Introduzione
“La guerra esisterà fino al giorno lontano in cui l’obiettore di coscienza godrà della
massima reputazione e del massimo prestigio del combattente” ( John F. Kennedy)
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Guerra e pace. Non è soltanto il titolo di una celebre opera tolstojana, è la perenne
diatriba che vede contrastare il mondo militare e quello pacifista alla ricerca della
convivenza civile. Oggi la risoluzione potrebbe sussistere nel nome del servizio civile.
Il servizio civile, nato ufficialmente con la legge n. 64 del 2001, deriva da quella che era
conosciuta come obiezione di coscienza. Oggi il servizio civile è in netta evoluzione ed
è diventato un fenomeno popolare, quasi di massa. Ma per comprenderlo occorre
esaminarlo dal punto di vista storico, sociologico, culturale, in modo da scoprirne gli
attuali risvolti positivi e negativi. Il presente lavoro mira quindi ad un’analisi dettagliata
a partire dalle origini attraverso l’esplorazione di quel vasto e profondo retroterra
storico-culturale che ha caratterizzato l’obiezione di coscienza, per approdare all’attuale
conformazione del servizio civile dal punto di vista giuridico ed organizzativo e
concludersi con le reali esperienze che ne confermino la fattibilità.
Nel primo capitolo emerge la storia e con questa il significato dell’obiezione di
coscienza: compaiono le prime manifestazioni di disubbidienza che suscitano clamore e
non trovano consenzienti. L’obiezione di coscienza, in senso proprio, è obiezione alla
legge, all’imperativo giuridico imposto; il suo dettame interiore deriva da concezioni
filosofiche, profonde ragioni morali o religiose, da convinzioni politiche pacifiste. La
coscienza è la radice della persona, la sua anima, è la persona stessa. La storia è ricca di
nomi divenuti poi celebri perché fautori di un’ideologia nonviolenta, non
discriminatoria, di disubbidienza civile che però si va a scontare con il pensiero
dominante, con il governo imperante. Sono queste personalità, esempi isolati lungo la
linea del tempo legati da un denominatore comune, che scrivono la storia e producono
negli anni, o meglio, nei secoli, un lento ma radicale cambiamento di prospettiva.
Il valore della coscienza, il senso della pace e della giustizia, la dignità dell’uomo,
l’aspirazione alla libertà, il senso di democrazia sono i connotati di una manifestazione
palese di rifiuto alle armi. L’obiettore, figura di antica memoria storica non è un
opportunista, egoista privo di realismo perduto in ideali astratti. Egli è un convinto
assertore della pace, crede che la strada del servizio civile sia la strada giusta efficace e
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S. Albesano, Storia dell’obiezione di coscienza in Italia ,Quaranta, Treviso, 1993, p. 97.
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decisiva per un cambiamento di cultura e di un nuovo modo di intendere l’umanità. Non
si deve credere che dietro ogni motivazione adotta non esista un’intima convinzione;
certo, come in tutti i campi anche nell’obiezione di coscienza vi possono essere stati
abusi e approfittatori ma non vale la pena svilire un fenomeno positivo per quei pochi
che fanno, o credono di fare, una scelta di comodo, palesando nobili ideali. Pietro Pinna
divenne celebre per la sua obiezione, il suo gesto non trovò radici politiche o culturali
come accaduto in precedenza, ma fu l’atto spontaneo di un giovane riluttante all’idea di
essere inserito all’interno di una struttura militare. I suoi pochi emulatori furono
testimoni coraggiosi ma isolati che accettavano l’idea di finire in carcere in ragione dei
loro ideali. Negli anni Sessanta invece l’obiezione sfociò in una lotta di gruppo grazie
anche al forte appoggio politico proveniente soprattutto dal partito radicale. La nascita
del movimento nonviolento, l’interesse dei media, le posizioni sostenute da Capitini e
don Milani, gli appelli e le manifestazioni, contribuirono ad alimentare il clima di
contestazione.
