5
normative volte ad assistere il lavoratore subordinato tradizionale emerso dalla
crescita socio-economica basato sulla grande fabbrica taylor-fordista. Con
l avvento della democrazia repubblicana e il dispiegarsi di una maturo sistema
produttivo, la disciplina giuslavorista approfond il proprio intervento bilanciando
la debolezza contrattuale del lavoratore subordinato di fronte alla controparte
datoriale e attuando cos i principi di democrazia economica e sociale sanciti nella
Costituzione. Una debolezza sociale, quella delle classi lavoratrici, emersa gia ai
tempi della prima rivoluzione industriale e sviluppatasi successivamente grazie
all imporsi delle organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio come
soggetti perno del sistema socio-economico, capaci di autotutela collettiva e
dunque meritevoli di tutela legislativa secondo i principi inseriti successivamente
nella Carta costituzionale. Tale processo normativo fu caratterizzato dalla
previsione in capo al lavoratore subordinato di diritti fondamentali individuali, di
una regolamentazione dei sistemi di autodifesa collettiva e sindacale e nello stesso
tempo di una serie di doveri e di limiti al potere datoriale nei luoghi di lavoro. Il
processo di giuridificazione del rapporto di lavoro in questo senso, ha avuto nella
legge n. 300 del 1970, denominata Statuto dei lavoratori, l espressione piø
calzante allo sviluppo della disciplina giuslavorista poichØ, dopo anni di
intollerabile violazione dei principi costituzionali, la democrazia passava i cancelli
delle fabbriche ed entrava anche nei luoghi di lavoro. In questo senso lo sviluppo
storico del diritto lavoro Ł, piø di ogni altra branca del diritto, fortemente
intrecciato alle vicende politiche e sociali della storia d Italia, ai conflitti attorno al
fattore lavoro e coinvolto nelle dinamiche storiche delle organizzazioni che
rappresentano gli interessi politici, sindacali ed economici della societ capitalista.
6
Lo Statuto Ł quindi una utilissima cartina tornasole per analizzare i mutamenti
politici, sindacali e culturali dell assetto socio-economico del capitalismo in
mutamento, proprio perchØ esso ebbe la pretesa di regolare i conflitti piø intimi a
un determinato modello di sviluppo socio-economico.
Con la crisi dell industrialismo taylor-fordista e con il progressivo passaggio
da una societ del Lavoro a quella dei lavori , la figura tipica del lavoratore
subordinato a tempo pieno e indeterminato Ł gradualmente entrata in crisi,
facendo emergere nuove e stratificate configurazioni del rapporto di lavoro non
facilmente riconducibili ad un’unica fattispecie d intervento normativo. Lo
Statuto, in questo contrasto Ł sembrato sempre piø spesso non aderente alla realt
in continua trasformazione. Gi dai primi anni di a pplicazione della legge 300,
questa fu bersaglio di critiche aspre da parte datoriale e ci per il semplice fatto
che piø di ogni altra legge della Repubblica era aderente al contesto socio-
economico, intensamente efficace e di conseguenza ben presto divent una legge
simbolo per il movimento operaio e da opposte visioni per i ceti produttivi.
Parallelamente allo sviluppo dei mutamenti socio-economici e politico-sindacali,
la forte efficacia giuridica e simbolica conquistata dallo Statuto, fu prima a livello
politico messa in discussione e successivamente a livello giuridico spesso
aggirata. Con il dispiegarsi del capitalismo post-fordista, nel corso della seconda
met degli anni 90, il processo di fuga dallo St atuto fece emergere nuovi
approcci di politica del diritto e di politica legislativa sui diritti dei lavoratori. In
questo senso alcune delle vicende politiche e sindacali delle ultime due legislature
non sono altro che la conseguenza di tali nuovi approcci.
