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secolo scorso, periodo nel quale si affermano tutti i fattori necessari alla successiva mancanza
di stabilità della regione. Ovviamente con questo non si intende negare il peculiare sviluppo
della storia di Jammu e Kashmir nel corso della seconda metà del ventesimo secolo, ma
soltanto indicare come l’orientamento preso dalla questione kashmira durante la prima metà di
tale secolo, sia il presupposto di base all’instabilità che domina nella regione da più di 50 anni.
Per quanto concerne la genesi della coscienza politica, il secondo capitolo, attraverso un’analisi
sociolo-economica, descrive l’impatto che ebbe la presenza inglese, della quale si danno ampie
motivazioni geopolitiche, sulla precedente struttura di relazioni socio-economiche. La presenza
di una nuova amministrazione dotata di differenti parametri culturali favorirà l’introduzione in
Jammu e Kashmir di nuove categorie sociali e condurrà inevitabilmente alla nascita di nuovi
movimenti politici. Il processo culminerà con la costituzione del partito nazionale.
Questa tesi si fonda sull’idea che il concetto di nazione quale criterio identificativo dominante,
sia il frutto di un accurato lavoro ideologico di selezione di valori identitari, con l’obbiettivo di
creare una comunità allargata rispetto ai gruppi originari, in modo da ottenere maggior peso nel
riconoscimento delle proprie richieste politiche. Questo procedimento di omologazione è
fondato su due principi base: la definizione dell’altro in contrapposizione all’io e la finzione
storica.
Il processo di selezione può avvenire sostenuto da propositi differenti. Secondo il teorico del
nazionalismo, Johann Gottfried Herder(1744-1803), che inventò il termine stesso, le nazioni
risultavano caratterizzate “da una diversità fondamentale, originaria, naturale” tale da fare di
ciascuna di esse”un quid a sé stante, chiuso in sé, impenetrabile dagli altri”. In questo caso si
attribuisce assoluta preponderanza a aspetti quali lingua, razza, religione, territorialità, cultura,
che si possono definire caratteri oggettivi poiché prescindono dalla volontà dei singolo in
quanto ad esso preesistenti. Un presupposto di questo genere può creare l’idea, falsa, di
comunità distinte e non comunicanti, che prima o poi tenderanno inevitabilmente a confrontarsi
in termini di valore
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.
La seconda prospettiva con la quale ci si può avvicinare al nazionalismo prevede l’accento
sull’unità di intenti, sulla volontà di accogliere istituzioni comuni e una comune organizzazione
della società. Questi caratteri soggettivi, poiché implicanti l’adesione volontaria
dell’individuo, prevedono come disse lo storico francese Ernest Renan “un plebiscito
quotidiano” e pongono in secondo piano la prevalenza dei caratteri oggettivi sui quali è
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È così che l’idea di nazione è sfumata nell’idea di razza (specialmente a fine 800), costituendo così un gruppo
chiuso oggettivamente evidente e sottraendo espressioni culturali al processo formativo di interazione culturale
per connetterle direttamente a dati fisici, in base ai quali mostrare una evidente superiorità.
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possibile agire attraverso un percorso di selezione e rimozione
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in modo da rendere più o meno
permeabile il gruppo ad altri individui. In altre parole i caratteri soggettivi sono inclusivi
mentre quelli oggettivi sono esclusivi.
Il contenitore nazione è stato quindi riempito di differenti significati, a partire dal suo valore
originario di natus-nato che indicava principalmente l’aspetto territoriale come rilevante. La
realtà storica ha poi condotto il termine ad assumere di volta in volta un nuovo contenuto che si
è comunque sempre caratterizzato per l’essere il prodotto di un gruppo organizzato. Il processo
avviene mediante una serie di operazioni intellettuali tanto spontanee quanto sistematiche.
Appartengono al dominio della spontaneità, tutte quelle rappresentazioni del sé e dell’alterità
che enfatizzano, a livello di discorso comune, qualunque elemento percepito come
differenziale e che, come tale, è assunto come costitutivo di una diversità assoluta del sé
rispetto all’altro o dell’altro rispetto al sé. Sono invece operazioni intellettuali di tipo
sistematico tutte quelle che hanno lo scopo di costruire la società e le culture. Queste ultime
sono quelle che producono identità collettiva o che, su una base di coscienza comune, lavorano
e selezionano al fine di privilegiare alcuni aspetti su altri, in modo da favorire politicamente gli
interessi dei centri di irradiamento culturale.
