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CAPITOLO PRIMO
W.R. Bion : Esperienze nei gruppi e teorie sulle
dinamiche di gruppo.
1.1 Introduzione
Uno dei più importanti contributi per la comprensione dei processi
inconsci nei gruppi è quello offerto da Wilfred R. Bion.
La comprensione dei processi inconsci dei gruppi è utile perché
molto di ciò che avviene a livello non conscio nei gruppi ha delle
ripercussioni sullo svolgimento del compito per il quale il gruppo è stato
creato. Un gruppo di persone riunite per lavorare svolge un’attività di
lavoro di gruppo, cioè, un funzionamento mentale volto a raggiungere un
obiettivo. Ma questi obiettivi possono essere impediti o, a volte, anche
favoriti da tendenze emotive di origine inconscia.
Di formazione psicoanalitica, Bion è stato il maggiore studioso e
teorico del comportamento dei gruppi e delle organizzazioni. Fu uno dei
padri fondatori del Tavistock Institute of Human Relations
1
e produsse un
contributo molto significativo sulle teorie e sulle pratiche delle relazioni dei
gruppi.
Il suo approccio è, dunque, essenzialmente psicoanalitico ma ciò
nonostante è di straordinaria importanza perché anche un gruppo che abbia
un “compito primario” ha sempre un “comportamento emotivo”. Per
comprenderlo le tecniche e gli strumenti psicoanalitici appaiono certamente
1
Il Tavistock Institute of Human Relations è nato nell’ambito della Tavistock Clinic, quest’ultima
un’istituzione per la terapia psicoanalitica di pazienti psichiatrici fondata nel 1920. Gli studiosi che
hanno successivamente dato origine al Tavistock Institute presero parte allo sforzo bellico e
contribuirono con i loro studi a sostenere alcuni processi significativi. Il Tavistock Institute è
diventato un’organizzazione indipendente nel 1946 anche con l’assunzione che la psichiatria,
insieme a tutte le altre scienze sociali, non dovesse essere circoscritta ai soli casi individuali ma
doveva essere soprattutto sociale.
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indispensabili, nel senso che, se nello svolgere il compito assegnato nel
gruppo prendono corpo delle tendenze emotive che non lo fanno operare
razionalmente - dirigendolo piuttosto verso il polo delle emozioni, ansie e
paure - è attraverso la psicoanalisi che tali sentimenti tipici degli stadi più
primitivi possono essere colti e compresi.
Egli scrisse sulle sue esperienze di trattamento psicoanalitico dei
gruppi in diversi saggi tra gli anni 1943 e 1952, saggi raccolti nel libro
Experiences in Groups and other Papers, edito dal Tavistock Publication
nel 1961 e tradotto in italiano nel 1971 col titolo Esperienze nei gruppi.
I suoi studi furono molto importanti e noti perché utili a comprendere
il funzionamento dei gruppi. I suoi studi si basarono anche sulle teorie di
Melanie Klein, il cui contributo, relativo alla “Teoria delle relazioni
oggettuali”, è centrale in Bion perché i processi di scissione e di proiezione
di cui ella parla - osservabili nella prima infanzia come difese predominanti
per evitare il dolore - sono anche visibili nella vita dei gruppi. Quanto
avviene in un gruppo al lavoro quando cerca di difendersi dalle ansie
derivanti dallo svolgimento del compito innesca modalità difensive
rappresentate da ciò che Bion definisce “assunti di base”.
Partendo dal suo lavoro psicoanalitico con i bambini, Melanie Klein
ipotizza l’esistenza di ciò che definisce “mondo interno” che è inconscio e
presente in ogni individuo ed è il luogo all’interno del quale si esprimono i
desideri, le fantasie e le immagini della realtà psichica
2
.
Lei identifica due fasi dello sviluppo del bambino:
2
Realtà psichica è un concetto elaborato da Sigmund Freud. Egli postula che all’interno
dell’apparato psichico, composto da tre istanze: l’ES, che è l’inconscio, istanza in cui prevale il
desiderio, l’IO, che corrisponde alla coscienza e obbedisce al principio di realtà e il SUPERIO, che
è l’istanza morale, esista un conflitto permanente, un conflitto nell’ES, tra l’IO e l’ES e tra l’IO ed
il SUPERIO. La portata delle spinte inconscie dell’ES, ha per il soggetto una forza rilevante. Freud
parla ad un tale proposito di realtà psichica riferendosi allo spazio interno al soggetto occupato da
immagini, pensieri, fantasie e desideri inconsci. Essa è soggettivamente importante ed ha per il
soggetto una forza di persuasione maggiore di ciò che si percepisce dal concetto di realtà. La realtà
psichica si impone sull’analisi di realtà e non coincide con la realtà esterna o condivisa, che è data
dalle percezioni che insieme si condividono attraverso gli organi di senso ed è percepita come
uguale per tutti.
