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CAPITOLO PRIMO
EVOLUZIONE STORICA DEL RAPPORTO
MENTE-CORPO
INTRODUZIONE
Il problema del rapporto mente-corpo si dipana lungo tutto l’arco di vita
della nostra cultura occidentale; esso, seppur intriso di una gravosa
incertezza, ne è stato un elemento cardine e la sua stessa atavica
irresolutezza è stata motivo di crescita anziché stasi sia nel pensiero
filosofico prima che in quello medico dopo. Le nostre scienze nel loro
sviluppo sono state, e del resto lo sono tuttora, così influenzate da questo
problema che sarebbe quantomeno ingenuo cercare di descrivere tale
argomento in poche righe.
Consapevole del limite cercherò quindi di elaborare un breve excursus
evidenziando solo i punti focali. L’evoluzione storica del rapporto mente-
corpo può essere suddivisa in tre fasi (Salucci 1997):
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Il periodo compreso tra la filosofia greca ed il rinascimento
Il periodo che va da Cartesio fino all’epoca contemporanea
L’età contemporanea
TRA LA FILOSOFIA GRECA E CARTESIO
1. Democrito, Platone, Aristotele
Il problema del rapporto mente-corpo, premettendo che per mente si
intende anche il concetto di anima, è ben presente nella tradizione
filosofica greca. Al riguardo sono tre le teorie principali, legate
rispettivamente al pensiero presocratico, platonico ed aristotelico.
Nella filosofia presocratica non c’è divisione tra anima e corpo.Il corpo è
un aspetto vivo dell’individuo ed i suoi organi non sono cose, ma
possibilità con cui manifestarsi nel mondo. Dunque il corpo non è un
concetto in grado di unificare la molteplicità delle membra, ma sono le
membra stesse, nell’attivazione delle loro possibilità nel mondo, ad
esprimere il corpo che diviene tale solo a partire dall’aspetto e dalla
funzione per la quale si chiama in causa; esso è quindi un elemento vivo,
non districabile dall’anima. Per meglio comprendere questo concetto è utile
rifarsi al materialismo filosofico di Democrito. Nel pensiero democriteo
l’anima è corporea poiché è composta di atomi psichici che, con il loro
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movimento provocato dalla percezione dei sensi, danno vita alle sue
attività. Così l’anima non è altro che un modo di essere della natura.
Il corpo presocratico è completamente rigettato dalla dottrina dualista di
Platone. Per il discepolo di Socrate l’anima ed il corpo sono due sostanze
separate. E’ la loro stessa qualità a renderle distinte ed irriducibili l’una
all’altra. L’anima appartiene al mondo delle idee ( ) e come tale è
perfetta, immutabile, immateriale ed eterna. La sua presenza precede e
trascende quella del corpo rivelandosi la vera essenza dell’uomo e quindi il
fondamento della sua individualità. Al contrario il corpo appartiene al
mondo delle cose ( ); la sua essenza è perfetta, corruttibile, materiale e
transitoria. Diversamente dall’anima non ha un legame con la VERITA’
poiché i suoi sensi sono ingannevoli per loro stessa natura. In conclusione
Platone, nella sua opera di scissione, fa dell’anima il centro dell’uomo e
nello stesso tempo svaluta il corpo riducendolo a semplice materia capace
solo temporaneamente di ingabbiare l’anima stessa. Questa concezione,
fortemente ostile ai valori corporei, sarà in seguito un elemento cardine
della tradizione cristiana.
La terza delle teorie principali fa capo alla dottrina aristotelica. La
posizione di Aristotele è stata impropriamente definita intermedia rispetto
alle precedenti. Per il filosofo di Stagira l’anima non è separabile dal corpo
anzi ne identifica alcune qualità specifiche ovvero quelle che consentono al
corpo di vivere. L’anima si manifesta nella realizzazione delle funzioni
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vitali del corpo; in questo contesto dunque essa assume il significato di vita
e come tale non può essere più separabile dal corpo poiché tutte le sue
funzioni, escluso l’intelletto, si legano alla natura fisiologica dell’uomo. E’
netto il rifiuto da un lato del dualismo platonico, dall’altro del materialismo
democriteo. L’anima non viene ri-concepita come un mero movimento di
particelle; non è un oggetto, ma è il complesso delle funzioni organiche del
corpo che possono esistere solo se c’è l’oggetto che le compie.
