91
3.3 MODELLO DEL CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA
Nonostante quello della famiglia sia forse da sempre la colonna portante della società, i
primi studi che riportano dei dati sulle dinamiche dell’interazione familiare risalgono al
1948 con i sociologi Duvall e Hill che, attraverso una commissione indetta dalla
Conferenza Statunitense di Vita familiare, per la prima volta si strutturò una griglia di
riferimento da cui attingere per iniziare a studiare ed analizzare i diversi momenti di
sviluppo del sistema famiglia. La Malagoli Togliatti nel suo libro “Dinamiche
relazionali e ciclo di vita della famiglia” spiega come il modello sviluppato dai due
sociologi fosse caratterizzato dall’attribuzione di caratteristiche specifiche a ciascun
membro il quale era contemporaneamente portatore e fautore di cambiamento
all’interno del sistema, dove per compiti evolutivi intendeva appunto l’insieme degli
obiettivi che una persona si prefigge al fine di raggiungere una realizzazione personale.
Introduce inoltre la divisione familiare proposta da Duvall, in cui erano presenti 8
differenti stadi caratterizzati appunto da differenti compiti di sviluppo; il superamento
di ciascun compito segnava l’inizio della successiva fase del ciclo di vita della famiglia.
Inoltre, la Togliatti spiega come anche il sociologo Hill aveva messo in risalto le
dinamiche familiari del nucleo, concentrandosi sull’analisi della sfera di tipo storico-
genealogico che era strettamente collegata, secondo l’autore, ai rapporti di dipendenza
fra le diverse generazioni
92
.
Più generalmente, ogni qualvolta la famiglia si trova dover accedere ad una nuova fase
della vita del nucleo, è assolutamente necessario che essa si modifichi e si adegui ai
cambiamenti con atteggiamento positivo e propositivo, in quanto deve metabolizzare i
cambiamenti che hanno portato alla rottura dei vecchi schemi già interiorizzati e quindi
alla presenza improvvisa di nuovi. Quando parliamo di momenti di cambiamento, ci
riferiamo ad esempio alla formazione di una nuova coppia, la nascita di un figlio, la
presenza di figli adolescenti fino alla famiglia che convive con i genitori anziani.
92
Togliatti, M. M., & Lavadera, A. L. (2002). “Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia”. Bologna,
Italia: Il Mulino.
92
All’interno di un nucleo familiare funzionali, i cambiamenti vengono accolti, seppur con
le difficoltà peculiari di ciascuna situazione, con gioia e tendenzialmente con spirito
adattivo, in maniera che ciascun membro veda e consideri il cambiamento come
occasione di crescita. Tuttavia, può succedere che all’atto di passaggio a una nuova fase,
il nucleo familiare non riesca a porre in essere un’organizzazione adeguata, che rimanga
ancorata alle vecchie modalità di funzionamento nonostante gli eventi si siano
modificati col tempo e che in generale non sia pronta a fronteggiare i cambiamenti in
atto poiché priva degli strumenti adeguati. Analizzando la letteratura presente, diversi
studiosi come già accennato si sono dedicati allo studio di queste dinamiche nel sistema
famiglia: i modelli che ho deciso di prendere in esame sono quelli che maggiormente
hanno dato un contributo all’analisi sistemica della famiglia e che hanno aiutato a fornire
un modello di comprensione della genesi delle dipendenze in ottica sistemica.
Il primo, è il modello sviluppato da E. Carter e M. McGoldrick
93
, l’altro è il modello
ottenuto dalla collaborazione tra Luigini Cancrini e Selvini Palazzoli.