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¾
La prima fase è quella che definisce schizoparanoide. In questa fase
il bambino agisce in modo istintuale e primordiale; il bambino prova
un primitivo terrore di annichilimento associato all’istinto di morte
freudiano. Come modalità di difesa contro questo terrore, l’IO viene
scisso e tutta la cattiveria e l’aggressività viene negata dal bambino
come appartenente a sé e proiettata nella madre. Il bambino vive,
allora, nella paura della persecuzione materna che potrebbe
concretizzarsi come paura che la madre entri all’interno del bambino
e distrugga ogni cosa buona. Questa paura è l’angoscia fondamentale
di quella che la Klein definì posizione “schizoparanoide”. Questa
precoce modalità di organizzazione dell’esperienza viene così
chiamata a causa dei due principali meccanismi di difesa impiegati
dall’IO: la scissione (“schizo”) e la proiezione (“paranoide”). Questi
meccanismi vengono utilizzati per separare il più possibile ciò che è
“buono” da ciò che è “cattivo”. Dunque, il bambino scinde il suo
mondo dividendolo in buono e cattivo. Gli oggetti persecutori o
cattivi, dopo essere stati proiettati nella madre al fine di allontanarli
dagli oggetti buoni, vengono reintroiettati, riportati dentro. I motivi
dell’introiezione o del mettere dentro gli aspetti negativi possono
essere la fantasia di controllare l’oggetto e dominarlo contenendolo
dentro di sé o il preferire un oggetto “cattivo” all’assenza totale
dell’oggetto o il desiderio di ottenere una relazione positiva con
l’oggetto. Questa situazione perdura fino a quando il bambino inizia
a rendersi conto che la madre “cattiva” e la madre “buona” non sono
distinte, ma sono la medesima persona. Questa consapevolezza
inquieta il bambino perché nasce in lui il timore che le sue fantasie
sadiche e distruttive nei confronti della madre possano averla
distrutta. Questa nuova preoccupazione è stata definita dalla Klein
“angoscia depressiva” e annuncia l’arrivo della:
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fase depressiva, che comporta la preoccupazione di potere
danneggiare gli altri, contrariamente a quanto avviene nella
posizione schizoparanoide in cui la paura è quella di potere essere
danneggiati dagli altri. La colpa diventa, quindi, un aspetto rilevante
della vita affettiva del bambino che tenta di risolvere attraverso la
riparazione, consistente in azioni rivolte verso la madre allo scopo di
riparare il “danno” provocatole.
Queste due fasi rappresentano un normale stadio dello sviluppo che
avviene nella prima infanzia, nel senso che, come indica la stessa Melanie
Klein, in realtà non c’è sviluppo se non attraverso la fase depressiva perché
è solo così che si acquisiscono le responsabilità. E non c’è riparazione se
non c’è l’accettazione del proprio mondo interno. Dunque, la riparazione è
una disponibilità interiore che non avviene senza il riconoscimento della
consapevolezza. “Normale stadio dello sviluppo” dell’infanzia, non
significa che tali meccanismi di scissione e proiezione non possano
riproporsi anche nel corso della vita; in questo sta, infatti, la connessione tra
il contributo della Klein e Bion
3
.
Melanie Klein sostiene che il bambino raggiunge uno stadio di
sviluppo maturo quando inizia a strutturare l’IO che è l’istanza che
corrisponde alla coscienza e che obbedisce al principio di realtà. È, infatti,
l’IO che suggerisce al bambino che la madre che ama e che odia sono la
stessa persona e fa nascere nel bambino il senso di colpa che lo deprime.
Così come la Klein, anche Bion individua il momento in cui il
gruppo al lavoro raggiunge uno stadio di maturità, rappresentato dalla sua
capacità di comprendere la sua realtà interna e la capacità di stare a contatto
con quella esterna. Dunque, un gruppo al lavoro è maturo nella misura in
3
Quando Bion parla di “forti tendenze emotive” che possono prendere corpo in un gruppo, a cui
da il nome di assunti di base, si riferisce ad attività mentali le cui caratteristiche corrispondono
strettamente alle fasi sopra descritte caratterizzate dai meccanismi di scissione, proiezione e
introiezione.
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cui ha un adeguato rapporto sia con la realtà psichica che con la realtà
esterna.
Questo breve riferimento alle teorie di Melanie Klein è senz’altro
indispensabile perché, avvalendosi delle scoperte di questa psicoanalista,
Bion arricchisce notevolmente la comprensione dei fenomeni di gruppo ed
egli stesso si considera “sempre più convinto della fondamentale
importanza delle teorie Kleiniane sulla identificazione proiettiva e sul
rapporto tra posizione schizzo-paranoide e posizione depressiva. Senza di
esse dubito che si possa progredire nello studio dei fenomeni di gruppo”
4
.
4
Cfr. W.R. Bion, Experiences in Groups and other Papers, Tavistock Publication Ltd; trad. it.
