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qual è il ruolo che ha o che dovrebbe avere oggi?
La nostra analisi si sviluppa in tre capitoli.
Nel primo si mostrano i contenuti della concezione strutturalistica del
Diritto secondo Kelsen: si analizzano gli aspetti gerarchici della norma e
dell’ordinamento giuridico, si sviluppa il significato della sanzione e la
contrapposizione tra sanzione negativa e sanzione positiva; si considera il
ruolo che la sanzione negativa svolge nell’analisi dell’autore; si mostra
quale sia, per Kelsen, il legame tra diritto e forza e tra ordinamento
giuridico e sanzione negativa.
Nel secondo capitolo affronteremo invece il problema di quale sia la
funzione del Diritto, se essa è definibile in maniera univoca o se invece il
Diritto debba avere più funzioni. Valutiamo il significato di modelli
interpretativi rigidi e modelli flessibili (o elastici) per poi affrontare, in
maniera più approfondita, il significato e i contenuti della funzione
promozionale del Diritto.
In particolare mostriamo il rapporto tra la funzione promozionale del
Diritto e la premialità; il rapporto tra promozionalità ed effettività del
Diritto e tra promozionalità del Diritto e Welfare State. Per quanto attiene a
quest’ultimo argomento abbiamo provato a svolgere una sorta di “rassegna
per contrapposizione”, evidenziando, da un lato, i contributi di alcuni
5
studiosi quali Jhering, Austin e Kelsen, fautori della “linea strutturalistica”
e, dall’altro, i contributi di Dragonetti e Bentham quali anticipatori e Bobbio
e Catania, quali fautori contemporanei della “linea promozionale”.
Nel terzo capitolo esaminiamo invece le condizioni storiche che
hanno favorito la nascita del Welfare State e le circostanze che ne hanno
determinato lo sviluppo.
In particolare, tentiamo di fare una sintesi dei modelli contrapposti,
legati a due grandi scuole di pensiero: il modello liberista e il modello
keynesiano. In maniera più specifica analizziamo il ruolo che lo Stato deve
avere nell’economia in queste due visioni alternative e riportiamo le
argomentazioni che, a nostro avviso, risultano più rilevanti a sostegno dei
due modi di analizzare lo sviluppo della società.
Tentiamo, infine di tracciare alcune note conclusive.
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CAPITOLO I
1.1. La norma, proposizione normativa e dover essere.
In una visione nomodinamica
1
, si potrebbe configurare l’ordinamento
giuridico come un insieme di norme che influenzano il comportamento
dell’uomo. In linea generale, l’ordinamento giuridico può essere definito sia
orizzontalmente, in questo caso esso è configurabile in un’accezione statica,
sia verticalmente, secondo un’accezione nomodinamica.
Quando definiamo l’ordinamento giuridico come organizzazione della
forza e affermiamo che esso è un insieme di norme che disciplinano l’atto di
coazione fisica, cioè la sanzione, noi consideriamo l’ordinamento giuridico
orizzontalmente, cioè nella sua visione statica.
Analizziamone il significato.
Il diritto, per Kelsen, consiste in un ordinamento di tipo coercitivo.
Esso è una tecnica sociale necessaria per raggiungere e realizzare lo Stato
1
Letteralmente “nomos” significa “norma, legge”; “dinamica” significa
“successione di fatti, eventi”. Dunque, nomodinamica: successione di norme. Nella teoria
di Kelsen, come si verdrà (v. p. 13 e p. 29), l’accezione dinamica si riferisce al criterio di
definizione di norma valida, cioè dell’appartenenza della norma all’ordinamento giuridico.
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sociale desiderato; e perciò laddove si realizza un comportamento umano
contrario a questo stato sociale si avranno delle conseguenze di ordine
coattivo.
Quindi, l’ordinamento giuridico ha il fine di indurre gli uomini a
seguire un determinato comportamento, risolvendosi, perciò, in un
complesso di norme del tipo: “non si deve rubare”, “si deve restituire il
prestito ricevuto”, ecc.; queste norme, che prescrivono la condotta da tenere
da parte dei consociati, non sono le vere e proprie norme giuridiche; esse,
dice Kelsen: “hanno il significato di norme giuridiche solo quando si
presuppone che con esse si debba esprimere in forma abbreviata, per
comodità di esposizione, ciò che solo la proposizione giuridica enuncia in
modo corretto e completo: cioè che alla condizione della condotta contraria
debba seguire un atto coattivo come conseguenza”.
