“ I feel proud of them, all the same. The further down you are in the
social heap, the more people are riding on your back. If it is true
that it is more blessed to give than to receive, then my ancestors
must occupy a very high position among the blessed. And that is
something to start from.”
3
Fin dalla prima infanzia, Wain ci confessa di essere perseguitato da due immagini che
già sinteticamente evidenziano i mali tragici di cui soffre in tenera età (e il cui riflesso
apparirà nei suoi romanzi e nelle sue poesie) questo figlio della civiltà industriale e
urbana contemporanea e che lo portano a cercare, da un lato, uno stretto ed avido
contatto con la pace, la serenità bucolica della campagna, “ a life of genuine rusticity
”
4
idillicamente rimpianta nei suoi romanzi migliori
5
e, dall’altro, un approccio
simpatetico con quella classe di reietti, di deboli ed emarginati di cui si sentirà
partecipe fino all’età adulta
6
. Del resto il piccolo John cresce magro e pallido fino
alla pubertà, per cui:
“ the idea that other children were stronger than I was, …, evidently
conditioned my thinking from the very beginning; … I had an initial
disadvantage, a want of strength for which I had to compensate by
quickness of wit.”
7
Ma a scuola, timido e introverso più che mai, non riesce con buon profitto per almeno
due motive: 1) perché l’istruzione inglese di allora, imperniata sugli austeri metodi
tedeschi (era la Germania assai influente della psicanalisi, del nudismo, di Hitler e
della razza ariana, ecc.), non consentiva la libera estrinsecazione dell’individuo (uno
dei leitmotiv presenti nell’uomo e nello scrittore Wain) e 2) perché il nostro veniva
continuamente vessato, umiliato e represso vuoi dal coercitivo, castrante ambiente
familiare, vuoi dall’esuberante aggressività fisica dei suoi più forti e robusti
compagni di scuola. Novello Oliver Twist (le cui vicende peraltro legge ‘divorandole’
3
Idem – ivi – p. 216.
4
Idem – ivi – p. 2.
5
Tant’è che il cottage di fronte alla casa paterna cattura la sua infantile immaginazione divenendo “a symbol of that
pastoral landscape for which I seemed to have been born with a craving” – ivi – p. 2.
6
All’età di cinque anni egli vede picchiare dai monelli del vicolo un bambino indifeso e questo gli aveva insegnato,
anche a proprie spese: “ 1. that the world was dangerous; 2. that it was not possible to evade these dangers by being
inoffensive; since (aggiunge) I was surrounded on all sides by those who hated me, not for anything I had done, but for
being different from themselves; 3. that, although the natural reaction to all this was fear, I could not admit to feeling
fear or I should be disgraced.”
7
Ibidem – Sprightly Running – pp. 15.
rapidamente), a differenza dell’eroe dickensiano il nostro è comunque maltrattato più
dai feroci e tiranni coetanei che dal mondo inibente degli adulti.
Gli Wain, poi, sono tipici esponenti della ‘middle class’ inglese dell’ inter-war
period e John così deve temere le angherie incrociate sia dei rampolli delle upper
classes che dei piccoli mascalzoni delle classi meno agiate, nei confronti dei quali
vive una prima giovinezza angosciata e tormentata, in un difficile quanto instabile
equilibrio che preclude al fragile ma svelto bambino ogni sorta di compromesso
sociale. Va da sé che le prime agognate amicizie ed innocenti passioni gli consentono
finalmente di sentirsi
“ like an ordinary boy – to forget, that is, the whispered background
chorus of ‘He’s delicate’, which … (egli) so much hated.”
8
Anche le letture progrediscono e, sebbene il suo modello sia ora non più il
dickensiano Twist bensì il Tom Sawyer di Mark Twain, egli non ne riceve, come
vorrebbe, i suggerimenti galanti riguardo al comportamento da adottare con la sua
prima candida, adolescente ‘fiamma’. Così
“ there, already, were two lives; the life of watchfulness and
suspicion, and the life of normality and its emotional ramifications.
Behind them, as a kind of unexplored but intensely present
hinterland, lay a solitary imaginative life centred on …the dwindling
countryside and the threatened minority.”
