2
diritto alla formazione del lavoratore costituisca un vero e proprio “effetto legale
naturale del contratto di lavoro subordinato”, derivante dalla previsione dell’art. 35,
comma 2, Cost., letto in relazione agli articoli 2094 e 2103 del codice civile2.
Un’analoga posizione è stata sostenuta anche da Luisa Galantino, secondo la quale,
partendo dal presupposto che “attività di lavoro ed attività formative si compenetrano
orami in un intreccio difficilmente solubile”, la formazione sarebbe diventata “parte
della struttura causale del contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e
indeterminato”3, configurandosi come diritto-dovere del lavoratore.
2
M. NAPOLI, Disciplina del mercato del lavoro ed esigenze formative, in Rivista giuridica del
lavoro, II, 1997, p. 263.
Nello stesso senso vedi, A. DI STASI, Questione metodologica e principio di solidarietà negli
ammortizzatori sociali, in Tutela del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Alleva P., Balletti
E., Carabelli U., Di Stasi A., Forlani N., Liso F., Paci M. (a cura di), Torino, Giappichelli, 2002, p. 95;
V. FILÌ, L’avviamento al lavoro fra liberalizzazione e decentramento, Milano, Ipsoa, 2002, p. 132; A.
LOFFRDO, Il ruolo dell’elemento formativo nel contratto di lavoro, in Realfonozo R. - Zoppoli L. (a
cura di), Formazione e lavoro: l’efficacia dei nuovi strumenti giuridici e istituzionali, Milano, Franco
Angeli, 2003, p. 136, il quale parla, però, di obbligo accessorio. Sia pure non esplicitamente, sembra
aderire alla tesi, L. VALENTE, Contratto di formazione e lavoro e inadempimento dell’obbligo
formativo: ovvero tutto ciò che è reale è razionale, nota a Cassazione, 11 febbraio 1998, n. 1426, in
Rivista giuridica del lavoro, II, 1998, p. 587; U. ROMAGNOLI, Il diritto del secolo. E poi?, in Diritti
lavori mercati, 1999, p. 238, favorevole all’ipotesi dello scambio tra professionalità e retribuzione,
afferma che “non è più da visionari prospettarsi l’azionabilità del diritto alla formazione continua di
cui si favoleggia da molto tempo. Anzi, esso non sarebbe che uno strumento di più intensa tutela
dell’interesse del debitore alla collaborazione e all’adempimento da parte del suo creditore”; M.
MAGNANI, Organizzazione del lavoro e professionalità tra rapporti e mercato del lavoro, Relazione
delle giornate di studio dell’Aidlass su Organizzazione del lavoro e professionalità nel nuovo quadro
giuridico, Teramo-Silvi 30 maggio-1 giugno 2003, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni
industriali, 2004, p. 165, rileva, invece, come “questa tesi enfatizza il dato sociologico della
valorizzazione delle risorse umane, strumento essenziale per il successo dell’impresa, attraverso un
aggiornamento continuo del capitale intellettuale che esse apportano, ma non trova convincenti appigli
sul piano giuridico”.
3
L. GALANTINO, Lavoro atipico, formazione professionale e tutela dinamica della professionalità
del lavoratore, in Diritto delle relazioni industriali, 1998, p.319. Nello stesso senso vedi F.
GUARRIELLO, Trasformazioni organizzative e contatto di lavoro, Napoli, Jovene, 2000, p. 233. In
realtà, secondo la dottrina maggioritaria, la causa tipica del contratto di lavoro è lo scambio tra il
lavoro (intellettuale o manuale) prestato in posizione subordinata e la retribuzione. Dal contratto
derivano pertanto due obbligazioni speculari: quella del datore di lavoro di corrispondere la
3
Si tratta di ipotesi interpretative dalla ricadute sistematiche rilevanti, perché idonee a
spostare il baricentro dell’intera politica formativa, tuttora incentrata sull’intervento
pubblico, con un ruolo dell’impresa funzionalmente “ancillare”, limitato al modesto
finanziamento del Fondo per la formazione professionale4.
