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Capitolo I
Arte e Comunicazione
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1.1. La svolta popular dell’arte
In Europa, normalmente, per “arte contemporanea” si intende quella che va dagli
Impressionisti ad oggi, mentre negli Stati Uniti lo stesso periodo è diviso in “modern
art”, fino alla seconda guerra mondiale, e “contemporary art”, dagli anni Quaranta
circa ad oggi, prendendo come punto di partenza l‟ Espressionismo Astratto, cioè il
primo movimento d‟avanguardia d‟oltreoceano che si impone internazionalmente
(Poli 2003, p. 7).
Eppure la vera svolta contemporanea della ricerca artistica si è avuta intorno alla
seconda metà degli anni Cinquanta, sia in Europa che in America, muovendosi in
direzione di un definitivo superamento dei confini tradizionali della produzione
artistica e col fine di condurre l‟arte alla riconquista della vita e del reale.
In concomitanza con l‟espansione del consumismo di massa, dopo il secondo
conflitto mondiale, gli artisti si allontanano da una concezione dell‟arte che
giudicano “elitista ed egocentrica”, per misurarsi con il reale e la nuova società di
massa (Grenier 2003, p. 12).
1
Per la compilazione di questo capitolo mi sono avvalsa principalmente delle seguenti fonti:
Berger, R., 1974, Arte e comunicazione, Alba, Edizioni Paoline;
Mirolla, M., Zucconi, G., 2002, Arte del Novecento:1945-2001, a cura di Scrimieri R., Milano, Mondadori
Università;
Poli, F. (a cura di), 2003, Arte contemporanea: le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a oggi, Milano,
Electa.
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Si aggrava la contrapposizione tra arte d‟avanguardia (Espressionismo Astratto) e
arte di massa o commerciale (Arte Kitsch, Neo-Dada, Junk Art).
La fotografia comincia a minacciare quello che fino ad allora era ruolo esclusivo
degli artisti, cioè il ruolo di “creatori di immagini”, spianando la strada al cinema e
alla televisione per poi approdare al computer. Prospettiva, questa, anticipata dal
sociologo Marshall Mc Luhan
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e sulla cui scia il critico Lawrence Halloway nel
1954, riflettendo sul valore delle immagini nella società di massa, coniò l‟espressione
pop art dove pop è abbreviazione di popular, “popolare”, nel senso che trae spunto
dalla vita di tutti i giorni guardando al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi
che circondano l'uomo contemporaneo: il cosiddetto “folclore urbano”
3
.
Presto il termine „pop art‟ divenne indicativo di un‟estetica nascente, facile,
transitoria, seriale, suggestiva, commerciale, massificata (Mirolla 2002, p. 68), e fu
ripreso, tra gli altri, dall‟artista Richard Hamilton: il suo collage intitolato Just What
Is It Makes Today’s Homes So Different, So Appealing? (Fig. 1), prodotto nel 1956
per la mostra “This is Tomorrow” dell‟Independent Group presso l‟Institute of
Contemporary Art (ICA) di Londra, è considerato da alcuni critici e storici la prima
opera Pop Art
4
.
In un mondo dominato dalla società dei consumi, la Pop Art respinge
l‟espressione dell‟interiorità e l‟estrema emotività propria dell‟Espressionismo
Astratto e vi si contrappone con la sua leggerezza e l‟inclinazione fredda e distaccata
verso qualsiasi posizione politica o ideologica, ponendosi come unico obiettivo
quello di avere successo popolare.
2
McLuhan, M., 1951, La galassia Gutenberg.
3
La pop art: caratteristiche principali, online: http://www.artdreamguide.com/adg/_hist/_post/popart.htm
4
Enciclopedia libera online: www.wikipedia.it.
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Gli artisti Pop prendono spunto dalla cultura visiva delle masse urbane,
recuperano le immagini dei mezzi di comunicazione di massa e le riproducono con la
pittura e la scultura, in modo spersonalizzato. Le tecniche utilizzate – come quella
del collage, la ripetizione formale di alcuni elementi, il riferimento continuo a
cinema e pubblicità – si rifanno alle scelte introdotte dal New Dada statunitense,
ponte tra l‟irruenza pittorica dell‟Espressionismo Astratto e i suggerimenti figurativi
e realistici dell‟immaginario pop.