La tesi alla luce di queste considerazioni, legge la storia della coscienza politica all’interno del
Regno Dogra, come la continua dialettica tra posizioni che privilegiano i caratteri oggettivi e
quelle che prediligono i soggettivi, dialettica che nel caso della regione di Jammu e Kashmir si
caratterizzò come la continua dinamica tra nazionalismo religioso e laico.
Il testo nel terzo capitolo, cerca di mettere in evidenza la stretta relazione tra lo scopo politico,
la risorsa alla quale si chiede accesso, e la tendenza teorica assunta dal movimento.
Parallelamente si evidenzierà come cambi, secondo l’obiettivo, anche l’avversario/nemico e
quindi la definizione del sé, necessaria alla costruzione dell’identità di gruppo. Attraverso
questi indicatori si traccerà il percorso compiuto dal processo di autodeterminazione.
Date le particolari condizioni sociali ( descritte nel secondo capitolo), che caratterizzavano il
Regno Dogra, e in conseguenza del particolare momento storico, la coscienza politica in
Jammu e Kashmir si caratterizzò subito per la sua dimensione confessionale. In altre parole
nacquero organizzazioni per la tutela dei diritti musulmani in contrapposizione ai privilegi
hindu.
Nel corso degli anni trenta l’obiettivo politico non sarà più l’accesso a politiche di
discriminazione positiva ma la nascita di uno stato democratico. In questo modo l’avversario
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Renan: “l’oblio, e dirò persino l’errore storico, costituiscono un fattore essenziale alla creazione di una nazione”.
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diventerà il governo autarchico e nepotista e il fattore coagulante non la confessione ma
l’istituzione di una struttura governativa fondata su regole di equità e sulla responsabilità. La
necessità di coinvolgere la popolazione non musulmana nella lotta politica contro il potere
autarchico e la pressione di nuovi parametri culturali quali le teorie socialiste, condussero in
Jammu e Kashmir ad una nuova definizione del sé capace di creare un gruppo che esprimesse
un carattere non esclusivamente musulmano: nasce il movimento nazionale di Jammu e
Kashmir.
Il nuovo principio identitario non fu accolto con lo stesso favore da tutti i membri della classe
politica locale. Per molti i vecchi paradigmi identitari, garanzia e sostegno di consolidati
interessi di gruppo, erano ancora prevalenti.
Nella questione kashmira è centrale la dinamica tra principio identitario laico vs confessionale
espressa chiaramente dalla presenza di partiti che ponevano alla base della formazione dello
stato le comunità religiose, in opposizione a quelli che cercavano di sfumare il principio
confessionale in una forte identità nazionale. In Jammu e Kashmir si delinearono chiaramente
queste posizioni politiche, tanto da riprodurre nella regione una situazione molto simile a
quella che attraversava l’India britannica. Sarebbe però un errore pensare che l’attività politica
in Kashmir fosse una semplice appendice di quella indiana, poiché, come vedremo, si sviluppò
secondo modalità proprie all’interno delle dinamiche che attraversavano il Regno Dogra.
Sebbene contatti con le realtà confinanti vi siano sempre stati, fu soltanto durante gli anni
quaranta che le relazioni tra i partiti indiani e quelli di Jammu e Kshmir si fecero più intense, a
causa di un crescendo dell’attività politica dovuto alle nuove prospettive proposte
dall’imminente partenza degli Inglesi. Tale interazione condusse effettivamente a una certa
uniformità ideologica tra i partiti di Jammu e Kashmir e quelli indiani che si riscontra
nell’adozione di una metodologia di lotta molto simile a quella adottata nell’India britannica.
In particolare, agli inizi degli anni quaranta, il partito nazionalista di Jammu e kashmir metterà
ulteriormente a fuoco il proprio progetto nazionale puntando sull’autodeterminazione a favore
della nascita di una repubblica democratica socialista. L’obiettivo era cambiato nuovamente e
per questo saranno adottati nuovi metodi di lotta e gli imperativi teorici andranno a definire
ulteriormente il contenitore “nazione”, producendo un’ulteriore parallela specificazione del suo
oppositore. In questo periodo si ha l’apice della distanza ideologica tra nazionalismo laico e
religioso.