Il riconoscimento dell’obiezione avvenne con la legge n. 772 del 1972 – di cui si
parla nel secondo capitolo - in seguito alla quale le lotte degli obiettori si ridussero a
contenziosi con il Ministero della Difesa per una migliore attuazione della legge e una
battaglia parlamentare per una concreta riforma della stessa. Tale disciplina, oggi
naturalmente abrogata, consentiva di adempiere agli obblighi di leva attraverso un
servizio sostitutivo in virtù del fatto che la difesa della Patria potesse avvenire anche
senza l’uso delle armi senza per questo violare esplicitamente la Costituzione (in
particolare il primo comma dell’art. 52). Tuttavia l’obiezione conservava una sorta di
carica anomala poiché veniva considerata un “beneficio”e per questo vista con sfavore e
non certo incentivata. Le sentenze costituzionali pronunciate negli anni successivi
avevano lo scopo di migliorare il suo ordinamento soprattutto nei confronti del servizio
militare. A seguito del rinvio presidenziale la nuova disciplina assai più completa
venne regolamentata dalla legge n. 230 del 1998 ove il servizio civile assunse un
carattere più autonomo dal servizio militare e venne riconosciuto come diritto
soggettivo deputato al maggior benessere sociale. Se fino ad allora infatti le motivazioni
di obiezione erano squisitamente anitimilitariste, d’ora in avanti si ebbe un incremento
di ragioni indotte da un maggior senso umanitario. I tempi cambiavano e con questi i
giovani, le loro motivazioni, gli enti e il servizio civile svolto.
Nel terzo capitolo si conclude la storia dell’iter legislativo che porta all’istituzione del
nuovo servizio civile nazionale grazie alla legge n. 64/2001 e all’abolizione della leva
obbligatoria. Venne così riconosciuto tramite un chiaro inquadramento costituzionale un
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servizio volontario aperto ai giovani e in particolare alle ragazze in nome di ideali di
solidarietà e di impegno sociale. Ho ritenuto importante entrare nello specifico di tale
normativa in particolare nei principi fondanti a partire dal tanto discusso concetto di
“difesa della patria”. In seguito si sono evidenziati i profili soggettivi e organizzativi, le
competenze di stato e regioni, il servizio civile regionale. L’ultima parte si conclude con
considerazioni squisitamente organizzative e pratiche: dalla stesura dei progetti
presentati dagli enti alla formazione da erogare ai giovani per avviarli in maniera idonea
al nuovo servizio, l’organigramma e le relative competenze dei diversi compartimenti,
quindi la caratterizzazione iconografica del servizio civile.
L’ultimo capitolo rappresenta a mio avviso il cuore di questa tesi, ossia mira a
rispondere ad un interrogativo di base: perché mai un giovane dovrebbe svolgere il
servizio civile? Cercando di trovare una risposta che fosse la meno ovvia possibile, sono
partita dall’analisi dell’inchiesta della Fondazione Zancan, “Esperienze e valutazioni
del servizio civile dalla voce dei protagonisti”, ho affrontato la realtà di un ente
impegnato da oltre trent’anni nel servizio civile, la Caritas italiana, e ho raccolto le
esperienze raccontate in prima persona dai volontari dei Caschi Bianchi. La fase finale
concerne i contributi apportati dal servizio civile in termini educativi e formativi.
Cercando quindi una spiegazione al quesito precedente si può asserire che il servizio
civile risulta essere una scelta libera, volontaria e spontanea dove le motivazioni
possono essere varie ma sempre comunque soggettive e indiscutibili. Non è tanto
importante ora conoscere le cause che spingono un giovane ad una simile scelta, quanto
capire che le sue finalità sono molteplici e variegate ed è qui che si evidenzia la sua
forza in termini valoriali: crescita mentale, acquisizione di maggior consapevolezza,
maturità interiore, ricchezza umana. Osservando poi le risposte dei giovani sembra
lecito attendersi dal servizio civile sia una crescita pedagogica per i giovani che ne sono
protagonisti sia un contributo allo sviluppo della solidarietà nella convivenza civile.
