6
a 2.030 miliardi di €.
Come le società moderne incassano il denaro che serve per svolgere
l’attività? Sostanzialmente da tre aree: sfruttamento dei diritti media, incassi
dal botteghino (biglietti, abbonamenti venduti) e attività commerciali; oltre ai
contributi ricevuti da leghe e federazioni di appartenenza. Il primo ambito è
sempre più importante per i bilanci, a scapito del secondo. In Italia
specialmente, più che negli altri paesi europei, il flusso di denaro maggiore
arriva proprio dalle emittenti tv con il 55% dell’incidenza sul totale. Gli
spettatori vanno più volentieri allo stadio in Inghilterra, Germania e Spagna
mentre le altre attività commerciali (sfruttamento dell’immagine della squadra
tramite leve quali merchandising, licensing, sponsorizzazioni) vedono le
squadre italiane dietro le altre grandi società del Vecchio Continente.
L’accentuazione del business nel calcio (peraltro sempre presente da quando
si è dovuto pagare per assistere a una partita e l’utilizzo del football per la
pubblicità dei prodotti risale in Inghilterra agli anni ‘20 del secolo scorso) ha
trasformato l’area di introito commerciale: i club più importanti sono diventati
brand, multinazionali sportive paragonabili alle major cinematografiche, alle
etichette musicali, alle piattaforme televisive. L’entertainment è il nuovo
campo di gara, a caccia di quel denaro che la gente destina allo svago, al
divertimento: i concorrenti delle squadre sono ora le altre forme di
intrattenimento. Per competere i club hanno stretto alleanze con imprese di altri
settori e cominciato a vendere di tutto, purché abbia il nome della squadra
stampato sopra. La diversificazione si è spinta nei casi più significativi alla
7
creazione di strutture di divertimento diverse dal prodotto primario (la partita)
ma ad esso legate: cinema, parchi gioco, scuole calcio a pagamento in tutto il
mondo, catering, sfruttamento dello stadio con svariati servizi,
sponsorizzazione di quasi tutto: dalle poltroncine al nome dello stesso stadio.
L’internazionalizzazione è prodotto di questa trasformazione, le decisioni
dettate dal marketing condizionano le stesse scelte tecniche: dall’ingaggio di
giocatori appartenenti a nazioni economicamente attraenti, alle tournée
precampionato in giro per il mondo a discapito di una più sana, ma meno
remunerativa, tranquilla preparazione al campionato.
Il risultato del processo di aziendalizzazione in atto nei club di calcio,
ancora piuttosto incompleto in Italia, in stato più avanzato in Inghilterra, ha
portato una serie di squilibri. Anzitutto, nei costi. Diversamente dalle imprese
di altri settori, proprio perché attività aziendale strettamente legata ad un
preminente fenomeno sociale, il calcio ha gestito i propri affari spesso non
prestando la dovuta attenzione alle uscite nel bilancio. In parte perché il
presidente vecchia maniera avrebbe alla fine coperto i buchi, in parte sperando
in risultati sportivi positivi (e conseguenti introiti) che una volta non arrivati
hanno creato voragini causando più di un fallimento eccellente. Oltre alle
perdite economiche si è andati incontro, in particolar modo in Italia, a una
sovraesposizione del prodotto in tv, con conseguente disaffezione da parte
degli spettatori degli stadi, al mancato adeguamento degli impianti agli
standard internazionali e a una generalizzata scarsa cultura sportiva che ha fatto
diventare un evento da evitare, più che da frequentare con gioia, la partita live.
8
2. IPOTESI DI RICERCA
Come deve operare una corretta funzione marketing nel calcio moderno che
cambia forma cercando il proprio spazio nel più ampio settore
dell’entertainment? Da questa domanda si è partiti per convalidare una doppia
ipotesi di ricerca: per quanto concerne la gestione dei club abbiamo voluto
dimostrare che la diversificazione rispetto al prodotto primario (la partita) e
l’aziendalizzazione della struttura societaria sono divenute vitali ed ineludibili
per chi non voglia dipendere dalla magnanimità di un presidente che deve
incaricarsi di far quadrare i conti economici a fine stagione, fondamentale per
squadre che vogliano sottrarsi alla tirannia del dover ottenere a tutti i costi
risultati positivi in campo pur di sopravvivere. Per farlo si è scelta la strada
maestra di una società che sia parte integrante di una comunità, assimilabile ad
un’istituzione sociale, un riferimento per i tifosi anzitutto, ma non solo.