In realtà forme di collegamento tra formazione e lavoro sono già rinvenibili negli
ordinari rapporti di lavoro subordinato: può infatti accadere che il lavoratore, per
scelta autonoma, legata al proprio progetto di vita professionale, decida di utilizzare i
congedi (retribuiti e non retribuiti) previsti dalla legislazione e dalla contrattazione
retribuzione dovuta, e quella del lavoratore subordinato di prestare la propria opera "alle dipendenze e
sotto la direzione" del datore (art. 2094 c.c.). La dottrina oggi prevalente collega alla causa del
contratto anche l'obbligo del datore di fornire un ambiente di lavoro sicuro. L'obbligo di sicurezza,
imposto dalla legge (art. 2087 c.c.; d.lgs. 81/08), viene così configurato come una precisa
obbligazione contrattuale posta in capo al datore di lavoro. Vedi al riguardo O. MAZZOTTA, Diritto
del lavoro, Milano, Giuffrè, 2005.
4
Così D. GAROFALO, Formazione e lavoro tra diritto e contratto. L’occupabilità, Bari, Cacucci,
2004, p. 340. I fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua sono organizzazioni di
natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle parti sociali attraverso
specifici Accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei
lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Possono essere istituiti Fondi Paritetici
Interprofessionali per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e
dell’artigianato; gli Accordi Interconfederali possono prevedere l’istituzione di Fondi anche per settori
diversi, nonché, all’interno degli stessi, la costituzione di un’apposita sezione per la formazione dei
dirigenti. Nel corso del 2003, con l’istituzione dei primi dieci Fondi Paritetici Interprofessionali,
si realizza quanto previsto dalla legge 388 del 2000, che consente alle imprese di destinare la quota
dello 0,30% dei contributi versati all’INPS (il cosiddetto “contributo obbligatorio per la
disoccupazione involontaria”, che equivale a un’aliquota pari allo 0,30% del monte salari) alla
formazione dei propri dipendenti. I datori di lavoro potranno infatti chiedere all’INPS di trasferire il
contributo ad uno dei Fondi Paritetici Interprofessionali, che provvederà a finanziare le attività
formative per i lavoratori delle imprese aderenti. I Fondi paritetici interprofessionali finanziano piani
formativi aziendali, settoriali e territoriali che le imprese in forma singola o associata decideranno di
realizzare per i propri dipendenti. Oltre a finanziare, in tutto o in parte, i piani formativi aziendali,
settoriali e territoriali, con le modifiche introdotte dall’art. 48 della legge 289/02, i Fondi
Interprofessionali potranno finanziare anche piani formativi individuali, nonché ulteriori attività
propedeutiche o comunque connesse alle iniziative formative. Vedi www.fondinterprofessionali.it
4
collettiva5 per partecipare ad un percorso di formazione (scolastico, universitario o di
formazione professionale). Questa fattispecie, assai diffusa, non deve essere fonte di
ambiguità interpretative che possono indurre ad errate enfatizzazioni6: il lavoratore
ha infatti diritto, in presenza delle condizioni richieste dalla legge o dal contratto, al
congedo, cioè ad una sospensione del rapporto di lavoro (a volte retribuita, più
spesso non retribuita) a carico del datore; non ha diritto a che gli sia resa la
formazione da parte del datore.
Ai nostri fini, è interessante analizzare il ruolo del datore di lavoro all’interno delle
politiche formative, soprattutto in seguito ai processi di riorganizzazione o
ristrutturazione aziendale.
Invero la diffusa convinzione che in futuro, sempre più frequentemente, i lavoratori
già alle dipendenze con un contratto di lavoro ordinario verranno impiegati dal
5
Sono i congedi previsti dall’art. 10 della legge n. 300/70, ora ampliati dagli art. 5 e 6 della legge 8
marzo 2000, n. 53. L’art. 10 della legge n. 300/70, c.d. Statuto dei lavoratori, dispone che “i lavoratori
studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di
qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al
rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la
preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi
settimanali. I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame,
hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti”. Gli articoli 5 e 6 della legge n. 53/00
disciplinano rispettivamente i congedi per la formazione e i congedi per la formazione continua. Nel
primo caso si tratta di congedi finalizzati al completamento della scuola dell’obbligo, al
conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, alla
partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro.
La norma dispone che i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, che abbiano almeno cinque
anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, possono richiedere una
sospensione del rapporto di lavoro per congedi per la formazione per un periodo non superiore ad
undici mesi, continuativo o frazionato, nell'arco dell'intera vita lavorativa. Durante il periodo di
congedo per la formazione il dipendente conserva il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione. I
congedi per la formazione continua consentono, invece, ai lavoratori di proseguire per tutto l’arco
della vita percorsi di formazione per accrescere conoscenze e competenze professionali. La
formazione può corrispondere in questo caso ad autonoma scelta del lavoratore ovvero essere
predisposta dall'azienda, attraverso i piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti
sociali in coerenza con quanto previsto dal articolo 17 della legge n. 196 del 1997, e successive
modificazioni.