Diventa così una splendida occasione formativa che nel bene o nel male insegnerà
sempre qualcosa, è un’occasione che non va sprecata, va vissuta intensamente, è lezione
di vita e per questo rinunciarvi potrebbe rappresentare un vero peccato. E diventa così
sperabile che quanti hanno a cuore una qualità diversa della vita sociale possano un
giorno assicurare a questa iniziativa attenzione, incoraggiamento e promozione.
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Capitolo primo
STORIA DELL’OBIEZIONE DI COSCIENZA IN
ITALIA
1. L’obiezione di coscienza dal Cristianesimo all’età moderna
Per obiezione di coscienza intendiamo l‟atteggiamento di colui che rifiuta di obbedire
ad un comando che esorta al servizio militare o ad un imperativo che implichi il ricorso
alla violenza proveniente da organi o istituzioni autorevoli invocando per contro l‟esistenza
di una morale interiore o di un precetto religioso.
Obiezione deriva dal latino obicere, letteralmente significa “contrapporre”, “gettare
contro”; quindi precisamente scontrarsi con una legge imposta da una parte da un‟autorità,
dall‟altra dettata dalla coscienza morale. Coscienza, anch‟essa di derivazione latina cum-
scere, significa invece “sapere con”, sapere con se stesso, avere consapevolezza di sé,
praticamente conoscere auto-analizzandosi. L‟uomo si distingue dalle altre specie viventi
appunto perché dotato di coscienza, di quella razionalità che lo induce a pensare e
riflettere sul proprio operato e che lo porta a confrontarsi con gli altri simili. La coscienza
morale interiorizza i valori, detta delle leggi, dei principi a cui l‟individuo doverosamente
obbedisce per evitare di entrare in contraddizione con se stesso provocando un‟ insanabile
spaccatura interiore.
Nell‟epoca precristiana, in particolare nella cultura greca, sono ravvisabili prime
forme di obiezione di coscienza, è il caso, per esempio, della tragedia Antigone di Soflocle
del V sec. a.c. La figura di Antigone, giovane che si oppone al tiranno Creonte facendo
seppellire il fratello nonostante il suo divieto, è l‟esempio lampante dell‟esistenza di una
certa sensibilità alla causa morale ponendo al centro l‟intima coscienza. Il messaggio, forte
e lucido, attesta che al si sopra di tutto contano le leggi eterne, quelle non scritte e
indistruttibili degli dei che superano di gran lunga quelle misere terrene. La coscienza fa la
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sua comparsa e trova spazio anche nella filosofia socratica dal momento che l‟uomo non
entra in relazione solo con gli altri ma anche con se stesso. Infatti Socrate sosteneva:
“L‟autorità della coscienza è al di sopra delle leggi e quest‟ultime non vincolano
automaticamente il cittadino sottoposte ad esame razionale e vengono accettate soltanto se
quell‟esame consente di accettarle”
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.
Per la Arendt l‟uomo socratico vive un rapporto tra “sè e se stesso” da cui consegue
che se farà del male tradendo la sua coscienza finirà con il vivere in contraddizione con se
stesso e pertanto a convivere con un‟ immagine sporca e screditata di sé (Arendt, 1985).
Storicamente il ruolo della coscienza assume rilevanza con la comparsa di Gesù Cristo
in un‟ epoca dominata da paganesimo ed idolatria. Cristo, il cui insegnamento si sposava
con il sacrificio, l‟amore fraterno, la pace e il rispetto, comportò un capovolgimento
culturale ed ideologico oltre che religioso nonostante la diffidenza iniziale dei popoli.