Il modello del ciclo di vita di Carter e McGoldrick rappresenta un importante punto
cardine all’interno delle teorie che tracciano lo sviluppo della famiglia e nasce
dall’unione di più contributi di significato, principalmente quello psicologico e quello
sociologico. Nonostante l’obiettivo della stesura di questo modello fosse quello di
tracciare i connotati del funzionamento della famiglia cosiddetta “sana”, è stato poi di
grande aiuto agli studiosi postumi che lo hanno utilizzato come base per mettere in luce
le criticità e le problematiche connesse alla rottura delle normali dinamiche descritte in
questi modelli teorici. Le studiose teorizzarono che il ciclo vitale della famiglia potesse
essere suddiviso in 6 differenti stadi in cui, al suo interno, le diverse generazioni
cambiano i loro stili di vita e si adattano con le loro strategie personali ai cambiamenti
che ciascun passaggio di fase presuppone.
Lo sviluppo del nucleo familiare inoltre, ruota attorno alla relazione che il sistema
famiglia mette in atto nel corso del tempo con le generazioni passate e presenti. Per
questo, secondo le autrici e come riassunto nel testo di Gambini “Psicologia della
famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale”, testo che costituisce all’interno di
93
Carter, E. A., & McGoldrick, M. (1980). “The Family life cycle: a framework for family therapy”. New York,
United States: Gardner Press : distributed by Halsted Press.
93
questa trattazione uno dei più stabili fondamenti teorici, le trasformazioni avvengono
lungo tre livelli, ciascuno dei quali contiene una dimensione verticale e una orizzontale
riguardo la tipologia delle relazioni con le generazioni precedenti. Per riassumere, i
cambiamenti avvengono:
• Dal punto di vista individuale: il nucleo familiare è composto da persone che, con
la loro individualità, costituiscono gli elementi unici e irripetibili che, attraverso
le loro modificazioni, influenzano e cambiano di conseguenza il corso degli
eventi all’interno della famiglia. L’asse verticale in questa macro categoria è
costituita dal carattere e dal patrimonio genetico e biologico che ha ereditato dalla
passata generazione, l’asse orizzontale rimanda invece allo sviluppo del soggetto
nel corso della sua vita, che può essere di tipo psicologico, fisico, emotivo.
• Dal punto di vista familiare: come abbiamo detto, se i soggetti modificano i loro
comportamenti nel tempo allora sia avrà che anche le relazioni fra i membri
tenderanno a mutare con il tempo. Quindi, l’asse verticale del nucleo familiare
non coinciderà altro se non con la storia familiare personale del nucleo stesso.
Dall’altro lato, invece, nell’asse orizzontale si collocano tutti i compiti di
sviluppo che, come già anticipato, segnano il passaggio da una fase evolutiva a
quella successiva e che è necessario che la famiglia fronteggi per non ostacolare
il normale decorso del ciclo vitale del gruppo. Tuttavia, Gambini sottolinea a
questo proposito che le modalità di fronteggiamento di ciascuna problematica
non dipendono esclusivamente dalle condizioni in cui il nucleo versa in quel
preciso istante e quindi alle abilità di cui dispone in quel preciso momento, ma
sono fortemente influenzate dalla modalità con cui problematiche analoghe sono
state affrontate dai nuclei generazionali precedenti.
• Dal punto di visa gruppale: se consideriamo l’ambiente come una macro
dimensione, possiamo dire che la famiglia modifica e si evolve in relazione ai
cambiamenti che avvengono nel sistema sociale e culturale di vita in cui è
inserita. Secondo Gambini dunque, in questa area, l’asse verticale corrisponde a
tutti quei cambiamenti di tipo sociale e culturale, compresi i valori e le credenze,
che si sono tramandati da una generazione all’altra. Al contrario, nell’asse
orizzontale si collocano tutti quei cambiamenti socio culturali ma anche
94
economici che investono il gruppo famiglia nella quotidianità.
94
In definitiva,
possiamo affermare che questo modello, nonostante si riferisca originariamente
alla suddivisione fasica di un nucleo sano, non si riduce a una mera ripartizione
dei momenti temporali, ma si presenta come un modello flessibile e adattabile
alle diverse realtà, ciascuna caratterizzata dalla propria complessità e immersa in
periodi storici peculiari.
