Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
dell'eroe nella cospirazione di Genova favorendo, in questo modo, la
diffusione della fama che aveva avuto origine in Sudamerica. Nell'opera si
ripercorre la vita del Condottiero ponendo in risalto episodi della sua vita
utili all'esaltazione dell'umanitarismo, della predisposizione al pericolo,
della difesa della libertà e della vita di tutti gli uomini2. Al di là della
veridicità di questi fatti essi sono ricostruiti ad arte per diffondere nel
paese natio, l'Italia, le gesta del Condottiero facendo di lui il simbolo del
patriottismo, il difensore dei popoli oppressi dal giogo della tirannide. In
queste pagine vi è la tendenza a mettere in luce determinati fatti
lasciandone in ombra altri: non si fa infatti menzione dell'aiuto ricevuto
dalla marina inglese contro l'ammiraglio Brown3 in occasione della guerra
tra Uruguay e Argentina. Cuneo dà amplissima risonanza alla battaglia di
Salto, punto cruciale per la diffusione del mito in Europa e Sudamerica,
ma che, come vedremo più avanti, gli fu attribuita più dalla propaganda
che dai fatti. La sua mitizzazione, iniziata a Marsiglia dopo la condanna a
morte da parte del tribunale di Genova e proseguita in Sudamerica, si
accentuò con l'eroica difesa di Roma, venendosi poi a consolidare
definitivamente dopo l'impresa dei Mille. Il nostro intento è quello di
dimostrare come Garibaldi sia stato idealizzato dalla propaganda
mazziniana che agiva sia in Europa che nelle plaghe sudamericane e come
l'abilità dei diversi biografi abbia contribuito alla diffusione del mito.
L'ampia notorietà, acquisita dal Condottiero, venne diffusa attraverso la
propaganda, nel Rio Grande do Sul e in Uruguay ad opera di giornali
2 «Un povero negro era caduto in mare tra mezzo i bastimenti, mentre un vento furioso sollevando le
acque facevali cozzare l'un contro l'altro e rendeva oltremodo pericoloso l'azzardarsi a dare aiuto a
quell'infelice; e Garibaldi alla vista dei molti spettatori curiosi e indifferenti, non curando la propria
vita, si tuffava nella ribollente marina, e con robusta mano stringendo il negro, traevalo seco alla
sponda sano e salvo. Un negro non era per Garibaldi un fratello meno di un bianco». Gian Battista
Cuneo, Biografia di Giuseppe Garibaldi, Raffaello Giusti Editore, Livorno, 1932, [ristampa del
1849], p. 5.
3 Di origine irlandese ma a capo della marina argentina.
5
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
mazziniani, i cui sforzi erano diretti ad esaltare le gesta di un eroe che,
secondo i loro intenti, avrebbe dovuto capeggiare il movimento di
liberazione italiana. La sua ulteriore fortuna fu creata dalla presenza in
Uruguay di interessi francesi e inglesi che contribuirono a far dilagare il
mito oltre i confini americani. L'esaltante immagine del valoroso
condottiero, attraverso diversi canali informativi, giunse fino in Italia
all'attenzione di politici e popolani. L'idea che aveva suscitato rispondeva
nella realtà ad un personaggio che aveva tutte le qualità per assurgere a
figura mitica. In circostanze diverse dove la capacità di agire e il coraggio
servono a poco, Garibaldi sarebbe rimasto anonimo e anonimo sarebbe
rimasto se nella prima parte della sua vita i mazziniani non avessero
contribuito alla formazione della sua leggenda4. Riassumendo, il mito
nacque da circostanze fortuite nel 1833-34 e si consolidò (come vedremo
più avanti) in America del Sud attraverso l'opera dei mazziniani; dopo le
vicende che lo videro protagonista della Repubblica Romana, si venne
creando attraverso le biografie il mito militare (dovuto al fenomeno del
volontarismo) che assumerà una connotazione politica solo dopo la
spedizione dei Mille. In occasione dell'impresa di cui sopra, la fama del
Generale era ormai all'apice, i garibaldini vedevano in lui realmente una
figura eroica; la storia attraverso le biografie era diventata leggenda e la
leggenda divenne mito. Non si può fare a meno di notare che le opere
biografiche scritte su Garibaldi nel periodo in cui egli era ancora vivente
furono creatrici del mito5 e che, quelle scritte dopo la sua morte,
risentirono ampiamente dell'alone mitico creato dai biografi precedenti. Le
4
Indro Montanelli e Marco Nozza, Garibaldi, Rizzoli, Milano, 1975, [ristampa del 1962], p. 609.