7
Si Ł scelto di trattare la storia dello Statuto consapevoli che ripercorrerla
significa rintracciare i tratti fondamentali della storia politica, sindacale e socio-
economica degli ultimi anni e in un certo senso far riflettere, non solo sul futuro
della politica del diritto e di quella legislativa, ma anche piø in generale sul futuro
dei diritti dei lavoratori e sulle nuove prospettive del movimento sindacale nella
fase attuale. Ma Ł impossibile analizzare le vicende recenti e attuali dello Statuto,
dei diritti dei lavoratori e di conseguenza del movimento sindacale, senza
rintracciare la genesi della legge n. 300. Senza ricostruire una genealogia dello
Statuto, cioŁ i fattori politico-sindacali e socio-economici che hanno portato al
provvedimento legislativo, si rischierebbe un analisi parziale del suo sviluppo
successivo. Il lavoro Ł quindi diviso in due parti principali: nella prima parte viene
proposto uno schema interpretativo della genesi dello Statuto dei lavoratori,
mentre nella seconda si ripercorreranno gli sviluppi storici successivi. I geni
dello Statuto, come vedremo, vanno necessariamente rintracciati nella lotta di
liberazione e nella Costituzione Repubblicana. Le sorti dei diritti dei lavoratori
infatti furono legate all annoso ritardo con cui vennero applicati i diritti
costituzionali nei luoghi di lavoro. Solo con il miracolo economico, la ripresa del
conflitto sociale e sindacale e il superamento del centrismo di governo, venne
varata una legge del tutto diversa dalla prima proposta che risale addirittura al
1952. Gli stessi anni 70, in cui ci fu l affermazi one politica e giuridica dello
Statuto, sono indispensabili per poi proseguire nella narrazione delle vicende
storiche della crisi, apertasi tra il 79 e 80 e s viluppatasi fino ai giorni nostri. Lo
Statuto sar prima messo in discussione dal contest o politico-sindacale e
successivamente alterato e modificato parzialmente dai mutamenti socio-
8
economici. La portata simbolica e giuridica della legge fu quindi intaccata
notevolmente, tanto da suggerire un superamento della legge o, negli ambienti piø
vicini al movimento organizzato dei lavoratori, una estensione della sua logica o
un integrazione con altri provvedimenti.
9
Introduzione alla I Parte
Tutta l esperienza storica, non soltanto la nostra ,
dimostra che la democrazia c Ł nella fabbrica e c Ł
anche nel paese e, se la democrazia Ł uccisa nella
fabbrica non pu sopravvivere nel paese.
Noi dobbiamo difendere la democrazia nella
fabbrica, il che non vuol dire che vogliamo sottrarre
i lavoratori a ogni disciplina di carattere produttivo-
professionale, no, il lavoratore deve compiere il
proprio dovere nell azienda, non deve distrarsi dai
propri doveri, ma nelle ore libere dal lavoro ha il
diritto, anche all interno dell azienda, di conserv are
le sue idee, di propagandarle di diffondere la stampa
che vuole, di svolgere il lavoro sindacale, in una
parola deve essere considerato un uomo libero, non
uno schiavo.
Giuseppe Di Vittorio,
III Congresso CGIL, Napoli 1952.
In questa prima parte del lavoro verr rintracciata la genesi dello Statuto dei
lavoratori. Si cercher quindi di ricostruire una s orta di genealogia della legge
300, che riesca a rintracciare negli eventi storici che vanno dal varo della
Costituzione all approvazione nel maggio 1970, i g eni politici, sindacali e
socio-economici che hanno reso necessario l adozione del provvedimento. Lo
Statuto, infatti, Ł il risultato normativo di diversi geni , che vanno dall emergere
di un determinato modello di sviluppo economico e di organizzazione del lavoro,
alle conseguenti nuove forme organizzative del fenomeno sindacale, dall opera e
dalle ideologie di giuslavoristi ed operatori del diritto, all assunzione di un preciso
impegno di riforma sociale a livello politico, come anche degli straordinari eventi
di conflittualit operaia nella fine degli anni ses santa. Elementi che, dalla
Liberazione al 70, hanno avuto propri percorsi di sviluppo, ma che si sono anche
influenzati o sono stati causa l uno dell altro. Pe r questo si Ł deciso di trattare
10
l argomento, ripercorrendo gli eventi politici, sindacali e socio-economico, che
vanno dalla lotta di Liberazione e dal varo del testo Costituzionale, ai primi anni
della conflittualit permanente e dell approvazione dello Statuto. Infatti se Ł vero
che con lo Statuto la Costituzione entra nelle fabbriche italiane, Ł vero anche che
rintracciarne la genesi significa necessariamente partire dal contesto storico in cui
Ł nata la Carta costituzionale. Un approccio metodologico, confermato dal fatto
che la prima proposta di Statuto pu essere individ uata gi nel 1952 con la
proposta Di Vittorio, quindi quasi venti anni prima della sua approvazione. Le
ragioni del ritardo sono molteplici e iscritte negli eventi della nostra storia
repubblicana. Per questo il lavoro verr diviso in quattro capitoli relativi alle
diverse fasi storiche prese in esame. Nel primo, si cercher non solo di rinvenire la
condizione operaia e i diritti dei lavoratori durante e negli anni successivi alla
Liberazione dal nazifascismo, ma di analizzare anche le norme e il ruolo che i
diritti dei lavoratori hanno avuto in sede costituente.