Come abbiamo anticipato, il modello di Carter e McGoldrick comprende sei differenti
stadi di sviluppo:
1. Giovane adulto non ancora vincolato da legami affettivi: questo stadio è quello
che differenzia questo modello da tutti gli altri presenti in letteratura; si tratta
sostanzialmente della fase in cui il soggetto non ha ancora intrapreso una
relazione stabile con un partner e in cui l’obiettivo primario è quello di separarsi
e differenziarsi dal suo nucleo familiare di origine.
2. Costituzione e formazione della coppia: durante questo stadio, si assiste al
passaggio dall’individualità del singolo alla formazione di nucleo primordiale
che però non è la semplice sommatoria delle parti, ma porta con sé una nuova
tipologia di rapporto: siamo in presenza di un io, di un tu e di un noi. L’evento
principale di questa fase è costituito dal matrimonio, e quindi “esso dovrebbe
significare che sono stati fatti progressi notevoli sulla strada dell’indipendenza
emotiva dalla famiglia di origine, non che tale processo sua sul punto di iniziare,
o che venga automaticamente compiuto con la celebrazione della cerimonia”
(Carter & McGoldrick, 1980). In questa fase del ciclo di vita, il nuovo nucleo che
si viene formato è inserito all’interno di un triangolo relazionale in cui ai due
vertici restanti troviamo le due rispettive famiglie di provenienza: i rapporti con
esse definiranno e segneranno lo sviluppo futuro della neo coppia. Il matrimonio
in questo caso, si va configurare come l’evento critico caratterizzante questa
specifica fase, in quanto racchiude in sé 3 importanti compiti di sviluppo:
- La costruzione dell’identità di coppia, che prende forma grazie ai progetti in
cantiere e alla volontà di strutturare la quotidianità sulla base del rispetto e della
94
Gambini, P. (2007). “Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale”. Milano, Italia: Franco
Angeli.
95
fiducia reciproca: la coppia non è solo dunque lo spazio in cui vengono
soddisfatte le esigenze materiali ma è il luogo in cui è necessario coltivare e
mantenere la sfera affettiva che coinvolge i partner, che va di pari passo con
l’attribuzione di specifici valori, stili di vita e di comunicazione.
- Svincolo dalla famiglia di origine, quale condizione per raggiungere un equilibrio
interno alla coppia, senza dimenticare che obiettivo fondamentale per il benessere
della coppia è la stabilizzazione di una buona relazione con i familiari del proprio
partner;
- Cura delle differenze, come base solida e imprescindibile per sviluppare
dinamiche di coppia sane e libere da intrusioni tipiche delle personalità più
narcisistiche.
3. Fase della famiglia con bambini e nascita del primo figlio: la nascita di un figlio
deve sempre essere accettata e la nuova vita conferisce alla coppia un’ulteriore
importante funzione: quella genitoriale, da cui non ci può sottrarre e che è
irrevocabile. (Scabini, 1997). In questa fase, la coppia rivede i propri ruoli e
rinegozia i rapporti interni fra partner e quelli con le rispettive famiglie e si
assume in maniera consapevole e responsabile il ruolo genitoriale, che implica in
sintesi la capacità di fornire cure morali e materiale, porsi come modello di
riferimento valido e positivo per il figlio e in un futuro rendersi parte attiva della
vita e degli ambienti di vita in cui il figlio è inserito. Il compito di sviluppo
fondamentale durante questa fase è quello di accettare che un nuovo elemento si
sia inserito nel sistema e che esso risulta avere un ruolo che potrebbe in qualche
modo sconvolgere le dinamiche preesistenti della coppia. Per far fronte a questa
fase, ciascun partner deve aver raggiunto un buon livello di differenziazione del
sé e aver posto delle buone basi dal punto di vista dell’intimità con il suo partner.
