INTRODUZIONE
Vera aspetta da più di trent’anni che il suo uomo torni dalla guerra contro i nazisti.
Lo aspetta, ferma e irremovibile, a Mirnoe, un paesino semideserto vicino alle coste del Mar
Bianco dove si è stabilita e dove nel frattempo si occupa delle poche e decrepite vedove che
sono rimaste ancora lì, nel mezzo della foresta siberiana.
Questa, apparentemente, è “la femme qui attendait” delineata da Andrei Makine nel suo
omonimo romanzo, e questa è la donna che incontra il giovane protagonista all’inizio della
narrazione, quando egli lascia Leningrado, stufo dell’ormai ripetitiva letteratura dissidente, per
recarsi nella remota regione nordica con il compito di raccogliere informazioni sugli usi e
costumi del posto.
Anche lui aspetta qualcosa, ma la sua attesa è diversa, si tratta di un’attesa forse più radicata
e meno cosciente: lui aspetta qualcosa che dia una svolta alla sua esistenza, che gli consegni
una degna ragione di vivere.
L’attesa si delinea, dunque, fin da subito, come elemento centrale dell’opera, prendendo
forme e aspetti diversi. Cambiano i soggetti che attendono, gli oggetti attesi, i luoghi dove
avviene l’attesa e la sua durata. Una presenza così imponente al punto che diventa necessario
sezionarla per poterla comprendere e analizzare.
Al fine di compiere questa indagine, è stata presa a modello di riferimento la vasta fonte di
spunti offerta da Roland Barthes nei suoi Fragments d’un discours amoureux, opera di
semiologia fondamentale e totalmente innovativa sia nella forma che nel contenuto.
Per la verità, l’origine e la motivazione del presente elaborato nella sua interezza sono da
ricondursi a suddetta opera, che non solo ha costituito la fonte principale per il lavoro di
analisi, ma è stata anche ciò che ha stimolato il nostro interesse in primo luogo per
l’argomento in generale.
Dunque, una volta individuata l’attesa amorosa nel saggio di Barthes come soggetto
potenziale su cui compiere un breve studio, si è pensato a come inserire l’opera nel quadro di
tale studio: utilizzarla per un’analisi e un paragone con una seconda opera è parsa una scelta
appropriata.
2
Tale scelta è risultata ancor più convincente alla luce della seconda opera selezionata: La
femme qui attendait si presta in maniera particolarmente adeguata ai fini dell’elaborato vista la
centralità che in essa ricopre il tema dell’attesa.
Obbiettivo principale di questa breve indagine, pertanto, è individuare e sottolineare le
similarità fra le due opere e le loro differenze, presenti, queste, in special modo nella forma,
essendo la natura delle due opere e dei due autori così differenti.
A tale proposito, riteniamo necessario evidenziare l’aspetto propositivo dell’elaborato: la
potenziale vicinanza fra le due opere è di fatto l’unico legame fra Roland Barthes e Andrei
Makine, e il conseguente lavoro di analisi che è stato condotto non è nient’altro che frutto di
una nostra iniziativa.
Nella fase embrionale della stesura di questo elaborato, oltre ai Fragments stessi, un’altra
opera è stata fondamentale per l’individuazione precisa del tema da seguire: Quando il tempo
si fa lento di Elisabetta Abignente, un saggio sull’attesa amorosa nel romanzo del XX secolo.
Il lavoro di Abignente, dopo una parte iniziale introduttiva, si concentra su tre capolavori della
letteratura moderna: La Recherche di Marcel Proust, Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas
Mann e L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez.
Sebbene anche il suo metodo di analisi utilizzato per lo studio di queste tre opere sia stato
fondamentale per la stesura del presente elaborato, ciò che ha fornito gli spunti maggiori è
stata proprio quella porzione introduttiva citata poco sopra, introducendo essa testi critici
fondamentali per la nostra bibliografia come L’Attesa di Ginevra Bompiani o Il tempo vissuto
di Eugène Minkowski, che nel corso dei capitoli ricorreranno più volte.
