GENDER DIVERSITY AT WORK
Come un piccolo gruppo di aziende gestisce la diversità di genere sul lavoro: il caso ALUTEAM
Introduzione Pagina | I
Introduzione
«Non è la natura che definisce la
donna: è lei che si definisce
rielaborando in sé la natura, secondo i
propri moti affettivi. […] Donna non
si nasce, si diventa.»
Simone de Beauvoir, Il Secondo Sesso
Questa ricerca nasce dall’osservazione della donna nel mondo del lavoro in Italia e dalla
comparazione della sua posizione con quella che detengono le donne nel mondo del lavoro
negli Stati Uniti e nel Nord Europa, dall’ammirazione per le donne “di potere” e dal
desiderio che anche in Italia diventi possibile, per le donne, conciliare la famiglia con la
carriera senza incorrere in giudizi di sorta o in discriminazioni.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di indagare come una piccola realtà aziendale del
panorama industriale della regione Veneto, quale il Gruppo Aluteam, gestisce la diversità di
genere nell’organizzazione del lavoro. Quello che si porta a compimento nel capitolo
quarto di questo lavoro è un vero e proprio Diversity Auditing, una sorta di check-up
aziendale mirato a verificare le dinamiche di genere. Nello specifico, si verifica se il
concetto di gender diversity sia una nozione nuova o già nota, si analizza la cultura aziendale
del gruppo, e si osserva la presenza dei fenomeni del soffitto di vetro e del pavimento
appiccicoso, del Work & Life Balance e della gestione del “doppio ruolo”.
Il lavoro consta di due parti: una prima parte teorica composta dai capitoli primo, secondo
e terzo, ed una seconda parte empirica in cui si analizza il caso Aluteam alla luce delle teorie
descritte nelle precedenti pagine.
Il primo capitolo ha come obiettivo dichiarato quello di “contestualizzare il genere”: questa
ricerca si inserisce, di fatto, nel più ampio ambito dei gender studies. È importante fin dal
principio effettuare una distinzione tra i due termini “sesso” e “genere” i quali segnano
rispettivamente il confine tra ciò che è una differenza anatomica e ciò che è psicologico: il
sesso va considerato quindi unicamente come una categoria biologica, mentre quando si
parla di genere si parla di una categoria culturale. Trattando di genere maschile e femminile
si passano in rassegna i più comuni stereotipi legati alla mascolinità e alla femminilità, e si
sottolinea il rischio della stereotipizzazione che porta ad una visione parziale della realtà.
Varie discipline, nel corso dei decenni, hanno contribuito alla creazione degli stereotipi di
genere, tra cui la biologia, la psicologia, l’economia, la storia e la religione: da qui ne deriva
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la “psicologia del senso comune”, quella tendenza a riportare i diversi comportamenti
maschili e femminili all’ordine naturale delle cose, e chi rompe i codici è un trasgressore.
Molte sono le donne che per vedersi realizzate hanno dovuto trasgredire, subendo le
peggiori critiche e sovente anche le più ingiuste punizioni, e coloro che non vengono
punite pagano “il prezzo del potere”: un’azione compiuta da un uomo viene spesso valutata
in modo diverso rispetto a come viene valutata la stessa azione se compiuta da una donna,
con l’aggravante che la donna si trova a subire spesso critiche legate al suo aspetto fisico
oltre che giudizi relativi alle sfere più private della vita: la famiglia e i figli. Il capitolo si
conclude con un breve cenno all’importanza attribuita dalla World Bank alla gender equality
per lo sviluppo del pianeta, oltre che alla sempre crescente attenzione delle istituzioni,
prima fra tutte l’Unione Europea, alla parità di genere.
Il secondo capitolo fotografa quello che è la situazione delle donne in Italia trattando i temi
della scolarizzazione, dei nuovi ruoli della donna e le nuove forme di famiglia, e della
situazione lavorativa. Esse, in media, risultano essere più studiose rispetto agli uomini
anche se si nota ancora in modo significativo l’esistenza di una segregazione di tipo
orizzontale per quanto riguarda i campi di studio: le donne continuano a prediligere settori
quali la psicologia, le lingue e l’insegnamento ad ambiti di studio scientifico-ingegneristici.