Durante questa fase inoltre, è necessario che entrambi i partner stabiliscano dei
confini chiari fra i vari sottosistemi che automaticamente si sono creati con la
nuova nascita, elaborati nel 1974 da Minuchin: il sottosistema coniugale (quello
che concerne i rapporti fra i due coniugi) quello genitoriale (quello che racchiude
le funzioni genitoriali dei partner), e quello dei fratelli/sorelle (riguarda il
rapporto fra i figli). Secondo Minuchin, durante questa fase ciascun sottosistema
96
agisce e si rapporta con gli altri secondo le richieste dei membri che lo
compongono, che sono però delimitati da dei confini. Il concetto di confine risulta
all’interno del nostro lavoro uno dei concetti portanti in quanto, come vedremo
successivamente, nella famiglia del tossicodipendente si assiste alla presenza di
confini con caratteristiche completamente differenti dagli altri nuclei familiari e
che quindi ci aiutano a comprendere al meglio come le dinamiche al suo interno
formano un intreccio. In generale essi possono essere definiti come quell’insieme
di norme e regole che definiscono ruoli e modalità di partecipazione all’interno
della vita familiare: in relazione ai sottosistemi svolgono una funzione
importantissima in quanto hanno il compito di differenziarli e mantenere
ciascuno di loro ben differenziato. (Minuchin, 1974) Quando i confini sono ben
chiari e delineati ciascun componete del sottosistema riesce a svolgere le proprie
funzioni e ad assolvere ai suoi ruoli senza problematiche o interferenze. Nel caso
della famiglia del tossicodipendente, si assiste a dei confini alterati dove i conflitti
fra i vari sottosistemi si fondono e confondono, in cui non hanno un loro spazio
d’esistere e che alterano il rapporto soprattutto fra genitore e figlio
95
. La Scabini,
in questo breve estratto di un suo articolo, connette il concetto di confine e quello
di rischio, avvalorando la nostra tesi che confini ben definiti aiutano e facilitano
il superamento delle fasi di conflitto, e quindi di rischio a cui è sottoposto il
nucleo familiare: “Il rischio si configura infatti una tematica di confine, che
consente di comprendere fenomeni sociali che si collocano al bordo. Osservare
ciò che è al confine, implica una revisione sostanziale di paradigmi tradizionali
ma inadeguati, fondati sulla dicotomia, e non sulla dialettica, tra categorie
concettuali contrapposte quali normale/patologico, adattato/disadattato, ecc. Al
contrario di quanto si possa pensare, essere a rischio, al confine implica un
punto di vista spazioso e aperto, come chi è sul limitare e può concedersi di
vedere cosa succede di qua e di là dal confine. In questo senso la situazione di
95
Aruta, C. (n.d.). “Il ciclo di vita della famiglia”. Disponibile 2 Febbraio, 2019, da
http://www.mediazionefamiliaremilano.it/consulenza_familiare/vita_famiglia.shtml
97
rischio, di confine è rivelativa di ciò che avviene o può avvenire anche nelle
situazioni cosiddette normali, a volte più stabili solo perché «ferme» e chiuse.
96
4. Famiglia con figli adolescenti: durante questa fase il nucleo familiare si confronta
con i cambiamenti che la fase adolescenziale porta con sé: durante questo periodo
il figlio sperimenta le prime esperienze di differenziazione del nucleo familiare e
inizia un percorso consapevole di maturazione di una propria identità personale
che per forza di cose destabilizza le dinamiche preesistenti rendendole
disarmoniche e conflittuali. Per la prima volta l’adolescente inizia a fare i conti
con la progettazione della propria vita, mentre parallelamente i genitori vivono
una fase di controllo e verifica di ciò che hanno seminato fino ad ora
97
. La coppia
si trova dunque a dover affrontare delle difficoltà tipiche di questa fase che vanno
dalla necessità del figlio adolescente a provare a costruirsi un’identità autonoma
alla difficoltà di rinegoziare la relazione con il figlio che si trova in una fase in
cui necessita di differenti supporti da parte dei genitori per adempiere ai suoi
compiti di sviluppo. L’autonomia crescente dei figli deve necessariamente andare
di pari passo con la rinegoziazione delle relazioni fra i membri e una revisione
dei sistemi di attaccamento. Anche i confini precedentemente citati devono essere
in un certo senso ammorbiditi e gestiti per facilitare il figlio nel processo di
svincolo. (Carter & McGoldrick, 1980) Il processo di svincolo diventa difficile,
se non impossibile, all’interno di una famiglia che percepisce come drammatico
il processo di differenziazione del figlio adolescente, al punto da “congelare” lo
spazio e da “fermare” il tempo
98
. In questo tipo di famiglia si assiste ad un arresto
della fase del ciclo vitale, verso una situazione statica che li difende dall’angoscia
di separazione e di differenziazione.
