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perciò focalizzare il mio studio sulle possibilità esistenti volte a evitare danni a
questi due importanti elementi della crescita di un neonato e soprattutto
sull’esistenza o meno dei modi d’intervento necessari ad annullare o a limitare i
danni di un disturbo depressivo materno. Ovviamente per rispondere a queste
domande è stato necessario andare all’origine del problema, e quindi classificare
la depressione materna, erroneamente, nell’immaginario collettivo, denominata
depressione post-partum. Nel corso della trattazione è stato evidenziato come tale
concetto in realtà rappresenti uno dei sottosistemi del grande sistema del disturbo
depressivo concentrato nel periodo successivo al parto, anche se in prima analisi
si è fatto riferimento ai manuali di classificazione diagnostica delle malattie
mentali i quali considerano tutto l’arco dell’esistenza.
Nello specifico la tesi è divisa in quattro capitoli così strutturati.
Nel primo capitolo, riferendosi a quanto suddetto, si è affrontato il problema
relativo alla classificazione delle principali malattie mentali secondo i sistemi di
classificazione DSM-IV e ICD-10, e in un secondo momento si è messo in luce la
classificazione del disturbo depressivo materno, evidenziando sintomi e
brevemente le origini.
Nel secondo capitolo, invece, si sono esaminati gli effetti della depressione
materna sull’importante rapporto madre:bambino, facendo riferimento ad uno
studio condotto dalla ricercatrice Tiffany Field in relazione agli aspetti
neurofisiologici e biochimici. Inoltre si è data spiegazione relativa ai diversi stili
interattivi materni, e agli effetti della depressione materna sull’attaccamento del
bambino.
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Nel terzo capitolo, invece, si è posto l’accento sul ruolo della depressione materna
nel normale sviluppo del bambino, sottolineando l’incidenza di essa sui futuri
disturbi relazionali e comportamentali. Inoltre si è cercato di specificare le
modalità di trasmissione del rischio psicopatologico dalla madre al bambino, e
nello specifico ci si è riferiti all’approccio neurobiologico, transazionale e
genetico.
Infine nel quarto e ultimo capitolo, si è trattato l’home visiting, una pratica di
sostegno alla genitorialità innovativa ed efficace. Si è parlato del ruolo dell’home
visitor e della sua importanza. Inoltre si sono affrontati anche i relativi progetti di
home visiting, sottolineando quelli italiani a cura del Professor Ammaniti.
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Capitolo 1
Eziopatogenesi della depressione materna.
Introduzione
I normali cambiamenti psicofisiologici e ambientali, che si verificano nel periodo
immediatamente successivo alla nascita di un figlio, possono provocare fastidi nel
passaggio dall'essere donna al diventare madre. Infatti in questa fase molte donne
possono soffrire di un lieve e protratto sintomo depressivo noto come depressione
materna. Tale patologia è alquanto complessa e per certi aspetti non facilmente
classificabile. Proprio per tale motivo prima di analizzare le diverse forme di
depressione materna, si cercherà di andare all’origine del problema, evidenziando
le differenti malattie mentali nelle quali sono inseriti i disturbi depressivi.
1.1 I manuali di classificazione diagnostica delle malattie mentali
1
I sistemi di classificazione a cui si farà riferimento sono il DSM-IV
2
, e l’ICD-10
3
.
Tali classificazioni, però, considerano tutto l’arco dell’esistenza, ossia l’infanzia,
1
M. Ammaniti; S. Cimino; C. Trentini; Quando le madri non sono felici. La depressione post-
partum. Il Pensiero Scientifico Editore, 2007, p. 20-29.
2
DSM è l’acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders e sta ad indicare il
sistema di classificazione dei disturbi mentali.
3
ICD-10 è l’acronimo di International Classification of Diseases e indica la classificazione
internazionale delle malattie e dei problemi.
8
l’adolescenza e l’età adulta, senza specificare le caratteristiche principali della
depressione materna. Solamente all’interno dell’ultima edizione del DSM-IV è
presente una breve sezione relativa ad alcune caratteristiche specifiche della
depressione materna. Di seguito si provvederà ad effettuare un’analisi esaustiva ed
approfondita delle particolarità di questo sintomo depressivo.
1.1.1 DSM-IV-TR American Psychiatric Association 2000
In questo sistema di classificazione i disturbi depressivi sono legati ad alterazioni
dell’umore. Essi si suddividono in: 1) disturbi depressivi; 2) disturbi bipolari; 3)
altri disturbi dell’umore; 4) disturbi dell’umore con esordio nel post-partum. Si
spiegano di seguito tali alterazioni del’umore sottolineando l’importanza relativa
al manifestarsi della depressione in presenza degli stessi sintomi dei sopra elencati
disturbi dell’umore.
Disturbi depressivi o unipolari
I disturbi di questo raggruppamento si distinguono dai disturbi bipolari per
l’assenza, in anamnesi, di episodi maniacali. Essi a loro volta si suddividono in:
Disturbo depressivo maggiore: la caratteristica principale di questa patologia è il
decorso clinico, il quale è costituito da uno o più episodi di depressione
dell’umore. Per almeno due settimane vi è la perdita di interesse per quasi tutte le
attività con la comparsa di altri sintomi quali: variazioni di peso; insonnia o
ipersonnia; agitazione o rallentamento psicomotorio; sentimenti eccessivi di
autosvalutazione; sentimenti di colpa; ridotta capacità di concentrazione;
indecisione.
