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verrà illustrato il ruolo di una figura che negli ultimi anni si è rivelata
molto utile, il mediatore familiare. Quest’ultimo, professionista serio e
addestrato, cerca di mettere accordo tra i due coniugi durante tutto il
tempo occorrente alla separazione, in modo da evitare il crearsi di
nuovi tensioni che andrebbero ad aggiungersi a quelle già esistenti,
appesantendo una situazione di per sé già gravosa.
Si analizzerà a fondo come, a separazione avvenuta, una terza
persona potrebbe inserirsi come nuovo compagno e quindi, in caso di
prole, come si comporterà nel ruolo di terzo genitore.
Il terzo genitore che si assumerà la responsabilità di subentrare
in una famiglia di fatto già esistente, si trova ad affrontare situazioni a
volte spiacevoli in cui si potrebbe sentire un ospite indesiderato, e
dovrebbe avere molta sensibilità e pazienza per riuscire a farsi
accettare dai figli del partner.
Saranno inoltre riportate testimonianze in merito a come
persone coinvolte nella separazione hanno fatto fronte alle esigenze
date da specifiche circostanze, quali la morte improvvisa del coniuge e
l’allontanamento del genitore non convivente. Si terminerà con un
esempio di nuova famiglia ricostituita conclusosi con successo.
La scelta dell’argomento è basata sull’analisi della sua attualità e
sulla convinzione che l’aver sperimentato la separazione dei genitori
rende molte persone più sensibili e attente durante la nascita di nuovi
rapporti affettivi, nonché maggiormente coinvolte nelle proprie
dinamiche familiari.
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CAP.1: LA FAMIGLIA
La famiglia. E’ un costrutto che racchiude in sé una miriade di
riferimenti alle relazioni e ai coinvolgimenti affettivi che sono
fondamentali nello sviluppo della personalità di un individuo.
Una relazione famigliare si può ritrovare in ogni cultura ed in ogni
specie ovviamente con caratteristiche differenti che la
contraddistinguono, aventi tuttavia in comune le funzioni primarie di
protezione e nutrimento.
Nella cultura umana il concetto di famiglia si è evoluto.
Molti anni or sono, la rappresentazione corrente della famiglia era
quella definita “allargata”, comprendente molte persone, di generazioni
diverse, condividenti uno spazio abitativo e legati tra loro da vincoli di
parentela. (Oliverio Ferraris A., 1997)
La dinamica delle relazioni tra i membri delle famiglie allargate fa
sì che le vicissitudini d’ogni singolo elemento influiscano sulla vita degli
altri componenti direttamente, situazione differente da quella
riscontrata nelle nuove famiglie nucleari dove si può godere più
facilmente della propria privacy. (vedi Cap.3)
Con il passare del tempo, la famiglia si è sempre più ristretta a
causa delle pressioni sociali che, richiedendo molte risorse a livello
personale, hanno individualizzato anche la casata, e si arriva così a
parlare di “nucleo familiare”. Il nucleo sposta la responsabilità delle
dinamiche relazionali nelle mani dei componenti della coppia
rivisitandone i contenuti dei ruoli maschile e femminile.
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Quando un nuovo essere entra ad arricchire la vita della coppia, è
una creatura immatura ed indifesa per affrontare il mondo su cui si
affaccia, è un essere ignaro di cosa significa essere vivo, essere una
persona, trovarsi in un luogo ed intraprendere il cammino della vita.
Nel momento in cui il nascituro s’inserisce nella sua nuova realtà
ha solo i suoi primitivi istinti a metterlo in relazione con ciò che ha
intorno.
Per il neonato i genitori diventano figure irrinunciabili e di gran rilievo,
in quanto provvedono alla soddisfazione di ogni suo bisogno dalla culla
fino al giorno della sua indipendenza.
