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Capitolo primo
Che cos’è il genere grammaticale. Approccio teorico-descrittivo
Or, le genre grammatical est l’une des catégories les moins logiques et les plus
inattendues (Meillet, 1921 1[982: 202]).
Con questa frase A. Meillet ci dà una definizione concisa, ma estremamente
esaustiva di quella che è senza dubbio la categoria morfologica più curiosa. Essa ha
saputo nei secoli attirare l’attenzione di molti studiosi, i quali hanno cercato di
scoprire i meccanismi oscuri della sua origine, analizzando la natura della sua
essenza. La sua presenza spesso pervasiva, in lingue di famiglie differenti
(indoeuropea, afroasiatica, dravidica e algonchina, fra le altre), non può essere
imputata al capriccio dei sistemi linguistici, ma letta come espressione di una
tendenza a introdurre delle differenziazioni, quindi un ordine nella molteplicità del
lessico.
Sono molti gli studiosi che in epoca sia passata che presente hanno studiato il
genere grammaticale e altrettanto numerose sono le visioni proposte. Il mio intento è
citare alcuni di questi linguisti e d enumerare i vari studi che sono stati svolti su
questo argomento, senza alcuna pretesa di esaustività, col fine di fornire una base
teorico-descrittiva per meglio comprendere la natura dell’oggetto preso in analisi.
Passando in esame le varie teorie, è possibile affermare che esse possono essere
ricondotte a tre tipi di approccio differenti:
approccio semantico
approccio formale
approccio integrato
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1. Approccio semantico
Definire il genere come una categoria prettamente semantica è una tradizione che
risale all’epoca antica, tuttavia anche opere recenti hanno perseguito l’idea di una
“originaria simmetria fra la struttura del sistema linguistico e quella del mondo”
(Chini, 1995: 20) che si sarebbe persa tra le pieghe del tempo. Secondo quanto
afferma Aristotele (in Reth. III 5) sarebbe da imputare a Protagora (V sec. a. C.) la
prima definizione dei tre generi del greco: maschile, femminile e neutro (Jellinek, M.
H., 1906: 297).
Tale visione “naturalistica” ha esiti in parte paradossali: ritenendo il genere un
riflesso del sesso, viene per esempio contestata la legittimità dell’assegnazione del
genere femminile a nomi designanti entità che parrebbero associate alla sfera
maschile, quali μ ῆ νις “ira” e πήληξ “elmo” (Jellinek, 1906: 297).
Nel mondo latino ritroviamo una visione analoga con Varrone (I sec. d. C.), che
però, in maniera più precisa, distingue tra genus naturale e genus voluntarium, e
genere delle categorie flessionali. Il suo è un approccio pragmatico, legato all’usus:
essendo uno strumento funzionale a un determinato sistema culturale, il genere
grammaticalizzerebbe la differenza di sesso laddove il sistema la ritenesse rilevante
(cfr. lat. equus m. vs. equa f.), e ne farebbe a meno in altri casi (lat. corvus m., per
volatili di entrambi i sessi) (Chini, 1995: 21).
Per la trattazione del periodo medievale è utile citare lo studioso Duns Scoto
1
(1266 - 1308), e per quello tardo rinascimentale Tommaso Campanella (1568-1639);
essi associarono il genere a determinate proprietà degli oggetti: il genere maschile
rimanderebbe agli “agenti”, mentre il femminile ai “pazienti” (Jellinek, 1906: 299-
303).
Con un balzo in avanti arriviamo al sec. XIX e all’originale concezione di Wilhem
von Humboldt (1767-1835) (Humboldt, 1827): il genere sarebbe una delle
manifestazioni linguistiche del concetto di dualità (maschile vs. femminile),
1
Giovanni Duns Scoto, conosciuto anche come Doctor Subtilis (Duns, 1266 - Colonia, 8
novembre 1308) è stato un filosofo, teologo e scolastico scozzese.
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rifletterebbe la struttura positiva, a coppie di entità contrapposte che si completano
reciprocamente, iscritta nell’universo (notte/giorno, terra/cielo etc.). Il genere,
quindi, sarebbe un esito della personificazione scaturita dalla “fantasia creatrice della
lingua”, che, attraverso questa categoria conferirebbe agli oggetti reali una “fine e
sottile interpretazione”, rendendo le lingue dotate di questa categoria più vicine alla
“forma linguistica pura”.