Nel secondo capitolo tratteremo della grave repressione antioperaia dovuta al
primo sviluppo economico degli anni 50, che comport un sensibile arretramento
dei diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Nello stesso capitolo sar dato largo
spazio tanto alle denuncie di violazione dei diritti costituzionalmente riconosciuti,
quanto alle prime proposte d intervento di sindacati e giuslavoristi, che proprio in
quegli anni andavano elaborando le basi teoriche della legge 300.
Nel terzo capitolo svilupperemo il lavoro, ripercorrendo gli eventi sindacali e
politici causati dallo straordinario boom economico a cavallo 50 e decennio 60
(ritorno alla fabbrica e avvento del centro-sinistra) che daranno ulteriore impulso
11
alle elaborazioni giuridiche d intervento in materia di diritti dei lavoratori
subordinati nel contesto di produzione taylor-fordista.
Nell ultimo capitolo verranno descritti i due momenti essenziali che hanno
dato impulso all approvazione dello Statuto: la straordinaria stagione di
conflittualit nelle fabbriche che v dalla fine de l 67 all autunno caldo 69 e
l importante opera politica del ministero del lavoro presieduto dal socialista
Giacomo Brodolini che redasse la prima proposta di legge del governo del centro-
sinistra. Inoltre vedremo come lo stesso provvedimento del governo, venne
criticato da giuristi, partiti e dalla stessa mobilitazione operaia e come questo fu,
in sede parlamentare, approvato con rilevanti aggiustamenti.
12
CAPITOLO I
TRA RIGOGLIO DEMOCRATICO E COSTITUZIONE
MANCATA
L economia italiana nei tre anni successivi all arm istizio era fortemente in
crisi e il tessuto produttivo presentava gravi problemi per le distruzioni provocate
dalla guerra, cos che la produzione nazionale si era ridotta a meno della met
della fine degli anni 30. La classe imprenditoriale della ricostruzione era
profondamente divisa. Oltre ad una notevole differenza tra imprenditori agricoli e
industriali, la stessa industria, al suo interno, presentava una notevole
disomogeneit . Il tessuto produttivo rimasto era in fatti composto da una parte da
un gran numero di piccole imprese e dall altra da un numero ristretto di grandi
unit produttive. Inoltre notevoli differenze rigua rdo a concentrazione di capitali e
capacit tecnologica, si riscontravano anche tra i settori dominanti dell industria
italiana, cioŁ il settore della meccanica e della chimica, come anche in quelli
idroelettrico, alimentare e tessile. In generale, gi in questi anni, emergeva la
grande divisione che si sarebbe sviluppata durante gli anni del boom economico,
cioŁ quello tra progressisti e conservatori. I primi, in minoranza, erano convinti
che la propria sopravvivenza sarebbe dipesa da un ampio programma di
razionalizzazione e di riconversione postbellico. I secondi erano agguerriti nel
proteggere le proprie posizioni di vantaggio date dall effettivo monopolio in cui
operavano.
La sostanziale divisione interna veniva meno quando si trattava di difendere i
piø generali interessi di classe, sia rispetto al mondo del lavoro sia nei riguardi
delle nascenti istituzioni repubblicane. Infatti gi dopo l insurrezione, il fronte
13
imprenditoriale si ritrov fortemente compatto nel difendersi dalle aspirazioni del
movimento operaio e dei partiti della sinistra. Tutti erano concordi nel ristabilire
l autorit padronale a scapito delle richieste di p artecipazione proletaria alla
produzione e di libert politica e sindacale in fab brica. Scongiurato il rischio di
epurazione per chi aveva collaborato con il fascismo, gli obbiettivi generali della
Confindustria in questo periodo si potevano riassumere in due punti essenziali:
ripristino dell autorit imprenditoriale in fabbric a nella completa libert di
controllo sul lavoro salariato e totale autonomia rispetto alla pianificazione statale
della produzione.
Riguardo ai rapporti con il mondo del lavoro la prima conseguenza fu il
ripristino della facolt di licenziare lavoratori, grazie all abolizione di un
provvedimento risalente all aprile 45 promosso e o ttenuto dal CLNAI e
appoggiato dagli Alleati1, che aveva proclamato illegale ogni licenziamento.