Per far sì che ciò avvenga in modo funzionale allo sviluppo di una
personalità sana e consapevole, il legame che viene a crearsi con i
genitori deve essere di tipo "sicuro" (Ainsworth M., 1969).
In una situazione in cui più persone si trovano ad interagire,
l'instaurarsi di relazioni e vincoli sia positivi sia negativi è un fatto da
considerarsi normale, ma quando si parla di rapporti fondamentali per
la costituzione della personalità degli individui è d’estrema importanza
la loro qualità.
Già Freud durante la prima fase dell'elaborazione della teoria del
trauma (Freud e Breuer, 1895) aveva intuito quanto importante fosse
per il bambino poter contare sulla comprensione e sull'appoggio dei
genitori durante i primissimi anni di vita, ma poi si trova costretto ad
abbandonare le sue prime riflessioni a causa del clima oppressivo
vigente all’epoca e perché, forse inconsciamente, si trova invischiato in
un tipo di dinamica
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che lo riconduce direttamente ai suoi vissuti infantili censurati, il suo
seguente "voltafaccia" trasforma gli eventi traumatici del bimbo in un
fantasticato vissuto onirico e inconscio, sminuendone così i contenuti.
Purtroppo
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per molti anni l'influenza del suo pensiero è così forte
da creare quasi un’assoluta verità a proposito di racconti uditi da
bambini disperati, trasformati invece in banali fantasticherie.
Così come avviene per la struttura famigliare che si modifica
adattandosi alle trasformazioni dettate dal tempo, anche i ruoli che i
figli hanno all’interno della famiglia cambiano e si evolvono.
C’è stata un’epoca in cui la visione che si aveva dei propri figli si
ricongiungeva esplicitamente al modo in cui poteva apportare ulteriori
possibilità di lavoro all’interno della famiglia, credendo che quando lo
sviluppo psico-fisico del fanciullo fosse completato ci si trovasse di
fronte ad un adulto e che perciò da tale si doveva comportare, si faceva
loro imparare ad ignorare desideri e concezioni ritenute infantili. Nel
corso del tempo le visioni cambiano, e con Rousseau si arriva ad avere
la consapevolezza che lo sviluppo del bambino è un processo lento e
graduale che necessita del giusto rispetto.
Purtroppo però si dovranno attendere molti anni, prima che la
situazione migliori davvero; nel frattempo prende campo l’ideologia della
cosiddetta “pedagogia nera”.
Il rapido diffondersi di pubblicazioni riguardanti la giusta
istruzione dei bambini e la relativa educazione, inculcano nei genitori
una visione negativa del fanciullo ritenuto vittima d’istinti da tenere
1
Miller Alice (1987) La persecuzione del bambino, pp.52-53, Bollati Boringhieri Editore s.r.l., Torino
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sotto stretto controllo. Nel suo libro La famiglia che uccide, Morton
Schatzman ci offre una convincente dimostrazione di come il sistema
educativo del dottor D.G.M. Schreber, ai suoi tempi pedagogo famoso ed
influente, fosse nocivo e distruttivo per la nascita di nuove personalità
libere. Come fanno molti genitori, anche Schreber perseguita nei suoi
figli ciò che teme del suo intimo, tanto che uno di loro è stato portato da
Freud come esempio di paziente paranoico:
I nobili semi della natura umana germogliano verso l’alto, nella loro
purezza, perlopiù spontaneamente, se quelli ignobili, le malerbe, sono
individuati e distrutti in tempo. Ciò va fatto spietatamente e crudelmente.
E’ un errore pericoloso credere che le pecche nel carattere di un bambino
scompaiano da sole. Le punte e gli angoli più aguzzi di questo o
quell’errore dello spirito possono alquanto smussarsi in certi casi, ma la
radice rimane, si mostra negli impulsi corrotti e ha un effetto nocivo sul
giovane albero della vita. Il cattivo contegno di un bambino diverrà
nell’adulto una grave mancanza di carattere e apre la via al vizio e alla
bassezza (…).