Riassumendo l’anima non esiste senza il corpo ma al tempo stesso non è un
corpo. Questa visione del rapporto anima (mente) -corpo non avrà molto
seguito nel pensiero occidentale almeno fino alla nascita, nell’era moderna,
delle teorie funzionaliste.
2.Tra Medioevo e Rinascimento
Durante il medioevo si assiste al tentativo di conciliare la religione cristiana
con la filosofia greca. Nel primo pensiero giudaico-cristiano il dualismo tra
anima e corpo è di fatto ignorato; la vita eterna è appannaggio non dell’una
o dell’altro ma dell’uomo totale, dell’uomo inteso come tutto. Questa
posizione viene stravolta dal pensiero greco. L’immortalità dell’anima,
affermata da Platone, ben si concilia con la promessa della resurrezione e
dunque viene riproposta una teoria di stampo dualistico. Tuttavia il
riallacciarsi alla filosofia platonica non è completo poiché l’immortalità
dell’uomo non può essere ridotta all’immortalità dell’anima. La dottrina
cristiana dichiara l’unità dell’uomo; l’anima ed il corpo sono separati ma al
tempo stesso sono inscindibili nel loro vincolo. Il corpo, che è comunque
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opera di Dio, si spoglia della visione puramente negativa assegnatagli dal
discepolo di Socrate e si riprende nel cristianesimo il suo posto d’onore
nell’affermazione dell’individuo. Il tentativo di far convivere nella filosofia
cristiana l’idea dell’immortalità dell’anima e della mortalità del corpo da un
lato, e l’idea di uomo come totalità di anima e corpo dall'altro, avrà un
percorso travagliato che durerà secoli e solo con Tommaso d’Aquino
(1225-1274) si arriverà ad una sintesi accettabile.
Nella teoria tomistica l’anima ha un suo essere proprio, che riceve
direttamente da Dio, ma riesce ad individualizzarsi solo dentro il corpo
mediante le esperienze che con il corpo fa nel e del mondo.
Durante l’Umanesimo ed il Rinascimento persiste l’opposizione tra
Platonismo ed Aristotelismo rappresentati rispettivamente da:
- Marsilio Ficino (1433-1499), che colloca l’anima nel mezzo di una
serie di gradi (o essenze) di realtà che vanno dal corpo a Dio e ne fa
il nodo vivente della creazione, la “copula mundi” indistruttibile ed
infinita.
- Pomponazzi (1462-1524), che al contrario ritiene l’anima mortale e
bisognosa del corpo per esistere ed operare.
Tuttavia diviene un tema comune a tutte le correnti di pensiero l’idea di
uomo come natura media, ovvero come essere intermedio fra la natura e
Dio. Egli diviene dunque un essere naturale; non più ospite di un ambiente,
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ma parte integrante. Questa naturalizzazione dell’uomo porta ad
un’estensione del concetto di anima alla natura stessa e paradossalmente ad
una sua “monizzazione”. Prendono così piede la magia e l’animismo che
però dovranno presto fare posto alla scienza moderna.
DA CARTESIO ALL’ETA’ CONTEMPORANEA
1. Cartesio
La rivoluzione scientifica precedentemente accennata stravolge l’immagine
animistica della natura del Rinascimento, promovendo quella visione
meccanicista che ancora oggi è alla base del pensiero moderno. Il
contributo maggiore a questa svolta fu dato da Renè Descartes (1596-
1650). Cartesio riprende il dualismo platonico-cristiano dell’anima e del
corpo e lo spoglia d’ogni rivestimento mitico e religioso; la vita diviene
meccanismo e perde contatto con l’idea di anima, così come era stata
sostenuta da Platone e Aristotele.
L’anima, riducendosi a pensiero, cede così le sue funzioni vitali e lascia il
posto ad un nuovo concetto: la mente. E’ dunque con Cartesio che avviene
la re-impostazione del problema mente-corpo come problema del rapporto
tra processi fisiologici e processi psichici.
