5
nel 1972 pubblicò, presso gli Editori Riuniti, tutte le opere
dell'autore secondo un ordine cronologico, e non sistematico,
degli scritti. Nell'Avvertenza del curatore si legge che
“secondo il progetto di massima, approvato dall'autore, si era
previsto di riunire e ordinare i testi più significativi nei
seguenti quattro volumi:
I. Logica e Metodologia (Critica dei princìpi logici, Logica
come scienza positiva, Saggio sulla dialettica, Chiave
della dialettica storica);
II. Economia, morale e politica (La teoria marxista
dell'emancipazione umana, La libertà comunista, Per la
teoria di un umanismo positivo, Rousseau e Marx);
III. Estetica (Crisi critica dell'estetica romantica, Il verosimile
filmico, Poetica del Cinquecento, Critica del gusto);
IV. Storia della filosofia (Hegel romantico e mistico, La
filosofia dell'esperienza di David Hume, Eckhart o della
filosofia mistica)”
3
.
Tuttavia, l'opera di D.V. apparendo “quasi come la
continua elaborazione e il continuo rifacimento di tre libri
dedicati ai tre argomenti nei quali, secondo un'ispirazione
innegabilmente classica [...], si articolava, naturalmente per
lui, la ricerca filosofica, e cioè la logica, l'etica e l'estetica, in
una stretta compenetrazione di ricognizione storica e
costruzione teorica”
4
, si ritenne opportuno di abbandonare la
convenzionale quadripartizione per discipline e di disporre
invece i testi in sei volumi, seguendo un criterio cronologico
3
Della Volpe 1929/1972, I: VII.
4
Giannantoni, 1976: 10.
6
rigoroso che consente di cogliere, nei suoi molteplici
sviluppi, l’ iter completo del pensiero dellavolpiano.
Volendo circoscrivere lo studio del pensiero
dellavolpiano alla sola lettura della filosofia hegeliana, mi
limiterò ad individuare le problematiche, i dubbi, le
prospettive di analisi che Hegel affronta nei suoi scritti,
secondo l'interpretazione che D.V. ne offre a cominciare dal
1929.
Il lavoro storiografico sul giovane Hegel, che D.V.
pubblica in quell’anno con il titolo Le origini e la formazione
della dialettica hegeliana. I: Hegel romantico e mistico
(1793-1800), si presenta come un tentativo di ampliare il
campo di ricerca sull'origine e sulle influenze culturali che
autori come Kant, Hölderlin, Schleiermacher,Von Haller,
F.Schlegel, Novalis, Schelling, Goethe hanno esercitato sul
sistema filosofico hegeliano. Infatti, osserva D.V., dopo aver
citato Dilthey e Rosenzweig, “chi scrive crede giustificate le
pagine seguenti soprattutto per queste due ragioni: che il
primo degli studiosi succitati, il Dilthey, non potè vagliare
nella sua fondamentale Storia della gioventù di Hegel tutto il
materiale, mancando allora, nel 1905 l'edizione critica e
integrale di esso, fornita poi dal Nohl nel 1907: e che il
secondo, il Rosenzweig, cui fu possibile tenere dinanzi
l'edizione suddetta, studiò, nel suo Hegel e lo Stato, la
gioventù di Hegel da un punto di vista prevalentemente
biografico e preoccupandosi, in principal modo, dello
sviluppo delle dottrine politiche del giovane Hegel. Noi
abbiamo tentato, invece, di abbracciare nella sua interezza e
7
complessità lo sviluppo mentale dello Hegel giovanile dal
1793 al 1800, badando soprattutto a segnare la linea di
progresso speculativo che si palesa attraverso le prime
esperienze di pensiero del nostro autore [...] . Dall'assieme
della nostra ricerca è scaturito un Hegel giovane diverso da
quello un po' ipotetico della letteratura tradizionale, ma
fedele, crediamo, ai documenti da lui lasciateci“
5
.
Ciò che accomuna questo scritto del 1929 con i lavori
successivi di D.V. dedicati alla critica della filosofia
hegeliana, è il tentativo di dimostrare come nello “sviluppo
mentale” di Hegel tra la fase iniziale illuministica - che si
esaurisce alle soglie dello Spirito del Cristianesimo - e quella
sistematica della filosofia dialettica, vi è anche una fase
“romantica e mistica”.