Il secondo punto riguarda il movimento in generale, visto nel suo momento
di massimo splendore (di popolarità ed introiti economici) ma anche di
problemi che affiorano dovuti a presenza in eccesso e costi esorbitanti:
abbiamo inteso trovare una risposta nel ritorno in qualche modo alle origini,
seppur filtrato dalle necessità del calcio del giorno d’oggi. Un football in mano
quanto più possibile ai tifosi, parte integrante dei club ed in grado di esprimere
anche parte della dirigenza, quando non tutta. Esempi di società di questo
genere, di vario calibro, sono stati portati nel corso della trattazione a fini
esemplificativi.
9
Come compimento della ricerca inerente la prima ipotesi si è approdati
all’accostamento di due case study: Manchester United PLC e U.S. Città di
Palermo. Perché proprio queste due squadre?
Gli inglesi sono stati il primo top club ad intraprendere la strada del
marketing. Nel 1993 lo United era una squadra che “allevava” talenti per
rivenderli, nel ‘95 era già una star nazionale in grado di competere per il titolo
e nel ‘99 aveva completato la scalata (vedi immagine in basso) che l’ha portato
a divenire brand riconosciuto di carattere internazionale, status che possono
vantare oggi pochissime società al mondo.
Fonte: A.T. Kearney, 2004: 8
Il Palermo è invece la realtà locale che s’é voluta mettere a confronto, non
per improbabili ed irrispettosi paralleli, ma per capire se e come fosse stato
possibile sfruttare indirizzi da parte di uno dei benchmark del business-football
globale.
10
La grandezza del Manchester United parte da lontano ed ha più volte
riproposto il proprio splendore, perciò il confronto tra le due realtà non può
mirare a stabilire classifiche di merito. Il fascino del club dell’Old Trafford
rivive nel mito degli anni ‘60, in cui il rosso United e leggende come George
Best contribuivano al fulgore di quel periodo molto british dei Beatles e di
James Bond-Sean Connery. Prima ancora una fantastica squadra aveva visto
infranti i proprio sogni di grandezza in un incidente fatale all’aeroporto di
Monaco di Baviera nel 1958 creando una fortissima ondata di partecipazione
popolare. Negli anni ‘90 era a Manchester la prima dirigenza del calcio
europeo ad aver compreso l’importanza del marketing, in grado di sfruttare
sapientemente il nome del club per farlo divenire marchio riconosciuto a livello
internazionale.
Una ricerca del professor Bill Gerrard, … dell’Università di Leeds, la cui
tecnica è illustrata nella nota metodologica, ha dimostrato che a Manchester
hanno creato negli anni recenti un circolo virtuoso di successi che si è
autoalimentato, trovando che i Red Devils sono riusciti ad eccellere in tutti i
quattro campi essenziali per un club: risorse di gioco, management tecnico,
tifoseria e management generale.
La qualità di gioco è data sostanzialmente dalla capacità di ingaggio di
talenti e da una buona struttura giovanile. Gerrard ha posto l’attenzione sulla
“conoscenza tacita” che ragazzini cresciuti nel club portano avanti fino alla
prima squadra, una familiarità data da pochi cambiamenti mirati ogni anno nel
nome della coerenza di un progetto. Il MU è stato, fino all’avvento del
11
ricchissimo Abramovich ai londinesi del Chelsea qualche anno fa, la società in
grado di spendere di più sul mercato ed è tutt’ora una delle più attente nella
cura del settore giovanile. La percentuale delle presenze in squadra A di
ragazzi provenienti dal “vivaio” è pari negli ultimi 13 anni (dal 1992-93 al
2004-05) al 33,77% contro il 12,26% del Palermo che non a caso ha
cominciato a mietere successi nelle ultime stagioni quando la capacità
d’acquisto è aumentata grazie all’arrivo del nuovo proprietario Maurizio
Zamparini. Argomento da non sottovalutare riguardo vivai ed accademie
giovanili, la possibilità di risparmiare sugli onerossissimi contratti di ingaggio
dei giocatori facendoli appunto crescere in casa.