L‟immagine estrapolata dalla realtà (ad esempio foto di giornali) è sempre oggetto
e mai soggetto: la procedura di passaggio dai mass media alla tela crea quel distacco
necessario affinché si parli di pop art come di un procedimento freddo decisamente
antiespressionista, antisentimentale.
Con sfumature diverse, le immagini della strada, rappresentazioni fedeli della
realtà, si trasformano nelle immagini “ben fatte” dell'arte colta, generando nuovi
sensi e significati imprevedibili nella mente dell‟osservatore.
Nella nuova ottica esistenziale divulgata dal leader indiscusso del movimento
Pop, Andy Warhol, “l‟arte non possiede più quello spessore conoscitivo tipico della
cultura europea, legata al concetto di storia e tradizione, ma si offre al pubblico come
un luogo di assoluta piacevolezza” (Mirolla 2002, p. 69).
Lo studioso Edgar Morin sottolinea così la peculiarità di questo evento:
La cultura di massa, in fin dei conti, cessa di essere un universo chiuso, in opposizione radicale
alla cultura artistica tradizionale. Il suo nuovo policentrismo, le sue dislocazioni parziali
accelerano il movimento di conquista tecnologica che indusse un‟avanguardia culturale a utilizzare
dei nuovi mezzi di espressione come il cinema; l‟universo dei mass media cessa, dal punto di vista
estetico, di essere monopolio dell‟industria culturale stricto sensu: i canali culturali della radio, il
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nuovo impulso della canzone artistico-poetica, i nuovi circuiti del cinema d‟arte, testimoniano di
una dialettica più flessibile fra produzione e creazione, di un intervento più diretto e talvolta più
aggressivo dell‟intellighenzia (Morin cit. in Berger 1974, p. 171).
I temi raffigurati sono estremamente vari: prodotti di largo consumo, oggetti di
uso comune, personaggi del cinema e della televisione, immagini dei cartelloni
pubblicitari, insegne, foto di giornali. Sono espressione della cultura popolare, che
scaturisce dalla tradizione, dalla società e dall‟immaginario collettivo abbracciando
manifestazioni della creatività che vanno dal folclore alla cosiddetta “arte colta”.
1.2. Élite / massa
Caratterizzata da un coinvolgimento concreto della realtà oggettuale quotidiana, la
svolta Pop ha portato ad un‟apertura provocatoria della cultura d‟élite all‟universo
della cultura di massa, creando un nuovo e più diretto rapporto fra arte e vita (Poli
2003, p. 7).
Prima della svolta, l‟arte rappresentava un privilegio per le élite e in quanto tale
ad essa aveva accesso solo un pubblico ben preparato; difficilmente un pubblico
poco colto e disinformato riusciva ad avvicinarla.
Gli artisti “tradizionali” lavoravano su commissione per una clientela ricca e
agiata o per lo Stato; le loro opere erano periodicamente l‟oggetto di esposizioni
ufficiali o di manifestazioni particolari indirizzate alla medesima élite. Il resto del
pubblico si componeva di persone che non avevano alcun accesso all‟arte e per le
quali l‟arte era rappresentata dai nomi più noti.
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Tra le due categorie sopravviveva un pubblico “frontaliero”, composto da coloro
che, per gusto e curiosità, tentavano di iniziarsi all‟arte, di farsene un‟idea,
frequentando sporadicamente musei ed esposizioni o documentandosi attraverso la
lettura (Berger 1974, p. 13).
Durante la seconda metà del XX secolo, la situazione è completamente cambiata,
non solo introducendo il popolare nell‟arte, ma anche mettendo l‟arte a disposizione
di tutti. Inoltre, essendo l‟opera d‟arte un complesso e articolato mezzo di
comunicazione dotato di forte capacità comunicativa, è riuscita ad accomunare i suoi
fruitori, se non già legati da culture o abitudini o convincimenti, enfatizzandone le
affinità nel “rituale della fruizione” (Mirabella 2003, p. 182).
L‟arte contemporanea si è prestata ad essere quindi quel qualcosa che massa ed
élite possono avere in comune, un campo sul quale possono confrontarsi equamente e
liberamente, un punto di fusione di due realtà opposte.