9
Ma, tutto sommato, il nostro vive un’infanzia (seppur agiata per quei tempi)
certamente solitaria; il che lo porta ad un ad un attaccamento che lo stesso Wain
definisce “panteistico”, nei confronti della Natura, delle sue bellezze e di tutte le sue
creature. Scrive perciò (ribadendo in prima persona un altro tema portante della sua
opera):
“ this instinct, though it is now habitually overlaid by the sophistications and
preoccupations of the world, is just as strong in me today as it was then. ”
10
8
Ibidem – Sprightly Running – p. 28.
9
J. Wain – Sprightly Running – ivi – p. 31.
10
J. Wain – Sprightly Running – ivi – p. 35.
Approda così, spaurito e fortemente complessato, all’High School di Newcastle-
under-Lyme, dove per sua stessa ammissione, non sembra avere ambizioni di
‘sfondare’, ma solo di vivere in maniera normale, fra I suoi nuovi compagni, gli anni
Verdi della sua adolescenza e di recuperare la tranquillità, vincendo i forti sensi di
colpa. Cerca perfino di giustificare l’ansia negli anni già trascorsi ricorrendo ad
un’interpretazione di tipo psicanalitico che interessa il ruolo affettivo giocato dalla
madre nei suoi confronti. La citazione che segue ha, infatti, molto della junghiana
“pre-coscienza uterina”:
“ my mother, a gentle and responsive person, had had her own childhood
darkened and most of the confidence crushed out of her by an over-harsh father; it
made her timorous, and I may have been given a bias towards anxiety before I was
born. ”
11
Sente e apprezza pertanto in maniera quasi viscerale e in antitesi violenta col
repressivo ‘environment’ familiare una fame di libertà che, potremo dirla con il
Croce, ha del ‘religioso’. Tutto ciò lo porta, ritornando alla sua istruzione, ad aver
“ learnt fast or slowly in proportion as …(he) …accepted the source from
which the knowledge came.”
12
Questo concetto di libertà e il conseguente rifiuto dell’autorità costituiscono il
principio informatore di tutta l’istruzione, scolastica e non, di Wain ed ha comportato
da sempre pregi e difetti nella sua preparazione, eccelsa e profonda per alcuni versi
ma - ahimè - lacunosa e imperfetta per altri. Detto tipo di apprendistato portò inoltre
ad una sorta di culturalismo, diremmo quasi, romantico, di cui ha risentito, per ovvie
carenze, l’attività parallela di critico che il Nostro da tempo esercita. Con tutta onestà
egli stesso, infatti, si professa
“ a curious mixture of quickness and stupidity; my mind functions
with better-than-average efficiency in some things, abysmal
inefficiency in others.”
13
La fragilità fisica che lo dilaniava di continuo (a 16 anni comincia pure a soffrire di
un fastidioso distacco della retina all’occhio sinistro) viene compensata, come spesso
11
Ibidem …, p. 58.
12
Ibidem …, p. 63.
13
Ivi ..., p. 64.
succede in letteratura (tra Byron e Leopardi gli esempi non mancano), da
un’incredibile facilità e velocità verbale congiunta con una vivace e straordinaria
versatilità.
Tutto sommato, però, la scuola ha rappresentato, se ci si pone in termini di
paragone con la gioventù di allora, un periodo positivo per lo scrittore: egli non è
stato coinvolto nella grande tragedia del secondo conflitto mondiale, per lo meno non
direttamente (a causa della sua menomazione visiva), né ha dovuto lavorare per il
proprio sostentamento prima della chiusura del ciclo di studi, tanto per fare degli
esempi oppositivi ai più anziani e impegnati poeti degli anni ’30. Al di là dei piccoli
problemi scolastici e della prima vera passione amorosa poi frustrata (e che, vedremo,
avrà un suo peso in “Living in the Present”), il mondo intero è turbato dalla guerra.
