Annals of the
Associations of American Geographers, vol. 51, pp. 241-260