CAPITOLO PRIMO
FORME DI GOVERNO E SISTEMI ELETTORALI NELL’AMERICA DEL SUD
1. INTRODUZIONE SULLE FORME DI GOVERNO
1.1 PREMESSA
Con l’espressione “forma di governo” si indica il modo in cui le varie funzioni dello Stato sono
distribuite e organizzate tra i diversi organi costituzionali
1
. Parlare di forma di governo significa,
perciò, rifarsi al modello organizzativo dello Stato, ovvero, oltre all’organizzazione dei rapporti fra
organi costituzionali, si intendono anche le regole, le procedure e i mezzi attraverso cui questi
esercitano le proprie funzioni; in questo senso il termine indica l’entità statale come Stato-apparato,
ovvero “governo”, perché rileva l’aspetto strumentale attraverso cui lo Stato persegue il suo fine, la
cui specificità attiene alla “forma di Stato” inteso come Stato-ordinamento.
Si avrà ad, esempio, una monarchia assoluta quando la regola costituzionale prevede
l’accentramento del potere nella figura di un Sovrano, unico organo costituzionale che detiene i tre
poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), o all’opposto, una forma di governo parlamentare
quando la regola costituzionale dispone la prevalenza dell’organo collegiale, ovvero un Parlamento
rappresentativo, nei processi di decisione politica.
Chiaramente la tradizionale classificazione delle forme di governo, pur essendo ancora attuale, ha
perso parte della sua rigidità originaria; le diverse sfumature da queste assunte nei vari contesti
politici rendono difficile una loro collocazione all’interno di uno schema definito e rigido, dato che
non è più possibile parlare di forme di governo parlamentare o presidenziale “pure”.
Sono molteplici i fattori che hanno reso troppo semplice e insufficiente la classificazione originaria,
ma alcuni sono stati maggiormente rilevanti come il continuo variare dei rapporti interni ai vari
organi costituzionali, pur in presenza di leggi fondamentali rigide, i rapporti di forza che si
instaurano di volta in volta tra le varie coalizioni partitiche, il ruolo sempre più pervasivo di poteri
esterni alla politica, e ancora gli eventi che caratterizzano lo scenario internazionale.
1
C. MORTATI, Le forme di governo. Lezioni, Padova, Cedam, 1973, pp.3 ss.
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Argomentare sulle forme di governo porta necessariamente ad un accenno anche alle “forme di
Stato” in quanto il primo aspetto è profondamente condizionato dal secondo.
Il termine “forma di Stato” rileva l’aspetto finalistico di questo, ovvero indica il modo in cui si
struttura il rapporto tra potere statuale e potere civile, tra autorità e libertà; parlare di forma di Stato
significa analizzare i valori e le finalità che lo Stato si pone e che caratterizzano il rapporto di fondo
tra la struttura statale e la collettività; questo concetto di Stato, oltre ad evidenziare come è
strutturato il rapporto tra governanti e governati, rileva l’organizzazione dei rapporti tra territorio e
sovranità, cioè la ripartizione della sovranità sul territorio.
E’ ovviamente possibile parlare in modo disgiunto dei due termini ma tenendo presente che i due
concetti sono strettamente legati tra loro.
Lo stesso C. Mortati chiarisce il legame esistente tra queste due concezioni dello Stato; afferma che
due Stati formalmente possono avere la stessa forma di governo ma se la struttura complessiva di
ciascuno di essi si basa su fini diversi o addirittura contrapposti si hanno sostanzialmente due
diverse forme di governo. Egli prende come esempio la forma di governo repubblicana in uno Stato
comunista e la stessa forma in uno Stato liberale: sono evidenti i fini diversi e contrapposti dei due
Stati e ciò si riflette anche nel modo in cui si strutturano i rapporti tra i vari organi costituzionali.
2
Tuttavia non tutti i politologi sono concordi nel parlare anche delle forme di Stato quando si
analizzano le forme di governo. Tra questi G. Pasquino
3
, il quale afferma che «l’analisi delle forme
di governo va tenuta concettualmente distinta dall’analisi concernente le forme di Stato». Egli
ritiene, infatti, che qualsiasi classificazione delle forme di Stato riguardi «problematiche diverse
rispetto a quelle delle forme di governo» e focalizza la sua attenzione, nella classificazione, «alle
differenti f. di governo nell’ambito della f. di Stato democratico».
