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INTRODUZIONE
“Quasi tutti ritengono di sapere che cosa sono le emozioni. Le emozioni
sono concepite come particolari sensazioni o sentimenti etichettabili con parole
quali felice, triste, arrabbiato, sorpreso. Chiunque dirà che le emozioni si
verificano frequentemente nella vita quotidiana e si possono osservare alle
partite di football, nei servizi giornalistici alla televisione, negli articoli dei
quotidiani, nei comuni incontri con gli amici, le persone amate o i parenti.
Talvolta si vedono persone senza casa o mentalmente disturbate vagabondare
per le strade mostrando segni di depressione, apatia o rabbia. Le emozioni
pervadono la nostra vita” (Plutchik, 1995).
Come si deduce dal pensiero di Plutchik, le emozioni sono una parte centrale della nostra vita.
Numerose ricerche oggi mostrano che vi è un forte incremento di problemi nella sfera
emozionale, probabilmente dettati dal contesto socio-culturale in cui viviamo. La nostra è una
società complessa, caratterizzata dalla globalizzazione, da profondi mutamenti socio-economici e
politici, dal rapido cambiamento dei valori di riferimento, ma anche dall’eterogeneità e dalla
contraddizione delle proposte e dei modelli culturali contemporaneamente presenti e che ci
disorientano. A tutto ciò si aggiunge il fatto che l’Uomo occidentale, per molti secoli, è stato
culturalmente indotto a sentirsi dotato di due parti, cioè una mente e un corpo, La mente era
considerata la dimora del pensiero, della volontà, dei sentimenti, della memoria. Il corpo, invece,
era visto come qualcosa da nascondere, sede di impulsi animaleschi e infimi bisogni terreni. La
cosa è molto diversa in Oriente, dove filosofie e pratiche antichissime insegnano a coltivare la
pace dello spirito. L’Uomo occidentale sta riscoprendo ora che la mente e il corpo non sono due
entità separate e lo ammette anche la scienza medica, quando ipotizza che lo stress predisponga
allo sviluppo di patologie e che la felicità aumenti le difese immunitarie dell’organismo.
E’ attraverso le emozioni che noi ci confrontiamo con il mondo esterno e con gli altri, sono loro
che ci guidano quando dobbiamo affrontare le diverse situazioni che la vita ci riserva, sia
positive, sia negative.
Data l’importanza che le emozioni rivestono nella nostra esistenza, è facile capire quanto una
compromissione in tale ambito possa avere ripercussioni a tutti i livelli di vita della persona,
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nonché, come dimostrano diversi studi, possa diventare un fattore precipitante lo sviluppo di
patologie quali depressione, ansia e abuso di sostanze.
Il presente studio si propone di indagare come la presenza di fragilità emotiva incida sul
benessere psicofisico in un campione di soggetti sani e di effettuare un confronto tra quest’ultimi
e un campione di pazienti psichiatrici per quanto riguarda i punteggi ottenuti sia nella scala per la
misura della Fragilità Emotiva, sia nelle schede A e B del CBA-H (Cognitive Behavioural
Assessment-forma hospital). In particolare, si è ipotizzato che i soggetti sani avessero un
punteggio medio significativamente inferiore rispetto ai pazienti psichiatrici sia nella scala per la
misura della Fragilità emotiva (e nelle sue due sottoscale), sia nelle due schede A (tre sottoscale)
e B (due sottoscale) che compongono la batteria CBA-H e un punteggio significativamente
superiore nella sottoscala B2 del CBA-H che valuta il Benessere psicofisico. Inoltre, si è voluto
valutare anche se ci fosse un’associazione fra alti punteggi nella scala di Fragilità Emotiva e
bassi punteggi nella scala per il benessere psicofisico, tenendo presenti anche altre variabili quali
età, il gruppo di appartenenza, il sesso e i punteggi ottenuti nelle altre scale del CBA. L’obiettivo
del presente lavoro è, potenzialmente, quello di fornire alcune evidenze su come il contributo
della psicologia, e in particolare della psicologia clinica, possa essere fondamentale nell’aiutare a
raggiungere un quadro complessivo, rilevante e coerente, di contributi specifici alla promozione e
al mantenimento del benessere e della salute e all’identificazione di eventuali fattori di rischio
per lo sviluppo di future psicopatologie.
