Introduzione Genesi ed affermazione del movimento fascista nelle pagine de “La Nazione”
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Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di analizzare un fenomeno
storico, sociale e politico come quello fascista, non solo alla luce dei
riferimenti bibliografici, ma anche con l’ausilio dei quotidiani dell’epoca.
E’ ovviamente ben diversa, e molto più completa, la visuale sul fenomeno
in questione, se lo si osserva con la lente di chi ha scritto e commentato un
ciclo di vita italiana, dopo che questo si è interamente consumato. Risulta,
altresì, di estremo interesse leggere nelle pagine de “La Nazione”, le
appassionate cronache del tempo, quando ancora quel movimento fascista
non ben definito, faceva “capolino” fra i movimenti nazional-interventisti
di sinistra, ed era in ogni caso ben lontano dall’essere quel partito che,
negli anni seguenti, tenne sotto il suo regime l’Italia per un ventennio.
Il periodo temporale preso in esame, riguarda i fatti e le vicende storico-
politiche e storico-sociali, verificatesi fra il 1919 ed il 1922 ovvero
quell’arco di tempo che va dall’immediato primo dopoguerra fino alla
marcia su Roma ed il primo ministero Mussolini. Una trattazione
particolarmente dettagliata è stata fatta di alcune vicende significative dello
scenario politico nazionale ed internazionale, come: la questione di Fiume,
le manifestazioni e gli scioperi del cosiddetto “biennio rosso”, le elezioni
politiche del 1919 e del 1921, la trasformazione del movimento fascista in
partito politico ed infine la decisiva presa del potere di Mussolini con la
marcia su Roma.
La scelta di analizzare le vicende di questo periodo storico attraverso le
pagine de “La Nazione” deriva da due principali motivi: il primo è che lo
storico quotidiano di Firenze era in quel periodo il giornale più autorevole
e con maggior tiratura a Firenze, in Toscana ed alcune zone limitrofe del
centro Italia; il secondo è che il giornale fiorentino esprimeva posizioni
politiche moderate, della corrente liberal-conservatrice e fin dalla sua
nascita era unanimemente riconosciuta la sua autorevolezza in campo
Introduzione Genesi ed affermazione del movimento fascista nelle pagine de “La Nazione”
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politico. Insomma la testata fiorentina garantiva autorevolezza ed al tempo
stesso moderazione ed equilibrio nella lettura degli scenari socio-politici.
La Toscana, in generale, fu considerata una delle regioni guida della genesi
e successiva affermazione del movimento fascista, come ebbe a vantarsi
proprio “La Nazione” nei giorni della presa del potere fascista, per mezzo
del suo direttore Aldo Borelli.
Nel periodo preso in esame, le divisioni sorte prima del conflitto mondiale
tra interventisti e neutralisti non solo erano rimaste, ma si erano accentuate
sino a giungere alla soglia di una vera e propria guerra civile. Gli scontri
fra socialisti e fascisti insanguinarono l’Italia per un paio di anni, fino a
quando il fascismo prese definitivamente il potere.
Furono proprio queste divisioni, infatti, a costituire il punto di partenza dal
quale nacquero il 23 marzo del 1919, ad opera di Benito Mussolini, i Fasci
di Combattimento: stadio embrionale di quel movimento che, tre anni più
tardi, iniziò la scalata al potere.
“La Nazione” rappresentava ed allo stesso tempo orientava, gli umori di
buona parte dei detentori del potere economico-politico a Firenze ed in
Toscana. Essa rappresenta, quindi, un osservatorio privilegiato per capire
come certa borghesia italiana percepì gli avvenimenti legati alla nascita ed
alla seguente affermazione del fascismo. Può aiutarci anche a comprendere
meglio le motivazioni che stettero dietro all’atteggiamento dei politici e
degli imprenditori dell’epoca di fronte alle vicende del movimento fascista.
Nelle pagine seguenti, si è scelto di far parlare quanto più possibile gli
articoli del giornale, siano essi sunti di discorsi politici o di discussioni
parlamentari, siano essi commenti dei redattori o anche semplici resoconti
dei fatti di cronaca. Non sono infatti solo le opinioni espresse negli
editoriali, che fanno luce su quali fossero le linee guida de “La Nazione”,
ma è anche il rilievo dato a certe notizie piuttosto che ad altre, oppure il
tono delle corrispondenze, o i titoli stessi degli articoli di cronaca, che
Introduzione Genesi ed affermazione del movimento fascista nelle pagine de “La Nazione”
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possono chiarire la direzione verso cui il foglio fiorentino orientava il
proprio cammino.