1.2 ALCUNI ACCENNI ALLE FORME DI STATO
L’instaurazione delle varie forme di Stato non è avvenuta improvvisamente ma è stata graduale, il
passaggio da una forma ad un'altra è stato cioè un lungo processo che è durato decenni; ciò ha
determinato che durante le varie fasi di transizione alcuni istituti tipici della forma in decadenza
convivessero con quelli della forma emergente; questo è un aspetto che può rendere difficile
2
C. MORTATI, op.cit.
3
N. BOBBIO, N. MATTEUCCI, G. PASQUINO, Dizionario di politica, Torino, Utet, 2004, p. 365 ss.
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individuare l’elemento discriminante utile a distinguere tra le varie forme; è comunque possibile
fare una rassegna sommaria.
G. U. Rescigno
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espone, schematicamente, nella voce “f. di Stato e f. di governo”, alcune
interessanti classificazioni delle forme di Stato operate da altri autori tra i quali A. Pizzarusso, «che
distingue le forme di Stato secondo quattro distinti criteri»:
ξ Criterio che guarda al grado di accentramento del potere politico, ovvero al rapporto centro-
periferia, e quindi si avrà uno Stato a struttura unitaria o pluralista;
ξ Criterio che guarda al rapporto potere politico-cittadini per quanto attiene la determinazione
dell’indirizzo politico, e perciò si avrà uno Stato autoritario o democratico;
ξ Criterio che guarda al rapporto sempre tra potere politico-cittadini ma per ciò che attiene la
tutela dei diritti fondamentali, e avremmo in questo caso uno Stato di polizia, S. di diritto, S.
patrimoniale;
ξ Criterio che guarda al modo di determinare l’interesse pubblico e le forme saranno Stato
liberale, S. sociale e infine S. socialista.
Si presenta diversamente, invece, la classificazione operata dal De Vergottini
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, il quale, partendo da
due forme che egli ritiene dei tipi ideali, ovvero Stato democratico e Stato autocratico, distingue tra
S. di derivazione liberale, S. socialista, S. autoritario, S. modernizzante e S. tradizionalista, sulla
base di tre criteri che sono:
ξ Titolarità ed esercizio del potere nello Stato;
ξ Modo in cui il potere viene usato;
ξ Finalità dell’uso del potere.
1.3 LE FORME DI GOVERNO
Chiarito e ampiamente condiviso, a livello teorico, il concetto di forma di governo in precedenza
definito, bisogna tenete presente che un’ampia varietà di studi si sono concentrati su questa tematica
in relazione ad altri elementi che ne condizionano, e non poco, le dinamiche, come il tipo di sistema
partitico o la divisione del potere tra gli organi costituzionali.
L. Elia ha sviluppato la propria analisi partendo da questo presupposto; nella classificazione delle
forme di governo egli considera sia la classica divisione dei poteri, tramandataci da Montesquieu,
ovvero legislativo, esecutivo e giudiziario, sia le caratteristiche del sistema partitico presente in un
4
G.U. RESCIGNO, voce Forme di Stato e forme di governo, in Enc. giur., XIV, Roma, Treccani, 1989.
5
G. U RESCIGNO, Forme di, op.cit, p. 6 ss.
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contesto politico, che può essere di tipo bipartitico o multipartitico più o meno frammentato. Elia
ritiene fondamentale rilevare questi aspetti per poter classificare le forme di governo, in quanto lo
studio di queste, considerate all’interno di uno Stato democratico, non può prescindere dal tipo di
sistema partitico che è frutto dell’allargamento del suffragio e della partecipazione politica.
Elia ritiene che una classificazione delle forme di governo basata esclusivamente sul criterio della
separazione dei poteri non sia più accettabile (e si badi che l’affermazione risale a quasi
quarant’anni fa ed è più che mai attuale) perché inadeguata ed inoltre impedisce di prendere in
considerazione altre istituzioni importanti che invece condizionano, in modo rilevante, il
funzionamento generale degli organi costituzionali; l’analisi orientata in questo senso consente di
identificare la specificità delle varie forme in base a determinati criteri, permettendo di procedere
con maggiore precisione nella classificazione.