6
P.A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formative, Milano, Franco Angeli, 2001, p. 173.
5
datore di lavoro in processi formativi, per dotarli della mutevole professionalità
richiesta dall’azienda, è certamente gravida di conseguenze sula piano politico e
sociale7. La formazione continua, vale a dire la formazione durante tutto l’arco della
vita, è infatti considerata un diritto di ogni cittadino europeo8 ed è diventata un
caposaldo delle politiche del lavoro comunitarie9.
Anche lo Stato italiano, nell’ambito di un disegno di riforma generale della
formazione professionale10, ha condiviso l’esigenza di sostenere le attività di
formazione continua, anzi ha cercato, seppure con difficoltà, di affermare una propria
strategia già agli inizi degli anni 9011.
7
Così P.A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formative, Milano, Franco Angeli, 2001, p. 173.
8
L’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea approvata a Nizza nel dicembre
2000 sancisce il diritto di ogni individuo “all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e
continua”.
9
Formazione e diritto del lavoro rappresentano un binomio consolidato sia nella riflessione dei
giuristi, sia nelle Carte dei diritti elaborate sul piano sovranazionale negli anni 60. Basti pensare
all’art. 6 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, stipulato in ambito ONU nel
1966, nonché all’art. 1 della Carta sociale europea del 18 ottobre 1961. Quanto alla formazione
continua, neppure essa può essere descritta come una «scoperta» dei tempi più recenti, essendo stata
presa in considerazione dalle fonti sopranazionali sin dai primi anni 60. La Comunità si è, infatti,
sempre mossa nel senso della massima valorizzazione della formazione professionale; tuttavia solo
durante la marcia di avvicinamento all’Euro, le autorità comunitarie - preoccupate per i prevedibili
effetti sociali e occupazionali derivanti dall’adattamento delle economie nazionali ai parametri di
«convergenza» fissati da Maastricht - hanno preso ad enfatizzare il ruolo della formazione
professionale come strumento di politica attiva del lavoro. Non si è trattato più di limitarsi a fornire
sostegno finanziario alle iniziative nel campo della formazioni deliberate a livello nazionale, quanto
piuttosto del tentativo di coordinarle, indirizzarle, di fissarne in qualche modo gli obiettivi a livello
comunitario. È su questo sfondo che la formazione professionale è andata sempre più marcatamente
configurandosi come uno strumento cruciale di intervento nei mercati del lavoro, nel contesto della
c.d. Strategia europea per l’occupazione. Al riguardo vedi M. ROCCELLA, Formazione,
occupabilità, occupazione nell’Europa comunitaria, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni
industriali, 2007, p. 187.
10
Il disegno complessivo della riforma è descritto in Comitato nazionale di concertazione per la
formazione professionale, Proposte per un nuovo sistema di formazione professionale, in «Cisem-
informazioni», Cisem, milano, nn. 15-18, 1996.
11
Il primo intervento legislativo di rilievo in proposito è rinvenibile all’art. 9, commi 3, 3 bis, 4 e 5 del
d.l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, con cui sono state destinate
6
È andato così gradualmente delineandosi anche in Italia il necessario quadro di
sostegno all’affermazione del diritto dei lavoratori alla formazione continua o
ricorrente (in un quadro di educazione permanente), secondo gli auspici della
dottrina più attenta che da tempo aveva richiesto interventi legislativi volti a
promuovere non solo la formazione propedeutica all’ingresso nel mondo del lavoro
(la c.d. prima formazione o formazione professionale di base) ma anche l’elevazione
professionale dei lavoratori, in attuazione della seconda direttiva contenuta nell’art.
35 della Costituzione12.
