7
importanza fondamentale compiere un’analisi dettagliata del nuovo
strumento di programmazione sociale, descritto nell’art. 19 della legge
328/2000, il Piano di Zona, in particolare di come esso, se utilizzato in
modo adeguato, incrementi lo sviluppo locale del welfare.
Negli ultimi due capitoli si concentra l’attenzione su un oggetto di
ricerca specifico che è: il Piano di Zona valido per il triennio 2002-2004
approvato nell’ambito territoriale del distretto di Sondrio, in Valtellina.
Questo per studiare come la legislazione sociale nazionale, soprattutto
la legge n. 328/2000 è stata implementata nel Piano di Zona del
distretto di Sondrio, quindi a livello locale. L’obiettivo fondamentale di
questo lavoro è quello di cogliere sia le potenzialità sia le problematiche
dei processi di governance locale del welfare, che dovrebbero essere
caratterizzati da una programmazione partecipata, come traspare dal
testo della legge 328/2000. In specifico questo obiettivo si declina
nell’evidenziare soprattutto il ruolo assunto dalla cooperazione sociale
nella pianificazione zonale nel distretto di Sondrio, sia nell’elaborazione
sia nella realizzazione del Piano sociale di Zona.
Per raggiungere questi obiettivi la metodologia utilizzata è stata
principalmente qualitativa. Sono state analizzate numerose ricerche
recenti sull’attuazione della legge n. 328/2000 a livello di welfare
regionale e municipale. Sono stati inoltre esaminati approfonditamente
documenti e materiali specifici forniti da operatori del terzo settore
territoriali, in particolare dal Consorzio di cooperative sociali “SOL.CO
Sondrio” e dalla Pubblica Amministrazione, rappresentata dall’Ufficio di
Piano di Zona del distretto di Sondrio. In ultimo sono state condotte
alcune interviste qualitative semi-strutturate ad alcuni rappresentanti
degli Enti locali e della cooperazione sociale, per comprendere le
rispettive prospettive in merito specialmente al tema della pianificazione
sociale zonale, nel distretto di Sondrio.
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CAPITOLO PRIMO
LA RIFORMA DEL WELFARE LOCALE E LE IMPRESE SOCIALI IN
ITALIA: LA LEGGE QUADRO n. 328/2000
1. L’evoluzione storica della legislazione sociale in Italia: dalla
legge Crispi alla legge quadro n. 328/2000
La ricostruzione storica dell’evoluzione della legislazione sociale in Italia
vede come primo provvedimento significativo la legge Crispi, legge n.
6972 approvata il 17 luglio 1890. La legge Crispi rappresenta il primo
tentativo in Italia di attribuire allo Stato un nuovo ruolo nel settore
dell’assistenza, ampliando il suo raggio d’azione, in quegli anni nasce
anche il concetto di gestione pubblica dell’assistenza, non più limitata al
solo mantenimento dell’ordine pubblico. Infatti lo Stato inizia ad
assumere un ruolo attivo, anche se non ancora centrale, nel cercare di
rispondere ai bisogni individuali e collettivi.
A fine Ottocento in Europa e anche in Italia si assiste alla nascita, se
non dei veri e propri welfare state, delle prime misure di politica sociale;
dal 1870 fino agli anni ’20 circa si delinea la prima fase di sviluppo del
welfare state, definita da Heclo
1
“della sperimentazione”, che coincide
con un’intensificazione del ciclo economico e con un imponente processo
di industrializzazione e urbanizzazione, che causano l’aumento dello
sradicamento sociale e della povertà per molti individui, oltrechè
l’accentuarsi delle disuguaglianze socio-economiche e quindi della
polarizzazione della società in due classi, la borghesia capitalistica e il
proletariato urbano. In questa prima fase le politiche sociali sono
considerate eccezioni sperimentali e temporanee, misure per garantire
l’ordine sociale. È in questo contesto che in italia viene elaborata la
1
Cfr. H. Heclo, Verso un nuovo “welfare state”? in P. Flora, A.J.Heideneimer, Lo
sviluppo del welfare state in Europa e in America, Il Mulino, Bologna, 1983 (p. 465-
498).