Elia, distingue, quindi, sei forme di governo in base all’organo che detiene il potere e al tipo di
sistema partitico, classificandole nel seguente modo:
ξ Governo parlamentare a bipartitismo rigido;
ξ Governo parlamentare a multipartitismo temperato;
ξ Governo parlamentare a multipartitismo esasperato (per frammentazione o
polarizzazione);
ξ Governo presidenziale;
ξ Governo a componenti presidenziali e parlamentari (ovvero g. semipresidenziale);
ξ Governo direttoriale.
G. Pasquino
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invece preferisce parlare di due sole forme di governo, parlamentare e presidenziale
nell’ambito della forma di Stato democratica, in quanto ritiene che oggetto d’analisi delle forme di
governo debba essere il tipo di rapporto che intercorre tra potere esecutivo e legislativo, le modalità
di elezione dei due organi, la fonte da cui traggono legittimità e le loro prerogative.
Ai fini del presente studio è necessario procedere innanzitutto a delineare la forma di governo
presidenziale nelle sue componenti essenziali; questa è una scelta obbligata in quanto i Paesi
latinoamericani sembrano avere, e in effetti hanno, un sistema di questo tipo.
Il modello di riferimento è il presidenzialismo statunitense, modello dal quale tutti i paesi dell’area
sudamericana hanno ampliamento attinto elementi e, allo stesso tempo, anche preso le distanze;
sulla base di questo, verranno passati in rassegna i sistemi di alcuni paesi di quest’area che per certi
aspetti, riguardanti regole e procedure, risulta difficile collocare in ambito presidenziale,
presentandosi piuttosto come casi estremi di presidenzialismo.
6
G. PASQUINO, Dizionario di politica, op. cit., p. 365 ss.
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1.4 NELLO SPECIFICO: LA FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE
Con questa forma di governo, in generale, si indica un assetto costituzionale che prevede una
separazione dei poteri “rigida”, quindi un organo legislativo, ovviamente con funzioni legislative ed
un esecutivo la cui funzione di governo deve essere intesa nella sua accezione più ampia; questo
quadro comprende inoltre una serie di strumenti, propri di ciascun organo, che permettono un
controllo reciproco tra poteri per prevenire un eventuale predominanza di uno sull’altro.
Il principio della separazione dei poteri, pur nel rispetto del suo significato originario, viene
interpretato in base alla forma di governo che lo applicata. In questo caso, ovvero nella forma di
governo residenziale, è inteso nella sua accezione “rigida”. I due organi principali godono di
legittimazione separata e indipendente; infatti l’organo esecutivo “monista” e l’organo legislativo
sono eletti separatamente dal corpo elettorale per cui non traggono legittimazione l’uno dall’altro, a
differenza invece di quanto accade in un sistema in cui vige la forma di governo parlamentare dove
l’esecutivo trae la propria legittimazione dalla fiducia accordatagli dal parlamento e può agire
politicamente solo sulla base dell’esistenza di questo rapporto di fiducia.
Alcuni autori per indicare la condizione di legittimità propria di un sistema presidenziale parlano di
«dualismo paritario»
7
, in quanto sia il Presidente sia il parlamento traggono la loro legittimità dal
corpo elettorale. Questa «doppia legittimità democratica»
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determina un equilibrio delicato tra i due
organi. La rigidità nella separazione tra poteri è rafforzata dalla durata prefissata del mandato per
ambedue gli organi. Inoltre i due organi hanno una durata prefissata che aumenta ancora di più il
carattere rigido della separazione dei poteri.
In genere, in questa forma di governo, ciò che attira l’attenzione è la figura del Presidente; egli è
contemporaneamente capo dell’esecutivo e capo dello Stato. Nel caso statunitense gode di
particolare visibilità sia per il ruolo che riveste come rappresentante della Nazione sia perché
determina l’intero indirizzo di governo.