1.3. Circolazione dell’arte
Negli anni Cinquanta, grazie allo sviluppo e alla diffusione dei mezzi di trasporto
moderni (treno e aeroplano), più sicuri e meno dispendiosi, le opere d‟arte, un tempo
confinate nei musei o presso i loro rispettivi proprietari, cominciano a viaggiare per
raggiungere un pubblico fino a quel momento sconosciuto.
Inoltre, gli organismi culturali moltiplicano le iniziative rivolte alla divulgazione
dell‟arte di un paese o di un‟epoca, attraverso le esposizioni in musei e gallerie, e
incentivano confronti periodici nazionali e internazionali, di varie espressioni
artistiche – come la Biennale di Venezia, la Biennale dei Giovani a Parigi, ecc.
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L‟arte contemporanea comincia a godere di una possibilità di contatto fino ad
allora inimmaginabile. Se prima erano destinati alla sola conservazione del passato,
dopo la svolta i musei aprono i battenti anche ad esposizioni di opere moderne e
costituiscono circuiti nazionali: alcuni si specializzano nell‟ esportazione, come il
MoMA (Museum of Modern Art) di New York, altri organizzano vere e proprie
tournee, altri ancora esercitano addirittura il ruolo di promotori, in particolare lo
Stedelijk Museum di Amsterdam che, moltiplicando le esposizioni, si dedica
all‟aggiornamento permanente delle informazioni (Berger 1974, p. 41).
La circolazione delle opere d‟arte è ormai fenomeno inarrestabile, tanto che sorge
un‟organizzazione reticolare complessa di cui fanno parte case di trasporto, società di
assicurazioni, tipografi, che animano a loro volta le gallerie d‟arte. Queste sono così
distinte da Berger:
Le gallerie, molto numerose, si possono distinguere in: a) «gallerie di rivendita» che, con maggior
o minor merito, si dedicano alla vendita di opere conosciute, antiche o moderne; b) «gallerie-
garages», secondo l‟espressione di Raymonde Moulin, che affittano le loro mura, talvolta a prezzi
molto elevati, agli artisti desiderosi di esporre e che sono troppo spesso gestite da mercanti; c)
«gallerie-pilota», come ho proposto di chiamarle in occasione, nel 1963 a Losanna, del 1° Salone
internazionale delle gallerie-pilota (pp. 41-42 ).
Come spiega Renè Berger, le gallerie pilota svolgono un lavoro di ricerca, di
scoperta che suscita l‟interesse della critica e si assicura la fiducia dei collezionisti da
cui dipende in gran parte l‟avvento di un‟espressione artistica (ib.).
La New York dei primi anni Sessanta comincia ad accogliere la formazione del
sistema commerciale dell‟arte composto da una fitta rete di gallerie private in
collegamento con mercanti e collezionisti privati: le gallerie up-town, cioè situate
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intorno alle lussuose Fifth Avenue e Madison Avenue, rappresentano i gusti dell‟alto
collezionismo, mentre down-town, in quartieri ancora in via di sviluppo come Soho,
East Villane, Alphabeth City e Tribeca, alcuni artisti trasferiscono i loro atelier e
abitazioni in vecchie fabbriche o depositi abbandonati e cominciano ad aprire gallerie
che espongono giovani e sconosciuti artisti (Mirolla 2002, p. 68).
Segue un notevole impegno promozionale sia pubblico che privato.
1.4. Riproduzioni
Grazie alle riproduzioni e al rinnovamento e l‟industrializzazione della loro
creazione, le possibilità di contatto tra la massa e l‟arte si sono moltiplicate.
Il perfezionamento tecnico, con l‟introduzione del colore, e la diminuzione del
prezzo di costo, hanno favorito il notevole allargamento del repertorio delle
riproduzioni: dalla cartolina ai calendari a colori, dalla carta da imballo alla scatoletta
di fiammiferi, dai tessuti ai frigoriferi, ecc. Ogni superficie disponibile diventa un
luogo virtuale di riproduzione a colori.
La riproduzione presuppone una ripetizione, ri-produzione, produrre un‟altra volta
ad immagine dell‟originale, ma non è solo un semplice fenomeno di ripetizione, essa
corrisponde a un insieme di operazioni numerose e complesse quanto le tecniche di
cui si serve, gli scopi che si prefigge e le funzioni da essa suscitate. Ogni esemplare
comporta, nella sua singolarità, una referenza agli altri esemplari.