9
legge Crispi, l’anticlericalismo radicale del pensiero di Crispi emerge nel
testo della legge del 1890, che è prima di tutto una riforma degli enti di
beneficenza gestiti dalla Chiesa, la quale da questo momento in avanti
perde il monopolio nella gestione dell’assistenza. È importante rilevare
che la legge Crispi attribuisce alle Opere Pie personalità giuridica
pubblica e, le ridefinisce Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficenza, le IPAB.
La legge Crispi è la legge quadro sui servizi sociali vigente per più di un
secolo, fino all’emanazione della legge 328, anche se non ha ancora
come obiettivo la creazione di un sistema integrato di servizi sociali e
l’assistenza sociosanitaria pubblica, che comincia a svilupparsi, rimane
in ogni caso secondaria rispetto all’assistenza privata.
Il periodo fascista si caratterizza per lo sviluppo della legislazione
sociale in senso previdenziale e assicurativo, nascono molti enti
assistenziali come l’ INPS, l’ INAIL, l’ INAM, l’ OMNI, etc. . Il numero di
istituti previdenziali specifici aumenta e l’assistenza sociosanitaria
generica perde importanza a causa della categorizzazione estrema dei
bisogni e quindi degli interventi, della burocratizzazione e del verticismo
che caratterizzano il ventennio di politica sociale fascista.
Negli anni del secondo dopoguerra, con la nascita della Repubblica, si
apre in Italia una nuova fase nel processo di evoluzione della
legislazione sociale. La Costituzione della Repubblica Italiana è la fonte
primaria che stabilisce i principi su cui si costruirà il welfare state
italiano; nell’art. 3 si afferma che “(…) è compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana (…)”, seguono poi gli articoli 31, 32, 34, 36, 37,
38, sempre centrati sulla promozione dell’eguaglianza socio-economica,
della cittadinanza sociale, del ruolo dello Stato come erogatore di
prestazioni sociali. La mancata attuazione dei principi e dei valori
costituzionali in Italia negli anni ’50 e ’60 dipende dal fatto che il welfare
state si è mantenuto sempre particolaristico, indirizzando la protezione
10
sociale verso categorie particolari di utenti e ignorando l’universalismo
dei diritti espresso nella Costituzione. Inoltre il sistema sociale italiano
negli anni ’50 e ’60 resta clientelare, nel senso che negli interventi si
privilegiano gli interessi privati, che dominano su quelli pubblici-
collettivi
2
, si sviluppano sempre di più il privatismo e la categorizzazione
dei bisogni, a discapito di quella che è la dimensione pubblica del
welfare.
La fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 segnano una fase di svolta
per lo sviluppo di un sistema di welfare meno particolaristico e meno
clientelare, grazie all’elaborazione di un insieme di interventi legislativi
di grande respiro sociale e politico. Tra questi da ricordare la riforma
ospedaliera del 1968, che porta all’unificazione del settore ospedaliero,
in seguito, nei primi anni ’70 si comincia a pensare allo sviluppo di
servizi sociali territoriali, che vadano in direzione di un progressivo
decentramento amministrativo. Quando nel 1970 vengono istituite le
Regioni a Statuto Ordinario, si ha il primo esempio di deconcentrazione
di poteri dal centro alla periferia, successivamente anche il d.P.R. n. 616
del 1977 porta avanti il trasferimento di funzioni in materia di servizi
sociali dallo Stato alle Regioni, cercando di sopprimere le IPAB
(Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza), per completare il
quadro finalizzato a ricondurre ai Comuni ogni funzione in materia
assistenziale, anche se le IPAB esistono ancora grazie all’intervento
della Corte costituzionale, che ha stabilito l’incostituzionalità dell’art. 25
del d.P.R. 616/77, quindi ad oggi sono due i soggetti pubblici con le
medesime funzioni su un territorio in materia socio-assistenziale, i
Comuni e le IPAB; il Decreto legislativo 207/2001 disciplina il riordino
delle IPAB per il loro reinserimento nel sistema integrato di interventi e
servizi sociali.
Le Regioni e gli Enti locali in questo periodo acquistano importanza nella
programmazione delle politiche sociali rispetto agli istituti assistenziali e
previdenziali nazionali. In particolare è la legge n. 833/1978, che
2
Cfr. M. Paci, Pubblico e privato nei moderni sistemi di welfare, Liguori, Napoli, 1989.