La legislazione finora adottata è incentrata, però, sull’impegno delle istituzioni
pubbliche a sostenere la formazione per tutto l’arco della vita e non pone obblighi di
risorse a tale specifica finalità. In seguito, il punto d) del primo comma dell’art. 17 della legge 24
giugno 1997, n. 196, ha indicato, invero con scarsa fortuna, principi e criteri per guidare l’intervento
pubblico a sostegno della formazione professionale continua prevedendo in particolare la
destinazione progressiva ad uno o più Fondi nazionali dell’intero gettito derivante dai contributi
versati dai datori di lavoro ai sensi dell’art. 9, comma 5, del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148,
convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Ribadita la volontà di offrire percorsi
di formazione per tutto l’arco della vita all’art. 6 della legge 8 marzo 2000, n. 53, recentemente il
legislatore è ritornato con maggiore puntualità sul tema, precisando che le risorse sopra destinate
devono affluire a fondi paritetici interprofessionali nazionali, istituiti da accordi interconfederali, per
finanziare piani formativi aziendali, territoriali o settoriali concordati tra le parti sociale. Nel novero
delle misure a sostegno della formazione continua vanno infine inserite le agevolazioni fiscali
spettanti ai datori di lavoro che abbiano sostenuto costi per la formazione del proprio personale,
previste dall’art. 4 della legge 18 ottobre 2001, n. 383. Al riguardo vedi P.A. VARESI, ult., op., cit.,
175. L’insieme di queste disposizioni delinea la cornice finanziaria a sostegno delle scelte di
formazione operate dai datori di lavoro e dai lavoratoti. Anche se in forma graduale, ingenti risorse
saranno in futuro destinate al sostegno di attività di formazione professionale continua ed in specie ad
iniziative rivolte a lavoratori occupati, con l’intento di porre in grado lo Stato, le Regioni e gli enti
locali, di assicurare un’offerta formativa adeguata per un verso alle esigenze espresse dal sistema delle
imprese (mediante i piani formativi concordati tra le parti sociali), e, per altro verso, dai lavoratori, in
relazione a scelte personali.
12
Art. 35 Costituzione: «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la
formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le
organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di
emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano
all'estero». Vedi M. NAPOLI, Commento sub. art. 35, in G. Branca (a cura di), commentario della
Costituzione, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 51.
7
formazione a carico del datore di lavoro, essendosi limitata a promuovere, tramite
l’intervento finanziario, le attività formative (l’eventuale previsione di obblighi di
questo tipo è invece demandata alla contrattazione collettiva o al contratto
individuale13).
13
Se, infatti, come afferma M. NAPOLI, Disciplina del mercato del lavoro ed esigenze formative, in
Rivista giuridica del lavoro, II, 1997, p. 263, “devono essere individuati dalla legge e dalla
contrattazione collettiva gli istituti che permettono l’effettivo esercizio” del diritto alla formazione dei
lavoratori, non si può negare che, per molti anni, solo l’autonomia collettiva si è impegnata nella sua
concreta attuazione. Basti pensare al riguardo che già nel 1966 la Rudan (M. RUDAN, Il contratto di
tirocinio, Milano, Giuffrè, 1966, p. 470) evidenziava che, dall’esame di alcuni contratti collettivi,
sembrava emergere una nuova tendenza, che vedeva l’addestramento pratico gradualmente
consolidarsi nella prassi dei rapporti di lavoro e la relativa funzione inserirsi persino nella struttura del
contratto di lavoro, entrando a far parte del suo contenuto negoziale. Trattavasi, secondo l’Autrice, di
una tendenza contrattuale nuova e tutta da verificare negli sviluppi, che avrebbe potuto condurre ad
uno innesto stabile della componente “istruzione professionale” entro lo schema tipico del contratto di
lavoro subordinato, come oggetto di un dovere dell’imprenditore, a latere dell’obbligo di pagare la
retribuzione. Afferma però l’Autrice al riguardo, «che tutto ciò forma oggi il contenuto, per giunta
ancora impreciso, di una mera aspettativa: gli sporadici dati contrattuali che hanno suggerito le
presenti osservazioni costituiscono poco più di un primo embrionale indizio di un fenomeno proiettato
nel futuro. […] Ciò non toglie, comunque, che la costatazione del riferito dato d’esperienza imponga
di tenere fin d’ora presente la prospettiva di un ampliamento e di una generalizzazione dell’impegno
dell’imprenditore all’addestramento delle proprie maestranze, a tutti i livelli. Con la possibile
conseguenza, secondo quanto si diceva poco fa, di una progressiva caratterizzazione della fisionomia
del rapporto di lavoro: nel senso di considerarvi insita, in certo modo, anche la funzione
dell’insegnamento professionale».