99
Anche Erikson già nel 1968 aveva
teorizzato, in uno dei suoi numerosi lavori sullo sviluppo psicologico evolutiva
dell’identità, il concetto di identità negativa durante il periodo dell’adolescenza,
96
Scabini, E. (1993). “La famiglia tra rischi e risorse”. Interazioni, 2(2), 45–59. Disponibile da
http://www.rivistainterazioni.it/numeri/1993_2/Articoli_2_1993_EScabini_La%20famiglia%20tra%20rischio%2
0e%20risorse.pdf
97
Baldascini, L. (n.d.). “Il ciclo di vita della famiglia”. Disponibile 1 Febbraio, 2019, da
https://www.adrianostefani.it/articolo-psicologia.php?id_art=58
98
Cooperativa socio-sanitaria Albedo. (1999). “Terapia familiare per tossicodipendenti”. Roma, Italia: Carocci.
99
Toscani, T. (1988). “Tossicodipendenza o desiderio di autogenesi? La richiesta di terapia come ricerca di un
genitore sociale”. Terapia Familiare, 27.
98
il quale va a designare quel tipo di adolescente che si sente spinto ad indentificarsi
con modelli negativi. Questi modelli negativi hanno, per Erikson, la funzione di
aiutare il giovane a costruirsi una propria immagine che sia agli occhi degli altri
diversa e fuori dal comune: la persona tossicodipendente infatti, seppur
socialmente disprezzato e privato di ogni valore positivo, conferisce
all’adolescente una caratteristica portante che lo fa sentire nel mondo in maniera
riconosciuta ai suoi occhi.
5. Famiglia con figli adulti: è quella fase in cui il nucleo si modifica nettamente a
causa dell’uscita del figlio dal nido familiare, detta anche infatti fase del “nido
vuoto”. La riuscita di questa fase e dunque le criticità del passaggio alla fase
successiva sono rappresentate dall’uscita dal nucleo di un figlio che non ha
maturato un’identità di sé forte e stabile (per ragioni varie che vanno dall’aver
subito un’educazione rigida e limitante al non aver avuto la possibilità di
sperimentare le proprie difficoltà e limiti a causa di un atteggiamento ambivalente
da parte delle figure genitoriali). Un’altra difficoltà riscontrata potrebbe essere
quella collegata al fatto che la coppia, privata della presenza del figlio
nell’ambiente familiare, deve anche accettare la nuova presenza di figure quali i
nipoti, nuore e generi. Anche la coppia, che fino ad allora aveva fatto coincidere
la propria esistenza come nucleo con la presenza del figlio, si ritrova
all’improvviso di nuovo sola, spesso emotivamente lontana e senza la complicità
dell’inizio; compito delle figure genitoriali è quindi accettare serenamente il
distacco maturando l’idea che il proprio partner sia l’unica figura in grado di
colmare il vuoto lasciato dal figlio e ritrovare dunque un proprio equilibrio e
serenità.