Significativo quanto celebre il discorso che tenne su una collina nei pressi di Cafarnao a
proposito delle beatitudini:
“Beati i miti perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché
saranno saziati, beati i misericordiosi perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore perché
vedranno Dio. Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati
per causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi perseguiteranno e
mentendo diranno ogni male per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché è grande la vostra
ricompensa nei cieli.” (Mt.5,5-12)
Grazie al lui per la prima volta nel corso della storia si manifestarono le prime isolate
forme di obiezione di coscienza al servizio militare, i primi tentativi sistematici di
disubbidienza civile. Allora l‟impero romano dominava incontrastato e la sua struttura era
rigidamente sacralizzata, la figura dell‟imperatore coincideva con quella del pontefice,
potere spirituale e temporale si incarnavano in un‟unica, indiscutibile figura. Il messaggio
evangelico sostenuto a gran voce da Gesù e dai suoi discepoli mirava a laicizzare in
qualche modo la politica affidando a questa la cura di una nazione e non tanto l‟anima di
ogni suo individuo. Quei cristiani pertanto che si rifiutavano di adorare l‟imperatore al
punto di divinizzarlo e respingevano ogni altra forma di idolatria rivendicando fermamente
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R. Venditti, L’obiezione di coscienza al servizio militare, Giuffrè, Milano, 1999, p. 35.
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i principi di libertà e di laicità furono i primissimi obiettori della storia cristiana. Il Dio
adorato e venerato dai cristiani si presentava agli occhi degli infedeli come “qualcosa
d‟altro” dal comune terreno sovrano, un‟entità invisibile e indissolubile, suprema e
inafferrabile, era un dio buono quello dei cristiani capace assolutamente di perdonare ogni
essere umano, la sua parola proclamata a gran voce da Gesù prima e poi dai suoi fedeli era
tanto gioiosa quanto contagiosa, destinata a raccogliere, nonostante lo sdegno iniziale,
sempre più numerosi adepti. Nel III secolo d.c. Tertulliano scrisse che il servizio militare
risultava essere inconciliabile con l‟etica cristiana e l‟unica vera battaglia che il cristiano
potesse compiere era contro le alienazioni del mondo. L‟obiezione di coscienza dei
cristiani non si esplicava quindi soltanto sul versante ideologico e religioso ma investiva
anche il piano militare in opposizione ai principi della belligeranza e della violenza. Gli
anni successivi a Cristo videro sempre più numerosi cristiani opporsi alla militanza
nell‟esercito romano in virtù dei principi espressi dalla propria fede.“Mihi non licet
miltare,quia christianus sum !” (non mi è lecito fare il soldato perché sono cristiano); con
queste parole Massimiliano motivò al proconsole Dione la scelta di non arruolarsi
nell‟esercito, e per placare le insistenze dell‟altro continuò affermando: “Non possum
militare, non possum malefacere, Christianus sum” (non posso fare il militare, non posso
fare violenza perché sono cristiano). Con queste affermazioni venne quindi giustiziato, reo
di essere un obiettore di coscienza cristiano. Tuttavia non tutti i cristiani seguirono
l‟esempio di Massimiliano, molti di loro continuarono la militanza e non esitarono ad
esporsi in guerra provocando carneficine seppur in contrasto con la propria confessione
religiosa. Pur rimanendo un fenomeno alquanto limitato ad una ristretta minoranza
cristiana, per la prima volta l‟obiezione di coscienza vedeva una sua diffusione seppur non
generalizzata per lo meno sistematica.