Anche il secondo punto del modello chiama in causa le virtù della costanza:
Alex Ferguson è manager del MU dal 1986 e la sua reggenza è coincisa con il
periodo di maggiori vittorie sportive della squadra. In generale, lo United tiene
in media quasi 5 stagioni e mezza i tecnici sulla propria panchina, è un dato tra
i più alti del campionato inglese e premia appunto un club tra i più medagliati.
Al contrario, a Palermo la stabilità non è mai esistita: in 76 annate (dal 1926)
sono stati cambiati 75 allenatori. E anche la gestione Zamparini che, come
visto, risponde in pieno al modello di Gerrard per quanto concerne le playing
resources, non si discosta dal trend, anzi. In quattro stagioni, sei tecnici diversi.
Il terzo fattore preso in considerazione per capire come nasce il vantaggio
sostenibile e duraturo di una grande società dentro e fuori dal campo, è la
fedeltà della tifoseria: sia presenze allo stadio che potenziale di supportership.
I Red Devils sono tra i più seguiti al mondo con un numero di fans variante da
12
50 a 75 milioni di persone, a seconda della fonte osservata. Com’è nata questa
enorme e smisurata passione si spiega, come visto, in parte con un fascino che
viene da lontano, rinvigorito
con le vittorie sul campo grazie
ad uno spettacolare gioco
d’attacco, ed in parte (ed ecco
come l’ipotesi di ricerca viene
confermata) con un’attenta
gestione marketing capace di
creare interesse verso i giocatori anche fuori dal campo, grazie a talenti ricchi
di personalità, autorevolezza, fascino. Best, trent’anni fa, Cantona negli anni
’80 e’90, Beckham subito dopo e oggi si è ancora alla ricerca del suo erede. Ma
allo United la componente della tifoseria (vedi nell’immagine sopra una mappa
della fan base) è estremamente curata e se possibile vengono tutti conosciuti
uno per uno. I fans non sono solo tifosi ma anche e soprattutto clienti che in
una cultura molto orientata al customer service come quella britannica vengono
serviti in tutti i modi. Come tutti le grandi società, lo United ha un programma
di fidelizzazione dietro quota d’iscrizione: i supporter che aderiscono hanno
agevolazioni di vario tipo, la segmentazione della tifoseria nei data base
societari è quanto più possibile vicina alla realtà. Nel 2004 sono stati catalogate
due milioni 588 mila persone, suddivise in “clienti nel giorno della partita”,
“negli altri giorni”, “totale clienti correnti”, “clienti perduti”, “potenziali” e
“totale registrati”. E l’attenta cura dell’utenza ha di fatto notevolmente
Fonte: Manchester United PLC, 2002: 6
13
aumentato gli introiti commerciali del club con la vendita di mille cose con il
marchio del diavolo rosso, destinati a persone dei cui gusti si conosce tutto o
quasi, incrociando i dati posseduti con quelli disponibili in commercio ottenuti
grazie alle agenzie di ricerche.
È questo un ambito su cui il Palermo deve investire tanto: già oggi è la 7ª
squadra nazionale per numero di tifosi (quasi 880 mila in Italia), nella stagione
scorsa ha stupito tutti raggiungendo presenze medie per 33.230 spettatori a
partita, il tutto esaurito o poco meno raggiunto quasi in abbonamento, quindi
prima che la stagione cominciasse. Nel mondo, secondo una nostra stima, i fan
rosanero sono circa un milione 350 mila e rappresentano una fonte di guadagni
enorme. Se ciascuno contribuisse con 5 € alla causa rosanero nell’acquisto di
merchandising, solo per fare un ad esempio, gli introiti solo da quest’area
ammonterebbero a 6,750 milioni; ossia molto di più di quanto incassato
dall’intera area commerciale (sponsor inclusi) nell’anno della promozione in
serie A, il 2003/04.