5 «La narrazione giocò un ruolo cruciale nel dare forma alla percezione popolare di Garibaldi». Lucy
Riall, Storie d'amore, di libertà e d'avventura, etc., op. cit. p. 170.
6
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
opere agiografiche dell'Ottocento come quella di Guerzoni6, di Abba7, di
Dumas8, di Dwight e di Guerazzi, per citare solo le più note, influirono
fortemente sulla storiografia successiva; è difficile, oserei dire impossibile,
rinvenire tra i biografi del diciannovesimo secolo qualcuno che possa
essere considerato al di sopra delle parti. Vi è stata in ognuno dei biografi
su citati, una tendenza pedagogica e politica, atta a snaturare la realtà dei
fatti e il ruolo effettivamente svolto dal Generale nelle vicende che
condussero all'Unità, questa tendenza è in parte probabilmente attribuibile
al delicato momento storico nel quale le opere vennero redatte. Queste
testimonianze ebbero una notevole presa sulla storiografia del periodo
fascista che ne fece un uso prettamente politico inserendo il Generale,
insieme e tutti gli eroi del Risorgimento, in una galleria di busti intoccabili
e quasi sacri; esaltandoli all'inverosimile però automaticamente ci si
allontanava dalla realtà9. Un esempio del recupero della figura del
6 Giuseppe Guerzoni viene considerato il più obiettivo tra i biografi di Garibaldi. Egli prese parte alla
guerra del 1859, si arruolò nel '60 con Garibaldi; segretario di Depretis nel 1862 abbandonò questa
carica per essere con il Condottiero in Aspromonte; deputato nel 1865, due anni dopo a combatté a
Mentana, poi nel 1870 fu tra i soldati che entrarono a Roma. Nel 1874 divenuto professore si dedicò
agli studi letterari e storico-politici, nella sua opera Garibaldi mostra grande ammirazione per il
Condottiero, la narrazione romanzesca, contribuì all'elevazione del Generale. Cfr.: Antologia di
scrittori garibaldini, a cura di Gaetano Mariani, Universale Cappelli, Bologna 1962.
7 Molti altri scrittori contribuirono alla diffusione del mito importantissimo fu Giuseppe Cesare Abba, il
quale narra esperienze vissute in prima persona. La sua narrazione è densa di particolari e anch'egli
come tutti gli scrittori garibaldini non può fare a meno di cedere alla trasfigurazione mitica dei fatti
che ha vissuto: «Sempre sorridente e colla buona novella in fronte, arrivò ultimo Garibaldi collo Stato
Maggiore. Cavalcava un baio da Gran Visir, su di una sella bellissima, colle staffe a trafori. Indossava
camicia rossa e calzoni grigi, aveva in capo un cappello di foggia ungherese e al collo un fazzoletto di
seta [...] guardandoci con aria paterna si spinse fino in capo alla colonna. [...] Io lo guardo e ho il
senso della grandezza antica». Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno, noterelle di uno dei
mille, Bologna 1932, p.21. Anche Abba come quasi tutti gli scrittori garibaldini fa risalire il primo
incontro di Garibaldi con Mazzini e la sua affiliazione alla Giovine Italia al 1833, favorendo in questo
modo, insieme a tutti gli altri biografi, la diffusione di un'idea ben precisa del Condottiero. Cfr.:
Giuseppe Cesare Abba, Garibaldi,Vallardi, Milano-Roma-Napoli, 1907.
8 Si veda il 1° capitolo.
9 «La nuova generazione, che amava scherzare sulla mania di riabilitazioni occasionali della
storiografia erudita, ha spesso ceduto a una troppo grande tentazione, mentre rivedeva l'ingenua
apologetica della storiografia del Risorgimento italiano (Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio
Emanuele, delle stampe popolari) [...]». Delio Cantimori, Storici e storia, Enaudi, Torino 1971, p.
277.