Secondo gli industriali questa situazione eccezion ale doveva finire immediatamente, dal
momento che nessuna seria ricostruzione avrebbe potuto aver luogo fintanto fossero stati costretti
a pagare lavoratori improduttivi 2.
La libert sindacale a livello aziendale ebbe una s orte analoga: gli imprenditori
non avrebbero tollerato nessuna possibilit negozia le a livello aziendale,
rimandando ai contratti nazionali, negoziati a livello centrale, la fissazione di
salari e differenziali. Per questo gli istituti nati dalla mobilitazione operaia
(Consigli di Gestione e CLN d Azienda) erano fortemente osteggiati e ritenuti
1
Gli Alleati appoggiarono immediatamente il provvedimento per il timore di rivolte armate dei
disoccupati.
2
P. Ginsborg. Storia d Italia dal dopoguerra ad oggi: societ e p olitica dal 1943-1988, Torino,
Einaudi, 1989, p. 94.
14
pericolosi da tutte le componenti della Confindustria guidata in quegli anni da
Angelo Costa. Le parole di Costa in merito furono emblematiche:
un bravo tornitore od un bravo meccanico potr dar mi dei consigli per la sua
specializzazione, ma non vedo cosa possa dirmi in materia finanziaria[ ] la funzione di controllo
Ł lesiva del principio di autorit perchØ Ł il superiore che controlla l inferiore, mai l inferiore ch e
controlla il superiore 3.
Unico istituto fatto salvo furono le Commissioni Interne (CI) gi ricostituite
nel 43 dall accordo tra il commissario dell associ azione degli industriali
Giuseppe Mazzini e il socialista Bruno Buozzi. Le stesse CI ebbero tuttavia un
forte ridimensionamento per via di un accordo interconfederale stipulato il 7
agosto del 47. L accordo definiva le prerogative e i diritti dei commissari interni,
rendendo decisamente piø limitati i poteri che questi avevano conquistato fino a
quel momento4.
Per quanto riguarda il loro atteggiamento verso lo Stato, questo fu di grande
diffidenza. Gli industriali rifiutavano ingerenze che potessero prefigurare un
assetto produttivo pianificato, ci per via del raf forzamento delle compagini
politiche e associative della sinistra che si richiamavano al blocco sovietico. In
realt alcuni industriali, quelli piø moderati e pr ogressisti, auspicavano un
interventismo statale di basso rilievo, ma la paura del caos e della rivoluzione
sociale comportava per questi che lo Stato si riducesse a semplice garante
dell ordine pubblico. Sul piano politico quindi, gli industriali guardavano alla
Democrazia Cristiana (DC), mentre manc da subito l appoggio al Partito
Liberale Italiano (PLI). Questo si limitava a propugnare un ritorno al liberalismo
3
Ivi, p. 95.
4
Riguardo ai poteri delle CI nel periodo preso in considerazione si veda la ricostruzione di S.
Musso, Storia del lavoro in Italia: dall unit a oggi, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 201-203.
15
prefascista, ma non riusc a creare un vero e proprio partito di massa che potesse
garantire stabilit nel corpo sociale italiano lace rato dalla guerra e affascinato dai
proclami rivoluzionari della sinistra politica e sindacale. Al contrario la DC
riusciva a incorporare nella sua organizzazione larghe fasce della popolazione per
la sua vocazione interclassista e grazie alle innumerevoli organizzazioni collaterali
di ispirazione cattolica. Una volta che la DC rese chiaro il suo programma politico
anticomunista e di adesione all occidente capitalista tramite la possibilit di
ricevere gli aiuti Usa dal piano Marshall, l adesione complessiva della classe
imprenditoriale fu inevitabile.
Nel periodo tra l armistizio e la promulgazione della Costituzione quindi, la
classe imprenditoriale, seppur divisa al suo interno, ebbe una forte capacit di
omogeneizzare le proprie richieste verso l esterno. Tali richieste prefiguravano il
ristabilirsi dell autorit padronale in fabbrica co n un notevole arretramento delle
conquiste operaie ottenute durante la lotta di liberazione. Essi non ammettevano
stabilit del posto di lavoro, libert sindacali e politiche e nessun istituto di
controllo operaio sulla produzione. Tale programma doveva essere portato avanti
da forze governative anticomuniste e garanti del liberalismo che, da una parte
ristabilissero l ordine nelle fabbriche e dall altr a dessero impulso alla
ricostruzione e al ripristino delle regole del mercato.