Se nel 1929 D.V. sottolinea l’influenza che il panteismo
estetico di Hölderlin e il panteismo mistico di Eckhart
esercitarono sulla formazione filosofica del giovane Hegel,
dal 1942, con il saggio Critica dei princìpi logici, ampliato e
ristampato nel 1956 con il titolo Logica come scienza
positiva, al 1967, con lo scritto Critica dell’ideologia
contemporanea. Saggi di teoria dialettica, la critica di D.V. è
rivolta a denunciare il persistente platonismo e implicito
misticismo che connota l’intera filosofia speculativa moderna
e contemporanea, con particolare attenzione alla filosofia di
Hegel. Infatti, dal 1942 in poi, D.V. esprime il suo radicale
rifiuto della dialettica idealistica, della sua concezione
negativa del sentimento o molteplice concreto, inteso,
5
Della Volpe 1929/1972, I: 41.
8
secondo il modulo del razionalismo, come un momento
inferiore ed indistinto del processo della verità, che solo la
ragione illumina e cui conferisce consapevolezza. La
surrettizia introduzione della realtà empirica compiuta dalla
filosofia idealistica di Hegel, la sua ipostasi, il suo
apriorismo, secondo D.V., possono venir superati e
demistificati grazie al metodo ipotetico-deduttivo che tiene
conto del presente storico in quanto prodotto della reciproca
funzionalità di pensiero e processo reale.
9
Le origini e la formazione della dialettica hegeliana.
I: Hegel romantico e mistico (1793-1800)
L'opera di Hegel si colloca in un'epoca della storia
europea caratterizzata da un fitto intreccio di sviluppi
politico-sociali e da un continuo mutamento culturale. È il
periodo della Rivoluzione Francese, dell'Impero
Napoleonico, della formazione di movimenti nazionali e
della Restaurazione, dell'avvento del Romanticismo e della
riscoperta del Classicismo o, come spesso viene detto, è
“l'età di Goethe”, per riassumere in una figura irriducibile a
qualsiasi contesto socio-culturale limitato un quadro così
complesso e ricco di avvenimenti in cui la filosofia hegeliana
si pone come riflessione e sintesi, come giudizio e
comprensione concettuale.
Nato a Stoccarda nel 1770 Georg Wilhelm Friedrich
Hegel, proveniente da una famiglia piccolo borghese, si
forma nel seminario protestante di Tubinga,studiandovi
filosofia e teologia insieme a Hölderlin ed a Schelling, con i
quali condivide anche l'entusiasmo per la Rivoluzione
Francese ai suoi albori. Si nutre di cultura settecentesca
(legge Rousseau, Lessing, Herder) e partecipa alla riscoperta
neoumanistica dell’ antichità greca; ma al centro della sua
riflessione si trova la filosofia morale e religiosa di Kant.
Addottoratosi nel 1793, si impiega come precettore privato a
Berna e, dal 1797 al 1800, a Francoforte. Gli scritti di questi
10
anni, per lo più frammentari, verranno pubblicati solo nel
1907 con il titolo Scritti teologici giovanili. L' interesse che
Hegel manifesta nei primi di quegli scritti è soprattutto di
carattere storico. Affronta problemi come il tramonto delle
religioni classiche, greca e romana, l'avvento di quella
cristiana, la sua propagazione nel mondo antico, lo sviluppo
del giudaismo, temi che sembrano strettamente connessi con
la posizione assunta da Hegel nei confronti del suo tempo,
inserendosi in un suo disegno che potremmo definire di
pedagogia civile, il quale ha illustri precedenti
nell'Illuminismo tedesco. V'è il progetto, per esempio, di una
religione nazionale (Volksreligion), un progetto che è
politico-religioso come è politico-religioso il dispotismo che
ha defraudato i popoli della libertà e del senso dell'onore,
contro il quale il giovane Hegel intende reagire.
Lo stesso titolo proposto dal Nohl per questi scritti, però,
si mostra inadeguato: il metodo che viene adottato negli
Scritti teologici giovanili sembra tutt'altro che teologico,
anzi, come spesso qualche critico ha ravvisato, con alcuni
vivaci spunti polemici contro la teologia tradizionale.