Sempre nell’Ottocento abbiamo una definizione semanticista che avrà molta
fortuna; è quella di J. Grimm: il genere dei sostantivi proverrebbe dall’estensione
metaforica del genere naturale a tutti gli oggetti, grazie al potere creativo della lingua
(Grimm, 1831: 311ss; riediz. 1890: 307-551)
2
. Per essere più chiari, il maschile
verrebbe usato per sostantivi designanti entità attive, veloci, forti, rigide, grandi e
precoci, mentre il femminile per quelli con le caratteristiche opposte; il neutro, poi,
per il generale, il collettivo.
Nel XX secolo va segnalato l’approccio semanticista di W. Wundt (Chini, 1995:
22), il quale interpreta le opposizioni di genere come differenze di valore, che si
possono esplicare su più assi dicotomici: superiore/inferiore come nell’irochese;
umano/non umano, animato/inanimato, maschio/femmina. Una visione molto simile
viene proposta da R. de la Grasserie (1906), il quale ritiene che il genere attui una
classificazione dei nomi su base semantica, in cui l’opposizione primordiale sarebbe
fra ciò che si muove e ciò che non si muove. Similmente A. Trombetti (1923: 253-
258) affronta il discorso del genere interpretandolo in chiave semanticista, come una
classificazione nominale, basata su un qualche rapporto antitetico, il quale poteva
essere di tipo “vitalista”, rendendo l’opposizione animato/inanimato, oppure
“sessuale” (maschile/femminile).
Nella seconda metà del XX secolo assistiamo a una svolta sul piano degli studi
linguistici riguardanti il genere. L’innovazione è rappresentata dallo svincolamento
della categoria dalla nozione di sesso naturale. Tale approccio si ritrova in L.
Hjelmslev (1956):
2
“Das grammatische Geschlecht ist eine, aber im frühesten zustande der Sprache schon
vorgegangene Anwendung oder Übertragung des natürlichen auf alle und jede Nomina”
(Grimm, 1831: 357).
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nella sua forma tipica il genere grammaticale è una categoria strettamente grammaticale,
o piuttosto grammaticalizzata, che innanzitutto dipende dalla pura forma, dallo stesso
schema della lingua; facilmente essa assume la fisionomia di una categoria puramente
meccanica, che serve, a seconda di certe regole della rection, a semplici fini di
concordanza (Hjelmslev, 1956 [1988]: 277).
Il genere sarebbe quindi dotato di contenuto semantico e i morfemi indicanti tale
categoria avrebbero una sostanza semantica. L’analisi di Hjelmslev risulta stimolante
rispetto ai precedenti studi perché viene affrontata non più su un piano diacronico,
bensì cerca di spiegare la natura e il contenuto del genere da un punto di vista
sincronico.
Sempre attenti alla dimensione semantica, troviamo J. Kuryłowicz (1964) e O.
Szemerény (1985). Lo studioso polacco definisce il genere una categoria semantica
motivata o dal sesso, o da altri tratti semantici del nome (Kuryłowicz, J. 1964: 32 -33
e 225). Il secondo rimane su posizioni più generiche e caute affermando che il genere
è
una particolarità del nome, a seconda della quale determinate parole riferite al nome
(aggettivi e alcuni pronomi) assumono forme diverse” e afferma inoltre che presenta certe
connessioni col genere naturale, nonostante quest’ultimo non sia decisivo (Szemerény,
O., 1985: 191).
2. Approccio formale
Rientrano in questo approccio tutti quei filoni di studio che vedono il genere come
fenomeno prettamente formale, sprovvisto quindi di contenuto, “an accidental
outcome of the linguistic development of some languages” (Ibrahim, 1973: 102).
Sono molti i linguisti e filosofi che hanno adottato nello studio del genere
grammaticale una prospettiva puramente formale. Attraverso un breve excursus,
intendo ricordare quegli studiosi le cui parole hanno avuto maggior risonanza nel
presente dibattito.
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Come per l’approccio semantico, così pure per quello formale, arriviamo fino
all’antica Grecia per riscoprire le radici del dibattito. Già Aristotele (IV sec. a. C.)
nella sue opere (Retorica e Poetica), si accosta a un taglio formale, affermando che
un approccio semantico sarebbe stato impossibile per via delle troppe irregolarità,
anche in prospettiva interlinguistica: non sempre il sesso di un referente corrisponde
al suo genere grammaticale. Due sono gli aspetti fondamentali che Aristotele
evidenzia:
a. il genere come sistema di classificazione dei nomi basato sulle loro
desinenze (Poetica);
b. il genere come regolatore e responsabile dei fenomeni di accordo
(Retorica).