Gli industriali erano soprattutto preoccupati di r ecuperare la libert di licenziamento, di
giungere a una definizione dei diritti e delle competenze delle Ci che ne ridimensionassero
l azione, di evitare l introduzione per legge di is tituti partecipativi quali i consigli di gestione,
considerati una inammissibile intromissione nella gestione dell impresa 5.
5
Ivi, p. 207
16
Le classi popolari dal canto loro non se la passavano certamente bene. Il
fascismo e la guerra avevano gettato gli italiani nell estrema povert . Molti erano
rimasti senza casa per le distruzioni provocate dai bombardamenti e c erano
gravissimi problemi di approvvigionamento di alimenti. Il consumo pro capite di
carne nel 1947 era di circa 4 kg all anno e solo negli anni 50 ci fu una sostanziale
ripresa6. I salari vennero rapidamente erosi dall inflazione che tocc punte
altissime. Inoltre esistevano notevoli differenze tra lavoratori di diversi settori e
contesti territoriali che rendevano ancor piø drammatiche le loro condizioni di
vita. La disoccupazione toccava punte ormai dimenticate: nel 1947 erano piø di
1,5 milioni gli italiani che non riuscivano a trovare lavoro.
Tuttavia la grave situazione sociale era certamente mitigata dalle posizioni di
forza acquisite dai lavoratori delle industrie del nord. Questi, negli ultimi due anni
della guerra, riuscirono, grazie alla propria mobilitazione, a migliorare le proprie
condizioni di lavoro e di vita. Dove la mobilitazione operaia riusc a costituire le
CLN d Azienda e i Consigli di Gestione o ad acquisire libert d azione tramite le
CI nelle aziende abbandonate di cui gli stessi operai si fecero carico, ci furono
indubbie modificazioni sostanziali delle condizioni di fatto, sia sul piano
retributivo che su quello dei ritmi di lavoro. Il c.d. vento del Nord aveva creato
un clima di mobilitazioni per la democrazia in fabbrica non solo dal punto di vista
strettamente sindacale, ma anche e soprattutto da un punto di vista politico.
[ ] Durante il fascismo ed ancor piø nel corso del la Resistenza, il luogo di lavoro e
soprattutto la grande fabbrica, divenivano importanti centri dell attivit clandestina che era
essenzialmente non tanto una un attivit sindacale quanto un attivit politica. 7
6
G. Crainz, L Italia Repubblicana, in AA.VV., Storia Contemporanea, Roma, Donzelli, 1997, p.
498.
7
L. Ventura, Lo statuto dei diritti dei lavoratori: appunti per una ricerca, in Rivista giuridica del
lavoro , 1970, I, p. 516.
17
Ma tali esperimenti furono presto lasciati cadere nel nulla e il potere padronale
in brevissimo tempo riprese in mano le aziende. Queste esperienze di lotta infatti,
erano relegate alle citt del nord e non toccarono minimamente le zone del
mezzogiorno italiano. Si pu parlare in generale di forte desiderio di riforme
sociali ed economiche, ma certamente non di una vera coscienza rivoluzionaria
diffusa anche alle classi medie. Una valutazione condivisa dalle forze politiche e
sindacali della classe operaia. Infatti sia il PCI che il PSI, convinti che la
rivoluzione era di fatto impossibile, contavano nella buona volont riformista
dell altro partito di massa con cui erano alleati, la DC. L alleanza avrebbe quindi
isolato la borghesia reazionaria e dato vita alla stagione di profonde riforme di
struttura. La tattica social-comunista consisteva nel moderatismo e nella
convinzione che l aumento dei consensi elettorali avrebbe spianato la strada alle
riforme verso una nuova condizione operaia e popolare. Anche dopo l esclusione
delle sinistre dal governo nel 1947, i partiti della sinistra puntarono tutte le proprie
forze sulla redazione della Costituzione e sulla vittoria dell elezioni nel 48 del
Fronte Popolare. Attuare questo progetto significava contenere le spinte eversive
della base operaia e integrare le aspirazioni di classe in un piø generale contesto di
forze popolari e di ricomposizione dell unit nazio nale. Nell immediato quindi gli
obbiettivi furono la pace, la liberazione dal nazifascismo e la collaborazione di
tutte le forze popolari al nuovo futuro assetto costituzionale democratico.8 Gli
eventi successivi avrebbero sconfessato non solo i fautori della rivoluzione
8
A. Pepe, La Cgil dalla ricostruzione alla scissione (1944-1948), in Id., Classe operaia e
sindacato: storia e problemi. (1890-1948), Roma, Bulzoni, 1982, p. 154.