È questa la vera norma, cioè la norma primaria (sanzionatoria), quella
che prescrive la condotta è invece la norma secondaria.
Perciò la norma giuridica primaria è quella che predispone una
sanzione che è coazione, forza; la norma giuridica secondaria prescrive
invece una condotta. Per Kelsen, allora, una norma giuridica è caratterizzata
sempre dalla coazione, dalla sanzione.
I concetti essenziali, per caratterizzare la norma, sono dunque:
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1) la coazione;
2) l’illecito.
La dottrina pura del diritto sostiene che in una proposizione giuridica,
ad una determinata condizione è unito, come conseguenza, l’atto coattivo
dello Stato, cioè la pena e l’esecuzione forzata civile e amministrativa e che,
solo per questo, il fatto condizionante viene qualificato come illecito e
quello condizionato come conseguenza dell’illecito
2
.
Ciò significa che non esistono fatti illeciti in sé ma fatti dichiarati
illeciti dal legislatore attraverso la sanzione; così, la norma giuridica
primaria è sempre coattiva, sanzionatoria e solo il fatto illecito provoca la
reazione del diritto stesso.
Kelsen così opera un ribaltamento di posizioni perché considera
primarie le norme sanzionatorie che nella scienza giuridica tradizionale
vengono considerate secondarie e fa ciò per poter distinguere la norma
giuridica dalla norma morale, religiosa, ecc. È solo l’illecito infatti che fa
scattare il meccanismo sanzionatorio; non esistono fatti o atti in sé illeciti,
ma fatti e atti che il legislatore dichiara tali attraverso la sanzione.
A questo punto, dobbiamo chiederci: perché Kelsen vuole
2
Vedi Kelsen, La dottrina pura del diritto, trad. it. di R. Treves, Einaudi, Torino,
1952. I ed.; II ed. 1960, trad. it. a cura di M. G. Losano, Torino, 1966.
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rappresentare il fatto giuridico solo attraverso le norme sanzionatorie?
Perché non utilizza anche quelle norme che si indirizzano ai
consociati e ne disciplinano la condotta?
Il fatto che Kelsen identifichi diritto-ordinamento e Stato non ci dà
una risposta. La risposta circa questo ribaltamento (tra norme primarie e
secondarie) è che se si assumono per norme primarie quelle che disciplinano
la condotta (ad es. non uccidere) si potrebbe sconfinare in campi diversi dal
diritto; si potrebbe creare ad esempio confusione tra questa norma e un’altra
norma di ugual contenuto, ma che proviene dalla morale; e Kelsen, come
sappiamo, vuole tenere nettamente distinto il diritto dalla morale, dalla
politica, dalla sociologia, volendo definirne gli ambiti specifici di azione
delle aree disciplinari. Ma Kelsen afferma che le norme secondarie
prescrivono sì la condotta, ma possono contenere anche un’autorizzazione.
Infatti egli dice che la proposizione giuridica deve stabilire un obbligo
giuridico primario, cioè la sanzione, ma può stabilire anche
un’autorizzazione (si parla dunque di situazioni giuridiche attive: diritto
soggettivo, interesse legittimo, ecc.).
Kelsen testualmente
3
: “Ogni proposizione giuridica deve
3
Vedi Kelsen, La dottrina pura del diritto, op. cit.
10
necessariamente stabilire un obbligo giuridico, ma può stabilire anche
un’autorizzazione”; “l’autorizzazione è generalmente soltanto una forma del
contenuto del diritto oggettivo possibile e nient’affatto necessaria, una
tecnica speciale di cui il diritto può, ma non ha la necessità di servirsi”. Per
Kelsen è la tecnica fondamentale dell’ordinamento capitalistico che,
caratterizzato dall’istituto della proprietà privata, tiene in particolare
considerazione l’interesse individuale.