6. Famiglia nell’età anziana: questa fase è caratterizzata spesso da eventi di natura
negativa, come la morte del coniuge, la malattia le normali difficoltà date dalla
vecchiaia legate alla salute e alla riduzione graduale dell’indipendenza. Per far
fronte a questa nuova fase è necessario che i partner ridefiniscano insieme le loro
identità di soggetti nella fase della terza età, aiutati da un riavvicinamento e
supporto dei figli e delle altre figure di riferimento.
99
Queste dunque, sono in sintesi le normali fasi che qualsiasi nucleo familiare si trova ad
affrontare nel corso del suo sviluppo. In un primo momento la famiglia vive una fase di
rottura rispetto alle precedenti modalità organizzative, in seguito si dà inizio ad un
momento di transizione che può terminare o in una riorganizzazione evolutiva della
famiglia oppure, se questa non riesce ad affrontare i compiti di sviluppo specifici
dall’evento critico, in una destrutturazione del sistema. Eugenia Scabini ci fan notare
come, nella tossicodipendenza questo normale susseguirsi delle fasi è bloccato. I
rapporti si cronicizzano, le figure appaiono sempre più rigide, chiuse in loro stesse e
incapaci di ammorbidirsi per far fronte alle difficoltà. I tempi appaiono bloccati, lo
sviluppo si arresta e va rovinosamente a collidere con le esigenze di svincolo del figlio
che non riesce a rimanere al passo con i suoi compiti evolutivi. In questo contesto, il
sintomo assume un ruolo non di poca importanza: l’assunzione della sostanza eleva il
soggetto dipendente a conduttore dei fili relazionali che collegano tutti i membri, è su di
lui che tutto confluisce e la condotta di assunzione mette nero su bianco le difficoltà de
nucleo familiare nell’affrontare i cambiamenti, ponendosi così come l’unica cosa in
grado di ristabilire e riequilibrare ruoli e confini. E’ a questo punto che la Scabini mette
in luce un aspetto fondamentale sulla funzione del sintomo in questi particolari ambienti
familiari: esso infatti non rappresenta, da parte del figlio, un colpo volto ad affossare
ancora in maniera più decisiva la sua famiglia, quanto piuttosto una sorta di tentativo di
ristabilire e riequilibrare i rapporti degradati che si sono instaurati da membri assumendo
quindi un’accezione protettiva
100
.
Cirillo e colleghi nel 1996, attingendo al patrimonio teorico fornito in particolar modo
dalla Selvini Palazzoli, hanno elaborato un ulteriore modello che si approccia al
fenomeno delle dipendenze in maniera tale da integrare i differenti contribuiti che
provengono da numerose ispirazioni teoriche. Cirillo dunque, ipotizza che una famiglia
che possegga determinate caratteristiche di tipo psicologico e sociologico abbia un ruolo
primario nella genesi e mantenimento della condotta tossicodipendente.
100
Scabini, E., Cigoli, V., & Rossi, G. (1980). “L'organizzazione della famiglia, tra crisi e sviluppo”. Milano,
Italia: Franco Angeli.
100
Innanzitutto, uno dei primi e più importanti dati emersi dagli studi dell’autore, è che la
trasmissione intergenerazionale del trauma risultava essere uno dei fattori più influenti
e importanti da tenere in considerazione. A questo proposito dunque, egli elabora un
modello costituito da una griglia composta da 7 differenti stadi per ogni stadio del ciclo
di vita; in maniera sintetica, gli stadi sviluppati sono i seguenti:
1. Relazione fra coppia e famiglia di origine: Cirillo rileva che entrambi i genitori
del soggetto affetto da dipendenza patologica ha vissuto un’infanzia connotata da
profonde carenze affettive che hanno inesorabilmente condotto all’instaurarsi di
un attaccamento insicuro. Le carenze dei suoi genitori non sono mai state
verbalizzate e rielaborate quindi il figlio si trova in una condizione per cui la sua
sofferenza viene negata.