11
istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, a caratterizzarsi per essere di
stampo universalistico e egualitario. L’istituzione delle Unità Sanitarie
Locali (USL) segna inoltre un'altra spinta alla localizzazione
dell’assistenza sociosanitaria, che risponde all’esigenza di creare servizi
sociali territoriali accessibili a tutti e uguali per tutti.
Negli anni ’80, nonostante l’andare verso un sistema di welfare
universalistico e decentrato, manca una riforma nazionale del sistema
socio-assistenziale, che crei integrazione tra i diversi interventi
legislativi elaborati nel corso del decennio precedente e tra quelli
elaborati a livello regionale, che restano disomogenei.
Negli anni Novanta si incrementa il livello del decentramento con la
legge n. 142/1990 sull’ordinamento delle autonomie locali, che mira ad
aumentare l’autonomia degli Enti locali; infatti i Comuni acquistano
nuovi poteri, sono previste nuove modalità di associazione fra Comuni e
di gestione dei servizi sociali da parte degli Enti locali, infine viene
introdotto lo strumento dell’Accordo di Programma. In seguito la legge
Bassanini (legge n. 59/1997) ha il merito di sviluppare ulteriormente il
principio di sussidiarietà tra Enti a livello nazionale e Enti locali, dando
slancio al welfare locale.
Ma è la riforma del sistema socio-assistenziale del 2000 che
rappresenta, nel processo di evoluzione della legislazione sociale in
Italia, il primo provvedimento unitario a livello nazionale di
riorganizzazione del welfare. La legge quadro n. 328/2000 “per la
realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali” è
quella a cui, nel presente lavoro, si rivolge maggiore attenzione per la
sua portata innovativa e per l’obiettivo di creare integrazione tra i
diversi attori di welfare, istituzionali e non, nella programmazione e
nella realizzazione degli interventi sociali, soprattutto a livello locale;
infatti la legge promuove lo sviluppo di un welfare locale che sia
“plurale”
3
, quindi promotore dell’integrazione fra attori, della
3
Cfr. Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003, “In coerenza con
la legge 328/2000, il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 promuove lo sviluppo del
12
localizzazione dei servizi sul territorio e infine della partecipazione attiva
dei diversi soggetti sia pubblici sia del terzo settore alla costruzione
delle nuove politiche sociali.
2. La riforma del sistema socio-assistenziale: la legge n.
328/2000; i principi, gli obiettivi, le potenzialità
La riforma del sistema socio-assistenziale varata con la legge 328,
approvata l’8 novembre 2000, definita “Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, può
essere considerata il primo intervento legislativo organico che ha la
finalità primaria di riorganizzare il sistema socio-assistenziale italiano,
colmando il vuoto legislativo di un secolo. Infatti dal 1890, vale a dire
dalla legge Crispi, in italia non si è più arrivati all’elaborazione di una
legge quadro di riforma dell’assistenza, è invece prevalso, in materia
sociale, un panorama legislativo frammentato e disomogeneo. Si può
comunque affermare che alcuni provvedimenti legislativi specifici, nella
seconda metà degli anni ’90, hanno aperto la strada alla legge 328; in
primo luogo la legge 285 del 1997
4
che aveva lo scopo di promuovere
diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, in secondo luogo il
decreto legislativo n. 237
5
del 1998, che regolava l’introduzione
sperimentale dell’istituto del reddito minimo di inserimento in alcune
Welfare delle responsabilità, ovvero di un Welfare che può essere definito plurale,
perché costruito e sorretto da responsabilità condivise, in una logica di sistema
allargato di governo, che valorizzi il federalismo solidale (…)”.
4
Cfr. Legge 28 agosto 1997, n. 285, Disposizioni per la promozione di diritti e di
opportunità per l’infanzia e l’adolescenza.
