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INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo elaborato è di presentare una breve ricostruzione della
formazione e della nascita del pensiero transumanista, analizzandone i punti di forza,
le problematiche e le implicazioni. La decisione di affrontare questo argomento
deriva dalla mia personale passione e curiosità verso il futuro e il mistero
affascinante che lo avvolge, nei confronti di un avvenire caratterizzato dalla scienza
e dalla tecnologia capaci di realizzare le profezie fantascientifiche più impensabili.
Alla base di questo progresso tecnoscientifico vi sono, come per ogni prodotto
umano, le persone e quindi: movimenti, correnti di pensiero, idee, speranze, sogni e
incubi. Parlare di transumanesimo significa dunque parlare del futuro. In particolare
questo movimento, dall’andamento sinusoidale nel tempo, sottovalutato e bistrattato,
si rivela molto interessante per le sue idee e proposte inedite, che obbligano a
fermarsi e a ripensare alla vita, con tutti i suoi dogmi e le sue caratteristiche. Ciò che
si riesce ad acquisire, analizzando la realtà sotto il punto di vista transumanista,
conoscendo le potenzialità di ciò che l’uomo ha messo in moto e che può solo
tendere in avanti senza potersi fermare, è il dubbio e l’insicurezza nei confronti di
tutte le fondamenta del pensiero, dei precetti religiosi, della natura umana, della
morale e la necessità di una riformulazione del tutto, su nuove basi e con nuovi
scopi, ridefinendo il senso di ogni cosa. L’essere umano, conscio del suo carattere
autodistruttivo, si trova di fronte ad un bivio tra estinzione e speranza, il
transumanesimo, in nome della vita, si pone come opportunità per un salto nel vuoto
verso un orizzonte utopico. La mia ricerca si è fondata sull’analisi di posizioni sia in
linea sia opposte alla condizione umana e universale ambita dalla corrente
transumanista, favorendo un approccio critico per la descrizione di ciò che gravita
attorno a tale tema. Nel primo capitolo ho delineato le qualità intrinseche umane che
conducono alla formazione e all’evoluzione del pensiero transumanista, passando per
le correnti e gli autori che hanno ispirato il movimento, fino alla sua genesi e alla sua
affermazione. Il secondo capitolo è invece un focus, tra critica e difesa, sui temi
controversi e caratteristici del transumanesimo: tecnologia, morale, etica, politica e
sulle ripercussioni delle modificazioni che in tali ambiti verrebbero apportate. Il
risultato di questo percorso si è rivelato, non una conclusione in risposta ai quesiti
inziali, ma l’inizio di ulteriori dubbi e domande.
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CAPITOLO I – Dall’umano al transumano
1. L ’ e s s e r e umano come animale unico e atipico: morte e prometeismo
L’animale umano è caratterizzato dalla non-specializzazione, ossia dotato di una
composizione primitiva (intesa come assenza di specificità) che comporta carenze
organiche rispetto agli altri esseri viventi presenti sulla terra. Per questo motivo
l’essere umano non appartiene ad un ambiente naturale, ma è costretto a modificare
la realtà, ad adattarsi, per colmare i limiti biologici-strutturali e rendersi plastico
rispetto a ciò che lo circonda. Questa situazione se da un lato sembra essere un
impedimento per la vita, dall’altro svela elementi distintivi della nostra specie, ossia
l’umano come ente libero, culturale e indissolubilmente legato alla tecnica. La
morfologia inadatta e non specializzata, ci porta ad essere aperti al mondo e
realmente liberi, non avendo un motore istintuale la ragione permette un
adeguamento ad ogni situazione e ambiente. Proprio per la mancanza di istinto
l’umano è obbligato ad essere governato da istituzioni che limitano i danni legati alle
pulsioni pericolose date dalle passioni, egli è quindi costretto a vivere costantemente
nel futuro essendo vincolato ad un presente limitante, in cui compensa la propria
carenza organica con la cultura fondata sull’azione e sulla tecnica, rivelandosi un
essere culturale. La tecnica non è dunque una caratteristica accessoria, ma fa parte
dell’essenza stessa dell’essere umano e come esso è “natura artificiale” che punta al
potenziamento e superamento dell’organo inadatto, attraverso l’utilizzo
dell’elemento inorganico per ottenere materia sintetica ed energia. Antropogenesi e
«tecnogenesi»
1
sono un’identità unica, poiché l’artificialità caratterizza l’animale
umano e ne è l’elemento costitutivo, rendendolo così un essere vivente in grado di
prolungare sé stesso. L’istinto della tecnica è dunque prodotto della risonanza degli
automatismi naturali con i quali l’umano si rapporta e differenzia, presentandosi
come fenomeno figlio del legame inconscio con la natura. Prima di Martin
Heiddeger, Arnold Ghelen e della rivoluzione nella concezione del ruolo della
tecnica in relazione all’essere umano, «the ontological status of technology,
machines and technical knowledges has been contingent on a structured break, or a
supervening opposition between physis and nomos, physis and techné, guaranteeing
1
Ferrando, Postumanesimo, transumanesimo, antiumanesimo, metaumanesimo e nuovo materialismo:
Relazioni e differenze, 55.