7
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
Generale fu Giacomo Emilio Curatolo, il quale esaltava Garibaldi10 a
discapito di Mazzini. Anche la colossale opera del Sacerdote pur essendo
molto dettagliata e densa di documenti inediti, non è priva di intenti
agiografici, poiché, attingendo ampiamente alle suddette opere tradizionali
contemporanee o di poco successive alla vita del Condottiero, non fece
altro che esaltarne la figura. Durante la Resistenza, vi fu un tentativo di
recuperare Garibaldi come simbolo della libertà e dei movimenti di
sinistra che avevano partecipato con le lotte partigiane alla cacciata dello
straniero dal suolo patrio. Esempio di questo tipo di storiografia
potrebbero essere Aldo Romano11 e altri studiosi del socialismo come
Letterio Briguglio12 i quali hanno esaltato le radici del movimento
socialista nella figura del Generale. Ancora nel 1962 Indro Montanelli
(fascista durante il ventennio), insieme a Marco Nozza scrisse un'opera su
Garibaldi, affermando di essere stato in apprensione in occasione della
sua uscita13. Ancora in quel periodo, a distanza di così tanto tempo, il
Condottiero era una di quelle figure intoccabili del Risorgimento: parlare
di lui soltanto in maniera positiva, senza senso critico, avrebbe significato
creare un'ulteriore opera agiografica, mentre l'intento di essere obiettivi
avrebbe potuto scalfire l'immagine di uno di quei personaggi intoccabili,
che nell'immaginario popolare devono restare così come sono14. Soltanto
attraverso le opere agiografiche si può però comprendere come il mito
abbia agito prepotentemente su quei personaggi che, volontariamente o
involontariamente, contribuirono ad esaltare le gesta del Generale. Tutte
le opere scritte fino al secondo dopoguerra ripercorsero la storia del mito,
10 Cfr.: Giacomo Emilio Curatolo Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi, Mondadori, Milano, 1928.
11 Cfr.: Aldo Romano Il mito garibaldino, in «Rinascita», febbraio 1945.
12 Cfr.: Letterio Briguglio, Garibaldi e il socialismo, Sugar Co Edizioni, Milano, 1982.
13
Indro Montanelli-Marco Nozza, Garibaldi, op. cit. p. 608.
14
Ibidem.
8
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
non la vera storia del Condottiero; soltanto nel decennio 1970-80 e in
modo particolare dopo il 1982, centenario della sua morte, ci sono stati dei
veri e propri tentativi di reinterpretare questa storica figura cercando di
analizzarla in modo più obiettivo e corretto, si è tentato di mettere in luce
anche i suoi limiti analizzando come il mito abbia agito nella sua
deificazione o “nazarenizzazione” (per usare un termine di Omar
Calabrese). A questo obiettivo hanno lavorato autori quali Scirocco,
Ugolini, Ridley, Milani, Emilia Morelli, Galante Garrone, Della Peruta,
etc., con opere biografiche ma anche attraverso l'analisi di parti limitate
della vita dell'eroe, seguendo quella consuetudine ormai invalsa definita in
gergo «parcellizzazione» degli avvenimenti storici.
Insieme alle biografie un ruolo molto importante lo ebbe Mazzini.
Quando egli cercò di prendere in mano le redini del mito (1846-48), che
andava sempre più consolidandosi, fu limitato dalle incomprensioni che si
vennero instaurando tra lui e l'eroe; le diverse personalità impedirono loro
di addivenire ad un seppur vago punto di incontro. Le conseguenze di
queste incomprensioni non ebbero però solo risvolti di carattere personale
ma condizionarono non poco le vicende che condussero dal 1849 (anno
della Repubblica Romana), passando per l'unificazione italiana, fino alla
definitiva presa di Roma. La netta divaricazione tra mazzinianesimo e
“garibaldinismo” può essere addebitata principalmente alla mancanza di
un pensiero compiuto di Garibaldi. Quest'ultimo, infatti, si prestava più
facilmente di Mazzini alle interpretazioni strumentali delle diverse correnti
democratiche, le quali tentarono sempre di dargli un sostrato politico
confacente alle loro esigenze. Mazzini al contrario era difficilmente
influenzabile perché aveva posizioni politiche ben precise e in particolar
modo le sue idee non potevano essere adattate al nascente movimento
9
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
socialista, egli era totalmente avverso all'ateismo marxista e alla teoria
della lotta di classe, riteneva tutto ciò immorale.