Esperienze nei Gruppi, Roma, Armando Editore, 2001, op. cit. pg.16
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1.2 L’esperimento di Northfield
Bion iniziò ad occuparsi per la prima volta di gruppi durante la
seconda guerra mondiale quando ebbe l’incarico di dirigere un reparto di
riabilitazione in un ospedale psichiatrico militare. In questa occasione,
condusse un esperimento divenuto famoso col nome di “Esperimento di
Northfield” che diede una svolta significativa allo studio dei gruppi e delle
relazioni gruppali.
A seguito del suo ingresso in questo ospedale, Bion osservò che il
morale dei ricoverati era basso ed era come se all’interno dell’ospedale
regnasse un senso di apatia e di pigrizia. Egli, in quanto responsabile del
reparto, si trovava sempre più assillato da problemi urgenti, burocratici ed
amministrativi, sollevati dal personale e da altri. Si creò, quindi, un clima di
esasperazione tale per cui, Bion, iniziò a chiedersi che significato potessero
avere questi problemi.
Egli intuì che i comportamenti collettivi nascondevano altre ragioni,
nel senso che, prendevano la forma di problemi burocratici ma, in realtà,
erano causati da altro. Così il suo obiettivo principale fu quello di capire il
perché del cattivo funzionamento dell’ospedale ed il perché dell’esistenza
di questi problemi amministrativi. Avendo delle esperienze militari, Bion
sapeva che l’unità militare si ricompatta se viene identificato un nemico.
Egli cerca di individuare e di rendere percepibile la presenza del nemico
- pericolo e obiettivo comune - che impedisce, all’interno dell’ospedale, lo
svolgimento sereno delle attività.
Non fu difficile identificare il pericolo: Bion assunse che il pericolo
comune per gli uomini in un reparto di riadattamento - e l’obiettivo che
potesse, quindi, al contempo unirli - era l’esistenza della nevrosi come
malattia della comunità, cioè, l’esistenza di alcuni problemi relazionali che
impedivano all’ospedale di funzionare efficacemente.
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Se questo era effettivamente il problema, non spettava a Bion
risolverlo ma la sua risoluzione doveva essere posta a carico dell’intera
comunità ospedaliera.
Fu condotto, perciò, un esperimento che durò sei settimane il cui
obiettivo era quello di costituire dei gruppi per fare in modo che potessero
essere affrontati e risolti i problemi pratici presenti nella struttura
ospedaliera.
Fu riunito tutto il reparto e fu comunicato che sarebbe, presto, entrato
in vigore un nuovo regolamento secondo cui:
ι
gli uomini del reparto si sarebbero dovuti dividere in gruppi;
ι
ogni gruppo avrebbe dovuto svolgere differenti attività;
ι
ognuno sarebbe stato libero di formare un gruppo nuovo;
ι
chi non si sarebbe sentito in grado di partecipare ed intervenire alle
riunioni di un gruppo poteva andare nella sala riposo;
ι
la sala riposo sarebbe stata sorvegliata da un’infermiera militare e
qui vi potevano stare coloro che desiderassero leggere, scrivere o
giocare a dama.
Fu reso noto che ogni giorno ad un orario determinato ci sarebbe
stato un incontro per fare delle comunicazioni e discutere gli altri problemi
del reparto.
Inizialmente accadde poco, ma poi, si incominciarono a costituire dei
gruppi, nel senso che, attraverso la loro costituzione i ricoverati
cominciarono ad organizzarsi elaborando programmi, orari di lavoro,
comunicando tra loro e notando che le cose, all’interno dell’ospedale,
iniziavano ad andare meglio. Fino a quando gli incontri che si stabilirono
quotidianamente divennero delle fondamentali e costruttive riunioni.
Ad un mese dall’inizio dell’esperimento avvennero notevoli
cambiamenti. I gruppi avevano cominciato a funzionare bene e tra i
componenti il rapporto era di cordialità e di collaborazione, quindi, il
morale risalì, il senso di apatia scomparve, c’era la sensazione di essere tutti
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impegnati in un compito valido e importante e, attraverso questa maggiore
collaborazione, iniziativa e responsabilità da parte di tutti, l’ospedale
divenne nel complesso più efficiente.
Da questo esperimento, Bion riesce a meglio definire il
“buon spirito di gruppo”, le cui qualità sembrano riferirsi a:
\
Uno scopo comune, vincere un nemico o difendere un ideale.
\
Il riconoscimento da parte dei membri del gruppo dei legami del
gruppo.
\
L’assenza di sotto-gruppi con legami rigidi. Se un sotto-gruppo
dovesse costituirsi è bene che questo non sia centrato su se stesso
costituendo una barriera per i membri del gruppo principale;
piuttosto, l’esistenza del sotto-gruppo deve essere funzionale al
funzionamento del gruppo principale.
\
Il gruppo deve avere la capacità di affrontare il malcontento
all’interno di sé stesso ed individuare i mezzi per poterlo dominare.