Per quanto riguarda il 4° ed ultimo fattore, il management societario, lo
United ha goduto dell’abilità di un gruppo di dirigenti che nel tempo hanno
creato valide strutture tecniche, alimentando la necessaria capacità di ottenere
vittorie per creare seguito, e sfruttato i successi per ottenere notorietà globale,
anche grazie alla diversificazione. Oggi il Manchester United PLC conta su 5
società subsidiaries, ha una joint venture con chi si occupa del canale tv
tematico ed è associata ad un’altra impresa che lavora nel settore alberghiero.
Con la Nike ha siglato un contratto da 33,1 milioni di euro l’anno (manco a
14
dirlo il più ricco del panorama internazionale) per la sponsorizzazione ed una
società gestisce per conto di entrambi tutto il materiale sportivo a marchio Red
Devils. Il recente acquisto del club da parte della famiglia del magnate
americano Malcolm Glazer per l’astronomica cifra di un miliardo 760 milioni
di euro dimostra il valore raggiunto dalla società, chiudendo al contempo
quell’esperienza in Borsa durata 14 anni che ha moltiplicato i ritorni per gli
azionisti di quasi il 100%. A Palermo, come nel primo punto (playing
resources) tutto è cambiato con l’avvento del nuovo presidente Zamparini.
Prima, 43 presidenti (e tre fallimenti) in 105 anni d’attività, ora un
amministratore delegato (Rinaldo Sagramola) con ampia esperienza nella
dirigenza di club professionistici e una struttura societaria che si muove nella
direzione dei club maggiori, con l’istituzione di un ufficio marketing dal 2004.
Il risultato di quanto riassunto nei quattro punti del modello di Gerrard
trova eco negli esiti delle tre aree da cui le società di football traggono profitti:
secondo gli ultimi bilanci disponibili al momento della consegna della tesi di
laurea, 92 milioni di € sono stati incassati dal MU contro 20-22 del Palermo
per quanto riguarda i diritti media, 90,5 contro 10,5 per ciò che concerne gli
incassi nel giorno della partita (botteghino ma non solo come vedremo meglio
più avanti), 67 milioni contro 4,1 riguardo l’attività commerciale
(sponsorizzazioni, merchandising e licensing): dato che si riferisce alla serie B
per quanto riguarda i rosanero, ma per la A non è di molto superiore.
In percentuale gli introiti dei giorni di gara rappresentano per gli inglesi il
36% e per i siciliani il 29,2%, quelli relativi ai mass media il 37% contro il 55-
15
61,5%, quelli commerciali il 27% contro il 10% o poco più. Ecco dove
investire, quindi: allargare la supportership (che per una società a respiro
locale come il Palermo significa rinforzare l’identità territoriale e
l’appartenenza alla comunità siciliana dei suoi tifosi) e sviluppare gli incassi da
matchday. Qui si apre un altro fondamentale sbocco dei club moderni: gli
asset, i beni di proprietà. Il Manchester United è una delle squadre più ricche
del mondo anche perché possiede un impianto concepito per il calcio come
l’Old Trafford e strutture d’allenamento all’avanguardia. Tutto appartenente al
club. Il Palermo è costretto a giocare in un campo in affitto dal Comune per il
quale nessuna opera può essere realizzata senza il preventivo assenso della
giunta cittadina.
Uno stadio moderno permette di fare tante cose: a Manchester c’è un
enorme megastore (vedi
a fianco, negozio che
vende solo oggetti del
club), grande oltre 500
metri quadrati, c’è il
museo visitabile a
pagamento con tanto di
guida che accompagna anche in campo e negli spogliatoi. Ci sono i ristoranti
(18 cucine al lavoro) per il catering, c’è la possibilità di sposarsi ed
immortalare il giorno più bello con sfondo Old Trafford e per chi vuole vivere
l’atmosfera che i giocatori provano nel prepartita nel tunnel che porta al campo
16
anche la voce registrata della folla.