Per consentire una più accurata indagine conoscitiva sul tema in esame, si
sono ricavati molti articoli direttamente da “La Nazione”, e talvolta da altre
testate, e sono stati citati in questo lavoro in maniera integrale o almeno per
le parti di maggior interesse.
Per esigenze di spazio, il tempo dedicato in questa trattazione alla figura di
Mussolini è molto limitato, occorre tuttavia ricordare come il suo
contributo, per la nascita ma soprattutto per la conseguente affermazione
del movimento ed in seguito Partito Nazionale Fascista, sia stato di
assoluto rilievo.
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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CAPITOLO PRIMO:
L’ITALIA DEL DOPOGUERRA, TRA VITTORIA,
CRISI ED ASPETTATIVE
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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1.1 IL DOPOGUERRA: LA VITTORIA E LE
DELUSIONI
Il 1919 fu l’anno della pace in Europa. Dopo i cinque anni della prima
guerra mondiale, che avevano insanguinato il continente, la coalizione
austro-tedesca era stata sconfitta dalle potenze alleate. L’Italia al fianco di
Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, aveva conquistato una
vittoria bellica che apriva, agli occhi di buona parte dell’opinione pubblica
e della classe politica dell’epoca, nuove prospettive per il paese nel
contesto internazionale. Innanzitutto era scoccata l’ora tanto attesa, nella
quale si sarebbe aggiunto il tassello mancante all’opera di unificazione
iniziata quasi un secolo prima dalla dinastia sabauda: con la sconfitta
austriaca, Trento e Trieste sarebbero diventate finalmente italiane. Ma
aldilà delle acquisizioni territoriali, era maturata la convinzione che l’Italia,
avendo dimostrato con la sua partecipazione alla grande guerra la sua forza
morale e militare, avesse acquisito lo status di potenza internazionale. Al
tavolo dove avvenivano i negoziati per le decisioni riguardanti l’assetto
internazionale, ora si sarebbe dovuto tenere conto anche dei suoi interessi.
Ma la fine della grande guerra giunse anche a dare un sospiro di sollievo ad
un paese in profonda crisi interna, politica, economica e sociale e diviso fra
l’altro, fra chi la guerra l’aveva voluta e le forze che invece si erano
opposte. L’intervento dell’Italia infatti, non era stato voluto dalla grande
maggioranza né del paese né del Parlamento, ma fu imposto attraverso il
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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primo esperimento in grande stile di coartazione condotto dal potere
esecutivo. Sonnino e Salandra, che si trovavano a capo del Governo,
firmarono il patto di Londra, che impegnava l’Italia ad entrare in guerra
entro il 29 maggio 1915, senza consultare né il Parlamento né alcun uomo
politico influente, e senza nemmeno informare alcuno, accettando anzi la
clausola della segretezza
1
. Essi si trovarono quindi con questa cambiale in
bianco da far pagare ad un Parlamento e ad un paese che, nella sua grande
maggioranza, non aveva alcuna intenzione di pagarla. Per questo fu
organizzata una massiccia propaganda mediatica a favore dell’intervento,
grazie a svariate testate giornalistiche complici come il Corriere della
Sera, L’Idea Nazionale, Il Messaggero, Il resto del carlino, Il Popolo
d’Italia diretto da Mussolini ed altre ancora. Queste testate fecero da cassa
di risonanza alle manifestazioni ed ai cortei che videro coinvolti anche
studenti e lavoratori in manifestazioni di piazza che furono organizzate ad
uopo. Fra le varie manifestazioni che si svolsero nelle cosiddette “radiose
giornate” vi fu anche la grande dimostrazione che vide per la prima volta la
sede del Parlamento invasa, i deputati contrari all’intervento oltraggiati e
persino bastonati.
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Questo fu il primo grave colpo anche formale inferto alla Costituzione, già
di per sé così poco liberale, e tale colpo venne inferto da uomini che si
definivano liberali.
La prima guerra mondiale oltre agli sconvolgimenti territoriali fra i diversi
stati, ed al tragico bilancio in vite umane, lasciò un’altra importante anche
1 P.Alatri, Le origini del fascismo, Editori riuniti, Roma, 1971 pag. 35
2 Ibidem, pag. 36
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
8
se strisciante eredità: una trasformazione sociale di notevole importanza,
dato che per una generazione di giovani era stata una incredibile esperienza
di massa portatrice di profondi rivolgimenti sociali.