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CAPITOLO I
Uno sguardo alla letteratura: analisi dei costrutti
E’ consuetudine distinguere tra sentimenti ed emozioni. Un sentimento può essere definito come
una reazione, positiva o negativa, a qualche esperienza o evento e rappresenta un’esperienza
soggettiva. Al contrario, l’emozione è uno stato misto causato da cambiamenti fisiologici che
avvengono in risposta a determinati eventi e che tendono a mantenere o abolire l’evento
causante. L’umore è un’esperienza pervasiva e sostenuta che colora la percezione che le persone
hanno del mondo (Fish, 1985). Fish differenzia le risposte emotive anormali, definendole come
quelle che sono comprensibili ma eccessive, dall’espressione emotiva anormale, che si riferisce
invece alle espressioni emotive che sono davvero diverse da una media reazione normale. I
disturbi patologici dell’espressione emotiva differiscono dalle espressioni anormali
dell’emozione in quanto in queste il soggetto non è consapevole dell’anormalità. Fish utilizza
l’espressione reattività dell’umore per descrivere le fluttuazioni dell’umore che avvengono
parallelamente a cambiamenti del proprio ambiente. In tal modo, l’umore migliorerà andando in
vacanza o quando la situazione stressante muta, per ripresentarsi soltanto quando si torna a essere
esposti alla situazione stressante. Nel presente capitolo faremo riferimento ai termini di fragilità
emotiva, suscettibilità e labilità emotiva, cercando di chiarire nel migliore dei modi a cosa si
riferiscono.
I.1. La Fragilità Emotiva
Storicamente, le emozioni sono state considerate sia come aventi base innata e quindi
istintive, ovvero risposte fisiologiche attivate da eventi esterni (Allport, 1924; Ekman, 1972;
Izard, 1971; Panksepp, 1998; Wilson-Mendenhall, Barrett, Simmons, & Barsalou, 2011), sia
come risultato diretto delle valutazioni, da parte delle persone, degli eventi esterni in relazione ai
loro obiettivi, bisogni e preoccupazioni (Arnold, 1960; Frijda, 1986; Lazarus, 1991; Wilson-
Mendenhall et al., 2011). Recentemente, altri modelli quali quelli costruttivisti, hanno dato molta
importanza al la consapevolezza delle emozioni (o mindfulness). Fra questi il Conceptual Act
Model di Barret (2009), il quale considera le emozioni come un insieme variabile di eventi
mentali, che includono fattori biologici, psicologici e soprattutto una valutazione degli eventi e
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degli stati affettivi. Secondo questo modello, ogni esperienza emotiva è caratterizzata da eventi
esterni, sensazioni interne e esperienze passate che interagiscono per formare quelli che sono gli
stati mentali. Barret ha proposto diversi fattori in grado di spiegare la variabilità che si osserva
nelle emozioni. Uno di questi fattori riguarda la reattività emozionale di cui fa parte la “labilità
emotiva” (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders [DSM–IV–TR], American
Psychiatric Association, 2000).
Fragilità emotiva, labilità e suscettibilità emotiva sono termini usati per indicare sintomi quali
irritabilità, sbalzi d’umore, propensione al pianto, scarsa tolleranza alle frustrazioni, disforia,
improvvisi cambiamenti dell’umore (soprattutto verso la polarità negativa). Emozioni come la
rabbia e la tristezza si verificano con un’intensità e con una frequenza inappropriata rispetto
all’età del soggetto, al contesto situazionale e/o alle norme e abitudini culturali. (Whalen &
Henker, 1985; Maedgen & Carlson, 2000; Nigg, Goldsmith, & Sachek, 2004; Mick,Spencer,
Wozniak, & Biederman, 2005; Brotmanet al., 2006; Leibenluft, Cohen, Gorrindo, Brook, &Pine,
2006; Asherson, Chen, Craddock, & Taylor, 2007).