4
human ontological primacy before and agency over ‘its’ externalised technologies»
2
.
La tecnica era perciò intellegibile solo attraverso l’opposizione con l’essere umano.
Fin dai tempi più antichi l’essere umano è alla ricerca di quelle caratteristiche
tipicamente divine come immortalità, perfettibilità e creazione. Un aspetto che
accomuna i popoli di tutto il mondo è il rito funerario, perché indipendentemente
dalla fede o dal credo, la speranza di una vita ultraterrena e il rapporto con i morti
rivestono un ruolo cruciale nella vita delle persone. Non serve attendere l’avvento
delle religioni monoteiste per avere testimonianze di credenze nella vita dopo la
morte, già nelle civiltà mesopotamiche (presenti a partire dal IV millennio a.C.)
venivano utilizzate pratiche funebri nelle quali i vivi festeggiavano con i morti,
nutrendoli e ricordandoli, consci del fatto che i defunti fossero nell’aldilà. I miti
sumeri e accadi però non facevano riferimento esplicitamente alla morte, concetto
per il quale utilizzavano l’espressione «andare al proprio destino»
3
, ma al contrario si
concentravano sulla perduta immortalità dell’uomo, che secondo i miti era stata
sottratta alla prima generazione di esseri umani, perché tanto rumorosi, da disturbare
il sonno degli dei. Per queste culture era inoltre possibile “ingannare la morte”
attraverso un sostituto, ossia un altro essere vivente, animale o umano (in casi più
gravi e rari) il quale veniva sacrificato agli dei per salvare la vita del moribondo.
Nonostante la paura della morte e il tentativo di allontanarla, queste culture, come
quelle attuali basate su precetti religiosi, ritenevano sacro qualcosa di superiore e
altro rispetto all’esistenza, accettando la morte e ritenendola naturale. Si parla infatti
da sempre di vita dopo la morte, ossia dell’immortalità spirituale dell’anima,
immaginata in certi casi come una condizione migliore di quella vissuta nel proprio
corpo, ma mai nessuno prima del XXI secolo aveva pensato di porsi come obiettivo
concreto l’immortalità terrena. Perfettibilità e creazione sono invece elementi
interconnessi, prodotti dalla caratteristica speciale e unica dell’uomo: «prometeismo
a partire dal vuoto»
4
. A tal proposito, già guardando alla letteratura del
Rinascimento, epoca che precede la robotica, la clonazione, l’ingegneria genetica e
soprattutto l’industrializzazione, si assiste alla presenza di androidi o umanoidi dalle
2
Seltin, Production of the Post-human: Political economies of Bodies and Technology, 49.
3
Verderame, La morte nelle culture dell'antica Mesopotamia, 4.
4
Farisco, Ancora Uomo, 31.
5
forme antropomorfe. Leggende medievali fanno riferimento a delle teste di ottone
fabbricate dal frate francescano, filosofo naturale e alchimista Roger Bacon nel XIII
secolo, che con l’aiuto di alcuni demoni al suo servizio avrebbe prodotto i pezzi.