Nella successiva età costantiniana l‟obiezione però entrò in crisi in concomitanza con
la forte alleanza stretta tra il potere religioso e quello politico. Tale vicinanza apportava
comunque dei vantaggi; per esempio, se da una parte la Chiesa assertiva agli obblighi
militari imposti dallo stato, dall‟altra i cristiani potevano sentirsi finalmente cittadini liberi,
non più soggetti a persecuzioni come lo erano stati finora proprio a causa della loro fede. Il
314 d.c vide Costantino convocare il Concilio di Arles, ad un anno di distanza dall‟editto
di Milano nel quale si concedeva massima libertà ai cristiani. Ora l‟imperatore minacciava
la scomunica non tanto a chi rifiutava le armi in tempo di guerra ma a chi le rifiutava in
tempo di pace. Nel 350 Martino di Tours rifiutò le armi abbandonando il servizio militare e
di fronte all‟imperatore Giuliano si offrì di andare incontro ai nemici in maniera disarmata
munito della croce di Cristo. Pochi decenni dopo, nel 380, Teodosio con l‟editto di
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Tessalonica dichiarò il Cristianesimo religione di stato proclamando persecuzioni contro
gli eretici. Tutto ciò portò la Chiesa a mettere a tacere ogni forma di disubbidienza al
servizio militare mentre le leggi imperiali escludevano via via dall‟esercito prima gli ebrei,
poi i Montanisti e di seguito i membri di altre sette minoritarie e infine i pagani. Con il
decreto del 416 Teodosio garantiva quindi soltanto ai cristiani la possibilità di accedere alla
vita militare. Nel giro di pochi decenni la Chiesa mutò il proprio ordinamento giuridico e si
trovò a condividere la responsabilità di un impero, divenne discriminante e repressiva nei
confronti delle altre religioni. Così la perfezione cristiana ossia la pienezza del messaggio
di Cristo cessò di essere un impegno per la stessa comunità, la lotta alla nonviolenza venne
ad essere circoscritto al prete, al monaco, al clero, per loro il divieto assoluto di portare le
armi sancito da apposite norme, norme che però nulla disponevano nei confronti dei laici.
La simbiosi creatasi tra potere spirituale e temporale portò la Chiesa a distinguere tra
guerra giusta e guerra ingiusta; talora divenne persino promotrice di scontri come nel caso
delle crociate nel Medioevo o di guerre di religione nell‟età moderna.
2
(Venditti, 1999)
Nei secoli successivi e durante il lungo Medioevo tuttavia non mancarono esempi,
voci isolate tendenti a rivalutare la dignità di ogni individuo, a risvegliare il senso della
nonviolenza, ad alimentare la pace. Nel nuovo millennio troviamo invece una delle figure
più ammirate ed amate e non solo dai cattolici, S. Francesco d‟Assisi, un esempio
straordinario di contestazione e di dedizione. In piena epoca di crociate decise di recarsi
inerme in Medio Oriente predicando la parola del Vangelo agli infedeli, superando lo
scontro fra gli eserciti cattolici e mussulmani per approdare alla corte del sultano d‟Egitto.
Con la sua presenza in territori ostili invitò i popoli alla pace, al dialogo e al rispetto
invocando su di loro il messaggio evangelico alla fratellanza. Nel 1121 Papa Onorio III
pubblicò una bolla ponteficia “Significatum est”, con la quale autorizzava il vescovo di
Rimini a prendere le difese di un gruppo di obiettori di Faenza e dintorni che, a causa del
proprio credo, rifiutavano l‟arruolamento imposto dalle autorità comunali. Difendendo
pubblicamente gli obiettori il pontefice denunciava una situazione ben nota da tempo in
svariate città, ossia le molestie subite da chi in nome dell‟umiltà e dell‟amore rifiutava il
giuramento alle armi. Tale episodio rilanciò pubblicamente la Chiesa in primis non più
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Soltanto nel 1962 si ravvisò un‟inversione di tendenza grazie al Concilio Vaticano II con il recupero dei più
autentici valori cristiani, si sciolse la rigida clericalizzazione medievale, gli ideali evangelici ripresero a
circolare in tutta la comunità, il laico tornò a riassaporare la vita suscettibile di perfezione aspirando alla
beatitudine divina. E così si recuperò il senso della vita, della non violenza, l‟obiezione di coscienza trovò
spazio proprio come aspirazione profonda di ogni cristiano a non far male, ad aiutare il prossimo in uno
slancio altruistico e non egoistico per seguire fedelmente le orme del suo Maestro.