Presidente e Vicepresidente vengono eletti con mandato di 4 anni, attraverso una procedura nella
quale vi è inizialmente l’elezione di un corpo di “grandi elettori”, che a loro volta designano il
Presidente e il suo vice. Nel 1951, con il 22° emendamento apportato in Costituzione, è stato posto
il limite di eleggibilità a non più di due mandati presidenziali.
Il Presidente, come già accennato, detiene la carica per 4 anni e non può essere destituito prima
della scadenza del mandato, se non attraverso la complessa procedura di impeachment, ovvero la
messa in stato d’accusa.
7
G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 2004, p. 497 ss.
8
J. J. LINZ, A. VALENZUELA, Il fallimento del presidenzialismo, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 26 ss.
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In quanto capo dell’esecutivo, il Presidente si circonda di suo fiduciari, che non possono essere
membri né della Camera dei rappresentati né del Senato; inoltre, per poter ottenere questo ruolo,
devono aver il consenso e l’approvazione da parte del Senato.
Questi fiduciari, sostanzialmente lo staff del Presidente, si riuniscono periodicamente ma non hanno
la funzione esecutiva poiché questa è prerogativa esclusiva solo del Presidente; la loro funzione
deve essere letta prettamente come di collaborazione e assistenza, senza che né la Costituzione né
nessun’altra fonte ne diano un fondamento legale.
Il Presidente, in qualità di capo dello Stato, ha il comando supremo delle forze armate; è un potere
che viene esercitato diversamente rispetto a quello analogo posseduto da un capo di Stato in un
sistema parlamentare.
Questa carica è spesso stata utilizzata in modo strumentale negli Stati Uniti, soprattutto in politica
estera; e un analogo esercizio di tale potere è stato posto in essere anche nei sistemi presidenziali
dell’America del sud, soprattutto in momenti di crisi interna relativi all’ordine pubblico.
La costituzione attribuisce al Congresso il potere legislativo federale; questo ha natura bicamerale
essendo composto da un Senato, che esprime l’elettorato dei singoli Stati federati, e da una Camera
dei rappresentanti, che esprime l’intero corpo elettorale nazionale. È un bicameralismo ineguale con
la preminenza del Senato.
Il Senato è composto da due rappresentanti per ogni stato membro, che durano in carica 6 anni, con
un rinnovo parziale di un terzo dei membri dell’assemblea ogni due anni.
La Camera dei rappresentati è formata su base nazionale, proporzionalmente alla popolazione di
ciascun stato, ed è composta da 435 membri eletti ogni due anni.
La durata in carica dei membri delle due camere è indicativa del complesso sistema di pesi e
contrappesi previsti dalla Costituzione statunitense; in questo caso sono diretti ad ostacolare
eventuali collusioni del sistema politico istituzionale e a garantire l’indipendenza dei vari organi.
Il Congresso, esercitando la funzione legislativa, si occupa in modo specifico di politica interna; il
lavoro viene concretamente svolto dalle commissioni, che, nel contesto, risultano dotate di un
potere rilevante. Possono essere permanenti e quindi competenti per materia, oppure di inchiesta,
istituite temporaneamente per la risoluzione di casi specifici.
Nonostante il dettato costituzionale garantisca a i due organi principali, Presidente e Congresso,
l’indipendenza reciproca, nella realtà un collegamento tra loro è inevitabile.
Infatti il Presidente negli anni ha sviluppato un potere di iniziativa legislativa verso il Congresso
che, a causa del limite costituzionale, viene esercitato indirettamente, ad esempio in occasione del
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discorso sullo “stato dell’Unione”, che, oltre a contenere quanto già realizzato dal governo, presenta
anche richieste legislative rivolte al Congresso.
A prescindere da questo esempio, esistono una serie di meccanismi affermatisi per prassi che
esulano dalla costituzione formale, attraverso i quali il Presidente riesce a trovare spazi all’interno
del Congresso e presentare “disegni di legge” nel vari ambiti quando lo ritiene opportuno.
I poteri presidenziali, sia quelli attribuiti costituzionalmente sia quelli acquisiti col tempo, vengono
controbilanciati da quelli che, sempre a livello costituzionale, sono attribuiti al Congresso: potere di
voto delle leggi di finanziamento della politica governativa, facoltà nell’esercizio della procedura di
impeachment nei confronti di funzionari federali e dello stesso Presidente.