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Con l‟invenzione della fotografia e del cinema, l‟opera d‟arte è diventata
riproducibile e seriale
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, ma un‟ulteriore progresso si è avuto con la digitalizzazione
che ha portato alla perfezione nella riproducibilità tecnica dell‟opera: “ogni copia è
l‟originale” diceva Andy Warhol.
La comunicazione di massa ha trasformato i nostri modi di percepire e di
comunicare, la riproduzione trasforma la nostra coscienza e il nostro senso
dell‟esistenza: davanti ad una riproduzione di un‟opera d‟arte abbiamo a che fare con
una coscienza-presenza indiretta, giacché l‟originale è altrove, ma anche con una
coscienza-presenza diretta della riproduzione stessa che è davanti ai nostri occhi
(Berger 1974, p. 31).
Di conseguenza, anche la sensazione del tempo si modifica: quando guardiamo
una riproduzione ci poniamo in uno stato di coscienza-presenza differito se diamo la
preferenza al rapporto riproduzione-originale, mentre l‟esperienza è immediata nei
confronti della riproduzione che abbiamo tra le mani (p. 32).
Il quadro di riferimento dunque cambia a seconda dell‟atteggiamento che
adottiamo.
Guardando la situazione da un altro punto di vista, potremmo asserire che la
riproduzione ha sfruttato l‟opera d‟arte trasformandola in oggetto, consumando così
il valore originario per acquisire un valore strumentale. La riproducibilità delle cose
ha minato alla base la concezione e la fruizione dell‟arte tradizionale.
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Secondo Walter Benjamin l‟opera d‟arte è sempre stata riproducibile, ma la riproducibilità tecnica dell‟opera
d‟arte è qualcosa di nuovo, che si afferma nella storia ad intermittenza, e tuttavia con una crescente intensità. I
greci conoscevano solo 2 procedimenti per la riproduzione tecnica delle opere d‟arte: la fusione e il conio, quindi
solo bronzi, terrecotte e monete potevano essere prodotte in quantità. Con la silografia diventò per la prima volta
tecnicamente riproducibile la grafica; con la stampa fu la volta della scrittura; nel medioevo vengono ad
aggiungersi anche l‟acquaforte e la puntasecca; all‟inizio del XIX secolo la litografia; pochi decenni dopo la
fotografia superò tutti i procedimenti sostituendo l‟occhio alla mano nel processo della riproduzione figurativa
accelerato a tal punto da esser in grado, con il cinematografo, di fissare le immagini alla stessa velocità con cui
l‟interprete parla (Benjamin 1936, pp. 21-21).
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Ciò non cambia il fatto che la riproduzione ha permesso alle opere d‟arte di essere
sotto gli occhi di chiunque a prezzi relativamente modici, proprio come un perfetto
mezzo di comunicazione di massa.
1.5. L’arte comunicata dai mass media
L‟espressione artistica, un tempo “dominio riservato” (Berger 1974, p. 13), è
arrivata alla portata di tutti e in un simile processo i mass media hanno avuto un
ruolo importantissimo se non fondamentale: giornali, radio, cinema, televisione
hanno spalancato l‟accesso alle opere del passato e a quelle contemporanee, che a
loro volta costituiscono materia per l‟informazione di massa.
Se i mass media trasformano oggetti, fatti, idee, avvenimenti in informazione,
ossia in “riproduzione a diffusione di massa” (p. 25), ogni manifestazione artistica è
innestata su un‟informazione che tende a diventare sempre più ampia, sempre più
immediata, sempre più pregnante e di cui nessuno può fare a meno (p. 43). Questo
tipo di informazione si dedica alla diffusione di avvenimenti che, anche se
presentano un lato commerciale, possiedono un carattere culturale sufficiente ad
avere il sopravvento su esso.