Intorno alla figura dell'eroe, nel decennio che va dal 1850 al 1860, si era
andato coagulando un folto gruppo di persone che si richiamava a principi
umanitari e democratici, quello che la storiografia ha definito
“garibaldinismo”. Gli aspetti che fanno capo a questa definizione sono
molteplici: innanzitutto non vi è una chiara distinzione con il
mazzinianesimo, alle cui idee il predetto movimento attinse a piene mani, le
due diverse correnti, diventavano per alcune personalità del periodo fasi di
una diversa evoluzione politica. Il “garibaldinismo” probabilmente superò
il mazzinianesimo creando le basi per una stretta collaborazione con la
monarchia, atta alla creazione di un'opposizione democratica volta ad una
lotta interna alle istituzioni (Crispi). Venne meno quindi nel
“garibaldinismo” quella tendenza antisistema e rivoluzionaria che è tipica
nei mazziniani, per far posto a dinamiche politiche non prive di una
matrice rivoluzionaria ma pur sempre inclini alla contestazione legale
(Bertani). Questo diede vita a diverse forze che si richiamarono alla figura
dell'eroe: egli fu conteso tra Cavour e Crispi, tra Bertani e Mazzini, tutti
cercarono di portarlo nella propria orbita. A rendere ancora più intricata
la trama di queste vicende furono i rapporti che Garibaldi allacciò con le
diverse associazioni sparse nel paese. Negli anni che vanno dal 1860-70 il
Generale curò molto l'associazionismo, centro nevralgico da cui sarebbe
dovuta passare l'iniziativa unificante che avrebbe condotto a Roma
capitale. Il Generale, nel tentativo di fungere da elemento unificante per le
forze democratiche del paese, non si tirò mai indietro divenendo il simbolo
di molteplici correnti spesso tra loro, se non in contrasto, quantomeno in
disaccordo. Egli, non avendo idee politiche ben precise (a differenza di
10
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
Mazzini), si prestava facilmente alle strumentalizzazioni di chi voleva in
ogni modo politicizzarlo. Successivamente, dopo il 1870, anche i socialisti
si richiamarono alla figura del Condottiero, si fecero scudo di lui e del suo
socialismo definito umanitario per poi con l'evolversi dei tempi richiamarsi
a icone più sacre.
Quando il Generale morì, il suo mito assunse una funzione pedagogica,
furono gli stessi garibaldini a sentire l’esigenza di alimentarne il mito.
Distese di statue, francobolli, l’immagine dell'Eroe circolava per ogni
scusa che lo potesse permettere. Il tutto ebbe un valore formativo,
bisognava educare le nuove generazioni; ogni garibaldino aveva la sua
idea di Garibaldi, ognuno aveva visto in lui, o aveva voluto vedervi, valori
ben determinati e un proprio ideale di cittadino.
«Se per Cuneo l’italiano ideale, il vero patriota, è colui che, senza indugiare,
offre la propria vita per salvare la Patria, per Bizzoni e la White Mario è
colui che non dimenticherà mai i sacrifici e le sofferenze subite e sopportate
eroicamente dai volontari garibaldini. Se per Guerzoni il giovane italiano ha
il dovere di conoscere in maniera completa ed “esemplare” la storia patria, al
fine di operare sempre in funzione di un miglioramento ed un progresso
sociale indispensabili alla crescita dell’Italia, per Dumas è colui che sa
scoprire nel gusto di un romanzo avventuroso e affascinante la radice storica
delle sorti della futura Italia. Il cittadino italiano ideale è comunque colui
che (secondo quanto traspare dalle osservazioni biografiche degli scrittori
garibaldini) sa rispettare e tramandare come una “santa memoria” il credo
garibaldino, esemplarmente riportato nel Catechismo laico di fede
rivoluzionaria»15.
Il mito di Garibaldi venne quindi fondato in funzione fortemente
pedagogica, fu una figura realmente vicina al popolo, non solo perché
15 Rossella Certini, Il mito di Garibaldi. La formazione dell’immaginario popolare nell’Italia unita,
UNICOPLI, Milano, 2000, p.146.