18
socialista, ma anche chi, come le forze politiche della sinistra, aveva creduto nelle
buone intenzioni riformatrici della DC.
Dal canto suo il sindacato unitario (CGIL), ricostruito nel 44 con il patto di
Roma fra le anime comunista, socialista e cattolica, risent della sua struttura
partitica e della sua azione eccessivamente appiattita alle ideologie di questi.
Inoltre nonostante tra gli iscritti erano di gran lunga maggioritari i comunisti, le
decisioni interne venivano prese con l imperativo di salvare l unit sindacale in
ossequio alla teoria del c.d. monopolio sindacale del lavoro e di fatto esse si
conformavano alle volont della componente democris tiana9. La CGIL dimostr
quindi una mancanza di autonomia che la releg ad u n ruolo di secondo piano
rispetto alle decisioni di Togliatti e De Gasperi. Nonostante nel suo primo
congresso a Napoli nel 1945 si tracci un programma radicale (nazionalizzazione
delle principali industrie, soppressione del latifondo, uguaglianza salariale
nazionale e cogestione delle aziende), il sindacato unitario si affrett a firmare i
191 contratti nazionali di categoria ereditati dal sistema corporativo fascista
apportando solo alcune modifiche e provvedendo al ripristino delle sole CI, senza
avere una propria autonoma politica rivendicativa e contrattuale. La maggior parte
dei contratti interconfederali, certo non tutti, furono firmati principalmente per
limitare i danni di una situazione dominata dalla confusione e dallo spontaneismo
operaio a cui la CGIL non avrebbe potuto rispondere con un proprio progetto
sindacale atutonomo. La scelta nel primo congresso del modello di contrattazione
9
In questo senso interessante Ł la proposta di A. Pepe che vede nella CGIL unitaria confluite tre
spinte diverse: quella proveniente dalla classe e dalle sue lotte che tendeva soprattutto a
strutturare l organismo sindacale in funzione delle esigenze della classe operaia nel conflitto con
gli industriali; quella proveniente dalle sinistre che tendeva a circoscrivere l azione del sindacato
nell ambito economico rivendicativo, delegando al partito la piø generale azione di trasformazione
politica; e quella proveniente dalla democrazia cristiana che puntava a costruire un sindacato
istituzionale con compiti di mediazione sociale, anticonflittuale e stabilizzatore [ ] in Ivi, p. 143.
19
centralizzato10, se da una parte contribu migliorare e a razionalizzare le
condizioni dei lavoratori, esse a volte furono la causa di profondi dissidi tra la
base operaia e vertici sindacali11. Il sindacato unitario, che rimaneva
profondamente attraversato dalle divisioni interne, si preoccup quindi di gestire
la transizione cercando di ristabilire condizioni minime a favore dei lavoratori e
ristabilire l ordine in azienda per far ripartire la produzione e mitigare cos il
problema della disoccupazione.
Insomma la nuova CGIL rinasceva con una profonda c onvinzione che la rottura dell assetto
economico e politico capitalistico non fosse compito diretto della classe operaia, quanto piuttosto
il risultato di un azione politica a livello istituzionale rispetto al quale il movimento doveva
indirizzare e calibrare le propria lotta e le proprie rivendicazioni 12
Un altro punto sembra essenziale per tracciare la situazione delle libert e la
dignit dei lavoratori prima del varo del testo cos tituzionale, cioŁ la questione
giuridica del lavoro sia da un punto di vista piø generale delle culture e delle
ideologie degli operatori giuridici sia da quello piø specifico delle politiche del
diritto attuate dai governi provvisori. La situazione di fatto fu quella del divario
tra rigoglio democratico nel paese come nelle fabbriche e sua mancata sanzione
negli strumenti normativi 13. Piø in generale quindi, al di l delle singole po sizioni
e delle forze politiche e sociali in campo, il periodo dal 43 al 48 fu dominato da
una sostanziale confusione istituzionale e da un forte indulgenza operativa. Ci fu
10
Il sistema centralizzato di contrattazione fu il risultato di una temporanea convergenza tra la
componente cattolica e quella socialcomunista messa a punto nel congresso di Napoli. Tra i motivi
di tale scelta ci furono l eredit del sistema corp orativo e la concezione pubblicistica del sindacato
e del contratto collettivo, la volont di controllo sullo spontaneismo periferico e quella di garantire
un equilibrio controllato delle retribuzioni su tutto il territorio nazionale.