Nell’Ottocento il filone formale riemerge nella grande opera di sintesi di H. E.
Bindseil, Über die verschieden Bezeichnungsweisen des Genus in den Sprachen
(1838, presso Hjelmslev, 1956: 287 - 288), e anche in F. de Saussure (1921 [1967]).
Egli, appellandosi a un ragionamento scientifico e positivo basato sui fatti, per lo più
formali, accorda poco spazio a speculazioni o a considerazioni che non tengano
conto della sostanziale convenzionalità del sistema linguistico, quindi anche del
genere.
Giungendo quindi al secolo appena trascorso, troviamo E. Sapir (1921), il quale
sottolinea l’assenza di motivazioni accettabili per l’esistenza del genere, e lo
inquadra fra i concetti relazionali (come il caso, il numero, la persona o il tempo),
definendolo “parassitario” e non informativo, sia nel nome che nell’aggettivo: una
fra le tante forme che è durata più a lungo del suo contenuto, “un sistema di relitti
dogmatici”, come altre categorie linguistiche (Chini, 1995: 24).
L’aspetto relazionale viene evidenziato anche da I. Fodor che afferma che “genus
is a syntactic phenomenon exhibiting morphological features” (Fodor, 1959: 2).
Nella grammatica trasformazionale di N. Chomsky (1965) vediamo che il genere
perde la sua valenza relazionale; partendo dall’osservazione che non esistono criteri
universalmente validi di assegnazione, il genere viene descritto come una categoria
14
del nome specificata a livello lessicale, a differenza del numero e del caso, che
invece ruotano attorno alla sfera sintattica. Il genere, pertanto, sarebbe associato a
ogni singola entrata del lessico, e creerebbe sintagmaticamente regole di accordo fra
gli elementi riferiti al nome stesso.
Vi è una dimensione sintattica anche in A. A. Zaliznjak (1964; riferimenti in
Cobett, 1991) quando afferma che il genere è una “classe di accordo” che si articola
nel modo seguente:
“An agreement class is a set of nouns such that any two members of that set have
property that whenever
i. they stand in the same morphosyntactic form and
ii. they occur in the same agreement domain and
iii. they have the same lexical item as agreement target
then their targets have the same morphological realization”
(da Corbett, 1991: 147).
Lessemi francesi come garçon e jardin appartengono alla stessa classe di accordo
(definita maschile), diversa da quella di femme e fleur (definita femminile), poiché
alla stessa forma (singolare) e nello stesso dominio (il sintagma nominale)
richiedono lo stesso accordo nell’articolo e nell’aggettivo.
1. un grand-Ø garçon - un grand-Ø jardin
2. une grand-e femme - une grand-e fleur
(da Corbett, 1991: 149)
Analizzando attentamente la teoria di A. A. Zaliznjak, che fa coincidere la
nozione di genere con quella di classe di accordo, possiamo affermare che, se da un
lato offre un valido sistema di categorizzazione fondato su principi morfologici, e
quindi applicabile in ogni circostanza e in tutti i sistemi linguistici (proprio perché la
discriminante sono i morfemi e non i tratti semantici), dall’altro presenta un
15
problema: questa definizione funziona bene per le lingue romanze, ma spesso vi è il
rischio di aumentare notevolmente il numero dei generi presenti in una lingua
3
.
3. Approccio integrato
Un approccio puramente formale, oltre a presentare i limiti appena citati, non
riconosce che il genere dei sostantivi non si riduce solamente a un fatto di
categorizzazione sintattica o formale, ma spesso questa si sovrappone a una
classificazione nozionale, in cui sono rilevanti alcuni tratti semantici dei lessemi in
questione. Per un’analisi che tenga conto delle molteplici sfaccettature del genere,
applicare un approccio integrato si rivela quanto mai opportuno.
Uno studio decisamente convincente è quello di G. Wienold (1967), il quale
unisce i due approcci precedentemente citati, definendo il genere come una categoria
a metà strada tra sintassi (fenomeni di accordo) e semantica (Wienold, 1967: 1). Nel
suo ampio studio sostiene che il genere è una “classe aggiuntiva”, una
“determinazione del semantema”, vale a dire un’aggiunta al significato del lessema,
particolarmente evidente nei casi di opposizione di selezione; ponendo l’accento
appunto su quest’ultima caratteristica, G. Wienold parla di “genere differenziale”
(Wienold, 1967: 196): cfr. lat. equus/equa, dove il morfema di genere dà
un’informazione ulteriore al tema nominale.