11
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
lottava per loro ma perché lottava con loro; essi, rimasero affascinati dalla
figura del soldato fra i soldati, di quello che mangiava alla loro tavola,
dell’eroe contadino che a Caprera lavorava la terra. Pur essendo egli
fortemente anticlericale la sua figura era stata avvicinata a quella di
Gesù16; quella di Garibaldi fu una religione laica, che ogni corrente del
Risorgimento cercò di fare propria e di trasmettere innervata dei propri
valori. Garibaldi fu l’ultimo mito romantico, un mito che nasce dalla
politica e si alimenta delle imprese militari, un mito che serve alla politica,
compresa quella che si fa da sponde opposte. Ecco quindi le diverse
interpretazioni, il Garibaldi socialista comincia dopo la difesa della
Repubblica francese e dura circa fino ad un trentennio dopo la sua morte;
quello presentatoci dalle ali più estreme è un mito umanitario,
repubblicano e violentemente anticlericale: è il Garibaldi del libero
pensiero. Il Generale venne considerato socialista essendosi definito figlio
del popolo e condottiero popolano, lui aveva poi rifiutato la dottrina
mazziniana perché privilegiante gli intellettuali17 e perché più vicina
all'utopia che alla realtà.
Molteplici passi avanti sono stati fatti, ancora oggi però alcune figure del
Risorgimento e in modo particolare quella di Garibaldi, risentono
ampiamente della tradizione agiografica che ha inteso dare
all'unificazione un significato quasi divino. Questi motivi ci hanno
indirizzato verso un lavoro teso a mettere in risalto alcune tematiche ormai
assodate dalla storiografia ma che non potranno mai essere
completamente accettate se il mito continuerà ad avere un impatto così
forte su chi si avvicina all'argomento. Dopo aver consultato un rilevante
16 Omar Calabrese, Garibaldi: tra Ihvanoe e Sandokan, Electa, Milano, 1982, pp. 5-7.
17 Rossella Certini, “Mito di Garibaldi, la formazione dell'immaginario popolare nell'Italia unita”, op.
cit. p. 147-148.
12
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
numero di opere biografiche, di periodici e di quotidiani dell'epoca, si è
giunti alla conclusione che, pur avendo avuto un ruolo importantissimo, il
Condottiero è stato spesso inconsapevolmente strumentalizzato, questo ha
portato alla lacerazione dell'universo democratico: alcune correnti interne
al suddetto movimento, pur richiamandosi spesso agli stessi simboli
portavano avanti istanze differenti. Il “garibaldinismo”, secondo quanto
analizzato, non potrà mai essere un movimento politico vero e proprio
perché privo di un programma politico e di un'istanza sociale alternativa,
esso sarà soltanto la via emancipatoria per diversi movimenti politici i
quali faranno del Generale una bandiera, uno scudo, mediante i quali
difendersi dall'azione di un governo poco incline alla proliferazione di
gruppi rivoluzionari avversi al regime monarchico. Il nostro intento è stato
quello di mettere in risalto alcuni aspetti dell'Odissea di un'eroe molto noto
ma conosciuto in realtà soltanto superficialmente. Il fatto che la sua fama,
il suo mito abbiano avuto una così ampia diffusione è probabilmente
dovuto al fatto che – utilizzando una frase di Vernon – egli era un
«camaleonte culturale»18, aveva la capacità di incarnare diversi ideali e di
evocare diverse immagini, tutte confacenti a quelle che erano le aspettative
del suo pubblico.
In ultima analisi si affronta il tema di Garibaldi in Europa, in particolare
in Francia e in Inghilterra, dove egli per diversi motivi fu acclamato come
«soldier of freedom». Diverse sono le matrici di questi due paesi e diversa
fu la percezione che ebbero a riguardo del duce dei mille. In entrambi i
casi, egli fu considerato un simbolo da radicali, progressisti, repubblicani
e uno spauracchio da cattolici e ultra-conservatori. La stampa in Francia è
18 Jensen, John Vernon, Politics and the people. A study in English political culture, 1815-1867,
Cambridge University Press, Cambridge, 1993, pp. 258-265. Si cita da: Lucy Riall, Storie d'amore, di
libertà e d'avventura, op. cit. p. 167.