11
Esempio di dissenso della base fu il boicottaggio di questa dell accordo interconfederale sulla
reintroduzione dei licenziamenti per scaglioni affidata alle CI. L accordo infatti ebbe immediato
effetto solo nelle piccole aziende dove c era meno mobilitazione operaia.
12
A. Pepe, cit., pp. 152-153.
13
La frase Ł di Aris Accornero nella sua pubblicazione Gli anni 50 in fabbrica: con un diario di
commissione interna, Bari, De Donato 1973, p. 42 e citata da U. Romagnoli nel suo Il lavoro in
Italia. Un giurista racconta, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 125.
20
fortemente penalizzante per le condizioni di vita, le libert politiche e sindacali dei
lavoratori soprattutto per non aver dato risposta alle lotte operaie e posto sin
dall inizio le basi per un cambiamento futuro delle strutture giuridiche del lavoro.
I governi di fronte al fiorire di diverse fonti di produzione normative (RSI, CNL,
Comandi Alleati, Repubbliche Partigiane, ) attuaron o una politica del diritto che
si bas essenzialmente su provvedimenti certamente radicali, ma che presto
svelarono la loro portata burocratica, a dimostrazione dell incapacit delle
istituzioni di creare nuove e moderne istituzioni in materia sindacale e di lavoro.
L eliminazione delle istituzioni corporative ad esempio aveva avuto un effetto del
tutto simbolico. Di fatto le corporazioni non avevano mai funzionato e d altra
parte gli stessi contratti collettivi stipulati sotto il fascismo e sottoscritti dalla
nuova CGIL, senza pensare alla questione della va lidit erga omnes, non erano
stati sostanzialmente ritoccati. Il rapporto di lavoro rimase quindi disciplinato dal
codice civile fascista del 42 e in materia di processo del lavoro le leggi sulla
magistratura del lavoro e sulla possibilit di inte rvento delle associazioni sindacali
nel processo, furono abrogate. Ci lasci un vuoto enorme fino alla riforma del
197314. Le culture e le ideologie degli operatori giuridici d altronde dimostrarono
una netta convergenza con le scelte governative. Questi nella confusione delle
fonti del diritto, continuarono ad operare in un contesto accademico dove nulla di
nuovo veniva proposto e con gli stessi fondamenti scientifici del corporativismo
giuridico, anche dopo l abolizione nell anno accade mico 43- 44 del corso di
Diritto corporativo sostituito da quello di Diritto del lavoro15. Anche chi respirava
14
Ivi, p. 124.
15
U. Romagnoli fa notare che, nonostante la reintroduzione nelle universit del corso di Diritto del
lavoro avvenuto con un decreto del governo Badoglio, molti studenti e professori in quel anno e in
21
l aria di liberazione dal corporativismo fascista, non fece altro che ritornare agli
studi sul contratto individuale di marca liberale risalente all era prefascista.
La maggior parte dei lavoristi dopo la liberazione e immediatamente dopo la Costituzione, si
occuparono prevalentemente, se non esclusivamente, del contratto individuale di lavoro; quasi tutti
i manuali di Diritto del lavoro si occupavano solo del contratto individuale, e in quasi tutte le
universit si insegn , nel corso di Diritto del lav oro, il contratto individuale.16
I temi connessi al lavoro, ai diritti e alle libert dei lavoratori tornarono al
centro del dibattito politico e sindacale nell Assemblea Costituente ed ebbero la
prima sanzione normativa nel varo del testo costituzionale il 1 gennaio 48.
Indubbiamente nella Costituzione il tema del lavoro e delle libert politiche e
sindacali dei lavoratori ebbe una cos larga trattazione che rappresent una felice
novit rispetto alle esitazioni e alle confusioni d egli anni precedenti:
[ ] stupisce che la costituzione del 48 parlasse un linguaggio sconosciuto nel passato che
non voleva passare 17.