Per quel che riguarda il genere indoeuropeo, Wienold individua le seguenti
proprietà:
c. il genere IE (per il nome) è un tipo di modificazione
interparadigmatico (cfr. lt. lupus/lupa), non intraparadigmatico, come
3
Se applichiamo la definizione di Zaliznjak all’italiano, sostantivi come uovo/uova,
braccio/braccia costituirebbero un genere a sé diverso dai tradizionali maschile e femminile,
perché sarebbero interpretati attraverso un’ottica puramente formale, determinando così una
nuova classe di accordo (Chini, 1995: 25).
16
sono per esempio numero e caso (cfr. lt. lupus, lupi, luporum); non
agisce all’interno dello stesso paradigma, ma ne crea due o più.
d. il genere IE è uno schema di correlazione sintattica di classi di
modificatori interparadigmarici (nomi) e intraparadigmatici (aggettivi)
(Wienold, 1967: 187-192).
Il genere dell’aggettivo viene definito in termini di accordo sintattico, non dotato
quindi di proprietà semantiche, in quanto non comporta nessuna variazione al
semantema.
Si ritrovano interessanti spunti di osservazione nel lavoro di Corbett (1991), il
quale, esaminando i sistemi di classificazione nominale di oltre 200 lingue, attua
un’analisi della categoria di genere integrando approccio formale e approccio
semantico:
at the same time, gender always has a semantic core: there are no gender systems in
which the genders are purely formal categories, […] hence formal assignement systems
are really semantic plus formal systems (Corbett, 1991:307-308).
A riprova del fatto che il genere sia un fatto sia formale che semantico, Corbett
cita come esempio il caso dei prestiti interlinguistici: “the same tension between
form and meaning is found when nouns are borrowed from another language and
must be assigned to a gender” (Corbett, 1991: 308).
Corbett evita una definizione del genere basata solo sui suoi effetti sintattici. Non
si vede in effetti come la rilevanza linguistica di nozioni quali animatezza o sesso,
possa essere esclusa in maniera aprioristica nella descrizione della natura del genere;
per l’animatezza si pensi alla distinzione quis/quid presente in moltissime lingue, e
per il sesso si pensi alle restrizioni che questo attua nella scelta dei verbi, come
partorire, o degli aggettivi, come gravida, che, in senso stretto, sono riferibili solo a
esseri animati di genere femminile.
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Corbett inoltre, nella sua dettagliata trattazione, approfondisce ulteriormente
l’analisi del genere; da un punto di vista del comportamento sintattico, divide il
genere in due categorie (Corbett, 1991: 150-160):
a. controller gender (ovvero il genere controllore, quello che
caratterizza il sostantivo e controlla l’accordo);
b. target gender ( del termine che riceve le marche di genere per
questioni formali di accordo, come l’aggettivo o l’articolo).
Per quanto riguarda il “target”, il genere è in sé privo di significato, benché spesso
sia il solo elemento a permettere di disambiguare il genere del sostantivo (cfr. la neve
vs. il mare) (Corbett, 1991: 150-160).
Il numero dei generi controllori può coincidere o differire da quello delle marche
di genere sui “targets”; in conformità a questo parametro Corbett individua differenti
sistemi (Cobett, 1991: 150-160). Verranno di seguito presentati tre differenti sistemi
appartenenti rispettivamente a rumeno, francese e tedesco
4
.
Il primo è il “sistema incrociato”, nel quale il numero dei “controllers” non
coincide con quello dei “targets”; è questo il caso del rumeno, dove troviamo tre
generi per i sostantivi (m., f., n.), ma solo due marche di genere per i “targets”, sia al
plurale che al singolare. Per maggior chiarezza riporto lo schema per il rumeno
presente in Corbett (1991):
singolare plurale
morfemi Ø I i I = m.
III III = n.
morfemi ă II e II = f.
Fig. 1 (Corbett, 1991: 151, fig. 6.1)
4
Le combinazioni che si possono trovare sono molteplici (cfr. gli schemi per il lak, il telugu,
il tamil, ecc. in Corbett (1991: 153-160).
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Lo schema si riferisce ai seguenti enunciati, esemplificativi del sistema di genere
in rumeno (Corbett, 1991: 150):
a. m. sing. barbătul e bun-Ø “l’uomo è buono/m. pl. barbăţii sȋnt buni.
b. f. sing. fata e bun-ă “la ragazza è buona”/f. pl. fetele sȋnt bun-e.
c. n. sing. scaunul e bun-Ø “la sedia è buona”/n. pl. scaunele sȋnt bun-e.