2. Formazione della coppia genitoriale: questa fase cruciale, secondo il modello di
Cancrini, risulta strettamente connessa a quella appena precedente. La coppia si
fonda su modelli e dinamiche ereditate dal rapporto vissuto con i propri genitori.
Siamo di fronte al matrimonio di interesse
101
di cui parla Vinci, dove ciascun
partner sembra voler carpire dalla relazione solo ciò che può essere utile al
soddisfacimento dei propri desideri personali o di separazione dal nucleo di
origine.: la coppia si costituisce dunque solo perché l’uno ha bisogno dell’altro
per appagare le sue esigenze. In queste famiglie le relazioni sono
qualitativamente molto scarse e caratterizzate da uno scarsissimo investimento
emotivo nei confronti dei figli.
3. Rapporto madre-figlio durante l’infanzia: in questa fase la donna si trova a dover
accudire un bambino e lo fa apparentemente in maniera corretta, soddisfacendo
tutti i suoi bisogni fisiologici e materiali, ma che sono però carenti dal punto di
vista emotivo e sono in realtà finalizzate esclusivamente al soddisfacimento di
particolari necessità della madre. Cancrini inoltre descrive un padre in questa fase
101
Vinci, G. (1991) "Percorsi familiari nelle tossicomanie da eroina. Ipotesi di ricerca". In:“Ecologia della
mente”, 10, pp. 69-94.
101
completamente disinteressato al ruolo genitoriale, risultando distaccato e
indifferente alle richieste del figlio.
4. Nucleo con figlio adolescente: durante questa fase si iniziano a sperimentare i
primi atteggiamenti oppositivi del figlio e si palesano le condotte educative
fallimentari dei genitori; nel corso di questo periodo la madre dovrebbe
modificare la concezione che ha del proprio figlio, per ottenere una
sintonizzazione corretta sul piano emotivo che possa far sentire il figlio accolto
e sicuro; i l soggetto tossicodipendente non ha avuto modo di sperimentare questi
sentimenti da parte delle figure accudenti in quanto le sue tensioni evolutive sono
sempre state minimizzate o negate. La madre rimane dunque bloccata in una fase
in cui si identifica con un figlio ancora in età infantile, conducendo il loro
rapporto alla deriva. Ne consegue che l’adolescente, nel momento
dell’interazione col gruppo dei pari, risentirà di queste dinamiche disfunzionali
con la propria madre, di cui è parzialmente cosciente e che in un primo momento
non manifesta, mentre alla lunga tenderà a mettere in atto comportamenti devianti
e trasgressivi come ad esempio l’abbandono scolastico o l’uso di droghe. Questi
comportamenti sono agiti verso l’esterno in quanto il ragazzo non è in grado di
rivolgersi direttamente contro la madre.
5. Il passaggio al padre: A seguito del rapporto conflittuale con la madre, il ragazzo
tenterà di trovare un supporto nella figura paterna, per evitare quei sentimenti di
infantilizzazione a cui è sottoposto nella relazione con la figura materna. Il
ragazzo tuttavia viene quasi sempre rifiutato e, quando viene accolto, viene
accolto in un’ottica di strumentalizzazione per poi ritornare a i sentimenti di
abbandono precedentemente sperimentati. Potrebbe anche accadere che il padre
si rivolga al figlio questo, spesso rifiuta il figlio, e quando apparentemente lo
accoglie, lo fa in modo strumentale per poi abbandonarlo in un secondo tempo,
oppure utilizza delle modalità di interazione uguali a quelle della figura materna.
102
6. Incontro con la sostanza stupefacente: Dopo aver sperimentato i fallimenti
relazionali con le figure di accudimento, il soggetto ripone nella sostanza tutte le
sue speranze di lenire le angosce, conferendo alla droga la funzione di
“autoterapia” che lo possa dunque risollevare dai sentimenti negativi e di
vendetta nei confronti di un’infanzia sofferta e di una crescita travagliata e mai
veramente completata. Spesso, durante l’incontro con la sostanza, i genitori
continuano a non accorgersi delle condotte del figlio, in quanto perennemente
estranei e disconnessi dal suo impianto emotivo, il che non fa altro che aumentare
nel soggetto le sue sensazioni di solitudine e abbandono, e aumentando
progressivamente il ricorso alla sostanza quanto più le sensazioni spiacevoli si
amplificano.