L’automa una volta animato sarebbe stato in grado, come un computer, di
permettere al suo creatore di svolgere lavori più complicati in meno tempo,
altrimenti impossibili per un essere umano. Per via dei suoi scritti scientifici
rivoluzionari nel campo dell’ottica e della meccanizzazione, all’inizio del 1500 la
figura di Bacon diventa simbolo dei pericolosi effetti sociali dell’alchimia,
divenendo più un mago che un filosofo naturale agli occhi delle persone. Il suo
lavoro viene infatti dichiarato eretico nel 1278 per via dell’anarchia metodologica e
dello sconfinamento disciplinare: egli infatti nonostante le pressioni continua a non
seguire i dettami classici e a ritenere più importanti ed appropriati gli esperimenti e la
matematica. Affascinato dalla meccanica, in un suo libro intitolato De nullitate
magiae (tradotto in “La lettera di Roger Bacon riguardante la meravigliosa potenza
dell’arte e della natura e la nullità della magia”), scrive di macchine volanti, carri e
navi in grado di spostarsi senza i classici metodi di propulsione. Egli non è il solo,
oltre a lui sono associati alla creazione di umanoidi artificiali anche altri alchimisti e
filosofi come: Gerberto di Aurillac (Papa Silvestro II), Alberto Magno, Guglielmo
d’Alvernia e Roberto Grossetesta. Nonostante quelle citate siano leggende, per lo più
raccontate in accezione negativa, rivelano un legame tra alchimia e meccanica e
svelano le radici della robotica nell’era moderna. A cavallo tra il 1400 e il 1500 due
alchimisti, Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto
Paracelso e Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim, dichiarano di essere in grado
di creare una forma di vita organica, ossia un’entità con sembianze umane. L’essere
prende il nome di Omuncolo e la fase di creazione prevede quaranta giorni di
fermentazione di seme umano, letame equino e sangue in un recipiente sigillato,
come descritto nel De Natura Rerum (Sulla natura delle cose) di Paracelso. Si tratta
perciò di attuare una riproduzione asessuata, più precisamente un «abiogenesis»
5
,
processo con il quale si formano insetti partendo da materia organica in putrefazione.
La leggenda dell’Omuncolo mostra una netta somiglianza con quella del Golem
apparentemente creato dai rabbini Judah ben Loew di Praga ed Elijah di Helm in
5
LaGrandeur, Do Medieval and Renaissance Androids Presage the Posthuman?, 4.
6
Polonia. Associazione curiosa non solo per la vicinanza temporale e spaziale ma
anche per le radici medievali condivise tra l’alchimia e la Cabala ebraica, la quale
contiene indicazioni per la creazione del Golem che appare per la prima volta nel
testo cabalistico Sefer Yetzirah del XII secolo (libro tra i più importanti per
l’esoterismo ebraico, tradotto “Libro della Vita”), sebbene le radici dell'idea che un
essere umano potesse creare cose viventi con la magia rituale si potrebbero collocare
molto più indietro. Il nome della creatura deriva dalla parola ebraica Gelem che
significa “embrione” e in ebraico moderno “robot”, ed è descritto come un essere
simile a un automa composto d’argilla nel quale è stata infusa la vita, tuttavia non in
grado di pensare, parlare o provare emozioni, data la mancanza dell’anima. Secondo
la teoria sostenuta anche da Gershom Scholem, fonte più autorevole sulla storia del
Golem nel pensiero ebraico, la magia del Golem condivide affinità con l’alchimia
dell’Omuncolo anche per quanto riguarda la fase della creazione, perché in entrambi
i processi vengono utilizzati recipienti e piastre. Questi individui e le loro creazioni
leggendarie sono l’esempio della qualità prometeica dell’uomo e simboleggiano il
presagio della condizione transumana alla quale oggi ci stiamo sempre più
avvicinando. La creazione di nuova vita in questi esempi oscilla tra esseri con
caratteristiche potenzialmente superiori rispetto alle nostre e schiavi subumani al
servizio dei propri creatori, così da elevarne la condizione a Dio terreno. Questi
esempi però mettono l’accento anche sulla condanna di tali azioni: Bacon viene
allontanato dalla chiesa e reso simbolo della pericolosità dell’alchimia, il Golem
diventa simbolo dell’ammonimento all’utilizzo di forze magiche che sfuggono al
controllo umano e l’Omuncolo viene considerato una perversione disgustosa.
Dunque, oltre alla ricerca in cui si sono impegnati i sopracitati ve n’è un’altra,
conservatrice, che considera l’imprevedibilità dell’ignoto e condanna ciò che mina
l’integrità e la dignità dell’essere umano. Si tratta di un discorso antico tanto quanto
l’essere umano: «we have no monopoly, in our age, on the idea of blending the traits
of the human and the machine. Ultimately, the various pre-modern representations of
androids and the various, general points of contact between the ideas and issues
raised by them may point toward the concerns of the posthuman more than we have
realized.»
6
6
LaGrandeur, Do Medieval and Renaissance Androids Presage the Posthuman?, 9.