È necessario, anzitutto, ricordare la scelta metodologica
operata da Hegel nel portare l'attenzione su quelle nascoste
rivoluzioni dello spirito dell'epoca che hanno preceduto le
grandi rivoluzioni avvenute nella realtà storica, politica e
spirituale. Diventa evidente, quindi, che i veri problemi
religiosi, quali il significato dell'ebraismo, i caratteri e le
conseguenze dell'insegnamento di Cristo, i rapporti con il
cristianesimo ed il confronto ideale con la civiltà classica,
11
non vengano considerati da Hegel dal punto di vista usuale
della critica storico-filosofica (interessata soprattutto alla
ricerca di fonti, all'autenticità dei testi, al confronto delle loro
diverse edizioni), ma piuttosto in relazione ai grandi
problemi storico-filosofici dello sviluppo dello spirito dei
diversi popoli. In altri termini il cristianesimo, l'ebraismo, la
figura di Cristo, più che come fatti storicamente determinati,
vengono studiati ed analizzati come specifici momenti del
rapporto della coscienza umana con la divinità, in una
complessa dialettica che va dalla contrapposizione e
scissione alla nostalgia della ri-conciliazione.
12
L'utopia della “Volksreligion”
Nel primo frammento degli Scritti teologici giovanili,
intitolato Religione nazionale [Volksreligion] e
cristianesimo, Hegel, dopo aver ricordato l'importanza che la
religione ha nella vita quotidiana dell'uomo, dichiara
apertamente come questa si innesti “su un bisogno naturale
[morale] dello spirito umano”
6
. “Non spaventiamoci dunque
se dobbiamo credere di trovare che la sensibilità è l'elemento
principale in ogni azione e sforzo umano [...]. Quanto più
rigorosamente in un sistema di morale la pura moralità è in
abstracto separata dalla sensibilità, tanto più questa ultima è
svalutata rispetto a quella; tanto più noi, nella considerazione
dell'uomo in generale e della sua vita, dobbiamo dare
particolare considerazione alla sua sensibilità, alla sua
dipendenza dalla natura esterna ed interna, da ciò che lo
circonda e da ciò in cui vive, dalle inclinazioni sensibili e
dall'istinto cieco”
7
. Il tentativo di Kant, quindi, di definire “la
religione entro i limiti della sola ragione” si mostra ormai
inadeguato. Cade, come impensabile ed ipocrita, l' illusione
che la religione, privata di tutti gli elementi positivi, possa
ancora identificarsi con il cristianesimo. Diventa una mera
utopia il ritenere che un comando universale, solo perché
imposto dalla ragione, si possa spogliare del suo carattere
positivo; infatti la stessa obbedienza all'imperativo categorico
viene considerata non più come realizzazione dell'autonomia
6
Hegel, 1989: 57.
7
Hegel, 1989: 58.
13
del singolo, ma come una eteronomia nella quale l'uno
diventa schiavo di un intrinseco padrone.
L'analisi filosofica di Hegel, tuttavia, non è focalizzata
sull'esclusione delle facoltà razionali dall'ambito dell'agire
umano ma sul loro accordo con esso. La ragione conserva
nell'uomo concreto il suo pieno valore proprio perché le idee
della ragione animano moralmente l'intero tessuto delle
sensazioni dando ad ogni inclinazione ed impulso uno
specifico colorito. Per questo motivo l'aspra polemica che
Hegel conduce contro il razionalismo morale kantiano non
avviene in nome di un “empirismo” del quale viene
esplicitamente affermato che “non è in grado di porre
principi”, ma è intenta a sottolineare come ogni forma di
razionalizzazione integrale della religione, sia essa
illuministica o kantiana o teologica, si mostri inadeguata a
soddisfare l'esigenza di unità tra sensibilità e ragione
8
. Di qui
la definizione hegeliana di una religione che deve riguardare
il cuore, capace di influire sui nostri sentimenti e sulle
determinazioni della nostra volontà, non più riconducibile
agli astratti principi dogmatici dell'intelletto. La religione,
dunque, non deve essere una pura scienza di Dio e dei suoi
attributi, nè una sola conoscenza storica e intellettuale; ma, al
contrario, deve prendere in considerazione le necessità
proprie della sensibilità umana, senza sacrificarle in nome di
una astratta morale intellettualistica poiché, osserva D.V.,
8
Secondo Della Volpe, l'esigenza di unità della ragione e della
sensibilità Hegel la ricaverebbe dalla lettura dell'opera di Schiller,
Grazia e Dignità (1793), in cui viene affermato che "il dovere può
accordarsi con l'inclinazione e che da questo accordo risulta una grazia
morale che è lo stesso dovere divenuto inclinazione" [Della Volpe
1929/1972, I: 56].