7. Comportamenti che stabilizzano il consumo e cronicizzano la condizione di
dipendenza: Quando i genitori si accorgono che il figlio sia diventato un
tossicodipendente, i comportamenti che seguono contribuiscono a cronicizzarla.
La madre evita la depressione e continua ad utilizzare le stesse modalità di
accudimento infantili, e il padre continua a interagire debolmente con il figlio. Si
assiste, pertanto, ad una cristallizzazione dei ruoli dei genitori, il figlio gode, per
così dire, dei privilegi di un accudimento infantilizzante e usa la droga come
unico modo per autonomizzarsi e per esprimere la rabbia.
La sua teoria è che il fenomeno della tossicodipendenza sia il risultato della trasmissione
intergenerazionale di esperienze traumatiche che non sono state adeguatamente
rielaborate e superate dalla coppia genitoriale. Patendo da questo presupposto, egli prese
in esame le dinamiche familiari di diverse tipologie di nucleo familiare seguendo la
griglia fasica appena esposta e, da questa, ne ricavò tre sottotipi di famiglia, ciascuno
con il suo specifico percorso relazionale. Nello specifico:
103
1. Il primo sottogruppo familiare è quello che risulta numericamente più rilevante,
ed è caratterizzato dalla presenza di un apparente e ottimo accudimento dal punto
di vista formale, ma carente dal punto di vista della cura emotiva e
dell’attaccamento sano. Le esperienze traumatiche che questo tipo di nucleo
familiare si porta con sé non sono state elaborate in maniera soddisfacente; questo
tipo. Cancrini quindi definisce questo percorso “abbandono dissimulato”, perché
appunto si tratta di un accudimento formalmente adeguato ma nella sostanza non
sufficientemente stabile.
2. La seconda tipologia di nucleo è formata da una coppia genitoriale che è
consapevole e molto influenzata e risentita dai rapporti insoddisfacenti avuti con
il nucleo familiare di origine: sono le coppie che tendono a strumentalizzare i
figli per risolvere o manipolare talvolta i conflitti con l’altro coniuge; in questo
caso siamo di fronte a un abbandono misconosciuto, dove appunto prevalgono le
strumentalizzazione di propri figli che si configurano come un comportamento
che riproduce le dinamiche instabili e insoddisfacenti vissute nel proprio nucleo
familiare di origine; si tratta di genitori che tendono a rifiutare e non riconoscere
i bisogni dei loro figli , negando mentalmente la loro condizione di abbandono;
3. Il terzo sottogruppo contiene principalmente i nuclei familiare multiproblematici;
si tratta di casi di abbandono agito, dove la carenza intergenerazionale è
predominante e ha da sempre contraddistinto la costruzione di tutti i legami
familiari. I bambini cresciuti in nuclei di questo tipo, vengono spesso affidati alle
cure di terzi oppure istituzionalizzati.
In definitiva, per Cirillo, le carenze trasmesse avrebbero le caratteristiche di una perdita-
interruzione, se esse dovessero essere veicolate da una rapida ed eccessiva
adultizzazione, oppure assumerebbero i connotati di incompiutezza-invischiamento se
queste dovessero essere il frutto di una dipendenza protratta nel tempo o irrisolta. In
particolare, in una famiglia con un figlio maschio con problemi di dipendenza le
componenti di perdita-interruzione sembrerebbero trasmesse maggiormente dalla figura
paterna, mentre quelle di incompiutezza-invischiamento sembrano essere tipiche della
figura genitoriale materna. (Gorrini & Brera, 2004)