I capitoli successivi analizzano le cause che hanno condotto al mancato compimento del
processo di autodeterminazione della popolazione di Jammu e Kashmir. Secondo questa tesi
esse hanno origine nel processo di trasferimento dei poteri dovuto alla fine dell’impero inglese
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in India.In particolare si cerca di analizzare il processo tenendo in primo piano la relazione tra
la nascita dei due nuovi stati di India e Pakistan e il destino dei principati dominati dal rapporto
di supremazia promosso dagli Inglesi.
Nella cornice sopra indicata si inseriscono i rapporti che i movimenti politici di
Jammu&Kashmir stabilirono con i due principali partiti dell’India britannica, la Muslim
League e il Congresso Nazionale Indiano. Già nel terzo capitolo si era evidenziato come i
legami tra la realtà politica dello stato di Jammu&Kashmir e quella dell’India britannica si
fossero consolidati durante gli anni quaranta, periodo in cui, si andava concretizzando
l’indipendenza per i territori dell’India britannica, ma soltanto con la partizione del 1947 il
movimento politico di Jammu e Kashmir perse definitivamente la sua indipendenza. Si vedrà
in proposito come la mancanza di risposte precise, in altre parole legalmente condizionanti,
circa il futuro status degli stati principeschi, abbia favorito l’ingerenza dei governi indiano e
pakistano, presenza che da adesso in poi diverrà preponderante nelle dinamiche del regno di
Jammu e Kashmir.
Il quarto capitolo riconduce il regno di Jammu e Kashmir all’interno delle dinamiche del
subcontinente. La partizione fu l’evento che condusse Jammu e Kashmir all’interno degli
interessi nazionali dei due nuovi stati, allontanandolo dalla dimensione iniziale di entità a sé
stante. La solidarietà espressa dai partiti dell’India britannica a quelli del Regno Dogra negli
anni precedenti, si tramutò in protettorato, sottraendo i movimenti politici di Jammu e Kashmir
a una più profonda dialettica politica interna, unica via per il compimento di un reale processo
di autodeterminazione. Ciò che sarà posto in rilievo, attraverso l’analisi della questione legata
all’adesione dello stato all’India o al Pakistan, è che la possibilità di intervento nella situazione
interna a J&K, dipese proprio dalla presenza sul territorio di strutturati movimenti politici, in
difesa dei quali intervenire.
La presenza di una tendenza confessionale, paragonabile ai valori alla base del Pakistan, e di
una forza nazionalista laica, equiparabile alle posizioni del National Congress, legittimò
l’intervento sia di Nuova Delhi che del Pakistan, aprendo, attraverso una guerra civile, la strada
ai carri armati di India e Pakistan.
Il quinto capitolo spiega l’ingresso della questione kahsmira all’interno delle relazioni
internazionali governate dall’Onu e dalla guerra fredda.
La premessa è la grande distanza ideologica che separava India e Pakistan, fattore che ha
impedito lo svolgimento di una proficua attività diplomatica. L’analisi delle posizioni assunte
da India e Pakistan, in particolare sulle modalità e sulla validità dell’adesione, pone in primo
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piano l’esigenza dei governi di farsi portavoce degli interessi della popolazione di Jammu e
Kashmir, necessità che si concretò nella richiesta di sottoporre l’adesione al plebiscito.
Attraverso le risoluzioni e l’operato della commissione Onu, l’Uncip, si evidenzia come la
successiva richiesta di intervento dell’Onu non servì a risolvere la complessa situazione ed
ebbe come risultato quello di legittimare la divisione del territorio, mantenendo l’intera regione
in uno stato di continua belligeranza. Le nazioni unite affermarono la validità del plebiscito
come soluzione all’incertezza della situazione, ma, compiendo un profondo errore di
prospettiva, lo videro esclusivamente come uno step necessario alla risoluzione di un conflitto
per la determinazione dei confini tra India e Pakistan, e non come l’espressione della
necessaria partecipazione politica di un popolo al futuro del proprio stato.