1.5 LA FIGURA DEL PRESIDENTE IN GENERALE E I SUOI RISVOLTI NELL’AMERICA
DEL SUD: CONTRADDIZIONI E PECULIARITA’
Il modello statunitense si colloca appieno nella categoria costituzionale del presidenzialismo; quindi
la precedente esposizione, seppur sommaria risulterà utile per valutare la figura presidenziale
delineata in alcuni sistemi presidenziali vigenti nell’America del sud, valutando il suo ruolo
all’interno dell’impianto costituzionale e in particolare le implicazioni che determina questa figura
non ben definita.
È una tesi condivisa da molti politologi che, la forma di governo presidenziale tratteggia una figura
molto forte all’interno dell’impianto costituzionale, in quanto prevede un Presidente che unisce in
se la doppia figura di capo dell’esecutivo e capo dello Stato.
Linz ritiene che le due caratteristiche principali di un sistema presidenziale siano la “doppia
legittimazione democratica” e il periodo di “tempo prestabilito” nell’occupare la carica
presidenziale.
La doppia legittimazione democratica indica che il corpo elettorale elegge direttamente sia il
Presidente che il Parlamento, procedura, questa, che dovrebbe garantire al Presidente una
legittimazione piena in quanto derivante dal popolo sovrano.
Tuttavia considerando i vari sistemi politici sia del passato che contemporanei, sui quali certamente
influisce anche il tipo di sistema elettorale adottato in ciascuno di essi, non sempre il Presidente ha
potuto vantare un ampia legittimazione; infatti tale affermazione appare verosimile se consideriamo
questo aspetto nella sua manifestazione empirica: in un sistema di questo tipo, spesso, il Presidente
viene eletto con una maggioranza cosiddetta “risicata”, soprattutto in quei sistemi presidenziali che
hanno adottato un sistema elettorale maggioritario che si traduce nella realtà in una maggioranza
relativa, cioè un contesto nel quale il vincitore è tale anche se ottiene un solo voto in più rispetto ai
suoi avversari.
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E’ evidente come una vittoria ottenuta in questo modo influisca poi negativamente sul “livello di
legittimità” di cui godrà il Presidente; egli ottiene comunque la carica ma è cosciente del fatto che
potrà portare avanti la propria politica solo attraverso continui compromessi o che dovrà attivarsi
politicamente per ottenere l’appoggio di quella parte di popolazione, nello specifico quella parte di
corpo elettorale, abbastanza ampia vista la maggioranza “risicata”, che non ha votato per lui.
Altro aspetto importante, sempre in termini di “livello di legittimità” di cui può godere il Presidente
in questa forma di governo, è il tipo di maggioranza parlamentare dello stesso colore della
coalizione che ha appoggiato il Presidente durante la campagna elettorale; infatti questa può essere
politicamente diversa da quella che ha sostenuto e quindi determinato la vittoria del Presidente, e in
questi casi è possibile il delinearsi di un conflitto tra i due organi che può degenerare in una paralisi
del sistema. I precedenti storici propri di alcune aree geopolitiche hanno dimostrato la difficoltà
nella risoluzione di un conflitto di questo tipo, dove spesso la risposta è stata l’intervento
dell’esercito o l’instaurazione di un regime dittatoriale.
Secondo l’analisi di Linz, l’altra caratteristica principale dei sistemi presidenziali è il tempo
prestabilito della carica, ovvero Presidente e Parlamento hanno un mandato di durata fissa; spesso
l’ordinamento non prevede la possibilità di rielezione del Presidente uscente e questo potrebbe
comportare una paralisi del sistema nel caso in cui le politiche presidenziali richiedano, per poter
essere applicate, un periodo di tempo che và oltre il mandato presidenziale; in questi casi
l’applicazione di una politica richiede un maggior dispendio di risorse economiche e questo va a
discapito dei cittadini e delle loro aspettative sull’operato del Presidente che ovviamente, a causa di
tale vincolo,non potrà tener fede alle promesse che hanno accompagnato la sua elezione.