13
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
stata spesso inclemente ma le tendenze popolari sono sempre state
entusiaste nei suoi confronti. In Inghilterra la stampa fu molto favorevole
all'Italia, a questo molto influì la tradizione anglicana (avevano
un'avversione istintiva per il Pontefice), non bisogna però dimenticare che
essi subivano anche un forte fascino da parte dell'eroe senza macchia e
senza peccato. La fama di cui il Generale godeva in Inghilterra trovava poi
uno strumentale utilizzo nei giornali italiani interessati alla sua
esaltazione, creando un circolo vizioso in cui il vero protagonista era
appunto il mito. Il 1864 fu l'anno della sua visita in Inghilterra, in questa
occasione la sua popolarità raggiunse l'apice, l'influenza sui circoli
radicali lo rese un simbolo della classe operaia. Il governo inglese per
evitare che egli potesse essere strumentalizzato da Mazzini e dall'ala
antisistema inglese, decise di porre fine alla sua visita che stava ormai
divenendo scomoda. Il suo soggiorno in Gran Bretagna incrinava i
rapporti con la Francia dove imperversava la controversia sulla difesa di
Roma e del Pontefice.
Anche dopo la morte egli lasciò nell'opinione pubblica nazionale e
internazionale un'immagine che rimarrà per sempre impressa nella
coscienza collettiva. Nel 1882 la sua popolarità era elevata ad un punto
tale da mettere il governo italiano nella condizione di dover impedire che i
suoi funerali avvenissero a Roma, al fine di evitare che potessero offuscare
quelli di Vittorio Emanuele II avvenuti quattro anni prima. In Francia alla
notizia della sua morte i lavori del Parlamento vennero chiusi per lutto e in
Inghilterra nessun giornale poté esimersi dal commentare questo tragico
evento. Il 10 giugno 1882, otto giorni dopo la sua morte uno dei principali
settimanali britannici “The Spectator” poneva la domanda: «Why did this
man, with no claim of birth, no education, no great power of thought, so
14
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
enchant the European democracy that he was for a quarter century a
perceptible force in Europe, that he was deeply reverenced by millions who
had never seen him?»19. Il lavoro che abbiamo intrapreso cercherà di
rispondere almeno in parte a questo delicato quesito.
19 The Spectator, 16-06-1882.
15
1 Genesi del mito
L'universo degli uomini
si pasce così di quel che
pare come di quello che
è.
Niccolò Macchiavelli
Il mito si caratterizza per la sua capacità di rendere reale l'irreale o
viceversa1, bisogna notare quindi che, per quanto riguarda il caso
Garibaldi, le opere scritte dai suoi biografi quando lui era ancora in vita
tendevano a creare il mito laddove le notizie erano più scarse o di difficile
reperimento, un esempio a riguardo è il periodo precedente alla partenza
per il Brasile. Questo lasso di tempo è il più difficile da analizzare visto che
le fonti sono meno attendibili. Per diversi motivi gli storici che si sono
accinti nel recente passato alla storia del Risorgimento hanno sempre
preferito non addentrarsi nello studio analitico di questo personaggio, onde
evitare di trovarsi alle prese con una vastissima bibliografia quasi
esclusivamente a carattere agiografico. Il mito ha pervaso quasi tutte le
opere facenti parte della mastodontica bibliografia scritta da Anthony P.
Campanella, è proprio questo il punto da cui partire per mettere in risalto
come, la monumentalizzazione dell'eroe, ha agito nella creazione e nella
diffusione della sua fama. Soltanto nel 1982, anniversario della morte del
Generale, c'è stato un rinnovato impulso verso un serio studio della vita,
1 «Il ruolo del mito nel funzionamento e nella conservazione dei sistemi politici è stato da tempo
riconosciuto da parte degli storici. Il mito può essere definito in modo efficace come “un'insieme di
credenze, di solito messe in circolazione sotto forma di racconto, concepite da una comunità riguardo
a se stessa [...] [basate su] percezioni piuttosto che su verità accertate storicamente”». Lucy Riall,
Storie d'amore, di libertà e d'avventura, op. cit. pp. 157-171.
16
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
delle battaglie e delle vicende politiche che hanno caratterizzato l'esistenza
di questo celebre personaggio. Tutto è stato indirizzato a mettere in risalto
le zone d'ombra dove il mito poté maggiormente attecchire. Questo lavoro
viene svolto sulla scia di scrittori ben più accreditati che abbiamo avuto
cura di citare nell'introduzione.