Ciò favorì la conduzione di relazioni bilaterali tra India e Pakistan con la conseguente
esclusione dall’attiva partecipazione diplomatica alla risoluzione del conflitto, di un soggetto
rappresentativo della popolazione di Jammu e Kashmir.
Nel sesto ed ultimo capitolo si procede all’analisi delle due diverse realtà che presero il posto
del precedente stato di Jammu e Kashmir in seguito alla definizione della Line of Control,
definite Jammu & Kashmir ovest ed est, ponendo in particolare evidenza la relazione politica
instaurata dall’India o dal Pakistan con il relativo troncone dell’ex Regno Dogra. La decisione
di chiamare così le due realtà nasce dal fatto che nessuna delle due parti decise, in quel
particolare momento storico, di rinunciare a pensarsi parte del più ampio stato di Jammu e
Kashmir.
A causa della scarsità di materiale trovato su Jammu e Kashmir occidentale l’analisi verterà
prevalentemente su quello orientale, nel quale erano presenti i problemi maggiori.
Nel capitolo si evidenzia, attraverso l’analisi degli accordi che regolarono l’adesione dello stato
all’Unione indiana (Instrument of Accession, Articolo 370 della costituzione indiana, accordi
di Nuova Delhi), la differenza di prospettive che animavano l’amministrazione di Nuova Delhi
e quella di Srinagar nel determinare la futura relazione istituzionale tra le parti. L’India li
interpretava, all’interno di un progressivo adattamento alla partizione dello Stato di Jammu e
Kashmir e in sostituzione alla condizione plebiscitaria, come passaggi necessari alla piena
adesione di Jammu e Kashmir, non soltanto alla realtà istituzionale indiana quanto piuttosto al
progetto mono-nazionale indiano. Per Srinagar, e in particolar modo il suo rappresentante
politico più importante Sheikh Abdullah, gli accordi istituzionali presi con l’India non
prevedevano affatto la subordinazione dell’identità nazionale kashmira a quella indiana, ma
anzi erano stati voluti intendendoli come la necessaria garanzia all’esistenza e tutela dello Stato
e della popolazione di Jammu e Kashmir.
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Ciò fu il fattore alla base della progressiva distanza presa dallo Sheikh nei confronti
dell’Unione indiana, resa esplicita attraverso la radicalizzazione del proprio pensiero politico a
favore non più di una forte autonomia ma dell’indipendenza.
Il forte spirito nazionalista e indipendentista, in aperto contrasto con la volontà espressa
dall’India, condurrà alla caduta del governo Abdullah, rimanendo però alla base di formazioni
politiche attive sul territorio, in particolare nella terra che più di tutte aveva seguito Sheikh
Abdullah nella sua parabola politica, la valle del Kashmir.
La presenza all’interno dei confini di Jammu e Kashmir est di partiti centrati sul sentimento
nazionale, che avessero l’indipendenza o il plebiscito quali motori della propria azione politica,
favorì la critica verso i partiti di governo di essere filo-indiani. In effetti l’interesse indiano non
si espresse con determinazione a favore di una partecipazione democratica alla vita politica,
favorendo nella conduzione dello Stato di Jammu e Kashmir chi si dimostrasse in grado di
soddisfare due requisiti: la capacità di controllare la massa musulmana, in modo che non vi
fossero pericolose tendenze filo-pakistane, e la fedeltà al governo centrale di Nuova Delhi.
A pochi anni dall’adesione si cominciò ad accusare l’India di essere un paese occupante.
Quest’ultimo aspetto permise una nuova unione d’intenti centrata sulla richiesta di plebiscito,
tra i partiti politici presenti nel territorio di J&K orientale con quelli attivi nella parte
occidentale, per i quali il referendum popolare rimaneva una condizione imprescindibile.
L’appoggio della gente a ovest della Linea di Controllo consentirà nuovo spazio alla religione
in politica, riproponendo ancora una volta quella dinamica tra nazionalismo confessionale e
laico che caratterizzò il percorso politico della popolazione di Jammu e Kashmir. La valle del
Kashmir con la sua maggioranza musulmana e il grande attivismo politico nazionalista che la
attraversava, diventerà il termometro dell’attività politica in tutto lo Stato.