Secondo Berger, l‟informazione procede per circuiti:
il primo circuito è quello della stampa e si avvia con biglietti d‟invito,
vernissages, chiacchiere, pettegolezzi;
il circuito del cinema si attiva quando si tratta di un artista vedetta o di un
avvenimento insolito;
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i circuiti della radio (interviste, dibattiti) e della televisione (incontri con l‟artista,
diretta televisiva) sono i più diretti al grande pubblico, alla massa;
il circuito della pubblicazione (cataloghi, monografie, libri collettivi) ha un campo
di esplorazione decisamente ridotto rispetto a quello dei mass media, mentre la
durata e il grado di assorbimento è sicuramente maggiore. Questo perché
l‟assimilazione dell‟informazione è sempre inversamente proporzionale alla vastità
di pubblico che l‟informazione raggiunge.
Inoltre l‟informazione passa anche attraverso canali differenti quali sono la lingua
scritta per la stampa e le pubblicazioni, il suono per la radio, suono e immagini per la
televisione e il cinema. A seconda del canale varia la velocità con cui l‟informazione
raggiunge il pubblico: radio e televisione possono agire in diretta accelerando la
trasmissione del messaggio; la stampa e l‟articolo di rivista hanno i loro tempi di
pubblicazione e quindi rallentano la fase di trasmissione. Varia così anche l‟impatto
che l‟informazione ha sul pubblico secondo se si è in presenza di una immagine
immobile (fotografia, caricatura) o di un‟emissione televisiva che esige
un‟animazione continuata, o un saggio che si rivolge alla sola riflessione del lettore
(ib.). È chiaro che la creazione artistica si accompagna sempre più ai mezzi che la
segnalano, la diffondono, la impongono e che bisogna riconoscere come parte
integrante dell‟avvenimento.
Eppure, alcuni non la pensavano così e provarono con la video arte a sventare il
furto con cui la televisione, producendo immagini elettroniche per milioni di
spettatori, cominciò a sottrarre potere agli artisti, produttori per eccellenza di
immagini uniche e non riproducibili. L‟immagine elettronica, esaltata nella sua
qualità espressiva, bloccata, scandagliata e ristrutturata, venne sottratta al flusso
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incontrollabile delle immagini televisive, con lo scopo di restituire nuovamente un
ruolo attivo, riflessivo allo spettatore. (Mirolla 2002, p. 95)
L‟avvio ufficiale della video arte avvenne alla Galerie Parnass di Wuppertal in
Germania, nella quale nel 1963 furono esposte le opere di artisti già noti nel
movimento Fluxus
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, come il coreano Nam June Paik. Inizialmente si trattò di
scomporre i supporti meccanici ed elettronici della televisione e riformulare intorno a
essi un nuovo contesto visivo globale. Successivamente, con le nuove tecnologie, si
riuscì a intervenire non solo sul “dispositivo di trasmissione dell‟apparato visuale
elettronico”, il monitor, ma anche su quello di ripresa, la telecamera (p. 95).
Nel 1965 la ricerca si spostò a New York, dove la Rockfeller Foundation assegnò
alla catena televisiva di Boston WGBH 275.000 dollari per la promozione di
programmi televisivi sperimentali affidati ad artisti e ricercatori, regolarmente
trasmessi in TV. Accadde così che la video arte, partita come una critica radicale del
mezzo televisivo, diventò ben presto l‟espressione di un‟arte visiva che non poteva
più fare a meno dell‟universo mediatico.
Anni prima, all‟inizio del secolo, anche il movimento Dada, nemico giurato
dell‟arte e della società, ha ceduto ad istituzionalizzarsi a suo modo dopo che la
Sorbona gli ha aperto le porte per accoglierlo sotto forma di tesi, e che i musei gli
hanno aperto le loro per commemorare il suo cinquantenario (Berger 1974, p. 154).
Successivamente, anche l‟iconoclastia del New Dada ha dovuto fare i conti con il
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Le prime esperienze di video arte si svilupparono, appunto, all‟interno di questo movimento artistico al confine
tra integrazione e disgregazione, impegnato a togliere importanza all‟oggetto artistico per darla invece alle
situazioni, allo spettacolo. Fluxus nacque negli Stati Uniti verso la fine degli anni ‟50, e vi confluirono tendenze
neodadaiste inclini ad utopie anarco-comuniste. La poetica di questo movimento si fondava essenzialmente su
due principi: essi si proponevano di fondare un nuovo ambiente socio-culturale in cui fosse possibile una
circolazione più immediata di una nuova estetica, tesa a ridurre la distanza tra artista e fruitore. In secondo luogo,
si proponevano di fornire nuovi modelli artistici da opporre ai canoni e alle convenzioni dell‟arte istituzionale, in
modo da stabilire una totalità, una globalità inedita, ridefinitoria dei comportamenti estetici e di permutazioni
attive dei linguaggi (Nam June Paik, padre della videoarte, online: http://noemalab.org/sections/specials/tetcm/
2002-03/nam_june_paik/paik.html).