Tutto questo avviene nei giorni in cui la partita non c’è: un centro di
riferimento sette giorni su sette, un’attrazione turistica premiata come la
migliore del nord-ovest inglese, capace di attirare 200 mila visitatori nel 2004,
una multinazionale del largo consumo partita dal calcio. A Palermo
l’importanza di uno stadio di proprietà è ben presente nella nuova dirigenza e
piani per la sua realizzazione sono già stati fatti: questo permetterebbe di
avvicinarsi a quei 55 € che lo United incassa da ogni spettatore a partita (72 per
il leader di questa classifica, il Chelsea), mentre i rosanero traggono oggi in
media da ogni presenza allo stadio quasi 15 €.
3. NOTA METODOLOGICA
Per convalidare l’ipotesi teorica si è svolto un lavoro articolato in due fasi:
una di natura compilativa e una seconda di ricerca sul campo.
L’argomento è stato affrontato prima in linea generale inquadrando il settore
nelle sue dinamiche, quindi sviluppando le parti analitico-strategica e quella
operativa delle società attuali, sviscerando le fonti di costi, ricavi e
finanziamenti come la Borsa e le altre attività di quest’ambito. Si sono
osservati quindi i comportamenti della domanda, cosa fa e potrebbe fare
l’offerta, qual è e come si muove la concorrenza; si è gettato un ulteriore
sguardo ai particolari ambiti della comunicazione e del merchandising prima di
applicare tutto quanto in due casi specifici: il Manchester United PLC e l’U.S.
Città di Palermo. Nell’ultimo paragrafo del 4° capitolo si forniscono una serie
17
di indicazioni emerse dall’accostamento dei due case study, mentre nelle
conclusioni si elecano i punti di una possibile “ricetta” per la soluzione dei
mali dello sport più amato nel mondo.
Nei primi tre capitoli, nell’introduzione e nelle conclusioni è stata fatta una
ricognizione della letteratura esistente, l’impianto di lavoro è stato strutturato
in base alle referenze bibliografiche mentre le folte sezioni emerografica e
sitografica sono state privilegiate al fine di avere dati quanto più possibile
aggiornati in un settore in rapido cambiamento come quello del business-
football.
Il lavoro ha seguito un iter dai caratteri più generali a quelli più particolari:
dall’osservazione del “fenomeno calcio” alla gestione delle società (cap. 1), ad
aspetti ancora legati al business settoriale come domanda, offerta ,
concorrenza, ambiente e controllo (cap. 2), al dettaglio del capitolo 3 in cui si
sono affrontate solo le leve del merchandising e della comunicazione, fino ai
case study del capitolo 4.
L’analisi comparativa tra Manchester United PLC e U.S. Città di Palermo
non ha, come detto, inteso sottolineare le differenze tra due realtà il cui
paragone è impossibile per una lunga serie di differenze storiche, economiche e
culturali quanto piuttosto gettare luce sulle politiche di gestione di un modello
di sana gestione aziendale e sportiva riconosciuto in tutto il mondo al fine di
suggerire possibili opportunità non sfruttate, o solo parzialmente, da una realtà
emergente come quella siciliana.
18
Per accostare i due case study è stato all’inizio utilizzato lo strumento di
ricerca creato dal professor Bill Gerrard dell’Università di Leeds per trovare le
ragioni del vantaggio competitivo duraturo del Manchester United in
Inghilterra. Secondo lo studioso britannico le performances di un club a tutti i
livelli dipendono da quattro risorse strategiche (gioco, management tecnico,
ampiezza della tifoseria e management generale) e i dati raccolti e pubblicati
da Gerrard sono stati aggiornati e affiancati a quelli dell’U.S. Città di Palermo,
per il quale è stata effettuata una ricerca sui medesimi aspetti sportivi,
economici e legati al marketing.