14
“gli impulsi religiosi alla moralità debbono essere
necessariamente sensibili, per poter agire sui sensi”
9
.
Secondo lo Haering, questa connessione di sensibilità e
ragione ha sempre perseguito un'unica tematica del pensiero
hegeliano: il ristabilimento dell'unità (ragione-sensibilità) di
contro alla scissione (kantiana-intellettualistica). Scrive,
appunto, lo Haering nella sua opera Hegel, sein Wollen und
sein Werk: “Hegel, apparentemente in piena unità su questo
punto con Schiller, si volge contro la dualistica lacerazione
che Kant ha operato dell'uomo come peculiare caratteristica,
secondo loro, della sua etica. E ciò dimostra ancora una volta
l' unilateralità del pensiero fondamentale di Hegel da noi già
messa in luce: [...] religione e moralità sono per lui
manifestazioni istintivamente separabili dell'unica vita
vivente di un popolo e dell'unica natura umana intesa come
una totalità”
10
. In questa prospettiva totalizzante, non ancora
scandita dal ritmo dialettico-speculativo
11
, Hegel affronta la
tradizionale questione illuministica del rapporto tra religione
positiva e religione naturale.
È opportuno ricordare che quando si parla di religione
positiva si fa riferimento ad una religione anti-naturale o
soprannaturale le cui conoscenze trascendono il nostro
intelletto e la nostra ragione e richiedono sentimenti ed
azioni che non sorgerebbero spontanei dall'uomo. La
9
Hegel, 1989: 57.
10
Haering, 1929: 357.
11
Anche se questo antintellettualismo di Hegel rientra nel quadro delle
reazioni protoromantiche all'illuminismo, osserva Mario Rossi, ciò che
distinguerà Hegel dai romantici sarà proprio il suo nuovo metodo
dialettico che, in questi frammenti bernesi, ancora non è nato [Rossi,
1970: 98].
15
religione diventa così la fides qua creditur, un insieme di
“formule morte” che si possono “ordinare in paragrafi,
ridurre a sistema, esporre in un libro, presentare agli altri
mediante discorsi”
12
e che nulla sanno dire al credente che vi
si rivolge. È necessaria, allora, una religione “vivente”, in
grado di parlare al cuore degli uomini solo con sentimenti ed
azioni; una religione che non si esprima attraverso una
ortodossia dogmatica-dottrinale, ma che penetri
nell'interiorità umana al fine di ridurre quel rapporto di
lontananza che si è venuto a creare tra l'uomo e la divinità.
Per Hegel, in sintonia con la posizione luterana, non ha
importanza che l'uomo conosca bene la sua religione, ma è
importante che egli senta in se stesso l'opera e la prossimità
di Dio.
In un suo saggio del 1987, apparso in Martin Lutero,
Prefazioni alla Bibbia, Marco Vannini scrive:
“L'affermazione di Lutero che, senza fede, tutto è morte e
peccato, va dunque intesa non nel senso per cui la fede è una
credenza di tipo gnostico, ma nel senso per cui è conoscenza
dello spirito nello spirito, esperienza di luce e di verità che
può essere propria dell'uomo in ogni tempo e in ogni luogo
[...], giacché non è un contenuto dogmatico, ma un soggetto,
uno spirito”
13
. Così la religione soggettiva, non confondibile
con la “teologia” tradizionale che disputa intorno ai dogmi e
offre astratte soluzioni metafisiche, si sviluppa su un insieme
di princìpi religiosi e di sentimenti che, riversandosi nella
condotta generale, elevano e nobilitano lo spirito di una
12
Hegel, 1989: 60.
13
Vannini, 1987: XXII. I corsivi sono miei.
16
nazione: ecco apparire, in forma approssimativa, il concetto
hegeliano di religione nazionale. Con la nozione della
Volksreligion Hegel vuole riabilitare tutti quei princìpi
teologici che sono stati “raffreddati” dall'analisi
intellettualistica (come i concetti di Dio e di immortalità
dell'anima), e inserirli in un nuovo concetto di religione che
tenga conto dell'intero ambito delle inclinazioni umane.
D.V. a questo punto fa notare, in linea con il Rosenzweig,
che un lettore del Kant della Religion si potrebbe
legittimamente domandare se la religione nazionale di Hegel,
in quanto religione pubblica, si debba necessariamente
allontanare dalla pura religione razionale e cadere nel vuoto
feticismo. In realtà, il pericolo in Hegel è solo apparente.