1.1 Prime avvisaglie del mito
Il mito agisce, oltre che attraverso le biografie, anche attraverso dipinti e
raffigurazioni a stampa, vi è una comune tendenza a trasfigurare la realtà
con l'ausilio di immagini considerate alla stregua di oggetti di culto. Dalle
indicazioni riprese da Fortini, nel registro dei marinai di Genova, si
possono apprendere quelle che erano le caratteristiche fisiche del
Condottiero: «Altezza: m. 1,66; capelli biondi; ciglia bionde; occhi cast.
chiari; fronte spaziosa; naso regolare; viso........; colorito bruno; segni
particolari......»2. Da questa prima notizia si può benissimo intuire che, ad
onta del mito, il colore degli occhi nelle stampe non è quasi mai rispettato,
egli viene sempre raffigurato con occhi azzurri, sul colore dei capelli invece
vi sono spesso discordanze, in alcuni casi viene definito biondo e in altri
castano3. Queste discordanze si manifestano successivamente alla sua
mitizzazione e mostrano ampiamente che vi è stato un tentativo di
ridipingere la figura del condottiero, definendolo alto, biondo, bello e su di
un cavallo bianco. Già le stampe e i dipinti apparsi dopo il 1850 ne danno
un'immagine non corrispondente alla realtà; questa trasfigurazione è uno
dei primi indici della volontà di conferire a questo personaggio
2 Pino Fortini, Giuseppe Garibaldi marinaio mercantile, (Pagine di storia marinara), Editrice
tecnografica Carlo Corvo, Roma, 1950, p. 13.
3 Jasper Ridley, Garibaldi, Londra, Constable, 1974: si cita la traduzione italiana, Milano, Mondadori,
1975.
17
Garibaldi e il “garibaldinismo”: Storia di un mito.
caratteristiche tali da farlo apparire agli occhi del popolo come un'ideale di
forza e di bellezza.
1.1.1 Le Memorie e le biografie nella diffusione del mito
Alcune vicende giovanili del Condottiero furono molto importanti perché,
attraverso la strumentalizzazione di queste, i biografi che si occuparono di
diffondere le sue gesta, poterono sfruttarle al fine di accentuarne il carattere
eroico4. Dal 1850 uscirono le prime opere inerenti il periodo sudamericano
(la biografia di Gian Battista Cuneo)5 e le opere che esaltavano la difesa di
Roma (di Guerrazzi e Dwight); la prima versione delle Memorie uscì invece
nel 1860 ad opera di Dumas, e da questa partiremo per analizzare gli anni
giovanili dell'eroe. Un episodio della vita di Garibaldi, ritenuto
importantissimo per l'influsso avuto sulle sue scelte successive, fino a
divenire attraverso il mito un elemento basilare della sua formazione
culturale, fu il viaggio a Costantinopoli con destinazione Tangarog in
Crimea. Secondo le più recenti ricostruzioni, Garibaldi partì da Marsiglia il
22 marzo del 1833, a bordo della nave Clorinda6, per un viaggio che faceva
rotta verso la Turchia, a bordo vennero ospitati tredici Sansimoniani facenti
parte della setta di Enfantin, questi venivano allontanati per aver dato
scandalo in Francia dissacrando istituti sacri quali la famiglia e il
matrimonio, e chiedendo la parità fra i sessi e l'emancipazione della donna7.
4 Coloro i quali scrissero del generale dopo la sua morte per consegnarlo alla leggenda e alla
venerazione non gli resero un buon servizio perché ne fecero una figura manierata scrivendo di lui in
modo banale e retorico e con uno stile comune. Cfr.: Giani Stuparich, Scrittori garibaldini, Milano,
1948.
5 Rossella Certini afferma che Spadolini definisce Cuneo un giornalista molto bravo perché dà
l’immagine dell’eroe ma anche dell’uomo. I due sono amici e Garibaldi viene descritto come un uomo
altruista, puro ma anche omerico sul campo di battaglia. La Patria viene sempre ossessivamente
presentata come l'elemento cardine, che non viene mai meno nella testa del Generale. Cfr.: Rossella
Certini, Il mito di Garibaldi. La formazione dell’immaginario popolare nell’Italia unita, op. cit.
6 Pino Fortini, Giuseppe Garibaldi marinaio mercantile, op. cit. p. 28.
7 Jasper Ridley, Garibaldi, op. cit., p. 41.
18