Tutto l impianto costituzionale, sia nei sui principi fondamentali sia nel titolo
III sui rapporti economici, ha come tema centrale il Lavoro e la figura sociale del
lavoratore. La Costituzione italiana si inseriva quindi nel solco delle Costituzioni
moderne che definitivamente sanzionano il ruolo egemone del Lavoro nelle
societ del novecento. L art. 1 nØ Ł la prova fondamentale: l Italia Ł una
Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Nonostante i dissidi sulla formula da
adottare tra le diverse anime dell Assemblea18 e il fatto che l articolo fu frutto di
parecchi successivi, credevano che il corso e l esame erano tuttavia quelli di Diritto corporativo, in
Ivi, p. 123.
16
G. Tarello, Teorie e ideologie del diritto sindacale. L esperienza italiana dopo la Costituzione,
Milano, ed. Comunit , 1967, p. 21 nota n. 4.
17
U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit., p. 126.
18
Le forze in rappresentanza della sinistra politica proposero come noto l enunciato Repubblica
dei lavoratori .
22
un compromesso, il risultato dimostra come tutte le anime politiche riconobbero il
ruolo predominante che il Lavoro si era ormai guadagnato di fronte alla storia.
E ci perchØ figli del loro tempo tutti i cost ituenti sapevano che il ventesimo era il secolo
del Lavoro, con la elle rispettosamente maiuscola . 19
Non solo, Ł stato anche sostenuto che la stessa anima sociale della costituzione
risieda e sia frutto proprio dell alta considerazione che si ebbe dei temi connessi ai
rapporti econimico-sociali, dando risalto all elemento essenziale della
Costituzione che attribuisce ad essa lo spirito in formatore teorizzato da
Dossetti.20 Il testo nei successivi quattro articoli segue sulla sessa lunghezza
d onda: sono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalit (art. 2); Ł
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto il pieno sviluppo della persona umana e l effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all organizzazione politica, economica e
sociale del Paese (art. 3 comma 2); a tutti i cittadini Ł riconosciuto il diritto al
lavoro e la Repubblica si impegna a promuovere le condizioni che rendano
effettivo questo diritto (art. 4).
A questi principi di carattere generale sono collegati gli altri titoli sui rapporti
civili e come abbiamo detto quelli sui rapporti economici. Ormai il lavoratore ha il
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantit e qual it del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare a sØ e alla sua famiglia un esistenza libera e
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U. Romagnoli, Pubblico e privato nella cultura del sindacato del dopoguerra, in AA.VV., Il
contributo del mondo del lavoro e del sindacato alla Repubblica e alla Costituzione, Roma, ed.
Lavoro, 1998, p. 38.
20
V. Saba, PerchØ la nostra costituzione pu a ragione definirsi sociale e come fu che i costituenti
diedero vita, approvando l articolo 39, a un vero e proprio mostro giuridico e culturale, in
AA.VV., Il contributo del mondo del lavoro, cit., p. 87.
23
dignitosa (art. 36 comma 1); fu prevista una durata massima della giornata
lavorativa e il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali (art.
36 commi 2 e 3); le donne hanno gli stessi diritti e le stesse retribuzioni che
spettano agli uomini (art. 37); l organizzazione sindacale Ł libera (art. 39 comma
1) e ai sindacati liberi Ł riconosciuto il ruolo d interlocutore privilegiato in materia
di contrattazione sindacale (art. 39 comma 4); Ł sancito il diritto di scioperare (art.
40) e l iniziativa privata non pu essere svolta in contrasto con l unit sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libert e dignit umana (art. 41 comma
2). Nel titolo sui rapporti economici Ł quindi evidente la figura di primo piano che
i lavoratori dovranno avere nel futuro assetto economico e sociale, pur in un
contesto economico dominato dai pilastri del capitalismo. I lavoratori e le sue
organizzazioni diventano parte integrante della ar ea legittimit costituzionale e
ci rappresent una svolta storica rispetto agli as setti costituzionali liberali che li
avevano invece relegati in una posizione di contrapposizione rispetto allo Stato.
Tuttavia la svolta non fu facile. Il fascismo e il sistema corporativo erano ancora
vivi nelle menti degli italiani e in realt , al di l dei principi e delle formule
verbali, le forze popolari all interno dell Assembl ea, sia politiche che sindacali,
non ebbero la strumentazione culturale, politica e normativa per un progetto
alternativo all interno del un paradigma costituzionale. Un programma alternativo,
cioŁ che riuscisse a discostarsi sia dal liberalismo prefascita che dallo stato
pigliatutto fascista.
Nell epoca in cui si forma il relativo modello cos tituzionale, l obbiettivo di un genuino
rinnovamento dei rapporti sindacati-Stato-economia doveva apparire incerto e lontano sia perchØ