Reprimete tutto nel bambino, tenete lontano da lui tutto ciò che non
dovrebbe fare da solo e guidatelo con perseveranza in tutto ciò a cui egli
potrebbe abituarsi. (Cit. in Schatzman, 1973, pp. 28 sg.).Ci trovavamo di
fronte ad un periodo di “oscurantismo pedagogico” dove i figli erano più
trattati come robot che come esseri umani, veniva loro proibito di
provare ciò che non era consono alla situazione vissuta, e bisogna dire
che quasi mai lo era.
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Un’ulteriore e succinta pubblicazione c’illustra con quanto odio e
quanta veemenza gli educatori combattevano il bambino, mai ascoltato,
rifugiato dentro di loro, per mezzo del controllo che solevano imporre ai
propri figli, e che i propri padri avevano loro imposto. Schwarze
Padagogik (Pedagogia nera, 1977), curato da Katharina Rutschky, è una
raccolta di scritti pedagogici che descrive con molta chiarezza le
tecniche del condizionamento precoce, esaminiamone le seguenti
argomentazioni di J.G. Kruger:
A mio giudizio non bisogna mai battere i bambini per punire gli
sbagli che essi commettono a cagione di debolezza. L’unico vizio che
merita le busse è la testardaggine. E’ dunque ingiusto picchiarli affinché
apprendano meglio; è ingiusto picchiarli perché sono caduti; è ingiusto
picchiarli se inavvertitamente hanno fatto dei danni; è ingiusto picchiarli
perché piangono; ma è giusto e ragionevole batterli per ognuno di questi
misfatti, oltre che per altre inezie, se essi l’hanno fatto per cattiveria. Se il
vostro figliolo non vuole studiare, perché invece voi lo volete, se piange
con l’intento di tenervi il broncio, se fa danni per ingiuriarvi, in breve, se
egli s’incaponisce: allora picchiatelo pure di santa ragione e lasciatelo
urlare: no, no, papà, no!
Giacché una simile disobbedienza equivale a una dichiarazione di
guerra contro la propria persona. Se vostro figlio vuole togliervi la
sovranità, voi siete autorizzati a scacciare la violenza con la violenza per
rafforzare la considerazione di cui godete presso di lui, senza la quale
non sarà possibile educarlo in nessun modo. Le busse non devono
essere un semplice trastullo, ma mirare a convincerlo che il padrone
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siete voi. Perciò voi non dovete assolutamente smettere prima che egli
abbia fatto ciò di cui prima, per cattiveria, si rifiutava. Se invece non se
ne dà cura, allora avete ingaggiato con lui una battaglia in cui la sua
malvagità ha trionfato, prefiggendosi seriamente anche in futuro di non
dar retta alle percosse solo per non restar soggetto alla potestà dei
genitori; se invece già dalla prima volta si è riconosciuto vinto e ha
dovuto umiliarsi dinanzi a voi, perderà il coraggio di ribellarsi un’altra
volta. Comunque dovete badare a non lasciarvi sopraffare dall’ira
durante il castigo. Giacché il fanciullo diverrà sufficientemente
perspicace da scorgere la vostra debolezza, e considererà il castigo
come un effetto dell’ira, e non quale esercizio di giustizia, come invece
sarebbe opportuno. Se dunque non riuscite a dominarvi in questi
frangenti, lasciate piuttosto a un altro il compito di attuare il castigo,
raccomandandogli però caldamente di non smettere prima che il
fanciullo abbia esaudito il volere paterno e venga a chiedervi il perdono.