Date queste premesse, si deduce che Kelsen superata la distinzione tra
diritto soggettivo e oggettivo: “Il diritto soggettivo non è diverso da quello
oggettivo; è il diritto oggettivo stesso che si rivolge contro un soggetto
concreto (obbligo) oppure si mette a disposizione di questo (autorizzazione)
in forza della conseguenza giuridica da esso stabilita
4
. Attraverso il
superamento del dualismo diritto soggettivo-diritto oggettivo si arriva alla
dissoluzione del concetto di persona: “La persona fisica non è l’uomo come
sostiene la dottrina tradizionale: l’uomo non appartiene alla comunità
costituita dall’ordinamento giuridico come un tutto, ma vi appartiene
soltanto con alcune delle sue particolari azioni od omissioni, in quanto
queste sono appunto regolate da norme dell’ordinamento della comunità”.
4
V. Kelsen, La dottrina pura del diritto, op. cit., p. 61.
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Potremmo dunque dedurre che: in un sistema normativo statico le
norme sono valide in quanto deducibili da una norma fondamentale
specifica, così come “il particolare deriva dall’universale”.
In Kelsen c’è una concezione statica dell’ordinamento giuridico:
certamente ci dà contenuto e significato della norma giuridica e distingue
con ciò nettamente la norma giuridica dalle altre norme (morali o religiose).
In questo caso, dunque, le norme vengono considerate tutte sullo
stesso piano, in relazione al loro contenuto e la loro validità viene ricondotta
ad una norma generale da cui, a sua volta, discende il contenuto particolare
di tutte le norme.
“La norma primaria stabilisce il modo in cui il soggetto deve
comportarsi (precetto), la norma secondaria predispone la conseguenza nel
caso di una deviazione del comportamento dell’uomo rispetto al precetto
della norma primaria”.
Quindi, la norma viene definita come il dover essere, l’elemento che
all’interno del fenomeno giuridico esprime la tensione tra il piano della
fattualità e di ciò che deve accadere.
È chiaro, però, che se sussiste una modificazione di comportamento
e/o una modalità di comportamento largamente diffusa, quest’affermazione
non è sufficiente a farci parlare di norma.
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Perché esista la norma si deve presumere l’esistenza di un modello
normativo che sia concreto e riconoscibile a cui gli uomini possono decidere
di adeguarsi o meno; un piano normativo che regoli i comportamenti e in
certo qual modo informi i consociati delle conseguenze a cui vanno incontro
nel momento in cui la norma in questione venga trasgredita.
Ma la coordinazione dei due sinonimi, ossia l’endiade norma-dover
essere, comporta altri problemi: bisognerebbe distinguere tra la norma nel
momento in cui viene utilizzata dai consociati e la sua natura conoscitiva
basata su enunciati prescrittivi. Infatti è stato spesso affrontato il problema
se sia possibile o meno “de-scrivere norme” cioè prescrizioni.
In particolare, si tratta della differenza tra proposizione descrittiva e
prescrizione.
In realtà, entrambe si riferiscono allo stesso contenuto e la differenza
è essenzialmente funzionale: l’una tende a fornire un’informazione, l’altra a
dare un orientamento circa il modo di comportarsi.
Valutiamo ora le differenti caratteristiche della norma e della
proposizione giuridica.
Alcuni autori
5
, a questo proposito, sono favorevoli ad una distinzione
5
V. Catania A., La validità giuridica, Salerno, Gentile, 1994.
13
tra norma e proposizione normativa, ma valutano anche la possibilità di un
loro “intreccio” all’interno di un ordinamento giuridico; ciò risulta
oltremodo necessario perché la scienza giuridica si sviluppa attraverso
l’elaborazione di proposizioni normative e non di norme in senso stretto.
La distinzione nei fatti va ricondotta alla identificazione dei soggetti
di riferimento: i consociati che, nel loro agire, si orientano con le norme e i
giuristi, che procedono attraverso proposizioni normative.
La distinzione, allora, radicalmente può separare chi agisce
normativamente da un lato e chi, come lo scienziato del diritto, de-scrive il
modo in cui altri normativamente agisce.
Ma i problemi posti dalla concezione statica trovano il loro
completamento nella concezione dinamica dell’ordinamento giuridico ed è
proprio e forse solo attraverso questo tipo di concezione che comprendiamo
in che relazione si trovano le norme giuridiche di un determinato
ordinamento.