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mercato spietato che è stato capace di vendere la sua negazione e di ridurre a moda e
a fenomeno di consumo anche gli esempi più radicali.
1.6. Il messaggio dell’arte
Il messaggio, si sa, è l‟oggetto del processo di comunicazione che parte da un
emittente per raggiungere attraverso un canale un ricevente. La trasmissione e la
ricezione del messaggio necessitano di operazioni di codifica e decodifica del codice
utilizzato ai fini della comunicazione. Un‟opera d‟arte è tale in quanto assomma
teknè e arkè, tecnica e principio, idea e forma (Mirabella 2003, p. 157).
Ogni artista rappresenta la realtà secondo tecniche tipiche della sua arte e codici la
cui conoscenza consente di “leggere” un‟opera d‟arte, di interpretarne il messaggio,
di apprezzarla.
L‟arte, sostiene Michele Mirabella, consente una “lettura a più livelli” del
messaggio (ib.). La lettura primaria consiste nella descrizione di quanto
rappresentato nell‟opera utilizzando un codice comune simbolico, convenzionale,
senza del quale il soggetto potrebbe essere interpretato in vari modi. Il ricettore
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privo di cultura artistica svolge, come la definisce Berger, una “operazione di
riconoscimento”, prelevando dal messaggio dell‟opera gli elementi idonei a
identificare gli oggetti appartenenti all‟immaginario collettivo: per lui il messaggio
dell‟opera è ciò che vede con i suoi occhi (Berger 1974, p. 133). Con la lettura
primaria si accede solo ad una parte del messaggio che l‟opera trasmette.
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Il termine “ricettore” viene utilizzato da Renè Berger per indicare il “ricevente” nel processo di comunicazione.
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L‟errore sta proprio nel considerare l‟opera come un messaggio cifrato
dall‟artista, che lo spettatore è sicuro di decifrare attraverso l‟applicazione del codice
sul quale egli si sente accordato. Berger centra il punto:
L‟opera d‟arte non è mai soggetta ad una semplice decifrazione, né può esserlo, per la buona
ragione che essa non è, né può essere, un messaggio cifrato. L‟opera propone al recettore di
rimettere in questione le condizioni della ricezione stessa. (…) Il messaggio artistico sfugge alla
standardizzazione che condiziona l‟emissione, la trasmissione e la ricezione corrente. (…) Il
messaggio non è mai costituito, né all‟emissione, né nel corso della trasmissione, né alla ricezione;
esso non è mai un dato; esso è tenuto ad informare lo spettatore che non può accontentarsi di una
ricezione standard emanante da un criterio valevole per tutti, giacché ognuno deve partecipare
all‟esistenza dell‟arte come l‟arte deve partecipare all‟esistenza di ognuno (p. 134).
L‟esigenza di decifrare un‟opera deriva dal nostro diritto di sentirla parte del
mondo in cui viviamo. Convengo con Mirabella nel ritenere che l‟arte la creano,
insieme, chi la realizza e chi la apprezza e la riconosce come tale (Mirabella 2003, p.
157). Per questo l‟altra metà del messaggio viene a costituirsi a cura dell‟osservatore
attivo, e sta nella personale interpretazione che ognuno dà a ciò che vede e sente
attraverso l‟opera d‟arte in questione. Essa non fa altro che proporre un nuovo
adeguamento fra i segni che la costituiscono (significante) e la significazione che
ogni nuovo sguardo vi attribuisce (significato).
In quanto mezzo di comunicazione, rifacendomi al pensiero di Berger, credo che
le opere d‟arte, staccate dall‟emittente e dal ricevente, intermediarie fra l‟oggetto e il
soggetto, fondano un tipo originale di relazione in cui il messaggio non è né un dato
che si emette né, tanto meno, che si trasmette o che si riceve, ma un fenomeno che si
sviluppa man mano che agisce la corrente della comunicazione: “L‟arte trasforma