Il perdono, come osserva assai giustamente Locke, non dovete
negarglielo del tutto, ma renderglielo un po’ brusco e non dimostrargli
pienamente il vostro affetto prima che egli abbia emendato nella sua più
totale obbedienza la sua precedente malefatta e dimostrato di esser
deciso a rimanere un fedele suddito dei propri genitori. Se si educano i
fanciulli fin dalla più tenera età con l’opportuna avvedutezza, si dovrà
sicuramente ricorrere molto di rado a siffatti metodi violenti di
correzione; sarà invece assai difficile mutare le cose qualora si prendano
sotto la propria tutela fanciulli che siano già stati abituati ad avere una
volontà propria. Talvolta ci si potranno risparmiare le percosse, in
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special modo se essi sono ambiziosi, anche per gravi mancanze, se per
esempio li si fa camminare a piedi nudi, se li si costringe, affamati, a
servire a tavola oppure se li si colpisce in qualche altro punto debole.
(J.G. Kruger, Gedanken von der Erziehung der Kinder, 1752, cit.in
Katharina Rutschky, a cura di, Schwarze Padagogik, 120 sg.)
Tali istinti altro non sono che la carica energetica, la creatività,
l’irrequietezza, il gioco, lo spirito di iniziativa e di esplorazione ecc. tutti
elementi oggi ritenuti necessari allo sviluppo di personalità sane. La
conseguenza di queste torture sia psicologiche che fisiche rendevano
l’essere più bisognoso della relazione succube e terrorizzato da essa,
incapace di esprimersi e soprattutto in grado di misconoscere gli
accaduti giustificando i comportamenti genitoriali e attribuendovi una
valenza positiva tanto da perpetuare un circolo divenuto barbaro.
Alla pedagogia nera si affianca quella “bianca”, un’ulteriore linea
educativa che invece di maltrattare fisicamente ed esplicitamente il
bambino, gli si avvicina indossando la maschera dell’amicizia e della
comprensione, mirando subdolamente al raggiro e ad un nuovo tipo di
metodo correttivo che sfrutta la vergogna ed il rimorso. Gli educatori
possono inscenare la punizione facendola durare per giorni, torturando
il proprio figlio fino allo stremo delle energie psicologiche, non gli si
torce un capello, ma non so cosa è meglio.
Alice Miller (1987) studia a fondo l’argomento intuendo che per
l’essere umano è d’estrema importanza potersi avvalere di un rapporto
primario sano e costruttivo in grado di apportare fiducia e
consapevolezza al fine di creare una personalità integra; analizza in
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seguito le vite di “cattivi storici “ quali Hitler e arriva così a capire che
possono esserci delle motivazioni logiche in grado di spiegare eventi
atroci quali l’olocausto, motivazioni a suo avviso rintracciabili
nell’esperienza vissuta dal bimbo durante i suoi primi anni di vita, che
se negative sono capaci di rendere l’essere umano attore di gesti
terribili.
Durante la “dittatura” instauratasi con il propagarsi della
letteratura che trattava argomenti di pedagogia nera, la prole veniva
obbligata alla rinuncia della spensieratezza e dell’irrequietezza per
lasciare il posto all’impeccabile educazione professata dalla corrente
letteratura, anche a costo di usare violenza se ritenuto necessario al
bene dei figli. In nome di questo bene si compiono atti terribili che
vanno a perpetuare un modo di essere genitori che rende l’uomo
incapace di provare ciò che non è ritenuto educato.
Quando finalmente i figli della pedagogia bianca aprono gli occhi e
raccontano i loro vissuti inizia una nuova stagione per la famiglia,
quella della reciproca comprensione.
Non si afferma con ciò che tutti i mali siano scomparsi
all’improvviso, però si è cominciato a dare la giusta rilevanza ai bisogni
dei propri figli, iniziando così a cambiare l’assetto famigliare.
I cambiamenti portano nuovi studi che si propongono di
interpretare i diversi aspetti della famiglia analizzandoli avvalendosi di
differenti prospettive. Si inizia così a prendere in considerazione l’analisi
delle differenti trame familiari percorrendo le tappe evolutive di ogni
singolo appartenente per poi relazionarle con i ruoli svolti all’interno del