Tutto il lavoro sul campo è corredato di interviste non strutturate realizzate
con il management delle due società, l’inglese e la siciliana, realizzate in parte
sul posto, in parte al telefono o via email, e da statistiche e dati ottenuti da
documenti ufficiali quali gli Annual Report dei britannici e i Bilanci degli
italiani e, nel caso di non disponibilità di informazioni certificate (quando nel
maggio 2005 lo United è divenuto proprietà privata passando nelle mani dei
Glazer non è stato più possibile ottenere dati relativi ai conti), da articoli e
stralci di stampa.
Sono stati infine elaborati un potenziale di mercato e una stima sulle perdite
per l’U.S. Città di Palermo per quanto riguarda il mercato del falso, grazie a
una ricerca secondaria su fonti statistiche ricavate dai giornali e ad
informazioni ricevute in prima persona dalla Regione Sicilia e dalla Guardia di
Finanza. La parte relativa ai tifosi siciliani all’estero è stata ampliata con una
19
ricerca qualitativa che permettesse di comprendere la fenomenologia dei
comportamenti degli emigrati isolani di prima e seconda generazione oggetto
della nostra indagine. Questa parte è stata svolta grazie ad da articoli di giornali
ed interviste personali presso la comunità italo-americana di Brooklyn, a New
York.
4. CONCLUSIONI
Dal lungo lavoro di osservazione svolto per tanti mesi sulle realtà più
importanti del business football internazionale alla ricerca della conferma delle
tesi originarie, emerge che la strada da queste intraprese una quindicina d’anni
fa è, anzi dev’essere applicabile anche a realtà più locali ed emergenti come
quella del Palermo. L’impatto delle attività di diversificazione aziendale
introdotte dal Manchester United (il benchmark studiato), e dagli altri top club
attuali, indica che è ormai irrimediabilmente finita l’era del presidente-padrone
che chiude tutte le falle di bilancio e che corrette strategia ed implementazione
della funzione marketing sono vitali per la gestione delle società. Si è
individuato come punto d’approdo ideale la suddivisione delle tre principali
fonti d’introito (sfruttamento dei diritti media, area commerciale e incassi dal
pubblico dello stadio) in un’equa ripartizione: 33%, 33%, 33%. L’obiettivo
finale della riduzione quanto più possibile dai risultati del campo diventa in
questo modo più facile da ottenere, per quanto mai sarà possibile che una
squadra di calcio si divincoli totalmente dal proprio prodotto primario, ossia la
partita e le vittorie. A Manchester hanno fatto questo negli ultimi anni e l’era
20
aurea chiusa con l’esperienza in Borsa dimostra come gli investitori di tutto il
mondo abbiano saputo premiare una gestione vincente “dentro e fuori dal
campo”.
Il Palermo è oggi come tutte le società italiane eccessivamente dipendente
dagli introiti da sfruttamento dei diritti media e non riesce a competere con il
resto d’Europa per quanto concerne gli incassi dal botteghino. Colpa di stadi
non adatti alle esigenze moderne, come visto, aperti un solo giorno ogni due
settimane, colpa anche di una cultura non merchandising oriented come quella
britannica ma anche di un’organizzazione di questa leva strategica non
sviluppata come in Gran Bretagna e in alti paesi europei. L’aziendalizzazione
di cui si parlava nell’ipotesi passa anche attraverso la creazione di business che
non sia la partita in sé ma tutto quanto è legato ad essa: nel caso del Palermo la
nostra stima che ha individuato una presenza di appassionati rosanero all’estero
in un range che va da 457 mila a 470 mila persone e in Italia
complessivamente di 1 milione 337 mila/1 milione 349 mila persone,
suggerisce che c’è un patrimonio di passione concreto che andrebbe coltivato,
curato, utilizzato come risorsa essenziale: per gli introiti e per il supporto. Le
differenti percentuali di penetrazione sul mercato dei tifosi siciliani e italiani
(dettagliate nella tavola della pagina seguente) dimostrano qual è lo “zoccolo
duro” su cui i rosa debbano puntare oggi per crescere: quello locale sui cui
costruire le basi economiche e di gradimento per la scalata nazionale ed
internazionale.