Per quanto riguarda il nucleo familiare e il ruolo che in esso riveste la donna, emerge che la
famiglia è vista in Italia come una “risorsa implicita dello Stato sociale” e le donne italiane
devono farsene carico: è ancora lontana la spartizione paritaria dei doveri familiari, anche se
molte organizzazioni, quali l’ONU, si stanno mobilitando per il bilanciamento tra uomini e
donne anche in questa sfera. Per quanto riguarda il gender divide sul lavoro, il primo dato che
salta agli occhi è che l’occupazione delle donne italiane è più bassa rispetto agli uomini, e
che quando lavorano esse sono svantaggiate in termini di sicurezza contrattuale, stipendio,
mansione. La tutela della maternità, invece, vede l’Italia come uno tra i Paesi che più la
garantisce nel primo anno di vita del bambino, ma che meno aiuta le mamme nel resto
dell’infanzia del piccolo: si segnala la mancanza di strutture a basso costo e la tendenza
generalizzata a dare per scontato che siano i nonni a doversi occupare dei bambini. Da ciò
ne deriva che l’essere mamma è una decisione sempre meno scontata da prendere e sempre
più difficile da conciliare con un lavoro soddisfacente. Come ultimo elemento di questa
fotografia, si passa ad esaminare il soffitto di vetro, ovvero quella barriera invisibile eppure
esistente che impedisce alle donne di progredire oltre un certo livello in campo lavorativo.
Le cause di questo fenomeno sono sia estrinseche, ovvero gli stereotipi di genere e le cause
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“culturali”, sia intrinseche alla donna, ovvero il suo “doversi” prendere cura di bambini e
anziani oltre che diverse scale di valori all’interno del genere femminile stesso. Vi sono
infine altri nodi critici che non permettono alle donne l’ascesa all’olimpo manageriale quali
la fatica di ottenere la parità lavorativa, l’impostazione tipicamente maschile del management,
il tempo richiesto e la propensione della donna a lavorare in settori fondamentali per
l’azienda ma che raramente sono fucina di nuovi decision-makers.
Il terzo capitolo si addentra nelle dinamiche della teoria del Diversity Management (di seguito
DM), per poi passare alla costruzione di un progetto di Gender Diversity Management e
concludendo con alcune delle motivazioni che dovrebbero spingere ad investire sulla gender
diversity in azienda. Il concetto di DM nasce in un contesto dove la gestione della diversità
significa arricchimento sia a livello personale sia a livello di potenzialità delle imprese.
Anche in questo caso sono gli Stati Uniti, Paese diverso per eccellenza, a fare da pionieri su
questa teoria sulle diversità in ambito lavorativo e su come sfruttarle a beneficio degli
individui e delle aziende. Nell’ambito di questa ricerca si focalizza l’attenzione al rapporto
tra il genere e la dimensione organizzativa, così come spiegata nel modello “Four Layers of
Diversity”, giungendo a descrivere il percorso di costruzione di un progetto di Gender
Diversity Management (di seguito GDM). Tale percorso si sviluppa in tre fasi: la prima
comprende un’analisi dell’organizzazione anche detta “Diversity Auditing” (che verrà messa
in pratica nel capitolo quarto), seguita dalla comunicazione al contesto organizzativo
dell’intenzione di intraprendere tale percorso e la effettiva implementazione del progetto di
GDM. Si esamina nel dettaglio l’importanza della cultura aziendale, composta da
manifestazioni osservabili, valori dichiarati e assunti di base/impliciti dati per scontati: tutto
questo influisce sulla gestione delle differenze di genere. Vengono descritti con maggiore
dettaglio i fenomeni del glass ceiling e dello sticky floor e si analizzano probabili vie per uscire
dall’empasse. Si tratta la tematica del Work & Life Balance e la qualità del lavoro in generale,
ed infine si giunge a parlare del doppio ruolo e della difficoltà femminile di conciliare la
doppia presenza. Si presentano, a conclusione, dei modelli di riferimento che fungono da
cornice per inquadrare le dinamiche aziendali: tali esempi sono prototipi di aziende nei
quali si cercherà di far rientrare anche il gruppo preso in esame. In sostanza, perché la gender
diversity in azienda? Perché è imprescindibile, aumenta la possibilità di scegliere il migliore
candidato, rappresenta un vantaggio competitivo, è un arricchimento, e perché una
diversità di approcci e punti di vista porta ad un migliore risultato. Si conclude infine
citando fonti autorevoli che dichiarano che è riscontrabile una correlazione positiva tra la
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presenza di donne e la performance aziendale (secondo il Global Gender Gap Record) e una
breve panoramica sui costi economici da sostenere qualora un’azienda voglia implementare
politiche di GDM e all’opposto, i costi sociali ed i mancati guadagni che derivano dalla non
applicazione dello stesso.