Ciò influenza Wain in tre modi:
1) egli diventa – o perlomeno si autodefinisce – more Pharisaical (un simile
aggettivo lo aveva già usato per illustrare il suo comportamento verso il sesso
femminile, allorquando le normali pulsioni adolescenziali venivano represse a
vantaggio di un platonico “holier-than-thou attitude”), in quanto all’interventismo
patriottico dell’ambiente scolastico e dei settori produttivi preferisce, nonostante il
giovanile inconscio trasporto verso l’attivismo bellico dei suoi coetanei, quel
comodo pacifismo che gli derivava da una cosciente e accettata imposizione
familiare;
2) persevera nel suo pessimismo: alla relativa agiatezza economica degli anni ’30
subentra ora uno stato generale di privazioni e carenze, anche alimentari, ragion
per cui il Nostro viene a sovrapporre al naturale, esistenziale stato melanconico,
che gli veniva dall’infanzia, un timore, reale e diffuso, di non poter sopperire
neppure alle normali esigenze materiali e infine
3) la sua istruzione viene ostacolata; ciò, congiuntamente all’apprendistato irregolare
che, per indole propria, s’è detto, il giovane Wain elabora, contribuisce a quel
danno permanente che l’autore così sintetizza:
“ with every schoolmaster under forty-five called away to the war,
and the gaps filled by a weird assortment of invalids, dotards,
and women, I think I can say that after about 1940 I had no
systematic education at all, and that this resulted in a lack of
solid foundation from which I still suffer”
14
e, nel concludere questo triste frangente, in poche parole egli illustra il dramma di
un’intera generazione, come pure di tutta la sua nazione, dove esisteva realmente
anche un fronte interno civile coinvolto nelle atrocità del conflitto al pari dei soldati
(Londra, in particolare viene semi-distrutta dall’effetto devastante dei V2 tedeschi):
“That was ‘the war’. Digging an air-raid shelter in the garden,
eating margarine instead of butter, slamming one’s face into lamp-
posts in the black-out, clustering three times a day round the wireless
to hear the news. In short, the same as any non-combatant’s war.
With my damaged eye-sight, I expected to be taken into the army at
some maniac level; when, at 18, I presented myself for my medical
and was turned down altogether, I simply shrugged, unable to feel
either glad or sorry. Nothing seemed to make much difference; ‘the
war’ enclosed you, wherever you happened to be.”
15
Durante il conflitto, però, si apre per il nostro il capitolo più importante, il più
caratteristico e formative della sua vita: Oxford. Anche qui, quasi inevitabilmente ci
viene da aggiungere a causa del suo stato d’animo ribelle e irrequieto, sorgono delle
complicazioni, degli attriti. Presto, infatti, Wain prende coscienza di entrare in una
delle più prestigiose università inglesi solo perché il padre poteva finanziarne con
notevoli sacrifici gli studi. Ancora una volta navigava fra due opposte correnti: da
una parte avverte la sensazione concreta di non essersi ‘guadagnato’ Oxford, di non
aver cioè superato esami o aver conseguito meriti particolari per accedervi come
succede per chi vince borse di studio o comunque vi entra in base a sforzi propri e,
dall’altra, di non avervi diritto per ‘censo’ come per chi proviene da un ‘higher social
milieu’, dove il ‘merit’ deriva da una squallida connotazione di privilegio economico
e (sic!) nobiliare
“who has always known that Oxford was there if he wanted it, whose
father and uncles are Oxford men, who already knows the names of
half the people he will meet, has his own confidence and his own
sense of merit …”
16
14
Ibidem …, p. 83.
15
Ibidem …, p. 93.
Nonostante tutto, finisce per nutrire verso quell’università, quella città, le sue strade, i
pubs, quell’atmosfera di erudizione squisita, un affetto intenso
“pure, disinterested, the kind of love that men have for ships – which
Joseph Conrad called the finest love of all, because it is not tainted
by any pride of possession.”