La sensazione, di fronte alle problematiche della crisi economica e della
ricostruzione post-bellica, era di grande sconforto soprattutto per i reduci
dal fronte, quasi come se si fosse davanti ad una sconfitta. Ed invece nel
1918 la guerra era terminata con la vittoria; l’impero degli Asburgo, il
grande nemico dell’Italia risorgimentale era crollato, realizzando il sogno
di Mazzini e di una generazione di patrioti italiani
3
.
Tuttavia si viveva in un clima di crisi totale con gli inevitabili problemi di
ogni periodo post-bellico: miseria, inflazione, squilibri, necessità di
convertire l’apparato industriale di guerra in uno di pace. Delusioni,
umiliazioni, amarezza, che andavano crescendo man mano che le trattative
alla Conferenza per la pace di Parigi chiarivano il ruolo subalterno
dell’Italia, che non veniva trattata in modo paritario dalle altre potenze al
tavolo delle trattative, di fronte alle grandi questioni di sistemazione
territoriale internazionale.
La lotta politica interna, durante il 1919, verteva quindi in buona parte, su
quello che era stata la guerra e su quello che avrebbe dovuto essere la pace.
Era ancora forte la contrapposizione tra coloro che erano stati favorevoli
all’intervento italiano nella grande guerra e i paladini del neutralismo. Nel
primo campo era schierata la grande borghesia italiana (quindi buona parte
della classe dirigente), il movimento nazionalista, quella parte dei socialisti
capeggiati da Bissolati e Bonomi che si erano staccati dal partito negli
3 F.Chabod, L’Italia contemporanea (1918 – 1948), P.B. Einaudi, Torino, 1961 pag. 19
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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anni precedenti, la parte del sindacalismo rappresentata da Alceste De
Ambris, ed infine Benito Mussolini che era stato espulso dal Partito
Socialista proprio dopo la sua conversione su posizioni interventiste. I
neutralisti comprendevano invece: il partito socialista, una parte
minoritaria della classe dirigente liberale che faceva capo a Giolitti ed
infine la C.G.L. il sindacato che allora rappresentava ed organizzava la
grande maggioranza dei lavoratori italiani.
Se durante la guerra lo schieramento interventista fu compatto, nonostante
le diverse concezioni politiche degli elementi che lo componevano, con il
termine delle ostilità belliche si crearono al suo interno diverse crepe.
Queste fratture furono in buona parte dovute al fatto che, concluso il
conflitto, veniva meno l’unico elemento che aveva tenuto unito un insieme
così eterogeneo di forze politiche. L’unico punto di coesione che ancora
sussisteva era l’odio per i neutralisti
4
. Il riappropriarsi della propria visione
politica, portò gli interventisti a dividersi innanzitutto su quello che era il
primo problema del dopoguerra: le sistemazioni territoriali. Le due
concezioni che si contrapposero furono quella di coloro i quali auspicavano
che il riassetto geopolitico europeo portasse l’Italia ad espandersi solo
verso le zone che erano etnicamente italiane, secondo i principi del diritto
di nazionalità, e quella di coloro che invece avrebbero voluto
un’acquisizione territoriale più cospicua, di stampo imperialistico, che
testimoniasse la raggiunta grandezza dell’Italia. Questi ultimi bollarono i
primi come “rinunciatari” e fecero propria la parola d’ordine coniata da
Gabriele D’Annunzio: “Vittoria nostra, non sarai mutilata”.
4 R.De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1965 pag. 437
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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Il tema dominante sulle pagine dei giornali italiani nel 1919 e quindi anche
de “La Nazione”, fu perciò la Conferenza di pace di Parigi, nell’ambito
della quale si sarebbero dovuti decidere i destini dei vincitori e dei vinti. Si
trattava dopo aver vinto la guerra, di vincere la pace. Era venuto il
momento di far valere il ruolo che l’Italia si era conquistato durante gli
anni del sacrificio bellico, facendolo fruttare sia dal punto di vista delle
rivendicazioni territoriali che da quello politico.
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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1.2 L’ITALIA DURANTE IL “BIENNIO ROSSO”
Pur essendo fra le grandi nazioni vincitrici della prima guerra mondiale,
l’Italia dovette affrontare gli anni dell’ immediato dopoguerra in preda ad
una profonda crisi economica. Dovette fronteggiare, inoltre, una situazione
di gravi fratture, sia di ordine sociale che politico, proprie più di un paese
vinto che di un paese vincitore.