Il secondo sistema è quello definito “parallelo” (Corbett, 1991: 155); il numero
dei generi coincide, e ad ogni marca di genere del “target” al singolare ne
corrisponde una al plurale:
singolare plurale
m. M.
m.
f. F. f.
Fig. 2
(Corbett, 1991: 152, fig. 6.2)
A seguire presento sintagmi con “targets” accordati:
a. m.sing. un homme intéressant-Ø “un uomo interessante”/m. pl. des
hommes intéressant-s
b. f. sing. une fille intéressant-e “una ragazza interessante”/des filles
intéressant-es
5
Giungiamo infine al sistema “convergente” (Corbett, 1991: 155) del tedesco, in
cui il numero delle marche di genere dei “targets” al plurale può essere inferiore a
quello del singolare:
5
Si noti che in francese il sistema è “convergente” per quel che riguarda i determinanti, non
distingue cioè i generi al plurale.
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sigolare plurale
maschile
femminile
neutro
Fig. 3
(Corbett, 1991: 155 fig. 6.7)
Si confrontino i seguenti esempi:
a. m.sing. der Mann “l’uomo” - m. pl. die Männer
b. f. sing. die Frau “la donna” - f. pl. die Frauen
c. n. sing. das Kind “il bambino” - n. pl. die Kinder
La categoria di genere può risultare strettamente connessa a quella di numero, e in
alcune lingue, come il tedesco, può neutralizzarsi. Per una visione integrata delle due
categorie, è utile soffermarsi sugli universali linguistici di J. H. Greenberg (1963), da
cui emerge appunto il contatto tra genere e numero: il genere rispetto al numero è
una categoria più marcata
6
, e per questo motivo emerge preferibilmente in contesti
non marcati, come al singolare
7
.
Attraverso questa rapida analisi dei contributi ascrivibili all’approccio integrato, si
può sostenere che il genere differisce da tutte le altre categorie grammaticali che
caratterizzano il sostantivo; esso infatti, a differenza, per esempio, del numero, non
altera il significato del nome. Per esempio, vediamo che la forma greca χ ώ ραι
differisce da χ ώ ρ ᾱ perché si riferisce a una moltitudine di terre, piuttosto che a una
sola. Non ha senso invece, affermare che il genere femminile del gr. χ ώ ρ ᾱ specifica
il suo significato in maniera sensibile. Ritroviamo, poi, sempre attraverso l’esempio
6
Universale 36: “If a language has the category of gender, it always has the category of
number”.
7
Universale 37: “A language never has more gender categories in non-singular numbers than
in the singular”.
Universale 45: If there are any gender distinctions in the plural of the pronoun, there are
some gender distinctions in the singular also” (Greenberg, 1963: 153-154).
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dato, un'altra caratteristica che fa sì che il genere non sia assimilabile alle altre
categorie grammaticali: per quanto riguarda i sostantivi, il parlante di una qualsiasi
lingua naturale non può modificare a suo piacimento il genere grammaticale, non fa
parte cioè di quei parametri che possono mutare una data forma. Un parlante greco
poteva scegliere se usare il lessema χ ώ ρ ᾱ al singolare, al duale o al plurale; secondo
la funzione della forma nella frase poteva declinarlo al genitivo, al dativo o
all’accusativo, ma non poteva scegliere se utilizzarlo al maschile, femminile o
neutro. Da quanto appena affermato si evince che il genere è
a lexical property of nouns, and has to be specified in the lexicon, either by means of
general assignment rules, or individually for each noun (Matasović, 2004:18-19).
A questo punto si potrebbe affermare che la categoria di genere è anomala rispetto
alle altre; tuttavia si osserva che il genere è uno strumento fondamentale per
determinare le relazioni sintattiche degli elementi che compongono una frase. E’
utile a tal proposito citare l’esempio che propone Matasović (2004):
genus unde Latinum, Albanique patres atque altae moenia Romae
8
;
il fatto che i sostantivi genus, patres e moenia differiscano per quanto riguarda il
genere ci aiuta a riconoscere che Latinum modifica genus, Albani modifica patres e
altae modifica Romae. Saremmo in grado di riconoscere queste relazioni sintattiche
anche se tutti e tre i sostantivi fossero al singolare, e se l’ordine dei costituenti fosse
differente; non ci sarebbe possibilità di confusione nemmeno se leggessimo unde
Latinum genus, Albanus pater, Romae moenia altae. Sebbene genus e Albanus
abbiano formalmente lo stesso suffisso -us, sapremmo ancora che genus è modificato
da Latinum, e non da Albanus, perché genus è neutro, e i nomi neutri si accordano
con le forme neutre degli aggettivi, come Latinum. Inoltre, il caso genitivo di Romae
ci suggerisce che è sintatticamente dipendente da moenia, mentre il genere femminile
8
Dall’Eneide di Virgilio, libro I, versi 6-7.