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vista come alleata allo Stato, e popolarmente acutizzò il senso dell‟obiezione di coscienza
risvegliando gli animi di un profondo senso religioso. Per Venditti:
“Il fatto è interessantissimo: documenta che, proprio in concomitanza con il rifiorire religioso
connesso al francescanesimo e ai movimenti penitenziali, si verifica un rilancio, a livello popolare,
dell‟obiezione di coscienza al servizio militare; testimonia inoltre che quel rilancio si esplica in un
contesto associativo ed è così vigoroso da imporsi all‟attenzione dei vertici della Chiesa cattolica e
da provocarne un intervento”.
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Attorno al 1520, in piena epoca rinascimentale, emersero due grandi figure cattoliche
Erasmo da Rotterdam e Thomas More, due amici, due cristiani devoti, due grandi
personalità a livello europeo. Il primo, scrittore olandese, personalità molto colta e
profonda, fervente cattolico ma altresì polemico e critico nei confronti della Chiesa; il
secondo, scrittore inglese, autore de L’Utopia quale società nuova, ideale e appunto
utopica, difensore della coscienza contro le arroganze del potere politico. Erasmo scrisse
nel 1524 De libero arbitrio polemizzando apertamente contro Lutero; in esso si ravvisava
la disponibilità al dialogo e all‟ascolto in linea con lo spirito tollerante e rispettoso del suo
autore. Egli è stato uno strenuo difensore della libertà di coscienza e dei diritti dell‟umanità
e la sua opera Lamento della pace venne definita come la prima arringa in assoluto in
difesa dell‟obiezione di coscienza. Thomas More dal canto suo si appellò alla propria fede
religiosa e alla propria morale interiore evitando così di porre giuramento di fedeltà al re
Enrico VIII rifiutandosi di riconoscerlo quale capo della chiesa d‟Inghilterra dopo il
clamoroso scisma con la chiesa romana. More del resto non fu il primo obiettore della
storia inglese; lo aveva preceduto Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, ucciso nel
1170 nella sua cattedrale dopo essersi a lungo opposto allo strapotere del re Enrico II. Oltre
a queste due grandi personalità l‟obiezione di coscienza venne comunque coltivata
soprattutto in aree non cattoliche; significativo a tal proposito il movimento valdese che,
nato nel XII sec. allo scopo di purificare la chiesa cattolica dalla sua compromissione alla
ricchezza e al potere, venne annientato e condannato come eretico nonostante i suoi poveri
di Lione si fossero sempre difesi con la sola testimonianza evangelica e con la forza della
persuasione. Coerentemente con il Vangelo essi rifiutavano ogni forma di violenza, di
guerra e di scontro armato.
3
R. Venditti, op.cit., p. 51.
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Nel Cinquecento i movimenti evangelici che si moltiplicarono soprattutto nelle aree
della riforma protestante furono tutti sostenitori della nonviolenza e dell‟obiezione di
coscienza in maniera spesso netta ed intransigente, era l‟epoca degli anabattisti, dei
quaccheri, dei mennoniti degli shakers e più tardi si aggiunsero i Testimoni di Geova.
Anche la stessa chiesa ortodossa affermò nei secoli l‟incompatibilità tra la posizione
ecclesiastica e l‟adoperare le armi scandalizzata dalla presenza di prelati latini negli eserciti
militari.
Nell‟epoca rinascimentale alla visione cristiana del pensiero si affiancò una visione
laica della cultura, della filosofia, delle questioni etico-politiche inerenti l‟obiezione di
coscienza. Il termine “laico” si presentò e si presenta tuttora come termine ambiguo:
inizialmente denotava il fedele cristiano membro della comunità ma non ecclesiastico,
successivamente andò ad indicare il non credente, l‟anticlericale, lo scissionista tra Stato e
Chiesa.