Il quarto capitolo verte interamente sulla fase empirica, che ha avuto luogo nel periodo tra
Ottobre 2014 e Gennaio 2015, ed è stata svolta su “Aluteam” un gruppo di imprese
composto da tre aziende: Aluveneta Speciali, Alutecnica e Alusistemi. Pur non trattandosi
di un gruppo di imprese che fa capo ad una holding, il gruppo esiste de-facto in quanto la
proprietà delle tre aziende è riconducibile principalmente a due soci: Luigi Fava e Paolo
Campese. Il Diversity Auditing è stato condotto in tre fasi: una conoscitiva, una di
reperimento di informazioni tramite questionari ed un’ultima di interviste al management.
L’obiettivo di questa ricerca è di effettuare un Diversity Auditing del Gruppo ed eseguire una
elaborazione dei dati che possa servire da trampolino di lancio per l’implementazione di un
eventuale progetto di GDM. Il fine è quello di capire come questo piccolo gruppo si
adopera per gestire la diversità di genere, posto che la gestisca, di cogliere in quale modello
di riferimento il gruppo preso in esame si possa riconoscere, e di raffrontare quanto emerge
dal Diversity Auditing con le tendenze e la situazione Italiana come descritta nel secondo
capitolo. Dal raffronto teoria – pratica emerge che pur essendo presenti, in questo piccolo
contesto, tutte le dinamiche tipiche della diversità di genere, ovvero glass ceiling e sticky floor,
difficoltà di bilanciare il tempo dedicato al lavoro e il tempo dedicato alla vita privata,
problematicità per le donne a gestire il doppio ruolo di madri e lavoratrici, i dipendenti
godono di un rapporto molto diretto con il management, il quale a sua volta si mostra molto
disponibile con loro e cerca di assecondare le loro esigenze. Il responsabile del personale ed
il management in generale hanno ancora la possibilità, visti i numeri relativamente esigui, di
valutare le persone ad una ad una, prenderli in considerazione come individui e quindi non
creando categorie standardizzate e stereotipate: le capacità di ciascuno vengono valutate e
per ognuno si crea un percorso di crescita professionale personalizzato. Si riscontra inoltre,
da parte delle donne, un mancato interesse per i “piani alti” che si riflette su una situazione
aziendale e di gruppo decisamente armonica e priva di risentimenti. La maternità rimane
una questione difficile da gestire sia per le mamme che per le aziende, anche se la casistica
bassa non consente all’azienda di applicare pratiche standardizzate e si basa piuttosto sul
rapporto personale con la dipendente, preparando un programma personalizzato di rientro.
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Concludendo, si può affermare senza indugi che il gruppo non si pone problemi sulle
differenze di genere e su come gestirle. Questo avviene sia da parte dei dipendenti che da
parte del management, che si concentra perlopiù sulla gestione delle differenze tra persona e
persona e non utilizza delle macro-classificazioni per categorizzare i dipendenti.