Effettivamente, questo stesso scritto è strutturato in maniera simile al saggio di Abignente:
un primo capitolo è stato dedicato ad un breve studio dell’attesa, partendo dall’etimologia del
termine e il suo significato, passando per una categorizzazione dei differenti tipi di attesa che
vi sono, per arrivare a vedere alcune delle rappresentazioni che ne sono state fatte in
letteratura.
Successivamente passeremo ad una presentazione del corpus, ovvero dei testi di Roland
Barthes e Andrei Makine già citati più volte, con qualche cenno biografico sui rispettivi autori.
Il terzo capitolo di questo elaborato, potremmo forse dire il corpo centrale, sarà appunto
un’analisi dell’attesa nel romanzo di Makine effettuata attraverso le riflessioni di Barthes.
3
1. IDENTIFICARE L’ATTESA
Nel capitolo introduttivo di questo elaborato, si è deciso di svolgere una breve analisi
preliminare del concetto di attesa, al fine di esaminare il termine in modo esaustivo ‒ o per lo
meno compiere un tentativo in questa complicata direzione.
L’analisi verterà su due poli principalmente: da un punto di vista strettamente linguistico
tenteremo di ripercorrere lo sviluppo diacronico del lessema, dall’origine latina alle numerose
evoluzioni romanze, cosa è cambiato nel contenuto semantico e cosa, al contrario, è rimasto
invariato.
Successivamente prenderemo in considerazione un altro punto di vista, quello del valore
letterario, e cercheremo di capire quanti e quali tipi di attesa possono esistere nell’immaginario
di chi scrive e di chi legge.
Partiremo, per questo secondo tipo di analisi, da una fondamentale differenza, quella
individuata da Eugène Minkowski nel suo trattato di fenomenologia e psicopatologia Il tempo
vissuto
1
.
La divisione di Minkowski separa attese prolungate da attese primordiali, ma avremo modo
più avanti di capire in cosa consistono queste due macrocategorie.
Prima di tutto, riteniamo necessario fare più chiarezza possibile sul significato del termine
“attesa” in sé.
1.1 Analisi linguistica
«Tendere, rivolgere l’attenzione, dedicarsi, badare, volgere la mente
2
».
Queste alcune delle traduzioni che fornisce la 4
a
, e più recente, edizione del Vocabolario
della Lingua Latina di Castiglioni e Mariotti, consultato alla voce adtendo, alla quale rimanda
anche la forma più tarda attendo. Il significato del verbo latino appare quindi ancora molto
legato alla sua base lessicale tendere.
Per quanto riguarda il punto di vista linguistico, e precisamente la fonologia, possiamo
presumere che ci troviamo di fronte ad un fenomeno di mutamento: alla radice si è legata la
1 Minkowski, 1933
2 Castiglioni, Mariotti, 2007
4
, p. 62
4
preposizione ad-, e col tempo la scomoda sequenza di due distinte occlusive, una sonora e una
sorda, è stata eliminata tramite l’assimilazione anticipatoria totale della prima da parte della
seconda, dando origine alla forma tuttora utilizzata attendere
3
.
Tale forma si ritrova facilmente in molte lingue romanze o neolatine: dal francese attendre
all’italiano attendere, passando dall’occitano atëndre e dallo spagnolo atender.
Ma il significato originale di “rivolgere l’attenzione” non si è conservato allo stesso modo.
Laddove in alcuni casi, come quello dello spagnolo, il contenuto semantico è effettivamente
rimasto invariato, in altre lingue il termine diventa polisemico e al primo valore se ne affianca
un secondo, quello di “aspettare”, come in occitano e in italiano. Altre volte ancora, come
spesso succede nella formazione di una lingua, ad esempio il francese, il termine è stato preso
come modello per la creazione di un calco, ma nel processo il significato originale è
scomparso per lasciare posto solo al secondo e più recente.