Kelsen afferma che le norme giuridiche di un determinato
ordinamento si autoproducono per gradi; per l’autore, quindi, l’ordinamento
giuridico è costituito da piani di norme:
alla base troviamo le sentenze e l’esecuzione delle sentenze da parte
dei giudici.
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Salendo troviamo:
1) regolamenti e decreti;
salendo ancora:
2) leggi approvate dal Parlamento;
salendo ancora:
3) leggi costituzionali.
Questa costruzione per gradi consente non di accertare la legittimità
sostanziale di una data norma, ma di accertare il suo legittimo inserimento
in un dato ordinamento. Ad esempio, partendo dalla domanda perché è
valida la sentenza di un giudice, risalendo di piano in piano arriviamo fino
alle leggi costituzionali.
Quindi, per Kelsen ogni norma è allo stesso tempo superiore ed
inferiore (es. la legge ordinaria è superiore ai regolamenti ed inferiore alle
norme costituzionali).
Ma leggiamo la domanda chiave che Kelsen pone nella
rappresentazione nomodinamica dell’ordinamento: “Perché una determinata
norma giuridica appartiene ad un determinato ordinamento giuridico?”. La
risposta di Kelsen è la seguente: “Una pluralità di norme forma un’unità, un
sistema, un ordinamento, quando la sua validità può essere ricondotta ad
un’unica norma come fondamento ultimo di questa validità…
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l’appartenenza di una norma ad un determinato ordinamento dipende solo
dal fatto che la sua validità possa essere ricondotta alla norma fondamentale
che costituisce questo ordinamento”.
La norma fondamentale è presupposta (conosciuta) e dà la possibilità
di chiudere il sistema e di unificare tutte le norme del sistema.
Quindi, per Kelsen, una norma può appartenere al sistema solo in
quanto può essere ricondotta ad una norma fondamentale che vale solo
come modello di produzione delle singole norme; perciò il giudizio di
validità (la validità) delle singole norme si risolve nella conformità o non
conformità di esse alla norma fondamentale.
Ma qual è il fondamento della norma fondamentale? Esso non risiede
nel generale riconoscimento dei consociati, ma è presupposto come
condizione indispensabile di ogni procedimento giuridico. Il Kelsen, però,
rifiuta ogni considerazione metafisica circa la norma fondamentale, inten-
dendola come dover essere: essa è un’ipotesi scientifica che la scienza
giuridica deve fare perché, solo a questa condizione, il materiale empirico
può essere spiegato in termini giuridici come diritto.
Qui si vede come nella concezione dinamica la norma si definisce
sempre meglio: nella concezione statica, Kelsen individua nella sanzione
l’elemento caratteristico della norma giuridica; qui, nella concezione
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dinamica, il criterio di base al quale può dirsi se la norma sia valida o meno,
e se sia giuridica o meno, è dato dall’appartenenza al sistema.
Nella concezione statica, Kelsen ha dovuto limitarsi all’affermazione
che la norma giuridica è caratterizzata dalla sanzione giuridica, nella
concezione dinamica Kelsen, stabilendo il criterio della giuridicità, ci dice
quali sanzioni debbano reputarsi giuridiche.
In realtà, il problema degli elementi attributivi della giuridicità trova
la sua soluzione finale solo in una visione dinamica dell’ordinamento
giuridico.
Ora, qual è il contenuto della norma fondamentale?
È in quegli elementi di fatto che hanno prodotto l’ordinamento e a cui
corrisponde, fino ad un certo punto, il comportamento effettivo degli uomini
ai quali l’ordinamento stesso si riferisce.
Entra, dunque, nella dottrina pura del Kelsen, un elemento
sociologico: qual è il comportamento degli uomini e quale comportamento
dà efficacia all’ordinamento giuridico?
Posto che validità ed efficacia per Kelsen non coincidono né possono
identificarsi, sorge il problema del rapporto che intercorre tra l’una e l’altra.
Se la validità si risolve nella efficacia, dice Kelsen, cioè “se la validità
è una qualche realtà naturale, non si è in grado di intendere il senso