Nel 1795 Kant scrisse Per la pace perpetua dimostrando come gli eserciti siano delle
perenni minacce alla pace oltre che un incentivo permanente alla corsa agli
armamenti.“Assoldare uomini per uccidere o per farli uccidere” scriveva “appare un far
uso di uomini come semplici strumenti altrui; il che non può affatto conciliarsi con il
diritto dell‟umanità insito nella nostra persona”.
4
1.2 I grandi pacifisti del Novecento: Gandhi e Tolstoj
“Buddha portò coraggiosamente la guerra nel campo nemico e mise in ginocchio un clero
arrogante. Gesù scacciò i cambiavalute dal Tempio di Gerusalemme ed invocò le maledizioni del
cielo su ipocriti e farisei. Entrambi propugnarono un‟azione intensamente diretta. Ma anche quando
Buddha e Cristo punirono, in ogni loro lato manifestarono una dolcezza ed un amore
inequivocabili. Non avrebbero mai alzato un dito contro i loro nemici, ma avrebbero volentieri
rinunciato a se stessi piuttosto che alla verità per la quale vivevano. Buddha sarebbe morto
opponendosi al clero, se la grandezza del suo amore non si fosse dimostrata pari al compito di
piegare il clero. Cristo morì sulla croce con una corona di spine sul capo, sfidando la potenza di
tutto un impero. E se io suscito una resistenza di carattere non violento, seguo semplicemente e
umilmente le orme di grandi maestri.”
5
4
I. Kant, Per la pace perpetua, Merker, Roma,1985, p. 5.
5
M.K. Gandhi, Antiche come le montagne, Mondadori, Milano, 1987, p. 137.
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Nel 1849 David Henry Thoreau scrisse un saggio Civil disobidience parlando per la
prima volta nella storia di disubbidienza civile. Questo testo venne letto, tradotto e
meditato da un brillante avvocato e uomo politico indiano che se ne appropriò per dar vita
alla sua dottrina pacifista. Quest‟uomo si chiamava Gandhi.
Mohandas Karamchand Gandhi (1869/1948) meglio noto come Mahatma (in sancrito
“Grande Anima”) fu uno dei fondatori dello stato indiano e fervente sostenitore della
“satyagraha”, ossia della cosiddetta “fermezza di vita” conosciuta ai più come forma di
protesta non-violenta. Il principio della sua stessa forza ispirò poi generazione di attivisti
democratici contro il razzismo e l‟apartheid, esempi del calibro di M.L.king e N. Mandela.
Il concetto della non-violenza (ahimsa) era un ideale antico nel pensiero e nella visione
religiosa indiana, comune nei buddisti, giainisti e induisti. Gandhi condivideva l‟idea
generale secondo cui le masse popolari si potessero ribellare alle autorità sociali e politiche
in caso di intollerabili ed evidenti ingiustizie, ma, secondo lui, l‟unica forma di lotta
legittima e accettabile era di tipo non violento. Il satyagraha rappresentava appunto una
forma attiva e radicale di lotta rivoluzionaria, di coraggiosa ribellione all‟ingiustizia e non
tanto di rassegnazione passiva. Le sue tecniche di nonviolenza consistevano in boicottaggi
e picchettaggi nonviolenti, scioperi, marce, digiuni e nell‟importantissima disubbidienza
civile fondata nel violare volontariamente e pubblicamente leggi o comandi ritenuti
ingiusti accettando per contro le punizioni previste per le violazioni commesse. Oltre alle
proteste e agli scioperi miranti ad ottenere libertà di stampa, di manifestazione e di
riunione, ci si rifiutava di pagare le tasse e si praticava l‟obiezione di coscienza al servizio
militare. Ahimsa voleva dire non usare violenza, ma anche non fare male, amare, quindi
tollerare l‟altro. Per Gandhi era importante persuadere, non costringere, convertire ma non
obbligare. Egli diceva:
“ La nonviolenza è la legge della nostra specie, come la violenza è la legge del bruto. Lo spirito
giace addormentato nel bruto ed egli non conosce altra legge salvo quella della forza fisica. La
dignità dell‟uomo esige obbedienza ad una legge superiore- alla forza dello spirito”.