La società aveva subito profonde modifiche dovute proprio al periodo
bellico.
Finita la grande guerra, la nostra nazione si trovò di fronte ad una crisi
interna di enorme portata, nella quale l’eredità dello sforzo bellico pesò
notevolmente nel ridisegnare equilibri socio-politici ma anche economici
ormai definitivamente incrinati.
Il bilancio dello Stato mostrava un deficit pauroso: dai 241 milioni del
1913-’14 passò ai 23.345 milioni del 1918-’19; il debito pubblico
raggiunse cifre altissime; la moneta perdeva costantemente valore e
l’inflazione galoppante finiva per flagellare i piccoli risparmiatori e le
classi a reddito fisso
5
. L’inflazione colpiva i piccoli risparmiatori che
vedevano i loro capitali, faticosamente accumulati, polverizzarsi e perdere
5 M.L.Salvadori, Storia dell’età moderna e contemporanea – Vol II Dalla Restaurazione a oggi, Loescher, Torino,
1990 pagg. 581-582
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
12
sovente ogni valore, mentre svariate erano le tasse che furono
incrementate
6
.
Lo stesso discorso valeva per i piccoli proprietari di alloggi o di terreni dati
in affitto che, non potendo aumentare la quota delle pigioni perché soggette
a blocco, si ritrovava con una somma il cui potere di acquisto era
particolarmente ridotto, mentre gli impiegati statali ricevevano salari che
non riuscivano a sopperire all’aumento del costo della vita che lievitava di
giorno in giorno.
Dalla primavera del 1919 la questione del caro viveri diventò un vero
problema a livello nazionale tanto da essere discusso anche in consessi
politici
7
.
“La Nazione” come tutta la stampa, seguì con particolare interesse la
questione del caro viveri, specialmente nella fase più acuta del problema
fra aprile e luglio 1919, fino a pubblicare a partire dal 11 luglio con
cadenza giornaliera, le tabelle del costo dei viveri calmierati, secondo
quanto discusso in ambito governativo ed applicato dalle autorità locali
8
.
E’ proprio in questo clima ed in questo disagio sociale che andò maturando
il cosiddetto “biennio rosso”, un periodo di alta conflittualità sociale che
portò il paese sull’orlo di una rivoluzione di tipo bolscevico come già si era
verificata nel 1917 in Russia.
6 Ibidem, pag. 582
7 La Nazione, del 17 giugno 1919, nell’articolo “La compagine del governo consolidata”
8 Gli articoli riportanti il calmiere dei prezzi, soprattutto agro-alimentari, venivano riportati da “La Nazione” nella
cronaca di Firenze. Mentre fino a Luglio 1919 si trovavano sporadicamente ed in concomitanza con cambiamenti alle
direttive delle autorità locali, vedi articoli del 14 aprile 1919 intitolato “I nuovi prezzi dei generi all’Ente Autonomo” e
del 15 maggio del 1919 intitolato “Prezzi di calmiere per la vendita al minuto”. A partire dal 11 luglio 1919, per
svariate settimane, la pubblicazione del calmiere dei prezzi era praticamente giornaliera: vedi articoli intitolati “Il
calmiere sui generi alimentari” oppure “I prezzi degli ortaggi per domani”.
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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Alcune tendenze e fermenti erano già presenti in Italia negli ultimi anni
dell’anteguerra, ma fra l’autunno del 1918 e l’estate del 1919 si verificò un
grande sviluppo numerico del movimento operaio e del Partito Socialista.
L’accresciuta combattività, corrispondeva al fatto che, a differenza degli
anni 1912-‘14 la corrente intransigente del partito socialista prevalse in
modo netto su quella riformista
9
. Nel 1918 come in seguito nel ’19 tuttavia,
ai congressi nazionali che si svolsero in quel periodo, il Partito Socialista
apparve quanto mai spaccato in tante diverse anime e correnti. Infatti anche
i massimalisti che meglio dei riformisti esprimevano lo stato d’animo delle
masse operaie ed anche della base del partito erano incerti e divisi sulla
linea da seguire per collegare le rivendicazioni immediate con gli obiettivi
rivoluzionari. Molti di loro propendevano per sostituire l’azione politica
concreta con l’agitazione generica e l’attesa di un evento rivoluzionario
che sembrava prossimo, visti gli avvenimenti successi in Russia
10
.
Proprio queste divisioni nel movimento operaio così come all’interno del
Partito Socialista, unite all’incertezza ed ai limiti della dirigenza operaia,
fecero sì che la rivoluzione, tanto attesa da alcuni e tanto temuta da altri, in
Italia non si verificò mai.