5
Cfr. D.lgs. 18 giugno 1998, n. 237, Disciplina dell’introduzione in via sperimentale, in
talune aree dell’istituto del reddito minimo di inserimento, a norma dell’articolo 59,
commi 47 e 48, della l. 27 dicembre 1997, n. 449. L’art. 1, comma 1 del d.lgs.
definisce il reddito minimo di inserimento “una misura di contrasto della povertà e
dell’esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali delle
persone esposte al rischio della marginalità sociale ed impossibilitate a provvedere per
cause psichiche, fisiche e sociali al mantenimento proprio e dei figli.”.
13
aree territoriali del Paese; la riforma del 2000 è portatrice di queste
esperienze precedenti e le comprende al suo interno.
La legge 328 è molto complessa, infatti presenta nel suo testo nuovi
principi, nuove finalità, nuovi soggetti, nuovi ruoli e innovative modalità
di relazione tra questi ultimi, inoltre nuovi strumenti di programmazione
per la realizzazione del “sistema integrato di interventi e servizi
sociali”
6
. Il percorso di analisi della legge quadro può avere inizio con
l’individuazione dei principi e dei valori che sono la base del nuovo
sistema socio-assistenziale. Di particolare interesse sono i principi
operativi descritti nella legge 328, vale a dire quelli cui si ispirano i
diversi soggetti decisori che devono dare attuazione alla normativa,
partendo dalla programmazione, fino ad arrivare alla realizzazione, alla
gestione e all’implementazione dei servizi e degli interventi sociali,
soprattutto a livello locale. Nell’articolo 1, comma 3 vengono elencati “i
principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed
economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale,
responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa
e regolamentare degli enti locali”, principi che vengono spiegati negli
articoli successivi.
La legge 328 è la base su cui si vuole costruire un sistema socio-
assistenziale ricco di innovazioni, fondato sull’integrazione fra attori,
servizi e settori di welfare, sul principio di sussidiarietà sia verticale, tra
i diversi livelli istituzionali, vale a dire i Comuni, le Province, le Regioni,
lo Stato, dando importanza maggiore al livello più basso, quindi al
livello municipale, sia su quello di sussidiarietà orizzontale, tra i diversi
soggetti di welfare, in particolare tra Comuni, ASL e terzo settore, per lo
sviluppo del welfare locale. La riforma assistenziale è stata definita
anche “riforma del welfare locale”
7
, per l’attenzione verso la
6
Cfr. Legge 8 novembre 2000, n. 328, così è definito il nuovo sistema socio-
assistenziale già nel titolo della legge, questo prefigura come l’integrazione sia un
principio fondamentale per il nuovo welfare state italiano.
7
Cfr. AA.VV., L’attuazione della riforma del welfare locale, rapporto di ricerca, Formez,
Roma, 2003.
14
“programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei
servizi sociali a rete”, così si afferma nell’articolo 6, comma 2, lettera a,
in merito alle funzioni dei Comuni. Gli Enti locali, primariamente i
Comuni, associati fra loro negli ambiti territoriali, diventano i motori
della riforma; ma sulle nuove funzioni dei Comuni si tornerà più avanti.
I valori sui quali si fonda e di cui si fa promotrice la legge 328 sono
l’uguaglianza, l’universalismo dei diritti, la dignità umana, la libertà, la
solidarietà, la democrazia, con particolare riferimento alla
partecipazione attiva dei cittadini, delle associazioni sindacali, e
soprattutto delle organizzazioni del terzo settore alla programmazione,
alla coprogettazione delle nuove politiche sociali.
Le finalità generali definite nella legge quadro vengono elencate
nell’articolo 1, comma 1 e sono:
9 la creazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali;
9 la promozione di interventi per garantire la qualità della vita, pari
opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza;
9 la prevenzione, l’eliminazione, la riduzione delle condizioni di
disabilità, bisogno e disagio individuale e familiare derivanti da
inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non
autonomia.
L’obiettivo della legge 328 che preme di più sottolineare è quello
riguardante la realizzazione di un sistema integrato di interventi e
servizi sociali, che può essere creato attraverso lo sviluppo di una
programmazione partecipata dei servizi socio-assistenziali a livello
locale, vale a dire mediante la nascita di partnership, di relazioni
strutturate tra soggetti istituzionali e organizzazioni del terzo settore
per una cooperazione attiva e una definizione condivisa di obiettivi, ruoli
e responsabilità, dentro un sistema di governance locale del welfare.