6
I suoi mezzi di persuasione erano sostanzialmente due: la discussione e la lotta
nonviolenta. Con la prima ci si batteva contro un‟ingiustizia politica o sociale facendo
appello alle autorità ingiuste e all‟opinione pubblica tentando di intavolare una discussione
6
M.K.Gandhi, op cit., p. 10.
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con argomenti convincenti e razionali in modo da riaprire le trattative. Con la lotta non
violenta invece si tentava di sfidare l‟ingiusto a mani nude, senza paura, senza armi con la
sola forza della verità, quella verità che le religioni chiamavano Dio. E‟ questa la capacità
di soffrire senza offendere, senza imporre o imporsi con la forza della propria volontà,
senza infliggere sofferenze, senza difendersi armati nè tanto meno uccidere. Coraggio,
castità, povertà, amore e mitezza, queste erano le parole chiave del messaggio gandhiano.
Dal 1908 al 1910 Gandhi avviò un interessante corrispondenza con lo scrittore Tolstoj
dopo aver letto la sua Lettera ad un indù scritta in risposta ad un nazionalista indiano. La
lettera di Tolstoj utilizzava filosofia induista presa dei Veda e massime del Dio indù
Krishna per dimostrare il crescente nazionalismo indiano.
Lev Nikoaevic Tolstoj (1828-1910) oltre che un celebre scrittore russo, fu anche un
grande pensatore di matrice laica. Nel 1892 scrisse un saggio filosofico-religioso dal titolo
Il regno di Dio in voi, attinente al precedente scritto In che cosa consiste la mia fede; in
esso mirava ad esporre il suo ideale non-violento in linea con il principio cristiano del non
arrecare danno ad alcuno. Riproponendo in termini di conflitto il rapporto tra coscienza
individuale e leggi dello Stato, Tolstoj si divagò sul rifiuto del servizio militare leggendolo
in chiave sostanzialmente socialista. (Consorti, 1999) Il significato universale delle opere
tolstoiane stava nella loro forza morale. La teoria della non resistenza al male era l‟anima
di questa forza; occorre vivere secondo verità, coscienza, amando il proprio prossimo come
se stessi tanto da non reagire mai alla violenza altrui, amando i propri nemici, ricambiando
il male con il bene in modo tale da creare un mondo migliore. Tolstoj sapeva bene quanto
fosse difficile realizzare l‟ideale amore evangelico in una vita terrena data la naturale
ritrosia dell‟uomo a liberarsi dal peccato, ma questa non poteva essere una giustificazione a
non vivere secondo precetto. L‟egoismo é il più grande difetto umano, ha molte facce,
molte gradazioni ed è qui che si annida il male. “L‟uomo da solo” -diceva Tolstoj - “non
può far male. Il male nasce dalla disunione delle persone.”
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Il perfezionamento di società
può passare solo attraverso il perfezionamento morale degli individui; se l‟individuo vuole
cambiare il mondo deve preoccuparsi di cambiare se stesso eliminando nel quotidiano
l‟egoismo e aiutando concretamente le persone attorno a lui. L‟ideale per Tolstoj è una
società patriarcale, buona, pura, fatta di gente povera non bramosa, capace di imporre la
propria volontà in momenti difficili.
Altri profeti della non violenza e dell‟obiezione di coscienza caratterizzarono la
seconda metà del Novecento. Negli Stati Uniti un reverendo di colore, pastore battista che
7
R. Venditti, op.cit, p. 62.
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