17
Forse per stridente contrasto con la soffocante aria di provincia prima respirata o per
mancanza di approcci con il mondo esterno, quello europeo e d’oltreoceano, quello
dei viaggi e delle amicizie varie e stimolanti, Wain (che di fatto ‘riesce’ benissimo e
diventa uno studente modello, compensando così anni di mediocrità) si chiude però in
questa passione quale recluso volontario, ibernandosi in quell’arido isolamento dal
quale comprenderà, solo molti anni dopo (e nel frattempo aveva dato alle stampe la
sua prima immatura produzione romanzesca e poetica), di dover necessariamente
uscire, evadere e sarà qui, al confluire delle esperienze esterne con il nutrito bagaglio
culturale ‘interno’, che conosceremo lo scrittore migliore.
Ad Oxford, comunque, il nostro vive delle esperienze uniche ed irripetibili che
gli conferiranno un’impronta perenne. Se è vero, come siamo portati a ritenere, quel
luogo comune della critica wainiana per cui
“People live in accordance with their mental pictures ”,
18
allora uno degli interpreti più rigorosi ed immediate di questo principio sarà proprio il
suo stesso autore. La lettura, infatti, di Samuel Johnson finisce per costituire ai suoi
occhi l’esatto corrispondente teorico-filosofico del suo stato d’animo e dei suoi ideali
di vita. Elabora, dunque, una morale stoica che ritroveremo in maniera costante poi in
tutti i suoi scritti e l’assunto johnsoniano “Life is everywhere a state in which there is
much to be endured and little to be enjoyed” può essere considerato a buona ragione
un filo conduttore persistente nell’esistenzialismo ‘dignitoso’ di John Wain.
Con un tale autorevole esempio (rinforzato d’altronde dagli stessi ‘dons’ oxfordiani
come C. S. Lewis, il primo ‘tutor’ dello scrittore, poi il tragico, misogino, paranoico
16
Ibidem …, p. 96.
17
Ibidem …, p. 97.
18
Ibidem …, p. 101.
ed introverso amico dei suoi giorni accademici, E. H. W. Meyerstein, sedicente genio
incompreso e con il quale il nostro intrattiene un curioso quanto ambiguo rapporto di
dipendenza e di ‘odi et amo’; e ancora Charles Williams, Heath-Stubbs, Coghill,
McKinnon ed altri) e sotto l’influsso di quel cristianesimo che oseremmo definire
‘poetico’, ‘antico’ ed ‘eroico’ per cui
“Life is vanity, progress an illusion, everything that comes down to
us from the past …”
19
si forma, per citare soltanto le due componenti più rilevanti, l’autore di ‘Hurry on
Down” e “Living in the Present”. Questi romanzi testimoniano, come si avrà modo di
approfondire nel successivo capitolo, di quelle reazioni inconsce e ribelli che questo
asfittico ‘historical and cultural background’ implicherà nel suo divenire. La parola
anger sarà sinonimo allora di frustrazione, impazienza, brama vitale di ossigeno e
desiderio ardente di dare, una volta buona, una valvola di sfogo a quegli impulsi
primordiali troppo a lungo repressi.
Per il momento non ci si soffermerà oltre e le esperienze, culturali e non,
vissute dal nostro scrittore dopo l’apprendistato oxfordiano, appartengono
indubbiamente alla storia dei suoi capolavori più recenti e certamente migliori. Con
“Strike the Father Dead” e “The Smaller Sky”, riportando solo quelli che ci sembrano
più significativi, andremo infatti verso la piena riscoperta dell’umanesimo tipico
dell’ormai maturo John
Wain e, nella solitudine, nella rivolta, nell’angoscia e disperazione dei suoi sofferti
personaggi, apprenderemo il mestiere, la professione autentica dell’essere uomo.
19
Ibidem …, p. 143-4.
It is a lie that time can heal a wound.
Scar tissue hardens, but the nerve is there,
Like some grim Crusoe evermore marooned.
The clever surgeon takes you in his care,
But time must come when you will be alone,
Instead of ether breathing common air.
That air too common not to make you groan;
That solitude in contrast with the keen
Solicitude you formerly were shown.
However cauterised your flesh has been,
However long your holidays from pain,
It is a lie to say time heals it clean,
And when you lie you wound yourself again.
20
20
J. Wain – ‘A Fragment’, a poem – sta in: Sanesi R. ‘Poesia inglese del dopoguerra’ – Schwartz Ed. 1958, p. 222.