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Tale disturbo è associato al rischio di suicidio per una percentuale pari al 15% dei
soggetti affetti, ed è doppiamente maggiore nelle donne adulte rispetto agli
uomini. Inoltre alla sopracitata alterazione dell’umore si possono associare
disfunzioni mentali come l'anoressia nervosa, la bulimia, il disturbo borderline di
personalità, il disturbo ossessivo e compulsivo, il disturbo di panico e l'abuso di
sostanze. Inoltre, il disturbo depressivo maggiore può manifestarsi una sola volta,
definito così “singolo episodio”, oppure in plurimi momenti. In tal caso si parla di
“episodio ricorrente”.
Disturbo distimico. La peculiarità di questo disturbo è costituita dalla presenza di
un umore depresso, per la maggior parte del giorno e per almeno due anni
accompagnato da altri sintomi depressivi quali: iporessia o iperfagia; insonnia o
ipersonnia; ridotta energia o affaticabilità; bassa autostima; scarsa capacità di
concentrazione; difficoltà nel prendere decisioni; sentimenti di disperazione.
Questa alterazione dell’umore è stata riscontrata con una prevalenza intorno al 6%
con relativo esordio prima dei 21 anni, esordio precoce, o dopo i 21 anni, esordio
tardivo.
Disturbo depressivo non altrimenti specificato. Questa categoria comprende i
disturbi con manifestazioni depressive che non possono essere categorizzate né
come disturbi depressivi maggiori né come disturbi depressivi minori. A questa
classificazione appartengono i seguenti disturbi: disturbi disforici premestruali;
disturbi depressivi minori; disturbi depressivi brevi ricorrenti; disturbi depressivi
post-psicotici della schizofrenia.
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Disturbi bipolari o maniacali
Questi disturbi implicano il riscontro in anamnesi di episodi maniacali che
solitamente si accompagnano a episodi depressivi maggiori. Un episodio
maniacale è caratterizzato, per la presenza di almeno una settimana, di un umore
anormalmente eccessivo, espansivo o irritabile, costituito da: autostima
ipertrofica; sentimenti di grandiosità; diminuito bisogno di sonno; maggiore
loquacità rispetto al solito; fuga delle idee o esperienza soggettiva di pensieri che
si succedono rapidamente; distraibilità; aumento delle attività.
A loro volta i disturbi maniacali possono essere suddivisi in:
Disturbo bipolare I. E' caratterizzato da uno o più episodi maniacali, solitamente
accompagnati da episodi depressivi maggiori, durante i quali possono aver luogo
comportamenti violenti. Nello specifico tali manifestazioni possono colpire il
bambino tramite violenza fisica o trascuratezza. Solitamente questi disturbi
possono essere associati alla presenza di svariati problemi quali perdita di lavoro,
divorzio, comportamenti antisociali e/o violenti, casi di anoressia nervosa o di
bulimia, momenti di agitazione psicomotoria, attacchi di panico, fobia sociale,
disturbi correlati all’abuso di sostanze. Il DSM riporta un’alta percentuale di
rischio di suicidio per le persone affette da tale disturbo; essa viene stimata
intorno al 10-15%.
Disturbo bipolare II. La caratteristica essenziale di questo disturbo è un tipo di
decorso clinico segnato da uno o più episodi depressivi maggiori, accompagnati
da almeno un episodio ipomaniacale. In particolare per un periodo di almeno
quattro giorni vi può essere la presenza di umore irritabile o eccessivamente
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espanso. I disturbi mentali correlati ad esso includono anche il disturbo borderline
di personalità. Inoltre il verificarsi anche di un solo episodio maniacale
compromette la diagnosi di disturbo bipolare II. Infine è necessario ricordare che
la percentuale di suicidio si aggira intorno al 10-15%.
Disturbo ciclotimico. E' un’alterazione cronica dell’umore, con periodi in cui
possono essere presenti sintomi maniacali e/o sintomi depressivi. La diagnosi di
tale disturbo viene effettuata solo se il periodo iniziale relativo a due anni, non è
costituito da episodi depressivi maggiori e/o maniacali.
Disturbo bipolare non altrimenti specificato. Questa categoria comprende i
disturbi che non presentano caratteristiche propriamente bipolari.
Altri disturbi dell’umore
Fanno parte di questa classificazione:
Disturbo dell’umore dovuto a una condizione medica generale: è costituito da
un’alterazione dell’umore dovuta ad una patologia medica, con la presenza di
umore depresso, diminuzione degli interessi o della sensazione di piacere, oppure
umore alle stelle o notevolmente irritabile.
Disturbo dell’umore indotto da sostanze: in questo caso l’alterazione è dovuta agli
effetti di sostanze stupefacenti o tossiche introdotte nell’organismo, con
possibilità di umore depresso o elevato e di diminuzione di stimoli.
Disturbo dell’umore non altrimenti specificato: tale classificazione non soddisfa i
criteri classificatori dei disturbi precedentemente elencati.