Questa seconda accezione si distingue dalla prima per il carattere estremamente passivo.
Mentre “volgere la mente” richiede un certo livello di attività da parte del soggetto, “aspettare”
significa «stare fermo fino a che non sopravvenga qualcuno o qualche cosa
4
», e la conferma di
questa forte passività ci viene da molte altre lingue europee.
Dal francese, ad esempio: «Rester en un lieu jusqu'à ce que quelqu'un arrive, que quelque
chose soit prêt ou se produise
5
», o ancora dall’inglese: «Stay where one is or delay action until
a particular time or event
6
».
Più che un’azione, il verbo “attendere” in queste definizioni appare come uno stato d’animo,
una condizione nella quale si può trovare il soggetto e dalla quale è impossibile uscire senza
l’intervento di un elemento esterno.
Difficile non percepire un’accezione negativa, lo status di chi attende sembra quasi una
prigionia.
Ma non dobbiamo dimenticare quanto menzionato in precedenza, ovvero che “attendere” è
dotato di un’ambigua doppia valenza.
3 Nespor, 1993, p. 75
4 Treccani V ocabolario on line
5 Larousse Dictionnaire française enligne, voce attendre
6 Oxford Dictionary of Englis, 2010
3
, p. 1995, voce to wait
5
Se abbiamo detto infatti che lo spagnolo atender ha preservato il contenuto semantico
originale del verbo latino, per tradurre “aspettare” dobbiamo cercare un’altra forma, ovvero
esperar. E dove la traduzione del Diccionario para la Ensenanza de la Lengua Espanola
7
ci
conferma il valore tristemente passivo di questo verbo come in italiano, l’etimologia stessa del
lessema la contraddice, riconducendolo nel campo semantico positivo del sostantivo
esperanza.
Allo stesso modo il già citato “aspettare”, dal latino exspectāre
8
che a sua volta deriva da
spectāre ‘guardare’, sottolinea la contraddizione fra un contenuto semantico tipico della
passività e una morfologia che rimanda all’azione.
E per rimanere nell’ambito della vista possiamo prendere ancora a esempio l’inglese to wait,
dal francese antico del nord waitier ‘guardare’, poi in francese divenuto guetter ‘spiare’
9
,
riscontrabile anche nell’occitano gaitâ
10
e nell’italiano letterario guatare.
Dunque, citando Elisabetta Abignente nel suo saggio sull’attesa, Quando il tempo si fa lento:
Aspettare […] non indica solo uno status quanto una vera e propria azione, carica
di iniziativa e di tensione. Chi attende, infatti, ha gli occhi e la mente protesi verso
il futuro: veglia, spera, tende continuamente a un obbiettivo.
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Azione che egli compie, stato d’animo in cui egli si trova e arco di tempo che egli vive. Il
soggetto di tutte queste possibilità è potenzialmente sempre lo stesso, specialmente nel caso
dell’innamorato.
Vedremo nel corpo centrale di questo elaborato come questa ipotesi prende effettivamente
forma nelle rappresentazioni fornite da Roland Barthes nei Fragments, essendo il discorso
amoroso un discorso «d’una estrema solitudine
12
».
Da questa breve introduzione linguistica si evincono quindi alcuni dei tratti caratteristici
dell’attesa, che analizzeremo meglio nel paragrafo successivo: ad essa appartengono la
7 1999, p. 479 «Quedarse en un lugar hasta que llegue una persona u ocurra una cosa»
8 Cortelazzo, Zolli, 1979, p. 79, prima attestazione inizio sec. XIV
9 Online Etymology Dictionary
10 Pons, Genre, 1997, p. 456
11 Abignente, 2014, p. 20
12 Barthes, 2014
3
, p. 3, in corsivo nel testo
6