Sebbene non esista una definizione concorde della fragilità o instabilità emotiva, questa viene
considerata come un costrutto multi-dimensionale caratterizzato da oscillazioni intense e
frequenti di emozioni che possono presentarsi in presenza o meno di eventi esterni piacevoli o
spiacevoli. Il costrutto di Fragilità emotiva viene utilizzato nel presente studio in riferimento a
sentimenti quali: tristezza, angoscia, senso di oppressione, vulnerabilità, inadeguatezza,
sentimenti di colpa e rimorso, nervosismo. La fragilità emotiva fa riferimento a sentimenti di
inadeguatezza, alla propensione del soggetto a porsi in una posizione di difesa, a sperimentare
stati di disagio e di vulnerabilità in diverse situazioni, presunte o reali, di pericolo, di offesa e di
attacco. Così come indica anche la tendenza a sperimentare sentimenti e vissuti di persecuzione,
oppressione, tensione legati all’anticipazione o alla paura di un pericolo incombente. Inoltre, è
spesso collegata anche ad una visione pessimistica della propria vita e del proprio futuro
(Caprara, 1991). Sia la labilità che l’intensità emotiva rappresentano due elementi fondamentali
nel processo di regolazione degli affetti che è un fattore in grado di influenzare sia la resistenza,
sia la suscettibilità verso lo sviluppo di psicopatologie (Larsen, 2000). Per quanto riguarda
l’intensità emotiva facciamo riferimento al processamento delle emozioni. Questo si basa sulle
attività dei sistemi di valutazione e arousal, che possono rispondere agli stimoli con diversi gradi
di intensità. In sostanza, il nostro cervello è capace di variare la reazione ad un determinato
stimolo emotivo modificando il numero di neuroni attivati e la quantità di neurotrasmettitori
secreti. Se i meccanismi di orientamento iniziali portano ad una minima attivazione del cervello e
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del corpo, anche le successive risposte di valutazione elaborativa e arousal tenderanno ad essere
ridotte. A questo proposito, diversi studi hanno dimostrato che individui ai quali venivano
somministrati farmaci per diminuire l'entità delle risposte dell'organismo e degli stati di
attivazione fisiologica in genere reagivano agli stimoli interpretandoli come "non importanti", e
quindi con emozioni primarie meno intense rispetto a quelle dei soggetti di controllo (LeDoux,
1990; Porges et al., 1994; Lewis, 1997; Lyra & Winegar, 1997). In ciascuno di noi i livelli di
intensità, con cui in generale rispondiamo agli stimoli possono essere determinati sia da fattori
costituzionali, sia dall'influenza delle nostre precedenti esperienze. Da alcuni studi sembra che
l'intensità delle risposte emozionali sia correlata ad una attivazione frontale bilaterale, a
differenza della loro qualità o valenza, che è invece associata ad attivazioni asimmetriche.
L'emisfero destro è coinvolto maggiormente negli stati di allontanamento, quello sinistro negli
stati di avvicinamento (Dawson, 1994). L'intensità delle risposte emotive viene spesso
mascherata poiché coincide con il momento di maggior bisogno di essere compresi dagli altri,
generando un senso di vulnerabilità che può renderci riluttanti a manifestare apertamente i nostri
sentimenti. Questo comportamento viene amplificato da esperienze di comunicazioni
interpersonali insoddisfacenti e può dare origine ad un senso di vergogna per aver mancato
un'opportunità di sintonizzazione affettiva (Shore, 1994).