Come spunti per ulteriori studi si potrebbero impostare delle ricerche mirate all’analisi delle
dinamiche della gestione della diversità di genere nelle piccole realtà, e verificare se
persistono i fattori rilevati in questo lavoro, ovvero che nelle piccole realtà la diversità viene
percepita, affrontata e gestita in modo totalmente diverso rispetto alle grandi aziende o ai
grandi gruppi, sostenendo che la mancanza di politiche istituzionali volte a garantire la
diversità di genere non è necessariamente segnale che la diversità di genere non venga
gestita o valorizzata.
***
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia il Gruppo Aluteam che si è prestato ad essere oggetto di questo studio
mostrando la più totale disponibilità e collaborazione, ed in particolare Susanna Fava per
essere stata portatrice di questa richiesta, e Sara Fava per essere stata fonte di informazioni
e di un supporto davvero cruciale per la realizzazione dell’auditing; si ringraziano inoltre
Mirko Cisotto, Luigi Fava, Sara Fava, Eleonora Franco ed Elisa Sandri per il tempo
concesso per la realizzazione delle interviste.
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Capitolo Primo: Contestualizzare il genere Pagina | 1
CAPITOLO PRIMO: CONTESTUALIZZARE IL GENERE
1. Gli studi di genere nel mondo e in Italia
Questa ricerca si inserisce nel più ampio ambito dei gender studies, in Italia noti come “studi
di genere”, i quali si possono considerare una disciplina molto recente sulla quale l’Italia
detiene perlopiù una posizione di arretratezza rispetto a molti Paesi europei ed agli Stati
Uniti.
Questo filone di studi nasce negli Stati Uniti negli anni Settanta, in un contesto culturale
rivoluzionario ed innovativo. È in questo periodo che «Il termine gender, mutuato dalla
grammatica, veniva a correggere i pericoli di essenzialismo connessi al femminismo
culturale»
1
. I gender studies nascono, quindi, in un ambito principalmente storico per
“correggere” l’assolutismo maschile che da sempre aveva caratterizzato la storia dei secoli
precedenti. Quasi un bisogno di giustizia che le donne iniziano a sentire come
improrogabile: «Nel 1976 la storica statunitense Natalie Zemon Davis, specialista di storia
moderna europea, utilizzava perciò questo termine soprattutto per sottolineare il peso dei
ruoli sessuali nella storia sociale. […] Sarebbe stata nel 1979 Leonore Davidoff
2
, futura
direttrice della rivista Gender & History, ad utilizzare il termine gender nella sua definizione
più nota, […] per indicare cioè la maniera con cui mascolinità e femminilità sono concepite
come categorie socialmente costruite, in opposizione a sesso che si riferisce invece alle
distinzioni biologiche tra maschio e femmina»
3
. Davidoff scrive che «each generation looks
at the past through its own lens and its history is always informed by suppositions and
judgements
4
». È per questo motivo che le donne sentono la necessità di reinterpretare la
storia anche secondo il loro punto di vista, quasi riscrivendola, e portando alla luce la
disparità di trattamento di cui gli uomini hanno spesso beneficiato. Dalla storia, il genere
inizia a pervadere ogni aspetto della vita delle persone, estendendosi alla letteratura, alla
psicologia, alla filosofia, alla politica, in un modo sempre più diffuso, arrivando al punto in
cui non è più possibile fare a meno di includere il genere in qualsiasi ambito pubblico o
privato della vita degli individui. Negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna «[…] la presenza del
1
Fazio I., “Gender History”, http://www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/gender_history_b.html
2
Docente presso il dipartimento di sociologia dell’università di Essex, Gran Bretagna
3
Fazio I., “Gender History”, http://www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/gender_history_b.html
4
Ogni generazione guarda al passato attraverso i propri occhi e la loro storia è sempre influenzata da
supposizioni e giudizi. Davidoff L., “Gender and the "Great Divide": Public and Private in British Gender
History” : Journal of Women's History, Volume 15, Number 1, Spring 2003, pp. 11-27