Egli vuole sottolineare che solo mediante un'adeguata
dottrina religiosa si può rispondere a tutte le esigenze della
vita dell'uomo in generale. È proprio per la realizzazione di
questo scopo che la religione deve divenire realmente
soggettiva e assecondare anzitutto “lo sviluppo della libertà e
dell'innocenza”. Tale religione soggettiva, però, non deve
essere considerata in un'ottica individualistica, la quale
allontanerebbe la religione da ogni esigenza di moralità, ma
deve risvegliare i “pii sentimenti umani” ed accordarli con le
istanze etiche della ragione. In questo modo “il solito quesito
dei rapporti della religione naturale colla religione positiva”,
secondo l'interpretazione dellavolpiana, Hegel lo
risolverebbe ”nel concetto storico-politico della
Volksreligion, mediatrice della religione positiva di un
popolo e della religione nazionale, in virtù della
17
congiunzione da essa operata delle convinzioni religiose
moralizzatrici di tutto un popolo con tutti i viventi motivi del
suo agire”
14
.
Kant, separando sensibilità e ragione, aveva ricondotto il
fenomeno religioso alle esigenze morali della ragione pratica;
Schleiermacher, invece, nei suoi Discorsi sulla religione
(1799) e nei successivi Monologhi (1800) aveva descritto
l'esperienza religiosa come una intuizione immediata
dell'infinito, riducendola al solo ambito relativistico dei
sentimenti. Anche Fichte che nel 1792 scrive il Saggio di una
critica di ogni rivelazione, pur riconoscendo che non si dà in
concreto nessuna religione pura di elementi sensibili, in
quanto gli uomini sono governati dalla legge morale e dalle
leggi naturali, spiegava la religione e la rivelazione in chiave
di ragion pratica. L'attenzione di Hegel, invece, è rivolta alla
elaborazione di un nuovo parametro storico-filosofico in
grado di mostrare come nell'esperienza religiosa possano
venire unificate sensibilità e ragione. In questa prospettiva di
analisi la Volksreligion si pone in netto contrasto con la
raziocinante morale eudemonistica, utilitaristica
dell'illuminismo (se si eccettua l'illuminismo superiore di
Lessing e Kant), la quale rimane solo una chiara conoscenza
dei doveri e un illuminamento di verità pratiche; ma nessuna
“morale stampata” e nessun illuminamento della ragione
possono fornire agli uomini una moralità. Coloro che
sprecano un numero considerevole di parole, conclude
Hegel, solo per dimostrare l'inconcepibile stupidità degli
14
Della Volpe 1929/1972, I: 66.
18
uomini e dei loro pregiudizi, servendosi dei soliti termini,
Aufklärung, conoscenza dell'uomo, felicità, perfezione, non
sono altro che ciarlatani illuministi che, cibandosi l'un l'altro
di nude parole, trascurano il sacro tessuto dei sentimenti
umani.
Ma, allora, come deve essere costituita la Volksreligion?
Essa deve articolarsi intorno ad un principio di carattere
empirico in grado di risvegliare le buone inclinazioni
dell'uomo e di operare, in analogia con la ragione, il
passaggio alla legge morale: l'amore. Infatti, su questa terra
non è certo probabile che l'umanità o il singolo manchino di
ogni impulso morale. E meritano certo rispetto tutti quei
sentimenti che, pur non essendo ancora morali, servono ad
ostacolare le cattive inclinazioni e a promuovere quel
“meglio” che vi è in ogni uomo. Sotto questo carattere
empirico, che è circoscritto al campo delle inclinazioni,
rientra anche il sentimento morale. Il principio fondamentale
del carattere empirico è l'amore che ha qualche analogia con
la ragione, “poiché l'amore ritrova se stesso negli altri, [...]
così come la ragione, quale principio di leggi universali,
riconosce se stessa in ogni essere razionale”
15
. L'amore,
quindi, pur rimanendo un principio patologico (come lo
definisce Kant), perde il carattere egoistico e si manifesta
come un sentimento disinteressato. Esso dunque si distingue
nettamente dal principio del “raffinato amor di sé”, da quel
calcolo utilitaristico della virtù illuministica che ha come
scopo ultimo il soddisfacimento delle passioni dell'Io e
15
Hegel, 1989: 73.