21
ci dice che è modificato dall’aggettivo altae. Gli esempi appena affrontati ci fanno
capire come l’accordo sia fondamentale per capire la funzione grammaticale del
genere.
Il genere è quindi una categoria, che, al di là delle sue proprietà sintattiche
(accordo, v. più avanti), è intrinseca al lessico (cfr. Chomsky, 1988).
4. Il genere. Prospettiva tipologica
Sono molti i parametri che possono essere utilizzati per comparare il genere dei
vari sistemi linguistici; di seguito ne elenco cinque che, a mio avviso, sono assai
significativi per comprendere la natura di questa categoria grammaticale.
a) Genere espresso e genere nascosto (Whorf, 1956):
Nei sistemi linguistici in cui il genere è espresso, i sostantivi sono caratterizzati
da una marca di genere. Prendiamo come esempio il s wahili, il cui genere è
marcato all’inizio del sintagma nominale:
es. vi-kubwa vi-wili “due grossi libri”, letteralmente “libri grossi due”, dove vi- è
la marca di genere (Matasović, 2004: 21). Il genere espresso è diffuso nelle
lingue della famiglia nigerkordofaniana e in alcune famiglie linguistiche in
Australia. La distinzione tra genere espresso e genere nascosto non è sempre
chiara, soprattutto per quel che riguarda le caratteristiche delle lingue di tipo
flessivo; nelle lingue appartenenti a questa categoria tipologica le varie relazioni
sintattiche che un sostantivo intrattiene all’interno della frase sono fuse in un
unico morfema:
es. lat. lup-ī , dove il suffisso -ī porta in sé contemporaneamente le informazioni
di caso nominativo, numero plurale e genere maschile.
In un sistema linguistico caratterizzato dal genere nascosto, non è presente alcun
morfema che esprima la categoria di genere, ma quest’ultima può essere
individuata solo attraverso l’accordo che intercorre con le parti del discorso
legate al sostantivo in questione.
22
A titolo di esempio, è utile citare il caso del francese. Nella parola pied non vi è
alcun morfema che attesti il fatto che tale lessema appartenga al maschile; per
individuare il genere, occorre analizzare i suoi fenomeni di accordo, come il
fatto che l’articolo determinativo che prende è le e non la.
Seguendo quanto afferma B. Whorf (1956: 90), in inglese il genere sarebbe una
categoria nascosta, o, per utilizzare la sua terminologia, un cryptotype: un grande
numero di nomi propri di questa lingua non possiede dei marcatori di genere, ma
si accordano linguisticamente con il pronome corretto. Un oggetto inanimato, in
inglese, richiede il pronome soggetto it, ma, citando Whorf, se si desse il nome
Jane a una macchina, il pronome da utilizzare sarebbe she. Si legga con
attenzione il seguente passo di Whorf (1956: 92):
I can say ‘My baby enjoys its food’, but it would be linguistically wrong to say ‘My
baby’s name is Helen - see how Helen enjoys its food’. Nor I can say ‘My little
daughter enjoys its food’, for ‘daughter’, unlike ‘baby’, is grammatically in the
feminine class.
Vediamo quindi che determinati nomi possiedono un genere nascosto, non
visibile morfologicamente, ma che si manifesta attraverso l’accordo con i
pronomi, ossia l’unica categoria grammaticale inglese che possiede un genere
manifesto.
Si potrebbe pensare che il genere dei nomi propri o di sostantivi con referenti
animati, come daughter o sister, sia una categoria prettamente naturale, vale a
dire legata al sesso del referente. Non ritroviamo, tuttavia, proprietà naturali che
ne spiegano il motivo del fatto che
[…] smaller animals usually are ‘it’; countries and states as fictive persons (but not
as localities) ‘she’; cities, societies and corporations as fictive persons ‘it’; the human
body ‘it’; a ghost ‘it’; nature ‘she’; watercraft with sail or power and named small
craft ‘she’; unnamed rowboats, canoes, rafts ‘it’ (Whorf, 1956: 90).