Si verificò invece a partire dalla fine del 1918 uno stato di agitazione
generale, continuata e vigorosa indirizzata al raggiungimento di un
decisivo cambiamento sociale. Questo mutamento sociale era inteso
differentemente dalle due categorie che lo attendevano trepidanti; da un
lato il proletariato industriale e braccianti, rappresentati politicamente e
socialmente dalle Camere del Lavoro, dai sindacati e dal Partito Socialista,
9 G.Candeloro, Storia dell’Italia moderna Vol. VIII, Feltrinelli, Milano, 1978 pagg. 259-260
10 Ibidem, pag. 264
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
14
che sotto l’influenza e lo stimolo della rivoluzione russa del ’17, miravano
alla socializzazione dei mezzi di produzione e alla presa del potere da parte
dello stesso Partito Socialista.
Dall’altro lato i contadini ed i piccoli proprietari che miravano ad un
mutamento sociale che desse loro la terra, rafforzando la piccola e la media
proprietà. In modo particolare nelle campagne, i reduci dal fronte
tornavano a casa con grandi aspettative, viste le promesse fatte a più
riprese dalla classe politica prima e durante la guerra, ma al ritorno a casa
scoprivano che nulla era cambiato. Le inadempienze furono gravissime da
parte del governo, che dopo tante parole, niente aveva approntato neppure
in via di progetto, anche rispetto a questioni come quella dei patti agrari,
dove l’intervento era più richiesto
11
.
Le uniche misure concrete approntate, una per le regioni del nord, una per
quelle del centro ed una per il sud furono i tre decreti (decreto 17/11/1918,
rinnovo decreto 8/8/1915 ed il cosiddetto decreto Visocchi) che tuttavia
avevano una validità territoriale circoscritta e si limitavano a regolare in
modo transitorio e del tutto parziale delle problematiche croniche legate al
lavoro della terra che necessitavano di una sistemazione organica e
definitiva
12
.
La profonda delusione unita alle peggiorate condizioni economiche della
maggior parte di questi reduci dal fronte fece sì che molti di loro si
sentirono in dovere di prendere direttamente l’iniziativa con l’occupazione
delle terre
13
.
11 R.Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, Il Mulino, Bologna, 1991 pagg. 760-761
12 Ibidem, pagg. 762-763
13 Ibidem, pag. 761
Capitolo Primo L’Italia del dopoguerra, tra vittoria, crisi ed aspettative
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Le prime vere gravi esplosioni sociali del giugno del 1919 furono
comunque innescate dal continuo aumento del costo della vita, i primi
tumulti iniziarono in Emilia ma si diffusero con rapidità in tutta Italia
toccando il loro culmine con il saccheggio ad opera delle masse, di negozi
e mercati delle grandi città.
La mobilitazione sociale era appena cominciata, in molte zone del paese le
campagne erano in fermento non meno delle città; era la fase iniziale del
cosiddetto “biennio rosso”, periodo di grandi scontri sociali in cui l’Italia e
il suo Governo conobbero, per la prima volta, l’occupazione, su tutto il
territorio nazionale sia delle terre che delle fabbriche.
Nel solo 1919 si ebbero 1663 scioperi nell’ industria e 208 scioperi nell’
agricoltura, con una perdita complessiva di oltre 22 milioni di giornate
lavorative; obiettivi di questi scioperi erano la conquista della giornata di
otto ore, la difesa dei salari, la difesa del posto di lavoro
14
.
Il fenomeno si allargò anche per effetto di quella che fu definita
“scioperomania”, ovvero la tendenza diffusa ad allargare l’astensione dal
lavoro per solidarietà con le categorie in sciopero. Nel giugno del 1919
entrarono in sciopero i ferrovieri delle linee secondarie italiane,
un’agitazione che colpiva soprattutto i piccoli comuni, la povera gente e la
piccola e media borghesia. In luglio, per solidarietà, scesero in lotta i
tranvieri di tutta Italia, adornando le vetture di bandiere rosse, e di scritte
inneggianti alla Russia dei soviet, nonostante che in quel periodo, una
delegazione socialista che si era recata a Mosca per osservazione, fosse
ritornata piuttosto delusa ed avesse deciso di tenere segreti i risultati della
14 M.L.Salvadori, Storia dell’età moderna e contemporanea – Vol II Dalla Restaurazione a oggi, op. cit. pag. 590