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Il corpo è una macchina, governata, al pari di tutto il mondo, dalle leggi
della meccanica. Esso è costituito da res extensa, sostanza estesa, che è
spaziale, inconsapevole e meccanicamente determinata. La macchina
umana è del tutto autosufficiente ma è incapace di elaborare pensiero. A
governare la macchina è deputata un’altra sostanza, la res cogitans, la
sostanza pensante, ovvero la mente. Essa è inestesa, consapevole e libera.
La mente è la sede delle idee. Queste sono divise in tre categorie; quelle
congenite alla nostra mente (innate), quelle che sono state formate da noi
stessi (fittizie) e quelle che provengono dal di fuori (avventizie) che
costituiscono il legame tra la mente e gli oggetti. La mente (res cogitans) ed
il corpo (res extensa) sono fatti di due sostanze ontologicamente diverse,
che si relazionano tra loro solo attraverso la ghiandola pineale.
In conclusione il dualismo cartesiano è netto nella contrapposizione tra
materia e pensiero. La separazione degli aspetti psichici da quelli fisici e la
visione meccanicistica saranno fondamentali per lo sviluppo delle scienze
moderne. Dal pensiero cartesiano si diramano due direttrici principali:
- L’empirismo inglese, che mette da parte i problemi dell’essenza
della mente per dedicarsi allo studio dei suoi processi ed effetti,
con un richiamo costante all’Esperienza intesa come fonte ed
origine del processo conoscitivo e come criterio di verità.
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- Il materialismo francese, che sviluppa, in una prospettiva
meccanicistica, la tesi secondo la quale nell’uomo e al di fuori
dell’uomo agisce un’unica causalità, quella della materia. Il corpo
è una macchina autosufficiente in grado di funzionare senza
dover ricorrere alla mente.
2. L’empirismo Inglese
I maggiori contributi dati da questa corrente al problema mente-corpo
provengono da Locke, Berkeley, Hume, Kant. L’originalità del loro
pensiero sta nell’ammettere l’esistenza dell’anima, negando però che possa
essere indagata o conosciuta la sostanza di cui è composta. Secondo tale
prospettiva la ricerca non deve più indagare l’essenza della mente, ma
l’attività, gli stati o le funzioni mentali.
Locke (1632-1704) avvia per primo la dissoluzione dell’idea di mente
come sostanza negando non che essa possa esistere, ma che possa essere
conosciuta. Non si può conoscere l’essenza di una persona, ma solo le sue
qualità, i suoi desideri, i suoi comportamenti e così via.
Berkeley (1685-1753) radicalizza ancor più questa concezione arrivando
ad affermare che è senza alcun senso ipotizzare una realtà di oggetti
sensibili al di fuori delle idee. La materia, se anche esiste, è assolutamente
indimostrabile.
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Hume (1711-1776) riprende il filone dei due filosofi precedenti, sostenendo
che ogni realtà deve risolversi nei rapporti con cui si connettono tra loro le
impressioni e le idee. Se Berkeley nega la sostanza materiale, Hume rigetta
anche quella spirituale; l’IO (inteso come entità unitaria ed immutabilmente
identica a se stessa), che noi crediamo ingenuamente di sperimentare e di
cogliere, è solo un fascio di impressioni che si susseguono nel tempo.
Dissolta la sostanza, diventa ingiustificabile credere nell’unità e
nell’identità dell’IO.
Tuttavia, dissolto l’IO-sostanza, si pone il problema di spiegare in che
modo possa esistere l’identità personale.
Questo passo è compiuto da Kant (1724-1804). Egli ipotizza che ad
unificare le nostre sensazioni, percezioni, esperienze ecc… sia una
funzione da lui chiamata “io penso” oppure “appercezione” o
“autocoscienza” trascendentale. L’io penso è un centro mentale unificatore
che permette di considerare come “proprie” le varie rappresentazioni; esso
non è una sostanza, bensì una funzione. L’impossibilità di trasformare l’io
penso in sostanza è il culmine della critica kantiana alle teorie
sostanzialistiche dell’anima, e si collocherà alla base dell’idealismo
tedesco.
3. Il materialismo francese