A livello teorico questa rigidità prevista dai sistemi presidenziali ha fatto emergere due tesi
contrapposte: i fautori di tale regola affermano che la durata prefissata del mandato costituisce un
deterrente contro possibili tentativi egemonici del Presidente, oltre a ridurre notevolmente le
incertezze insite in qualunque regime; per coloro che invece hanno un atteggiamento critico, è
proprio la presenza di elementi di incertezza e imprevedibilità di un sistema che richiedono
maggiore flessibilità nella durata del mandato. inoltre in situazioni di mutamento, come la fase di
transizione, questa rigidità non permette un veloce adattamento del sistema alle nuove condizioni
che si stanno delineando.
Al riguardo J.J.Linz, espone un esempio
9
: un leader che, per qualsiasi motivo, perde la fiducia del
partito che lo ha sostenuto durante le elezioni presidenziali, non può essere rimosso per le regole
che caratterizzano questo tipo di sistema, prima fra tutte quella relativa alla legittimazione
democratica diretta; gli strumenti a disposizione per far fronte alla precarietà che deriva da tale
situazione, sono molto pochi; infatti il presidente in carica, pur avendo perso il sostegno del partito,
9
J. J. LINZ, A. VALENZUELA, Il fallimento del presidenzialismo, op. cit., p. 34 ss.
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difficilmente rassegnerà le dimissioni, soprattutto in paesi in cui le regole escludono di concorrere
per un secondo mandato.
Inoltre non si può tralasciare un altro aspetto, anch’esso importante per le conseguenze che potrebbe
determinare all’interno del sistema in termini di cambiamento, dato che il Presidente in carica può
comunque contare sulla legittimazione derivante dal proprio elettorato e può essere indotto a
ricorrere all’appoggio del popolo, minacciando l’intervento delle forze armate e la creazione di
istituzioni non democratiche, giustificando l’utilizzo di tali strumenti come unica soluzione alla crisi
politica.
Il principio della non rielezione o non rielezione immediata, rappresenta un aspetto importante dei
regimi presidenziali vigenti negli stati latino-americani; è sempre stato infatti oggetto di discussione
in ambito politologico, e il caso del Venezuela contribuisce a riaffermarne l’attualità; infatti nel
novembre del 2007 Chàvez, Presidente in carica, ha indetto un referendum diretto all’approvazione
di una modifica della Costituzione che prevedeva la possibilità di rielezione immediata del
presidente e senza limiti sul numero dei mandati. Il tentativo del Presidente Chàvez ha ottenuto un
netto schieramento di opposizione alla modifica costituzionale; ma proprio per la natura di questo
strumento di democrazia diretta, il referendum è stato un banco di prova per saggiare le opinioni del
popolo venezuelano nei confronti del proprio Presidente, oltre che un “esercizio di democrazia”
fondamentale.
Le motivazioni che hanno determinato l’esito referendario in Venezuela, ma in generale quelle che
determinano scelte in questo senso, non sono difficili da capire se, in una retrospettiva storica, si
considerano gli eventi politici e sociali che hanno interessato molti degli Stati latino-americani e in
particolare quelli del Cono Sur; eventi caratterizzati soprattutto da tentativi egemonici da parte di
personalità presidenziali forti i cui atteggiamenti dittatoriali e cesaristi hanno portato, in molte realtà
politiche, all’instaurazione di regimi non democratici. Il principio risponde a questa esigenza,
quindi ad escludere tali rischi, anche potenziali; tuttavia alcuni studiosi sostengono che proprio
l’impossibilità di essere rieletti o di esserlo subito dopo la scadenza del primo mandato sia un alibi
per il Presidente uscente nei confronti sia del proprio elettorato che dell’intero corpo elettorale, ma
anche rispetto al partito che ha sostenuto la sua candidatura, soprattutto perché il vincolo di durata
del mandato può essere una giustificazione all’operato del Presidente nel caso in cui la sua azione
non sia stata particolarmente efficace in termini di politiche adottate o che si sarebbero dovute
adottare.
Linz rivolge l’attenzione anche al rapporto che intercorre tra sistema partitico e presidenzialismo:
l’analisi in questo senso pone in evidenza le dinamiche che possono svilupparsi all’interno del
sistema .
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