Thompson, Dizén e Berenbaum (2009) hanno analizzato la relazione tra la consapevolezza
emotiva e i due aspetti dell’instabilità affettiva cui si è accennato poc’anzi ovvero la labilità
emotiva e l’intensità emotiva. Nella loro ricerca hanno inoltre valutato due aspetti della
consapevolezza emotiva: l’attenzione verso l’emozioni e la chiarezza delle emozioni. Il primo
aspetto fa riferimento alla capacità di percepire e controllare i propri stati d’animo; mentre la
chiarezza fa riferimento alla capacità di identificare, discriminare ed etichettare i propri
sentimenti. Alcuni teorici hanno sottolineato l’importanza proprio della capacità di discriminare
ed etichettare i propri sentimenti ed emozioni per un utilizzo adattivo delle informazioni emotive
(Bagby, Taylor, & Parker, 1994; Gardner, 1983; Salovey, Mayer, Goldman, Turvey, & Palfai,
1995). Nello studio di Thompson e colleghi, data l’importanza della consapevolezza emotiva
nella regolazione dell’emozioni, si è ipotizzato che aspetti diversi della consapevolezza emotiva
fossero associati con aspetti diversi dell’instabilità affettiva, in particolare che la chiarezza
emotiva fosse inversamente associata con la variabilità emotiva, mentre l’attenzione emotiva
fosse associata positivamente con l’intensità affettiva. Questa loro ipotesi è stata testata su tre
campioni diversi i cui risultati hanno portato conferma dell’ipotesi iniziale. L’incapacità di
monitorare e auto-regolare i livelli più elevati della labilità affettiva, in particolar modo quella
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con valenza negativa, si è vista essere associata con un’ampia gamma di disturbi tra i quali:
disturbi dell’umore (depressione e disturbi bipolari) e di personalità, sintomi psicosomatici,
comportamenti socialmente disadattivi, quali ad esempio l’abuso di alcool, e anche disturbi
psicotici (Harvey et al, 1989;. Herpertz et al, 1997;. Larsen & Diener, 1987).
I.1.1. Influenza ambientale o genetica?
In uno studio di Coccaro, Ong, Seroczynski e Bergeman (2011) viene valutato il ruolo della
componente genetica e dei fattori ambientali nella fragilità emotiva. Questi studiosi hanno
condotto uno studio su coppie di gemelli (monozigoti e dizigoti) di sesso maschile del Vietnam.
Lo scopo dello studio era quello di valutare l’influenza :a) dei fattori additivi; b) dei fattori
genetici non additivi; c) dell’ambiente condiviso e d) dell’ambiente non condiviso. I fattori
additivi sono la base della genetica dei caratteri quantitativi e vi sono casi interessanti di
trasmissione di caratteri di questo tipo nell’uomo. Ma anche le differenze ambientali possono
avere i propri effetti a livello fenotipico (in questo studio con fenotipo ci si riferisce a quello che
è il comportamento e l’esperienza emozionale osservabile dall’esterno). Le influenze ambientali
sono state distinte in due gruppi: quelle condivise tra i membri di una famiglia e quelle non
condivise. L’influenza ambientale condivisa viene definita come qualsiasi influenza non genetica
che contribuisce alla somiglianza fenotipica tra i membri di una famiglia; mentre la componente
non condivisa si riferisce ai fattori ambientali che rendono i membri della famiglia l’uno diverso
dall’altro. Nello studio sono stati utilizzati due strumenti: l’Affective Lability Scale (ALS) e
l’Affect Intensity Mesaure (AIM) ed è stata valutata anche la relazione delle componenti genetica
e ambientale con l’umore, la presenza di ansia, di disturbi psicosomatici, di disturbi di personalità
e di comportamenti antisociali. I risultati hanno mostrato come la componente genetica giochi un
ruolo importante nella labilità emotiva (i fattori genetici additivi sembrano avere un’incidenza
pari al 40%). Per quanto riguarda l’influenza ambientale, invece, è emerso che le condizioni
condivise giocano una piccola influenza sulle variabili in esame, mentre le esperienze individuali
non condivise rappresentano tra il 52 e il 74% della varianza osservata nella labilità affettiva dei
gemelli.